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  1. #21
    memoria storica di PoL
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    Marino fa testo, sacro

    Viceversa la sentenza pretende che siano elementi a favore dell'attendibilità di Marino quelli in cui la sua versione non coincide, e magari contraddice, quella già nota per la ricostruzione della polizia o i racconti dei testimoni diretti. Strano criterio generale, dato che fra le versioni di testi oculari o le ricostruzioni eseguite in prossimità del fatto e la versione fornita da un confesso-accusatore di cui va provata a vent'anni di distanza l'attendibilità ci si aspetterebbe che siano le prime a far da riferimento. La sentenza enuncia candidamente questo criterio [p.266]: ‘Al riguardo si osserva che analizzando i dati obbiettivi e comparando i due racconti, la versione di Marino risulta più conforme agli elementi di fatto categoricamente accertati ed alla logica di accadimento dell'attentato rispetto alla ricostruzione dell'autorità di polizia in taluni particolari addirittura incompatibile con le risultanze concrete’[!].


    La farsa della via di fuga

    Il primo esempio viene dall'apprezzamento impudente che la sentenza formula della indicazione di Marino sulle vie di fuga. Chi ha seguito questa vicenda ricorderà l'enorme svarione in istruttoria di Marino, del Pm e del Gi che lo verbalizzano e lo elogiano, quando, richiesto di descrivere la via di fuga dopo l'attentato, ne descrisse una opposta a quella effettivamente seguita dagli attentatori. Pronti a giurare in verba Marini, gli interroganti non se ne accorsero nemmeno e si premurarono di elogiare l'esattezza di Marino... nella descrizione della via di fuga. Dopo che, resi pubblici gli atti, ebbi denunciato il grossolano svarione i magistrati ci misero una maldestra toppa sostenendo che a Marino era stata sottoposta la cartina stradale della zona ‘alla rovescia’. Giustificazione ridicola e smentita dal confronto fra i due opposti itinerari [a parte l'amenità del concetto di ‘cartina rovesciata’]. Ebbene, ora quella toppa peggiore del buco è diventata una carta di credito di Marino: ‘L'indicazione delle vie di fuga secondo un percorso è esatto ma rovesciato sulla mappa stradale a lui mostrata, per cui si deduce che egli conosceva il percorso effettuato, ma non i nomi delle strade, com'è logico e naturale per chi ha compiuto l'azione, ma non ha studiato la mappa e le strade di Milano’ . Si veda la ripetizione compiaciuta dell'argomento in molti altri punti, per es. [p.251]: ‘A maggiore certezza, quando è stata mostrata [a Marino] una carta stradale rovesciata ha sbagliato nell'indicare i nomi delle vie, ma è stato esatto nel segnare il tracciato seguito sino all'angolo dove è stato abbandonato il veicolo’. E ancora [p.379]: ‘La genuina e convincente ricostruzione delle vie di fuga in base alla mappa stradale, sia pure rovesciata...’.
    A questa prima perla, segue la seconda. L'errore di Marino sul colore dell'auto dell'omicidio prova la sua sincerità. Esso è ‘impensabile per un mitomane preparato’. Così, errori o cose azzeccate sono allo stesso modo prove della attendibilità di Marino. Se avesse azzeccato il colore dell'auto rubata per l'omicidio, si sarebbe esposto come ‘un mitomane preparato? La perla migliore è la terza: ‘Marino ha contrastato e smentito tutte le dichiarazioni fasulle dei primi testi ascoltati dagli inquirenti la mattina del delitto ed assunti immediatamente a verbale. Nei raffronti obbiettivi egli è uscito vincitore’.
    Potè più lui che i testimoni tutti. I quali non sono solo invalidati in blocco, ma sprezzantemente liquidati con quell'insolito aggettivo: fasulle. [p.195]’La genuinità del racconto del Marino si deduce anche dalle sue incertezze, inesattezze e rettifiche nella successione delle varie deposizioni, mentre i resoconti calunniosi sono normalmente monolitici, categorici, univoci, perfetti nella loro struttura’.
    La prossima volta che mi capiterà di dovermi difendere da una calunnia, sosterrò che è monolitica, senza falle, perfetta nella sua struttura, e che non ho nulla da obiettarle. Forse me la caverò.


    Il Pietrostefani scomparso

    Grazie a questa teoria delle contraddizioni come conferme di attendibilità la sentenza riesce a trasformare in un paragrafetto marginale un punto essenziale della difesa mia e di Pietrostefani. Si tratta della sfilza di versioni successive attraverso cui Marino, che ha cominciato sostenendo di essere stato avvicinato a Pisa da me e da Pietrostefani che gli avremmo impartito il mandato omicida, procede facendo impallidire la partecipazione di Pietrostefani al colloquio, poi ricordandone la sola presenza poi non ricordandone la presenza infine rammaricandosi di non ricordarne con precisione l'assenza... Tutto ciò perchè nel frattempo Pietrostefani ha, grazie a una coincidenza imprevista da Marino, dimostrato di non essere stato a Pisa.
    L'episodio mostrava fin dalle radici la menzogna del racconto di Marino. Inoltre la sua prontezza, assecondata dolosamente dai magistrati, a riaggiustare le versioni successive sulle smentite ricevute [è successo su tutti i punti della sua accusa]. Doveva bastare a far cadere immediatamente l'accusa relativa al preteso colloquio pisano del 13 maggio 1972. E' scandaloso che non sia stato così. Ma sentite come ora la questione viene disinvoltamente riconfezionata dall'ultima sentenza: ‘Il 21 luglio '88 al Pm il Marino aveva detto che a Pisa, al termine del comizio di Sofri, era stato avvicinato da questi e da Pietrostefani. Poi il 21 luglio successivo [sic!] al Gi e al Pm precisava di avere parlato soprattutto con Sofri, perchè Pietrostefani l'aveva incontrato spesso a Torino e non ne aveva la necessità. Il successivo 17 Agosto al Gi ribadiva il colloquio con Sofri, pur ricordando la presenza di Pietrostefani. Il 16 Settembre 1988, in sede di confronto con Sofri, dichiarava di non poter affermare con certezza la presenza di Pietrostefani. Infine al dibattimento di 1° grado riferiva di essersi convinto della presenza di Pietrostefani a Pisa il 13 Maggio 72, ma di non averne memoria’. Prego intanto di soffermarsi su quest'ultima frase: ‘Riferiva di essersi convinto della presenza di Pietrostefani... ma di non averne memoria’.
    Siamo nel capitolo aperto dalla originale dichiarazione che la memoria umana non è un apparato elettronico. Dunque, che altro si vuole? Un argomento decisivo della mia difesa è stato così liquidato. Non siamo stati io e Pietrostefani ad avvicinare Marino per farne un omicida, ma è stato Marino ad avvicinare me, in assenza di Pietrostefani, per chiedermi di farne un omicida. Che differenza volete che faccia? Per la sentenza, non ha fatto alcuna differenza. Ha solo rubato tredici righe e mezza della prosa memorabile dell'Estensore: ‘Era convinto della presenza, ma non ne aveva memoria’.


    Gli sforzi mnemonici

    [p.199] ‘La complessità della narrazione e il tempo trascorso dai fatti, avvenuti dai quindici ai diciotto anni prima delle deposizioni, giustificano pienamente le inesattezze anzi ci si dovrebbe meravigliare del contrario, sapendo che Marino è un lavoratore manuale, non dedito a una professione intellettuale’.
    Nella stupidità faziosa di questo giudice c'è anche qualcosa di personalmente offensivo. Contro i lavoratori manuali per esempio. Lo si considererà un lapsus rivelatore del vero animo dell'estensore, la cui demagogia giunge viceversa a questa prosa [p.221]: ‘Va tenuto conto del notevole squilibrio culturale, dialettico ed emotivo esistente fra il Marino, già operaio della Fiat ed ora venditore ambulante, e i suoi contraddittori, laureati, manager aziendali, professori universitari, confortati da avvocati di chiara fama ed elevata capacità professionale’. [p.200]‘Le graduali correzioni del Marino non sono state la conseguenza di specifiche contestazioni dei magistrati o dei difensori dei coimputati e neppure sono derivate da nuove emergenze processuali. Esse in realtà sono state il frutto di sforzi mnemonici del dichiarante, tutte rese nel corso di consecutivi interrogatori, sospesi per necessità logistiche, ma che possono essere considerati unitariamente, come una sola deposizione’.
    Non è possibile dubitare della mala fede di un simile passo, riferito alle successive versioni del Marino sulla ‘presenza perfettamente ricordata’, e ‘l'assenza non perfettamente ricordata’ di Pietrostefani a Pisa.
    Nel tentativo di svalutare il senso di una proposizione netta e perentoria come quella :’Al termine del comizio fui avvicinato da Sofri e da Pietrostefani’ la sentenza così, incredibilmente, la commenta [p.201]: ‘Da tali dichiarazioni si deduce soltanto che fino a quel momento era stato prevalentemente il Bompressi a parlargli dell'omicidio Calabresi, e poi in alcuni incontri Pietrostefani [sic!]’. Poichè è difficile crederci, prego di controllare il testo della sentenza.
    In primo luogo gli ‘sforzi mnemonici’ derivano dal fatto che nel frattempo Pietrostefani ha documentato la propria assenza e le sue ragioni [la latitanza per i mandati di cattura per un'apologia di reato]. In secondo luogo, i ‘consecutivi interrogatori’ sospesi per necessità logistiche [il buio o che so la necessità di rifocillarsi e dormirci sopra] se vanno dal 21 luglio 1988 al 29 luglio 1988 serbano indiscussa la presenza a Pisa di Pietrostefani. Se vanno fino al 17 agosto 1988 [per limitarsi agli interrogatori in cui la presenza di Pietrostefani è sempre ricordata] o fino al 16 settembre 1988 [se si include il confronto con me, in cui non è più ricordata] o addirittura fino al dibattimento, un anno dopo e oltre, dove è dimenticata definitivamente, è chiaro che non si può sostenere che le correzioni siano indipendenti dalle smentite esterne: a partire dalla tempestiva dimostrazione della difesa di Pietrostefani.


