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Con i tatuaggi riemerge il primitivo
La decorazione del corpo nella ricerca di un antropologo
di Massimo Centini
Un libro affascinante, per conoscere la cultura della moda - che l’autore definisce “neotribale” - proponendo così un viaggio alle origini di una tendenza. La tribù del tatuaggio Piercing, tatuaggi e altri riti di decorazione del corpo, si intitola così il bel libro dell’antropologo Rufs C. Camphausen appena mandato in libreria da Lyra Libri (pag. 125 L. 29.000). Un volume riccamente illustrato, che compara le pratiche legate al tatuaggio, scarnificazione, a tutte quelle esperienze atte a modificare il corpo, tipiche delle culture a livello etnologico, con quelle proposte oggi dalla moda. Quello del tatuaggio è un linguaggio simbolico problematico, in cui sono confluite esperienze di diversa matrice: in esse si visualizza soprattutto un’intenzione evocativa che ha la propria concreta origine nella tradizione tribale.
“NON È NORMALE”
Il nome deriverebbe dalla parola polincesiana “ta tau” che indica ornamenti e disegni realizzati sulla pelle mediante l’introduzione di sostanze colorate nello strato profondo. Ad una prima valutazione, constatiamo che il tatuaggio, nella cultura occidentale, secondo l’interpretazione generale, non indenne da stereotipi e luoghi comuni, è stato sostanzialmente posto in relazione ad ambienti collocati oltre la cosiddetta normalità, per certi versi portatori di anomalia. Il Lombroso correlava il tatuaggio all’atavismo, interpretando questa espressione «come riproduzione d’un costume diffusissimo tra le popolazioni primitive e tra i selvaggi, con cui i criminali hanno tanta affinità, com’è stato accennato, per la violenza delle passioni, per la stessa torbida sensibilità, la stessa puerile vanità e il lungo ozio». Alcuni riscontri diretti della pratica, nell’antichità, sono reperibili nelle mummie egizie e in quelle peruviane. Il più antico esempio di tatuaggio attualmente noto è stato rinvenuto sul corpo di una sacerdotessa di Hator della XI dinastia egizia e databile intorno al 2200 a.C. ma secondo Camphausen circa 60.000 anni fa gli aborigeni australiani, il popolo più antico sopravvissuto sino all’era attuale, si dipingevano il corpo, si procuravano cicatrici e modificavano alcune parti del corpo, come continuano a fare oggi.
NOTA DI ACCESSO
Nella tomba sciita di Pazyrik, in Siberia, risalente al IV secolo d.c. è stato rinvenuto il corpo congelato di un uomo con gambe e braccia ricoperte di articolati tatuaggi. Tendenzialmente, all’interno della tradizione del tatuaggio permane il gruppo di appartenenza, autentico stimolo primario alla volontà di autoidentificazione, affermata con l’ausilio di un preciso iconografico. A supporto delle ipotesi interpretative psicoanalitiche e semiotiche, gli antropologi pongono anche il non indifferente corpus di testimonianze costituito dalla documentazione rintracciata nell’indagine sul campo.
Infatti, l’utilizzo di tatuaggi o pitture corporali è ampiamente documentato nelle culture etnologiche, in cui la decorazione effettuata secondo modelli tradizionali (rintracciabili non solo sui corpi, ma anche su oggetti legati a contesti rituali) svolgeva un ruolo importante all’interno delle culture di natura. In questi ambiti, quasi sempre la decorazione corporale risulta connessa alla pratica rituale ed è indicazione del raggiungimento di un particolare status sociale dell’individuo. Anche l’ingresso tra gli adulti sessualmente maturi è in molte culture dell’Africa e dell’Oceania, indicato con tatuaggi e pitture corporali; segno visibile dell’accesso ad un contesto più elevato.
“IL SEGNATO”
Ma anche quando un uomo compie un certo tipo di azione viene “segnato”, per essere emblematicamente indicato come colui che ha raggiunto un livello destinato a renderlo temibile, non sottovalutabile. Come abbiamo visto, il tatuaggio si affermò anche nell’antichità, diventando per alcuni popoli emblema della loro originalità: Pieti britanni pare che avessero questo nome in relazione alla ricchezza delle loro pitture corporali, mentre - secondo Erodoto - fra i Traci solo gli esponenti delle classi sociali più basse erano privi di tale ornamento epidermico. Ma il tatuaggio si diffuse anche in seno alla tradizione cristiana: i fedeli dei primi secoli della Chiesa si facevano tatuare il nome o il monogramma di Cristo, e ancora nel XVII secolo, malgrado i decreti dei Concili, non vi era a Gerusalemme chi non si fosse fatto tatuare per confermare la propria devozione. Da sempre i grandi monoteismi hanno demonizzato le pratiche rituali aventi nel tatuaggio un elemento simbolico: «Non vi farete incisioni sulla carne per un morto e non vi farete tatuaggi».
Dai versetti del Levitico (19,27) apprendiamo che certe decorazioni sulla pelle avevano una funzione funeraria definita, e nella sostanza precisa la componente rituale di una pratica la cui origine potrebbe risalire ai tempi più arcaici della civiltà.
VIS POLEMICA
Per inciso, mentre nel passato in occidente il tatuaggio è stato emblema dell’appartenenza ad un certo gruppo (marinai, militari, carcerati, esponenti di sette, ecc) - atteggiamento peraltro confermato anche negli esponenti delle cosiddette rivoluzioni culturali della seconda metà del nostro secolo -, in tempi più recenti si è osservata una controtendenza. Infatti oggi il tatuaggio è soprattutto espressione di originalità, di “non appartenenza” , di dichiarata alterità perseguita come indicazione della capacità di sottrarsi a schematismi e rigorismi comportamentali. Il corpo, in quanto supporto della decorazione, è “luogo” privilegiato, completa struttura per dare giusta eco all’evocazione che il tatuaggio, con modi diversi, si impegna a mantenere viva. Non vanno ignorati, anche se l’indagine in questo senso andrebbe affrontata dopo una precisa valutazione metodologica, i rapporti totemici individuabili nelle scelte figurative caratterizzanti il tatuaggio. Ad esempio, il ripetersi di incisioni raffiguranti alcuni animali, contrassegnati da prerogative simboliche lette comunque in chiave antropocentrica, lascia intravedere la volontà di porsi sotto la “protezione” dell’essere rappresentato.
TORNA IL SELVAGGIO
È insita nell’arcaismo del tatuaggio questa correlazione all’universo mitico più ancestrale, perché innegabilmente la tradizione di decorarsi il corpo ha la sua radice nelle pulsioni primogene, in cui l’espressione fisica occupa il ruolo principale della comunicazione interpersonale. In questo senso, le composizioni tatuate hanno anche il compito di mediare i rapporti con gli altri: e questo è forse l’aspetto più interessante, il tatuaggio si fa supporto per una comunicazione indotta, effettuata attraverso un sistema dialettico che sublima gli altri linguaggi. Di fatto il tatuaggio “dice” con forte capacità di sintesi, molte cose sul tatuato, rendendo non necessario ogni ulteriore intervento all’interno del processo di comunicazione.