An a pezzi alla prova di forza
Rabbia contro la Lega: «Ci hanno scavalcati». Gli eredi del Msi alla ricerca di una soluzione
La tentazione del «ribaltino» Abbandonate le trattative con l'Udeur e l'uscita di Fini dal governo, il partito è spaccato. La Russa assicura: «Niente ribaltoni». Ma intanto si dividono anche le correnti. E si moltiplicano le iniziative contro Tremonti
A. MAN.
ROMA
Non hanno dubbi, quelli di An. Finirà tutto presto. E finirà bene, cioè senza rotture. Ma per ora l'amarezza è grande, nel partito di Gianfranco Fini. Volevano essere loro a imporre una sterzata al governo: la «verifica» di maggioranza era una specie di rivincita dopo due anni di appiattimento su Berlusconi e all'indomani delle amministrative di maggio-giugno, andate male per tutto il Polo ma soprattutto per An che ha perso malamente la provincia di Roma (sorpasso dei Ds, tornati ad essere il primo partito). E invece anche stavolta la Lega li ha fregati. E' stato Umberto Bossi a imporre tempi e modi alla «crisi». «Ci scavalcano - commenta un parlamentare - come è già successo sull'immigrazione e adesso sull'indulto». Gianfranco Fini, che aveva aperto per primo il confronto nella Casa delle libertà, alla fine ha rischiato di farsi rovinare dalla sua stessa creatura, la «cabina di regia» faticosamente ottenuta, che gli avrebbe incollato addosso la responsabilità dell'attacco alle pensioni. I più preoccupati, quelli che da tempo attaccano la Lega, erano tutti contenti ieri sera quando è arrivata la notizia che Fini a palazzo Chigi non ha chinato il capo. Prima, alla camera, nessuno dei big apriva bocca. Tutti aspettavano che una parola di Fini, che non è venuta, all'uscita dall'incontro con il presidente del consiglio. E intanto cercavano di spegnere l'incendio assicurando che «mai e poi mai ci sarà il ribaltone perché quelle cose le faceva la sinistra - diceva Ignazio La Russa, il capogruppo - e Prodi e D'Alema sono esperienze che abbiamo condannato da tempo». Però l'idea di un quasi-ribaltone l'hanno accarezzata, se non un ribaltone un «ribaltino». Pur di sbarazzarsi del Carroccio, che per An è come il fumo agli occhi, avevano pensato persino di intavolare una trattativa con i parlamentari dell'Udeur, cercando di portarne qualcuno dall'altra parte: ipotesi naufragata subito.

L'unica altra soluzione, secondo i dirigenti di An, sarebbe stata l'uscita dal governo di Fini, che tornerebbe così ad occuparsi del partito come gli chiede gran parte del gruppo dirigente largo. «Ci ha riflettuto anche lui - confermavano martedì i fedelissimi del vicepremier - ma poi la tentazione è rientrata». A molti, invece, un gesto di rottura non dispiacerebbe, a patto di non mandare a casa la maggioranza del 13 maggio 2001 espondendosi al ricatto elettorale di Berlusconi. Ne parlano più spesso dalle parti della destra sociale, la corrente di Francesco Storace, ma anche nel «correntone» Destra protagonista che fa capo a La Russa e al ministro Maurizio Gasparri. Perché ormai An è un partito diviso ben al di là delle linee tradizionali. Alla corrente di Gasparri, che per gran parte dei deputati di An non è altro che «il capofila dei Berluscones» che sta legando il suo nome alla nuova legge sulle televisioni, appartiene anche Teodoro Buontempo detto er pecora, che il 2 luglio era felice e strafelice di aver mandato sotto l'odiato Tremonti sulla vendita delle case del patrimonio della difesa, annunciando un convinto «sì» a un emendamento di Berlusconi «in nome dei diritti degli inquilini». E dall'altra parte, nelle file della destra sociale, non mancano toni critici anche nei confronti del ministro dell'agricoltura Gianni Alemanno: «Anche lui sta diventando un ministeriale», lancia gelido un dirigente della sua stessa corrente. Con un partito così frammentato non è facile neanche per Fini affrontare gli alleati.

Due anni al governo con Berlusconi, se anche non hanno portato a «una mutazione genetica» come pure sostengono i più arrabbiati, e non da ora, hanno senz'altro eroso il rapporto tra An e settori consistenti della sua base elettorale. Non è un caso che ieri gran parte del gruppo di An alla camera abbia rivolto un interpellanza urgente ai ministri Tremonti (economia) e Maroni (Welfare) sul contratto del pubblico impiego: «La situazione è già al limite dello scandalo», osservano i deputati guidati da Alessandra Mussolini, chiamando il governo ad «onorare gli impegni assunti nel febbraio 2002 dal vicepresidente Fini», che fece una gran figura concludendo l'accordo personalmente l'accordo. E non c'è solo la politica economico-sociale, cuore e terreno di scontro della verifica di maggioranza. An, dieci anni fa partito delle «mani pulite», ha ingoiato mesi di crociate contro i giudici e si prepara ancora a limitare i danni in vista della nuova offensiva di Forza Italia e Lega sulla separazione delle carriere. Ora si comincia a parlare anche di ritorno a un sistema elettorale proporzionale, con premio di maggioranza, per le elezioni politiche, ed è una soluzione che favorirebbe solo Forza Italia.