    Strapparsi le vesti

    In appendice a un simile ragionamento, la sentenza arriva anche a scrivere che ‘non è stata provata con certezza l'assenza di Pietrostefani a Pisa’ . Marino l'ha sconfessata concludendo di ‘non averne memoria’, Pietrostefani l'ha motivata con un episodio fortuito interamente sfuggito agli investigatori, tutti i testimoni pisani, manifestanti e poliziotti e i rapporti di polizia non fanno cenno di una presenza di Pietrostefani e questo vuol dire che ‘non è stata provata con certezza l'assenza’. Conclusione della sentenza [p.201]: ‘Non è consentito quindi strapparsi le vesti per le rettifiche del Marino in proposito, nè sopravvalutarle’. Fin qui arriva la faziosità.


    Le felici correzioni di Marino

    Ci sono altri casi, meticolosamente documentati, che mostrano con piena evidenza la successione di versioni contraddittorie da parte di Marino e il loro carattere doloso di aggiustamento progressivo alle prove altrui. Ne ho fornito, riguardo alla mia situazione personale, più esempi:

    1. La versione secondo cui Marino, dopo il preteso colloquio con me dopo il comizio pisano, saluta e parte [‘Salutai il Sofri e ripartii per Torino]. Corretta una prima volta al confronto con me di fronte alla mia opposta ricostruzione, nella versione per cui era possibile che fosse venuto quella sera, dopo cena, a casa mia a Pisa. Corretta una seconda volta al dibattimento, nella versione dettagliata della visita fatta, la sera, a casa mia.

    2. Le successive versioni sulle ragioni che avevano spinto Marino a cercarmi negli anni recenti, 1986-87. Dall'unico incontro dettato dall'ansia morale di parlare del passato, ai più incontri, perchè da me riferiti e provati, con i testimoni romani, i miei assegni bancari ecc., riconosciuti come intesi a chiedermi aiuto in denaro.

    3. Le successive addirittura comiche versioni sul preteso incontro con me a Massa al comizio del 20 maggio 1972, quando gli avrei detto di essere arrivato in treno guardato a vista dalla polizia [sic!]. Io spiego di essere venuto in auto da Pisa e fornisco i nomi di chi mi ha accompagnato e allora Marino corregge dicendo che posso essere arrivato in auto a Massa, ma ero arrivato in treno a Pisa [!]. Ultima versione [oltretutto grottescamente autodenunciatoria perchè Marino e inquirenti si sono dimenticati di aver già verbalizzato una correzione e dichiarano questa come la prima correzione dovuta a un improvviso ritorno di memoria] in cui Marino si è ricordato non solo che sono venuto in auto da Pisa, ma che gli ho detto di aver prima pranzato con la mia famiglia a Pisa. Alle pp.266 segg. la sentenza prova ad affrontare la correzione di Marino, formulata per rincorrere la mia precisazione, scrivendo questa grottesca frase: ‘Relativamente alle pretese incongruenze esse in verità riguardano soltanto il tragitto in auto da Pisa a Massa perchè da Roma a Pisa in entrambi gli interrogatori Marino parla di viaggio in treno. Prego di rileggere. Marino dice: Sofri è venuto da Roma a Massa in treno. Sofri dice: sono venuto da Pisa a Massa in auto. Il giudice dice: da Roma a Pisa tutti dicono che Sofri è andato in treno.

    Sono solo alcuni degli esempi possibili, inequivocabili. E la sentenza, che li ignora o li deforma strumentalmente, dichiara che non c'è che lo sforzo mnemonico di Marino e che le ‘graduali correzioni’ non dipendono da specifiche contestazioni o emergenze processuali!


    Categoricamante certo e sicuro

    Dell'ultima versione di Marino in dibattimento circa Pietrostefani a Pisa la sentenza si dimentica tout court, salvo scrivere [p.204]: ‘Tutte le dichiarazioni sopra riportate sono state integralmente confermate al dibattimento di primo grado’[!] La sentenza fa di più. Dovendo dire che una conclusione è certa e inevitabile, e cioè che Marino ha detto di essere stato avvicinato da Pietrostefani a Pisa e poi ha dovuto rimangiarselo, la sentenza scrive così: ‘Come si può dedurre dall'esame comparato delle deposizioni dei due coimputati, nonostante le loro divergenze nel racconto, un dato essenziale rimane categoricamente certo e sicuro: Marino e Sofri si sono incontrati dopo il comizio di Pisa’.
    Ora io e Marino non ci incontrammo dopo il comizio di Pisa, e dunque questa asserzione è falsa da capo a piedi. Tutta la mia difesa ne ha mostrato la falsità [non la mancata provatezza, la provata falsità] con una dovizia di argomenti diversi insuperabile. Ma qui voglio solo sottolineare il modo di procedere della sentenza, che asserisce una falsità peraltro decisiva quanto alla mia posizione, accompagnandola prodigalmente con attributi come categorico, certo, sicuro, facendola derivare dalle parole con cui Marino ha progressivamente smentito se stesso!
    Perchè fingere di fare processi ed esaminare prove, se ciò che è da provare, -e che è stato contraddetto oltre ogni dubbio, diventa prova di se stesso? [p.204]’Il viaggio da Torino di Marino aveva come scopo ricevere la conferma che il suo capo [sic!] Adriano Sofri era d'accordo con la decisione dell'Esecutivo Nazionale di Lotta Continua di agire in relazione all'omicidio Calabresi’. Chiaro, no?


    L'esecutivo, non imputato, è condannato

    A pp.215 segg. si elogia la ‘perfezione’ della logica interna di Marino, l'assenza di ritrattazioni, la costante conferma e arricchimento delle dichiarazioni ecc. Si è già visto come questo corrisponda a scivolate come la presenza di Pietrostefani a Pisa ecc.
    Fermiamoci però su un punto, importante quanto maltrattato in questo come nei precedenti processi, nonostante l'avvertimento esplicito delle Sezioni Unite: la questione della responsabilità dell'Esecutivo. Questione particolarmente odiosa, prima di tutto perchè successive corti, che non si sono trovate di fronte un'imputazione associativa, come sarebbe stato doveroso se davvero di una responsabilità dell'Esecutivo si fosse trattato, hanno arbitrariamente scritto in sentenza che la decisione dell'omicidio era venuta [addirittura con voto a maggioranza!] dall'Esecutivo di Lotta Continua, che non avevano avuto il coraggio o la possibilità di imputare. Odiosa perchè in questo modo surrettizio si era fatta passare una responsabilità politica e materiale di Lotta Continua [dunque non di suoi eventuali singoli militanti, o frange, o gruppi] nella decisione e nell'organizzazione di un attentato omicida. Ricordo che in istruttoria i magistrati erano stati appassionatamente tentati dall'ipotesi di incriminare l'Esecutivo di Lotta Continua in quanto tale [ed era inevitabile che lo facessero, finchè mostrassero di prendere sul serio l'idiozia del voto sull'omicidio] e per questo avevano emesso avvisi di reato, più o meno a casaccio, secondo le parole in libertà di Marino [uno di quegli avvisi era arrivato a Mauro Rostagno]. Poi si erano spaventati della propria stessa ingordigia e si erano tirati indietro. Si erano giustificati così: che Marino in realtà non aveva nozione diretta della decisione dell'Esecutivo, avendone saputo de relato. L'aggiustamento non andava del tutto liscio, dato che nelle prime verbalizzazioni di Marino l'enfasi sull'Esecutivo [incoraggiata senz'altro da carabinieri e magistrati, come mostrano i rispettivi verbali] era colossale, al punto che Marino aveva dichiarato di essere venuto a Pisa a cercare da me la conferma che l'Esecutivo fosse davvero d'accordo con l'attentato. In dibattimento Marino stesso aveva docilmente ridimensionato e annacquato le sue menzioni dell'Esecutivo. Così, un po' per salvare il loro beniamino un po' per togliersi di dosso il sospetto di condurre un processo politico all'intera Lotta Continua, i giudici avevano proclamato di non perseguire reati associativi ma solo responsabilità personali e avevano lasciato da parte la criminalizzazione dell'Esecutivo [nè ebbero seguito le denunce, come quelle di Boato di Viale e altri, che chiedevano di indagare su una propria responsabilità se si fosse provata la storiella del voto sull'omicidio, o sulla calunnia se si fosse provato il contrario]. Però, dopo esser corsi ai ripari, alcuni dei giudici successivi non rinunciarono a dare per scontata nelle sentenze la responsabilità dell'Esecutivo, così facendo passare alla storia per una illecita via giudiziaria la qualificazione di Lotta Continua come organizzazione omicida.
    Sentite come questa ultima sentenza tratta la questione [p.216]: ‘Per tutto il corso del procedimento... Leonardo Marino ha sempre e senza esitazioni, attribuito la decisione dell'omicidio Calabresi all'Esecutivo Nazionale di Lotta Continua ed ai suoi capi e dirigenti Sofri e Pietrostefani’. Questa presunta costanza è anzi un'altra delle prove dell'attendibilità di Marino. Con tranquilla sicurezza la sentenza scrive [p.225]: ‘La sua eliminazione [di Calabresi] era stata decisa dall'Esecutivo Nazionale di Lotta Continua in una specifica riunione a Milano’. E che Marino venne a Pisa perchè [p.226] ‘voleva essere rassicurato che la decisione fosse stata presa dall'Esecutivo Nazionale’. Infine culmina nelle parole [p.470]: ‘... parte dalla decisione dell'esecutivo, con il voto favorevole di Sofri e Pietrostefani, ed altri partecipanti, non potuti identificare...’. Qui non solo si ribadisce la versione dell'omicidio messo ai voti nell'Esecutivo, ma si arriva a sostenere che gli altri partecipanti al voto non sono stati perseguiti e condannati solo perchè ‘non potuti identificare’. Ciò che è scandaloso e falso, dato che i nomi esatti dei membri dell'Esecutivo sono stati forniti proprio da noi!
    Alle pp.238-39 la sentenza si fa bella delle prove acquisite sull'esistenza di un Esecutivo Nazionale di Lotta Continua nel 1972, citando il mio primo [e unico] interrogatorio in istruttoria in cui avevo detto di non poter ricordare le date di esistenza di quell'organismo. Ora, le prove, cioè tutte le testimonianze rintracciabili nella nostra stampa e in altri documenti dell'epoca, erano state raccolte ed esibite da me al processo. Come la sentenza possa perciò insinuare che dei testimoni [‘Brogi, Boato, Morini’] abbiano negato l'esistenza dell'Esecutivo in quel periodo in quanto ‘clamorosamente e manifestamente falsi ed inattendibili, animati soltanto dal desiderio di favorire i vecchi compagni di milizia politica’ è difficile capire, a parte la triviale oltraggiosità del linguaggio.
    Quanto alla icastica conclusione: ‘Sul punto Marino ha detto la verità’ essa è una sciocchezza, autorizzata solo dal deliberato fraintendimento. Marino ha sbagliato, e mentito, quanto alla composizione dell'Esecutivo indicando nomi di persone che non ne hanno mai fatto parte. Errore non veniale dato che quelle persone sono state indiziate di omicidio. E ha mentito non dicendo che nell'Esecutivo c'era sempre stata una partecipazione [addirittura numericamente maggioritaria] di operai. Dimenticanza non lieve, dato che anche quegli operai avrebbero dovuto ‘votare’ sull'omicidio di Calabresi, secondo la grottesca calunnia di Marino, fatta propria dalla sentenza.


    Pioggia

    Alle pp.240 segg. si torna a discutere della pioggia pisana del 13 maggio, cioè si finge di rifarlo. Su questo tema ogni colmo di ridicolo era stato sorpassato da tempo. La sentenza attuale procede così: a) bisogna attenersi ai dati meteorologici ufficiali, dunque pioggia debole continua b) le testimonianze dei presenti, numerosissime, ed estensibili fino alle migliaia, devono cedere di fronte ai dati meteorologici generali c) l'entità della pioggia non fu tale da impedire un colloquio [neanche un'alluvione l'avrebbe impedito, forse. Ma il punto era tutt'altro, e cioè che Marino, dimentico della pioggia, aveva descritto una nostra comune passeggiata dalla piazza a un bar dopo il comizio, con gran seguito di persone, poi la consumazione al bar, poi l'uscita e il colloquio, Pietrostefani a parte] d) che non si può negare che effettivamente piovve [la sentenza concede una parentesi di sei parole: ‘Vedi fotografie agli atti del processo [sic!]’ all'imponente documentazione fotografica della piazza con ombrelli, striscioni grondanti sulle teste, gente bagnata dalla testa ai piedi] neanche una parola la sentenza riserva alle cronache del tempo [La Nazione, il Manifesto, Umanità Nuova, che scrissero di pioggia battente, pioggia insistente, pioggia continua, di persone che restarono in piazza nonostante la pioggia fitta, eccetera]. La sentenza prende la minuziosa ricostruzione del dopo comizio, fornita da me e da un gran numero di testimoni [il conciliabolo sotto il palco, sull'affissione della lapide, l'invito a fissare altri comizi ecc.] invece che come una prova delle cose come andarono, opposta al racconto di Marino, come una prova del fatto che dei colloqui ci furono, dunque anche quello detto da Marino. La sentenza semplicemente cancella la lettera della testimonianza di Augusto Moretti e di Guelfo Guelfi, che stette sempre con me e mi accompagnò a visitare Ceccanti. Testimonianza insuperabile da tutte le successive versioni escogitate dall'accusa, salvo dichiarare anche Guelfi mentitore. Il Pg degli ultimi due processi, nell'impossibilità di far quadrare i testimoni con l'accusa, e tenuto dalle Sezioni Unite a non liquidare i testimoni all'ingrosso come falsi, era arrivato al ridicolo paradosso di ipotizzare che, durante il capannello sotto il palco, io, inosservato, fossi sgattaiolato al bar, di lì a chiacchierare di omicidi con Marino, poi fossi rientrato, sempre non notato, nel capannello, per poi allontanarmi con Guelfi alla volta della casa di Ceccanti. La sentenza attuale semplicemente ha abolito il problema. Così facendo, è arrivata, qualche pagina più in là e del tutto en passant, a un riconoscimento che, trasferito nelle sentenze precedenti o preso sul serio anche in questa, basterebbe a chiudere la questione: ‘Questa Corte dà poi pieno credito al racconto di Sofri relativo al suo allontanamento dalla zona con Guelfo Guelfi ed alla visita in casa dell'amico Ceccanti dopo il comizio, ma ritiene che esso non sia incompatibile con qualche minuto di colloquio con Marino prima di lasciare la piazza’ [pp.248-49]. Così si dà pieno credito a un racconto, salvo dichiararlo compatibile con il suo contrario.
    L'esatta testimonianza di Guelfi, che non si è mai allontanato da me dalla discesa dal palco all'allontanamento dalla piazza, non c'è più [nè gli altri evocati a sproposito da Marino, come Brogi che quel giorno era a una pubblica manifestazione a Sampierdarena]. In compenso la sentenza attuale si premura di negare che la pioggia non ricordata significasse che Marino non era a Pisa [p.244]: ‘Se poi si vuol dire che Marino non era al comizio perchè non ricorda la pioggia...’[!] Nessuno ha mai negato che Marino fosse al comizio, a cominciare da me che [a differenza dello stesso Marino, che aveva costruito la sua calunnia su quella prima versione secondo cui era stato avvicinato da me e Pietrostefani] ricordai che era venuto nella mia casa pisana quella sera. Ciò che Marino fu costretto ad ammettere dopo aver detto a verbale che, dopo il preteso colloquio nella piazza alla fine del comizio, ‘salutai il Sofri e ripartii per Torino’. Ora si gusti questo frutto singolare dell'intelligenza del giudice estensore [p.245]: ‘Proprio guardando con attenzione le fotografie pubblicate, prodotte dalle difese, si noterà che al comizio di Pisa alcuni dei partecipanti avevano l'ombrello aperto, uno si riparava sotto un telo nei pressi del palco, mentre lo stesso Sofri parlava protetto da un ombrello, sorretto da un compagno, ma numerosi altri militanti, ascoltavano tranquillamente il discorso privi di ripari, sia sul palco, sia nella piazza San Silvestro’.
    Chissà che quelli corsi ai ripari stessero già predisponendosi l'alibi per vent'anni dopo. Ora, è impossibile aver ragione del pregiudizio. Quando il pregiudizio si allea con l'imbecillità non c'è niente da fare [frase , secondo me, da incidere sulla home page del forum della CdL di Politicaonline… - n.d.r.].
    Solo tardi ci fu segnalata la cronaca che della giornata pisana del 13 maggio 1972 aveva fatto il settimanale anarchico Umanità Nova [Anno 52, n.18, 20 maggio 1972]. Scherzammo allora sul fatto che un giornale anarchico sarebbe stato dichiarato inattendibile per definizione... Sta di fatto che in quella cronaca [‘Pisa. Comizio per Franco Serantini’] si scriveva che ‘un migliaio di compagni affollavano la piazza nonostante la pioggia fitta’. Una formulazione più di ogni altra corrispondente, come si vede, al ricordo dei testimoni. Una pioggia così forte da far sottolineare che le persone restassero in piazza e implicitamente da confermare lo scioglimento rapido una volta concluso il comizio. Per esempio Guelfi: ‘P- Lei prima ha detto, dice: 'Pioveva e non c'era da fare che rimanere o andarsene'. T- Certo. Secondo me era così’. Per esempio ancora Boato: ‘Ovviamente... sarebbe ridicolo che noi andassimo a fare una manifestazione per protestare per l'assassinio di un ragazzo e poi perchè pioveva ce ne andassimo. Quindi è ovvio che abbiamo aspettato la fine del comizio e poi ce la siamo squagliata’.
    Ricapitolando la sua tesi, la sentenza, che fa il bello e il cattivo tempo, scrive testualmente che ‘con assoluta certezza... non vi fu nessuna pioggia battente’, usando inavvertitamente le stesse parole, pioggia battente, che i giornali del giorno dopo impiegarono facendo la cronaca della manifestazione. Così viene ‘provato’ il colloquio fra me e Marino, e il mio mandato di omicidio.


    [continua]

  2. #22
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    In origine postato da Fecia di Cossato
    originally posted by Pasquettino l'imbecillino:

    ... bisogna anche dire che riferendomi alla strategia della tensione ho usato il termine "esegui" [notate la mancanza dell'accento sulla 'i' finale...- n.d.r.] non nel senso di esecuzione strettamente materiale, ma in quello di partecipazione...

    ... è un problema di chi dovrebbe imparare a leggere e a scrivere...


    Dopo aver preso lezione di lingua italiana da uno talmente imbecille da confondere il significato di termini, del tutto per chiunque, come 'esecutore', 'partecipe', 'complice', 'mandante' e 'ideatore'
    porre in esecuzione un disegno criminoso......

    e poi parliamoci chiaro, quando vado all'estero ho sempre un sacco di problemi.....

    mi dicono "italianen? feccia di cossaten? fuori legge? imbecillen?...noi pikkiare te"

    e mi ci vuole un sacco a spiegare in varie lingue che non tutti gli italiani sono rintronati a tal punto e che io non tengo nulla a che fare con certa gente.

  3. #23
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    Il brevissimo colloquio

    Il ridicolo ulteriore, già abbracciato da precedenti sentenze, di dichiarare che dopotutto si trattava di un brevissimo colloquio ‘essendo già entrambi al corrente dell'operazione’ è un ornamento in più. Si ripercorra tutto quello che Marino ha successivamente preteso di infilare dentro quel presunto colloquio [notizie sulla decisione dell'omicidio e le sue ragioni, il rapporto con l'uccisione di Serantini ecc.] istruzioni su come comportarsi in caso di ‘caduta’, assicurazioni circa l'avvocato e l'assistenza alla famiglia, notizie su ‘un industriale di Reggio Emilia’ [sic!] che si sarebbe accollato i costi dell'assistenza, dichiarazione di fiducia in lui e ‘Enrico’, istruzioni sul ritorno a Torino e l'attesa di una telefonata da parte di un ‘Luigi’ e tutto ciò anche escludendo che sia io che Marino, che non ci vedevamo da più di un anno, non ci dicessimo almeno come stai, come stanno i figli, accidenti come piove, eccetera.
    Provate a recitare di seguito questi argomenti in forma di dialogo, e cronometrate la durata: dopo averlo fatto, leggete quello che la sentenza scrive [p.471]: ‘Marino... voleva soltanto avere il 'sì' del suo capo... Per questo, basta un brevissimo incontro, lo scambio di poche parole’. Applausi. Termina [p.471]: ‘L'obiezione della difesa non merita pertanto considerazione’.
    Dunque, quello che nella sentenza si dice del dopo-comizio pisano [non a caso evitato con maligna attenzione dalla sentenza suicida precedente, decidendo la quale in camera di consiglio il presidente aveva pronunciato la frase testuale: ‘Se poi si passa a esaminare le posizioni personali, non c'è la minima prova, anzi...’] è la dimostrazione palmare del pregiudizio di questo processo. Alla conclusione del quale, dissi al Presidente Della Torre [avendo ben visto che non di un processo si era trattato, ma di un agguato] che, redigendo le motivazioni di una eventuale condanna, avrebbe potuto ricorrere a un solo argomento: ‘Si condanna, o di riffa o di raffa’. Così è.


    Le menzogne in flagrante. La sentenza non se ne è accorta

    Arrivò una prova flagrante, fra altre, della calunnia di Marino quando, nell'interrogatorio al processo di primo grado, essendo venuta a mancare la presenza a Pisa di Pietrostefani, il giudice chiese a Marino di spiegargli chi mai avesse potuto dirgli che avrebbe dovuto tornare a Torino e aspettare una telefonata di convocazione da parte di un tal ‘Luigi’. Infatti Marino aveva appena negato che io gli avessi detto niente del genere, Inoltre io, che venivo da Roma per la manifestazione pisana, non sapevo [secondo la stessa accusa] che l'avrei incontrato. Nè ero a parte degli aspetti organizzativi dell'attentato. Si rilegga [lo menziono per l'ennesima volta] il verbale dell'interrogatorio, Marino che tace confuso, balbetta qualche parola senza senso, e alla fine, non avendo altra via, dice che gliel'ho detto io e il giudice che lo avverte che ha già detto che non potevo essere stato io, e conclude ironicamente: ‘Va be', gliel'ha detto Sofri’.
    La sentenza non se ne occupa!
    In compenso, risolve con uno zelo più marinista di Marino la scivolata connessa a quella. Marino dice che torna a Torino e il giorno dopo riceve in sede la telefonata. Nel pomeriggio, gli pare, e aggiunge che era solito andare in sede nel pomeriggio, dopo il cambio turno alle fabbriche. Si scopre che il giorno dopo era domenica, non c'era nessun turno alle fabbriche, e nel pomeriggio di domenica di norma la sede restava chiusa. Si raccolgono testimonianze su questo dettaglio, confermato dai verbali di polizia torinese. Non una domenica pomeriggio risulta l'apertura della sede dall'inizio del 1971 al 1973! Nell'arco di quei due anni e mezzo solo in due circostanze è segnalata una presenza domenicale in sede, e sempre solo di mattina. La sentenza scrive il falso, e lo accompagna con illazioni di logica triviale che Marino non si era neanche sognato di escogitare. Sentite [p.252]: ‘E' del tutto normale l'apertura di una dede politica di domenica quando i lavoratori e gli studenti sono liberi da impegni ed occupazioni, essendo i militanti del movimento in prevalenza proprio studenti ed operai [chissà se si potrebbe completare l'argomento, deducendo che la sede politica fosse chiusa nei giorni feriali]. Del resto sul punto nessuna testimonianza è stata introdotta dalle difese dei coimputati ossia per affermare che quel giorno la sede era chiusa. Ciò senza contare che il Marino... poteva benissimo avere le chiavi dei locali per accedervi a suo piacimento.
    Partiamo dal fondo. Marino poteva avere le chiavi? Certo, solo che non le aveva e non ha mai detto di averle avute. Piuttosto altri, interrogati come testi, hanno riferito chi aveva le chiavi della sede. L'estensore non se ne è accorto. Quanto alle testimonianze, ce ne sono di fatto state [ignorate dall'estensore] sulle abitudini domenicali dei militanti torinesi. Se l'osservazione della sentenza si riferisce alle testimonianze su quella specifica domenica pomeriggio, è semplicemente ridicola. Quale ragione, al di là di una coincidenza rara, avrebbe potuto portare a ricordare un dettaglio simile su una domenica qualunque di vent'anni prima? Se testimoni in questo senso fossero venuti, la sentenza li avrebbe ingiuriati entusiasticamente come bugiardi e complici. Avrebbe bensì potuto esserci un rapporto di polizia, se la sede fosse stata aperta. Ma, appunto, non ce n'è traccia.


    Ancora sui capelli chiari

    A p.255, la sentenza torna sui capelli ossigenati di Bompressi, ed enuncia principi come questo: ‘Se una persona è bruna di capelli deve cercare di apparire di colore opposto, ossia chiara, bionda...’. Solo che nel nostro caso le cronache fin dal giorno dopo descrivono l'assassino come biondo, e dunque schiarirsi i capelli, e tenerseli ossigenati fino alla fine del mese [cioè per due settimane!] come la sentenza pretende che facesse Bompressi è demente. Tant'è vero che la sentenza dà Bompressi come ‘schiarito’ a Massa il 20 maggio. Ma a parte Marino [la cui fonte abbiamo visto è una suggestione di Antonia Bistolfi e che a Massa il 20 maggio non c'era affatto] nessuno ha visto Bompressi imbiondito a Massa il 20 maggio, quando a vederlo furono migliaia di persone che lo conoscevano benissimo. Al contrario hanno escluso che potesse esserlo, da testi come Pegollo, secondo il quale se ne sarebbero fatte risate crasse, a testi come il commissario Costantino, che dichiara che l'avrebbe certamente notato.


    La sentenza alza il gomito. Il 20 maggio a Massa

    Vediamo a p.268 un nuovo capolavoro di malafede intrecciata a stupidità. Io dico, e una quantità di testi con me, di non avere visto e tanto meno parlato con Marino il 20 maggio a Massa dove tenevo un comizio. Tendo a escludere che Marino fosse fisicamente presente, e tendono a escluderlo anche testimonianze come quella del commissario Costantino, sul controllo attuato sulle auto affluite quel giorno nella città [la zelante sentenza supera d'un balzo la questione dicendo che Massa è piccola, e Marino poteva parcheggiare in periferia e arrivare poi in centro. Solo che i controlli erano stati fatti sulle strade di accesso, tanto più per le auto con targa esterna. Ed è lo stesso Marino a dichiarare di aver parcheggiato nei pressi della piazza!]
    Ecco la sentenza [p.268]: 'Rilevante è appurare la presenza contemporanea di Marino e Sofri a Massa per il Comizio del 20 Maggio, presenza riferita dagli stessi interessati, e clamorosamente provata da documenti ineccepibili e da testi di assoluta fede [commissario Costantino e giornali dell'epoca] per quanto riguarda Sofri, testimonianze Bistolfi Vigliardi Paravia per quanto riguarda Marino'.
    Leggete con attenzione, per favore. La 'presenza contemporanea... riferita dagli stessi interessati', in italiano [tranne che in quello martoriato dall'estensore] vuol dire che io ho riferito della presenza contemporanea mia e di Marino, mentre io l'ho negata. O il giudice semplicemente mente, o, tradito dalla debole padronanza della lingua, voleva dire che 'gli interessati' riferiscono ciascuno [o almeno io] della propria presenza. Come equivoco, non c'è male. Il colmo arriva subito dopo, quando la mia presenza al comizio tenuto da me [!] viene dichiarata 'clamorosamente provata'. Infine quanto a Marino la Vigliardi Paravia non ha testimoniato affatto della sua presenza, sicchè anche su questo punto la sentenza dice il falso. E lo fa dicendo che la Vigliardi Paravia è, per antonomasia, teste falsa. Si associno queste scempiaggini a quello che, sulla stessa circostanza massese del 20 maggio, si è ricordato sopra a proposito delle successive rincorse delle versioni di Marino sul mio arrivo a Massa [in treno da Roma, in auto da Pisa, forse, in auto da Pisa, senz'altro, compresi dettagli sul mio pasto consumato a Pisa prima di venire]. Per abbondare nelle giustificazioni di Marino, la sentenza [p.268] 'sottolinea' che 'il Marino riferisce i particolari del viaggio da Roma de relato per averli appresi da altri [Sofri o altri militanti] non per asserita scienza propria'. Allora 'per scienza propria' qui non potrebbe significare se non che è stato Marino, e non io, a fare il viaggio. Bellissima è poi la noncurante parentesi in cui si attribuisce a piacere a 'Sofri o altri militanti' la notizia su come avrei viaggiato. Nessun 'altro militante' è mai stato evocato, nè da Marino nè da altri. Invenzione del giudice. Mettiamo poi che fossi stato io a dire a Marino che ero arrivato da Roma in treno ecc. Dunque la versione di Marino de relato lo rende incolpevole della falsità [sono stato io a dirgli il falso...], ma come si spiega poi che a tempo debito si ricordi addirittura che gli ho detto di aver pranzato in famiglia a Pisa? Conclusione della sentenza: 'Quindi nessuna menzogna clamorosa da parte di Marino, ma piena credibilità sul punto'.


    Gli aggiustamenti e le retrodatazioni di Marino sul mio viaggio a Massa il 20 maggio 1972 secondo i verbali

    Trascrivo la sequenza delle carte: è impressionante.
    Marino, 21 luglio: ‘Sofri, in occasione del comizio di Massa del 20 maggio 1972, mi disse che egli era giunto da Roma in treno praticamente controllato a vista da funzionari e agenti di polizia’.
    Sofri, 3 agosto: ‘Osservo infine che conto di mostrare che mi recai a Massa al comizio del 20 maggio 1972 di cui si è lungamente parlato, non in treno da Roma, ma in auto [non guidata da me, io non guido] da Pisa’ [appunti integrativi all'interrogatorio, 3 agosto 1988].
    Marino, 17 agosto: ‘Per quanto concerne la presenza del Sofri al comizio di Massa, non escludo che egli possa essere venuto da Pisa in auto, in quanto egli in quella città aveva la famiglia. Confermo però che il Sofri a Massa mi disse che il viaggio da Roma a Pisa lo aveva fatto in treno controllato da funzionari di P.S.’[pag.14 dell'interrogatorio al Pm].
    Sofri, 10 settembre: ‘Secondo Marino gli avrei detto che ero venuto da Roma in treno, e che il treno era pieno di poliziotti che mi seguivano. Non mi fermo su quest'ultimo dettaglio, che non solo è falso [ero arrivato da Pisa in auto] ma è un'evidente baggianata’.
    Teste Giovanni Buffa, 14 settembre: ‘Prima di partire per Massa alle 16 ricordo di aver visto precedentemente nella stessa giornata l'Adriano, probabilmente prima di pranzo, nella sede di Lc di Pisa... Non so se l'Adriano era venuto a Pisa ove aveva la famiglia, proveniente da Roma, quello stesso giorno o in precedenza. L'unica cosa che posso dire è che io lo vidi nella sede di Lc poco prima di pranzo e in quell'occasione presi accordo con lui e con altri per partire per Massa alle 16’ [foglio 23 del Gi].
    Marino, 15 settembre [il giorno dopo!]: ‘Ho chiesto di essere nuovamente interrogato in quanto devo precisare due circostanze. La prima è questa: a pag.14 dell'interrogatorio reso al Pm ho riferito che Adriano Sofri prima del comizio di Massa mi disse che la situazione era incandescente e che egli era venuto in treno da Roma, controllato a vista da funzionari di P.S. Mi precisò che aveva viaggiato in treno da Roma a Pisa, dove si era fermato a pranzo presso la sua famiglia e poi nel pomeriggio era stato accompagnato a Massa. Ho voluto fare tale precisazione in quanto dalla verbalizzazione della pag.14 poteva apparire che egli era venuto direttamente da Roma a Massa. In effetti mi sono ricordato del particolare che si era fermato a pranzo presso la sua famiglia a Pisa e, volendo essere preciso e dettagliato su ogni particolare, mi è sembrato giusto fornire tale dettaglio’ [foglio 4 dell'interrogatorio al Gi]


    Testimoni?… no grazie!…

    A p.273 la sentenza inaugura una parte dedicata alla ‘attendibilità dei testimoni’. E la risolve subito, richiamandosi alla sentenza di primo grado così: ‘E' stata correttamente ritenuta, in generale, l'inaffidabilità per così dire ‘fisiologica’ dei testi oculari dell'omicidio, episodio improvviso, sconvolgente e fulmineo del suo accadimento’.
    Dunque: testi oculari, sconosciuti agli imputati, fisiologicamente inattendibili. Conclusione [p.290]: ‘Soltanto il racconto di Marino appare coerente e sicuro, confortato da dati obbiettivi ineccepibili e da una stringente logica dei fatti’ . Andiamo avanti: ‘E' stato tenuto il debito conto delle collocazioni famigliari, amicali, di frequentazione, di colleganza ideologica, di militanza politica fra testi ed imputati’.
    Dunque: testi conosciuti agli imputati, ‘ideologicamente, per sentimenti di amicizia, per spirito di colleganza e per coerenza politica, propensi agli imputati’, cioè falsi o comunque inattendibili.
    Con un'eccezione, Antonia Bistolfi, la cui ‘collocazione famigliare’ di convivente di Marino [imputato anche lui, benchè la sentenza ci passi sopra] non le impedisce di essere una testimone verace per eccellenza.
    Dunque, in pieno spregio del dettato delle Sezioni Unite sulla valutazione dei testimoni, la sentenza li enuncia a priori nulli e non avvenuti.


    Sezioni Unite?… no grazie!…

    A p.302, tornando nel suo allegro girotondo alla questione dell'Esecutivo Nazionale, dopo aver ricordato che le Sezioni Unite non avevano messo in dubbio l'esistenza dell'Esecutivo [da nessuno negata, e da noi imputati dettagliatamente e documentatamente descritta in primo grado] bensì raccomandato l'esame adeguato della sua ‘struttura, delle funzioni svolte e dei reali poteri esercitati’, la sentenza rovescia bellamente, e senza curarsi di darne alcuna giustificazione, l'indicazione delle Sezioni Unite: ‘L'esame della corte deve essere dunque diretto non tanto alla definizione della struttura 'Esecutivo Nazionale' nei suoi elementi costitutivi, quanto alla sua esistenza reale che rappresenta un valido riscontro obbiettivo al racconto di Marino’.
    Deridendo l'argomentazione delle Sezioni Unite, la sentenza afferma dunque che ‘l'esistenza dell'Esecutivo’, da nessuno negata, è ‘un valido riscontro obbiettivo’ a Marino. Tanto varrebbe scrivere, coi timbri di una Corte d'Appello, che se Marino riferisce dell'esistenza della Spezia, questo gli fa da riscontro.


    Lotta Continua terrorista

    In tutti i primi interrogatori la parte che Marino attribuisce all'Esecutivo è essenziale e maniacale. L'Esecutivo ha deliberato la struttura clandestina, l'Esecutivo progetta l'omicidio nel '71, l'Esecutivo ne decide l'attuazione nel '72 [con favorevoli e contrari!]. Non solo, Marino dichiara di venire a Pisa a cercare la conferma che ‘la decisione provenisse dall'Esecutivo’. Dopo tante altre smentite, al mio interrogatorio in dibattimento io dirò anche: ‘Qualunque persona che mi abbia conosciuto... non può immaginare che io dica qualcosa a nome di un Esecutivo politico. Che io invochi l'autorità di un organismo dirigente, parlando con qualcuno, tanto più con Marino... E' impensabile, una cosa del genere’. Marino aveva detto, in istruttoria: ‘Risposi che intendevo prima parlare con qualcuno dell'Esecutivo Politico... Subito dopo il comizio il Sofri ed il Pietrostefani mi avvicinarono. Ricordo che ci recammo prima a bere qualcosa in un locale pubblico e poi ci appartammo a discutere per la strada. Essi mi confermarono che la decisione proveniva dall'Esecutivo Politico’ [foglio 8 Pm]. ‘Preciso che mi ero recato a Pisa anche per parlare con qualcuno dell'esecutivo in ordine all'attuazione del progetto di eliminare Calabresi. Ricordo perfettamente che, dopo il comizio, mi appartai a parlare con Sofri e Pietrostefani [...] Volevo la certezza che fosse stato l'esecutivo a decidere l'azione’ [foglio 3 del Gi]. ‘Con il Sofri invece che gravitava all'epoca sull'asse Roma/Napoli mi era impossibile parlare dell'azione ed oltretutto io volevo la conferma da lui che era d'accordo l'Esecutivo e lui stesso ad uccidere Calabresi. E' per questo motivo pertanto che mi recai ai comizi...’ [foglio 12 del Gi]. Eccetera eccetera… Ebbene al dibattimento Marino dice testualmente [pagg.70-71]: ‘A domanda del Presidente- A Pisa, a Sofri lei ha fatto la specifica domanda: 'Ma è stato deciso dall'esecutivo politico?', o ha detto soltanto: 'Ne sei a conoscenza?' I. No. Io a Sofri ho soltanto chiesto se era a conoscenza e se era d'accordo. […] P- Quindi, non ha chiesto se c'era stata una decisione dell'esecutivo politico? Praticamente, tutto questo non le interessava? I- No, questo discorso qui con Sofri non lo feci’.


    Gli articoli di giornale sono il riscontro contro di me

    La parte dedicata dalla sentenza alla lettura di testi politici [giornale di Lc, documenti pubblici] è, oltrechè un'arbitraria forzatura di scritti politici a un'interpretazione penale, un ridicolo esercizio di incompetenza e di ignoranza. Questo era già avvenuto abbondantemente nelle precedenti sentenze. Si legge [p.461]: ‘Gli articoli comparsi sul giornale di Lotta Continua del 18-20-28 Maggio 1972, valgono quale riscontro per tutti gli imputati, ma in particolar modo per Sofri’.


    Del doppio uso delle rapine

    Abbiamo detto del peso attribuito, come in altri gradi, alle rapine, usate come un anello della catena che va dalla ‘organizzazione illegale’ all'omicidio. Per giudicare dunque di un omicidio non provabile attraverso delle rapine. Valgano osservazioni già fatte in passato e motivate del resto nella sentenza delle Sezioni Unite. Le rapine non sono, nè possono essere, un riscontro all'omicidio. Si aggiunga, per esempio nel mio caso, che io non sono stato imputato di alcun rapporto con una sola rapina. Emerge evidente la strumentalizzazione delle imputazioni per rapine dalla differenza fra il loro esito in processi stralciati, come quelli celebrati a Torino o ad Aosta per le rapine ‘postpolitiche’ di cui Marino si è accusato e ha accusato altri, nei quali tutti i chiamati in correità da Marino sono stati assolti con sentenze passate in giudicato. Il contrario è avvenuto nel nostro processo.


    Rialza il gomito

    Tanto va il giudice estensore al lardo dell'ultra-accreditamento di Marino, che ci lascia lo zampino. Così a pp.332-33, dove corregge la data, nell'estate 1970, ricordata da me e da Enzo Piperno, di un viaggio a Reggio Calabria cui partecipò Marino. Essa avvenne, dichiara la sentenza, ‘indiscutibilmente’ nell'estate 1971. Tant'è vero che il 29 agosto 1971 avvenne ‘lo spostamento di Marino da Torino a Massa, ossia direzione sud, in occasione della rapina alla Nuova Pignone’. ‘Riscontro perfettamente valido!’. A parte la coincidenza secondo Della Torre fra uno spostamento ‘in direzione sud’ e un viaggio a Reggio Calabria, quest'ultimo è esattamente riferito, nel 1970, nelle carte di polizia della questura torinese. Infortunii.


    Le posizioni personale. Gli Stafalcioni su Bompressi

    Viene poi la parte dedicata alle situazioni personali degli imputati. Mi occuperò naturalmente [l'ho già fatto in gran parte tenendo dietro al girotondo della sentenza] della mia. Non senza notare alcune enormità riferite a Bompressi.
    La prima riguarda il ragionamento svolto sui testi della presenza a Massa di Bompressi nella tarda mattinata del 17 maggio 1972. Testi, si decreta, parziali e dunque falsi. E' difficile capire come mai testi così affezionati da dire concordemente il falso non abbiano procurato allo stesso Bompressi un alibi ancora più ferreo, collocando le loro false testimonianze nelle ore più precoci della mattina. La sentenza accredita testimonianze, come quella di Tognini [p.408] peraltro, quando Tognini dà fastidio all'accusa, diventa inattendibile anche lui che dicono di non poter riferire della presenza di Bompressi in sede la mattina. Bene, ma se avessero detto il contrario, sarebbero state categoricamente tacciate di falsità. La conseguenza è inevitabile: qualunque cosa sostenessero, le testimonianze sarebbero state condannate all'invalidità e alla denigrazione del giudice.
    Il quale va strepitosamente allo sbaraglio su un punto cruciale come la data in cui emersero le testimonianze sulla presenza di Bompressi in un bar di Massa fra le 12 e le 13 del 17 maggio. Addirittura deplorando la ‘tardività’ di quelle testimonianze, l'estensore della sentenza le ritiene [p.414] successive di un anno all'arresto! Si è sbagliato di un anno pieno. E' incredibile: sentite. Scrive la sentenza: ‘Il collegamento fra la notizia apparsa sulla stampa [Repubblica del 29 luglio 1989 -sic!] dopo che era stata presentata la deduzione istruttoria del 24 luglio 89 ed i testi escussi dal magistrato inquirente e quelli introdotti in dibattimento...’, ecc. Ma la notizia era uscita su Repubblica un anno prima, il 29 luglio 1988, cioè del giorno dopo l'arresto nostro e di Bompressi. In una corrispondenza da Massa dell'inviato Paolo Vagheggi, che aveva raccolto le dichiarazioni dei testimoni. A simili strafalcioni arriva una sentenza di condanna, ricamandoci su anche le proprie disquisizioni.
    Con la stessa noncuranza la sentenza [p.411] salta a pie' pari la questione della possibilità di Bompressi. Se si fosse trovato in via Cherubini all'ora del delitto, e alla stazione di Milano all'ora riferita da Marino, di raggiungere Massa entro l'ora in cui i suoi testimoni hanno ricordato di averlo visto e di aver parlato con lui, dichiarando [p.411]: ‘E' più aderente alla realtà dei fatti accettare il racconto della permanenza di Bompressi a Milano dopo l'attentato, ospite di Luigi’. Solo che qui le testimonianze da liquidare non sono solo quelle dei tre avventori del bar all'ora di colazione del 17 maggio, bensì la moltitudine di altri che ricordano Bompressi attivo nei giorni precedenti il 20 maggio nella preparazione del mio comizio massese. Per eccesso di zelo, o cattiva conoscenza degli atti, il giudice non ha arretrato davanti all'assurdo. E ha ribadito lo svarione quando scrive [p.415] che nessun testimone ‘lega il proprio ricordo a un fatto particolare dell'attività svolta da Bompressi quel mattino, o in quei giorni, nell'ambito del movimento di Lotta Continua’. Mentre tutti i testimoni lo fanno, da quelli che parlano del volantinaggio del 17 maggio, a quelli che parlano della preparazione del comizio del 20 maggio.


    Marino riscontrato da Marino

    Sulla mia posizione. Si dice che le telefonate intercettate fra la mia compagna e miei amici [Deaglio, Boato ecc.] non possono costituire riscontro alle accuse, ma provano il grande affetto che gli interlocutori avevano per me e dunque l'inattendibilità delle loro testimonianze. Non c'è male.
    Si dice [p.453] che il ‘valido riscontro obbiettivo’ all'accusa di Marino sta nel racconto dell'ex senatore Bertone, al quale Marino aveva fatto il mio nome come responsabile della decisione sull'omicidio Calabresi. Bello che Marino che mi accusa nel luglio 1988 sia riscontrato da Marino che mi aveva accusato nel maggio 1988. Tanto più se si pensa che sia Marino che Bertone hanno fatto di tutto perchè del loro incontro non si sapesse, e fui io a renderlo noto in tribunale.


    Dopo il funerale

    A p.472 la sentenza addebita, in pieno delirio, a Soriano Ceccanti di aver ‘confuso platealmente’ il comizio di Sofri con quello di qualche giorno prima per il funerale di Serantini. Niente del genere è avvenuto, e di plateale c'è solo l'ottusità del giudice estensore. Ecco che cosa scrive: ‘Dice infatti il teste: si ci fu un comizio dopo il funerale di Franco Serantini. Un comizio, una manifestazione. Presidente: In che epoca siamo? In che anno? Teste: Maggio 72. Presidente: Il giorno non lo ricorda? Teste: il 13. Ebbene il 13 maggio non vi è stato alcun funerale di Serantini’.
    Che si possa essere così stupidi, è difficile credere. ‘Dopo il funerale di Serantini’ non vuol dire affatto per Ceccanti, che peraltro segue la traccia della domanda del presidente [il quale non si sogna nemmeno di equivocare] il giorno del funerale. Interpretare le sue parole come fa Della Torre equivale letteralmente a interpretare la formula ‘dopo Cristo’ come se si trattasse della notte della sepoltura di Gesù. A Ceccanti che ricorda esattamente una manifestazione e un comizio il 13 maggio il presidente di una Corte d'Assise d'Appello obietta trionfante che il 13 maggio non vi fu ‘alcun funerale di Serantini’ [espressione, oltretutto, cinicamente volgare. Come se vi fossero stati molti funerali di Serantini].
    La falsificazione continua attribuendo a Ceccanti di non aver precisato ‘neppure approssimativamente’ quando sarebbe andato via dalla piazza del comizio [Ceccanti dice di essere andato via prima della fine del comizio e di essere arrivato a casa ‘fra le 7 e le 7,30’, p.1535 dibatt.].


    Diritti della difesa?… no grazie!…

    Veniamo ai miei numerosi testimoni del dopo-comizio. La sentenza scrive che ‘tutti sono stati aderenti di Lotta Continua’. Già, era difficile che venissero a quel comizio dei democristiani di Avellino. Aggiunge che ‘tutti sono stati escussi dopo il deposito degli atti processuali’. Ciò che è un pieno e insindacabile diritto della difesa, e per di più coincise con la decisione, pubblicamente motivata, di non collaborare più con l'istruttoria dopo che il giudice istruttore si fu dimostrato ad abbondanza fazioso e ostile a tutto ciò che intralciasse la sua frettolosa dichiarazione di colpevolezza. Sentite l'appendice delle obiezioni della sentenza ai testimoni [p.474]: ‘Non è quindi logicamente sostenibile che proprio costoro spontaneamente andassero a riferire all'autorità giudiziaria circostanza negative ed esiziali per l'imputato [sic, tutto!]’.


    Carte false, testimoni smarriti

    Culminante falsificazione: ‘Il ricordo dei testi non ha per oggetto una circostanza positiva ossia 'un incontro' bensì una negativa, ossia il 'non incontro'. Ebbene per escluderlo costoro avrebbero dovuto tenere costantemente sotto controllo Adriano Sofri, mentre nessuno di loro, sfollando dal comizio ha dichiarato di averlo seguito pedissequamente, minuto per minuto. Anche questa obiezione non merita pertanto accoglimento’.
    Nessuno di loro. Ecco cancellato Augusto Moretti, ecco cancellato Guelfo Guelfi.
    Testimonianza Moretti, pagg.1503-1504 del dibatt.1° grado: ‘Ho partecipato a questa discussione [sulla lapide] e contemporaneamente c'era un altro problema. Dicevo erano due quelli fondamentali. E cioè, era un problema di mandati di cattura che ci erano stati comunicati fossero stati spiccati nei confronti di vari esponenti di Lotta Continua di Pisa, in riferimento alla manifestazione del 5 maggio... Questa notizia ci fu portata, arrivò esattamente più o meno nel momento in cui si discuteva di questa cosa della lapide...P- Va beh, Moretti, quindi si discusse anche di questo con Sofri. T- No,no. Non con Sofri. Non credo con Sofri. Si discusse di queste cose qui e c'era anche il Sofri. Il Sofri intervenne semplicemente su quel problema della lapide, ma diciamo, marginalmente... P-Lei vide allontanarsi Sofri?
    T- Sì, Sofri si era allontanato già prima che noi finissimo, insomma, tutte queste discussioni. Si era allontanato con Guelfo Guelfi... P- E quindi, in questo lasso di tempo, lei non ha visto o sentito dei compagni di Massa parlare con Sofri per qualche altro problema? T.-Sì, sì. Non solo compagni di Massa. C'erano compagni di varie sedi... che richiedevano a Sofri di andare nelle loro città a tenere comizi’.
    Per giustificare l'escogitazione che io mi fossi allontanato due volte dal capannello sotto il palco, la prima volta, non notato, per andare al bar, a parlare con Marino ecc., e poi rientrare [!] il Pg in aula si era spinto a sostenere che nessuno dei testimoni avesse seguito l'insieme degli argomenti di cui si era parlato sotto il palco e che ciascuno si fosse limitato a riferire di un singolo tema. Così da lasciare il varco in cui infilare la disperata invenzione della mia andata e ritorno dal capannello. In questa spericolata toppa finale il Pg dimenticava fra l'altro che non una delle molte versioni di Marino [da ‘Pietrostefani e Sofri mi avvicinarono’ a quella in cui io lasciavo la piazza seguito da un codazzo di ‘dirigenti di Lotta Continuaì] poteva adattarsi, neanche a martellate, con l'ipotesi del Pg [si confronti la versione di Marino, al confronto con me: ‘A richiesta di precisazione del Sofri, dico che io e il predetto ed altre persone andammo prima in un bar a bere qualcosa e poi io e lui ci appartammo e parlammo in strada di quanto sopra detto... Quel giorno a Pisa c'era moltissima gente e c'erano anche molti dirigenti nazionali di Lotta Continua. Quando noi ci allontanammo tutti questi compagni dirigenti di altre città seguivano Adriano’]. Infine, a parte tutto ciò, la testimonianza di Moretti mostra letteralmente che è falso che nessuno abbia riferito di tutta la discussione.
    Ancora più drasticamente, Guelfo Guelfi, a sua volta, non solo ha testimoniato di non avermi mai perso di vista, ma ne ha spiegato anche la particolare ragione [voleva parlarmi del suo desiderio di tornare a Pisa da Gela, dove era andato a fare il militante politico]. Così il responsabile di una sentenza abroga [non confuta, semplicemente li fa sparire] due testimoni chiave,contro i quali si erano invano accanite le accuse nei processi successivi.


    Non ne aveva bisogno…

    Veniamo all'incontro serale nella casa pisana della mia famiglia, da Marino prima negato [‘salutai Sofri e ripartii per Torino’], poi ammesso, infine perfettamente ricordato... La sentenza argomenta che per passare la sera a farmi visita Marino doveva avermi già incontrato e parlato se no non avrebbe potuto sapere che mi avrebbe trovato a casa. Non rispondo io, lascio rispondere Marino stesso nel confronto con me [è agli atti, quegli atti che il giudice non ha avuto la pazienza di leggere]: ‘Non escludo che io mi possa essere recato a casa del Sofri a Pisa la sera del comizio. D’altronde non avrei avuto bisogno di chiedere il permesso a lui perchè era una cosa usuale che tutti i compagni andassero a trovare Sofri a casa...’.
    Se Marino fosse venuto per una ragione così vitale, e dunque temendo di non riuscire a parlarmi [che cosa avrebbe fatto per esempio se io fossi ripartito immediatamente per Roma scendendo dal palco?] avrebbe cercato di avvicinarmi prima del comizio [Marino, verbale del primo grado, pag.64: ‘Si arrivò a Pisa nel primo pomeriggio...’].
    Per confutare Guelfi [che avrebbe voluto parlarmi, e infatti lo fece, della sua intenzione di rientrare da Gela a Pisa] la sentenza di primo grado [pag.615] aveva insinuato che avrebbe dovuto venirmi a parlare prima del comizio... Allora: Guelfi sì, e Marino, che avrebbe avuto ben altra urgenza, no?


    I verbali sulla visita serale del 13 maggio

    Marino, al confronto con me: ‘Ci salutammo ed io tornai a Torino’. Io, al confronto: ‘Alla fine del comizio Marino non andò a Torino, ma da qualche parte a Pisa che non so, e poi venne a casa mia’.
    Marino, al confronto: ‘Non escludo che io mi possa essere recato a casa del Sofri a Pisa la sera del comizio’.
    Marino, al dibattimento: ‘Poi... siamo rimasti un po' a Pisa. Evidentemente, siamo andati a mangiare qualcosa, e poi...
    [...] Poi, prima di partire per Torino, andammo a casa del Sofri per salutarlo’.


    Liggini aveva sempre avuto cinquant’anni

    Eccoci ora a un vero scoop della sentenza. Viene esaminata la testimonianza di Marco Liggini [che è morto]. Il pubblicista [è stato il principale artefice della ricerca sulla ‘Strage di stato’] che incontrai vicino alla redazione del giornale la mattina del 17 maggio 1972, e da cui appresi la notizia dell'attentato a Calabresi. Comincia la sequela di menzogne e svarioni della sentenza. Prima menzogna: Sofri al magistrato inquirente ‘aveva riferito che era stato avvisato dell'omicidio da 'un giovane' di cui però non si ricordava nè il nome, nè le circostanze del colloquio’. Non è vero. Non ho mai detto di non ricordare nome e circostanze. Ecco lo svarione: ‘Al dibattimento quel giovane diventava il cinquantenne giornalista Marco Liggini... Ed allora come può corrispondere all'immagine di un 'giovane' militante una persona nata il 29.11.1940, ossia di due anni più anziana dell'imputato e che al momento della deduzione istruttoria [20 febbraio 90] aveva già quasi 50 anni?’ Allora. In effetti, al dibattimento il giovane era diventato cinquantenne, per la rara ragione che dal 1972 al 1990 erano trascorsi 18 [in lettere: diciotto] anni! Quel giorno del 1972 Liggini era un giovane trentaduenne. Il giudice estensore, nella sua perspicuità, mi ha colto in fallo per non aver dichiarato nel primo verbale del 1988 di aver incontrato nel '72 un cinquantenne del 1990 [nelle righe che seguono, si dice falsamente che Liggini non ricordò una sola parola di commento mio alla notizia, è vero il contrario].


    La passione per le minuscole

    ‘Il teste ha riferito di avere avuto notizia dell'omicidio Calabresi da più telefonate, di colleghi e avvocati, mentre il capo indiscusso di Lotta Continua ha dichiarato che quel mattino non aveva ricevuto nessuna informazione... Non appare assolutamente credibile che un uomo politico un giornalista-direttore di un quotidiano di tanto rilievo, non avesse avuto una radio, non avesse ascoltato nessun notiziario e fosse completamente isolato dal mondo’.
    Delirio, appunto. Venivo a piedi come sempre al giornale, con la mia compagna e col nostro cane. Sono onorato delle maiuscole postume [che istintivamante ho corretto perché senza senso e di ciò mi scuso col lettore…- n.d.r.] di cui la sentenza mi gratifica. Ero una persona poverissima e contenta, abbastanza giovane, senza telefono, e innamorata. Non ero isolato dal mondo, col cui destino mi identificavo fervidamente: semplicemente. Ero a qualche isolato dalla redazione e mi alzavo tardi.


    L'industriale di Reggio Emilia scomparso

    Così sono stato condannato di nuovo. Altre cose, tormentosamente e malignamente trascinate nei processi precedenti, sono d'incanto scomparse. L'industriale di Reggio Emilia, per esempio: scomparso. Nel processo precedente, quello concluso con l'assoluzione e la truffa della sentenza suicida, avevo completato la ricostruzione e lo svergognamento della calunnia su ‘l’industriale di Reggio Emilia’. Bene. Non se ne parla più.


    Delinquenti abituali

    Non mi occupo di argomenti per i quali la mia conoscenza e competenza è minima, come il contesto dell'esecuzione del delitto, benchè veda che in questa parte la sentenza ha accumulato alcune fra le più temerarie tesi. Delle ‘considerazioni finali’, destinate in sostanza a motivare la mancata concessione delle attenuanti prevalenti sulle aggravanti chiesta ‘in estremo subordine’ da alcuni difensori, va sottolineato il succo: e cioè che gli imputati non sono stati solo assassini efferati nel 1972 ma sono rimasti delinquenti impuniti per tutta la vita. Altro che gli editoriali alla Montanelli sul fatto che ‘gli imputati non sono più le stesse persone’: Pietrostefani ‘non risulta aver mai ripudiato, nè con scritti nè verbalmente, il movimento eversivo del quale è stato esponente di spicco’. ‘Non una sola parola di recriminazione per l'omicidio e di commiserazione per la vittima’. ‘Assenza di qualsiasi segnale di resipiscenza, di ‘rimorso, di confessione da parte degli imputati’. ‘Anche nel corso della presente fase del giudizio non una sola parola di esecrazione del crimine o di comprensione verso la vittima ed i figli superstiti è stata pronunciata dai tre prevenuti’. ‘Nessuna indicazione concreta di lodevoli condotte susseguenti, nessun richiamo a qualità personali meritevoli di considerazione è stata fatta nel caso in esame, mentre non risulta aliunde segnalata od è emersa dagli atti processuali’.

    Così il giudice estensore, Presidente di Corte d'Assise d'Appello, Giangiacomo Della Torre, ha concluso la fatica di motivare una condanna che aveva già dolosamente pronunciato prima di dichiarare aperto il processo.

  4. #24
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    E questo assassino spera che qualcuno creda ai suoi bavosi insulti contro tutti coloro che l'hanno inchiodato alle sue responsabilità? Ma che rimanga in cella fino all'ultimo dei suoi giorni e la smetta di rompere i coglioni alla gente onesta.

  5. #25
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    Predefinito ... la miglior risposta l'ha fornita Sofri...

    originally posted by krentak:

    ... e questo assassino spera che qualcuno creda ai suoi bavosi insulti contro tutti coloro che l'hanno inchiodato alle sue responsabilità?... ma che rimanga in cella fino all'ultimo dei suoi giorni e la smetta di rompere i coglioni alla gente onesta...

    caro amico
    credo proprio che il tuo sia uno di quei casi nei quali le seguenti parole di Sofri si adattano a pennello...

    ... quando il pregiudizio si allea con l'imbecillità non c'è niente da fare...

    ossequi!...


    --------------

    Nobis ardua

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  6. #26
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    Predefinito Re: ... la miglior risposta l'ha fornita Sofri...

    In origine postato da Fecia di Cossato
    quando il pregiudizio si allea con l'imbecillità non c'è niente da fare...
    CVD. D'altra parte è argomento che Sofri conosce perfettamente, avendolo praticato per oltre trent'anni.

  7. #27
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    Predefinito

    La sentenza di morte per il commissario Calabresi, pubblicata da Lotta Continua, foglio di Adriano Sofri, brav'uomo, sincero democratico, ghandianamente non violento, fine intellettuale, che mai e poi mai avrebbe desiderato nè tantomeno ordinato l'uccisione di Calabresi.


    «Siamo stati troppo teneri con il commissario di PS Luigi Calabresi. Egli si permette di continuare a vivere tranquillamente, di continuare a fare il suo mestiere di poliziotto, di continuare a perseguitare i compagni. Facendo questo, però, si è dovuto scoprire, il suo volto è diventato abituale e conosciuto per i militanti che hanno imparato ad odiarlo; la sua funzione di sicario è stata denunciata alle masse che hanno incominciato a conoscere i propri nemici di persona, con nome, cognome e indirizzo. È chiaro a tutti, infatti, che sarà Luigi Calabresi a dover rispondere pubblicamente del suo delitto contro il proletariato. E il proletariato ha già emesso la sua sentenza: Calabresi è responsabile dell'assassinio di Pinelli e Calabresi dovrà pagarla cara. [...]. È per questo motivo che nessuno, e tantomerio Calabresi, può credere che quanto diciamo siano facili e velleitarie minacce. Siamo riusciti a trascinarlo in tribunale, e questo è certamente il pericolo minore per lui, ed è solo l'inizio. Il terreno, la sede, gli strumenti della giustizia borghese, infatti, sono giustamente del tutto estranei alle nostre esperienze, alle nostre lotte, alle nostre idee, e non è certamente dalla legge dello Stato capitalista che ci attendiamo la punizione di un suo servo zelante; non dai giudici "progressisti e onesti"; non da un dibattimento i cui codici, norme e regole, creati dalla borghesia per controllare gli sfruttati, non possono essere utilizzati dai proletari, ma solo da questi distrutti. [...] Ma dentro l'aula della prima sezione, dentro il tribunale, attorno ad esso, nelle strade e nelle piazze, il proletariato emetterà il suo verdetto, lo comunicherà, e ancora là, nelle piazze e nelle strade, lo renderà esecutivo. Calabresi ha paura ed esistono validi motivi perché ne abbia sempre di più. Quando gli sfruttati rompono le catene dell'ideologia borghese e praticano le proprie idee, la forza dell'esempio diventa dirompente; i proletari di Trento che hanno rifiutato la legalità borghese per assumere quella rivoluzionaria, hanno compiuto il primo processo e la prima esecuzione. L'imputato e vittima del secondo è già da tempo designato: un commissario aggiunto di PS, torturatore e assassino: Luigi Calabresi. Sappiamo che l'eliminazione di un poliziotto non libererà gli sfruttati; ma è questo, sicuramente, un momento e una tappa fondamentale dell'assalto del proletariato contro lo Stato assassino».

  8. #28
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    Predefinito ... ok, materiale probatorio eneccepibile...

    caro amico
    non sarebbe stato male se avessi fornito oltre all'articolo anche la data di pubblicazione, che presumo certamente però essere antecendente alla data dell'omicidio del commissario Luigi Calabresi [17 maggio 1972]. Se questo 'articolo' costituisca o no una 'prova' del fatto che Adriano Sofri e gli altri leader di Lotta Continua abbiano effettivamante architettato ed esguito l'agguato di via Cherubini a Milano presumo che ognuno sia in grado di stabilirlo in relazione al cevello che possiede.

    Al di là della semplice considerazione che la stesura di questi articoli di fatto ha costituito una specie di 'firma' al successivo omicidio del commissario e che nessun omicida di solito ama apporre la firma ai propri delitti, altri elementi 'strani' dovrebbero farci riflettere. Uno di questi è dato che ben 16 [sedici!...] anni dopo il delitto, e cioè il 17 luglio 1988 i carabinieri dell'anti-terrorismo di Milano, di propria iniziativa e all'insaputa della magistratura, interrogano per 17 giorni consecutivi un ex-militante di Lotta Continua di nome Leonardo Marino, il quale si autoaccusa dell’omicidio Calabresi e indica altri tre ex dell’organizzazione come suoi complici. Ovidio Bompressi avrebbe materialmente eseguito il delitto, su mandato di Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani. Il Marino poi, al pari di tanti altri 'pentiti eccellenti', non solo non ha fatto un giorno di galera ma è stato generosamente ricompensato in denaro.

    Tutto questo per il cervello di qulcuno potrà anche sembrare assolutamente normale, per altri sicuramante no... dipende ovviamente dal cervello di cui si è dotati...




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    Nobis ardua

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  9. #29
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    Predefinito Re: ... ok, materiale probatorio eneccepibile...

    In origine postato da Fecia di Cossato
    Tutto questo per il cervello di qulcuno potrà anche sembrare assolutamente normale, per altri sicuramante no... dipende ovviamente dal cervello di cui si è dotati
    Spero che la Sua "non insindacabilità" consenta ai comuni mortali di usare del proprio cervello come credono.

    Suvvia, Fecia... Perché la mette giù così dura? Capisco l'impegno, però insomma...

  10. #30
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    Predefinito Re: ... ok, materiale probatorio eneccepibile...

    L'articolo, di per sè, non dimostra che Lotta Continua abbia eseguito l'omicidio Calabresi. La linea editoriale di Lc nei confronti di Calabresi (condanna a morte, festeggiamento per l'omicidio, rivendicazione dell'esecuzione) configura i suoi aderenti come principali sospetti. La confessione di Marino chiarisce la situazione in cui venne deciso l'attentato. Il fatto che Sofri non si sia mai dissociato dalla linea del tempo di Lc (anzi l'abbia orgogliosamente rivendicata) e che non abbia mai condannato l'esecuzione di Calabresi, indicano chiaramente come egli si ritenga innocente non perchè non abbia incaricato Marino e Bompressi di uccidere il commissario, ma perchè ritiene che sia stato bene e giusto farlo.

    Riguardo a Marino, il copione è lo stesso utilizzato con Calabresi, pappa buona per fanatici eversivi come quelli di Lc o della sinistra extraparlamentare (e non solo) degli anni '70.

 

 
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