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Tra le ricchezze che un’umanità liberata dal capitale farà prosperare figurano le innumerevoli variazioni di una sessualità e di una sensualità perverse e polimorfe. Soltanto quando queste pratiche potranno fiorire, l’«amore», qual è cantato da André Breton e Harlequin, apparirà per quello che è: una costruzione culturale transitoria.
L’ordine morale tradizionale è oppressivo e come tale merita d’essere criticato e combattuto. Ma se è entrato in crisi, non è perché i nostri contemporanei abbiano maggiormente il gusto della libertà che i nostri avi, ma perché la morale borghese rivela la sua inadeguatezza alle condizioni moderne di produzione e di circolazione delle merci.
La morale borghese formatasi in tutta la sua ampiezza nel xix secolo e trasmessa attraverso il canale della religione o quello della scuola laica, è nata da un bisogno di supporti ideologici al dominio del capitalismo industriale, in un’epoca nella quale il capitale non dominava ancora totalmente. Etica sessuale, familiare, del lavoro, andavano di pari passo. Il capitale si sosteneva su dei valori borghesi e piccolo-borghesi: la proprietà frutto del lavoro e del risparmio, il lavoro faticoso ma necessario, la vita di famiglia. Nella prima metà del xx secolo, il capitalismo giunge a occupare tutto lo spazio sociale. Si rende indispensabile, inevitabile: il salariato è la sola attività possibile dato che non c’è altro. È così che, nel mentre si impone a tutti, il salariato può rappresentarsi come assenza di costrizione, garanzia di libertà. Essendo stato mercificato tutto, ogni elemento della morale diviene caduco. Si accede alla proprietà prima di aver risparmiato, grazie al credito. Si lavora perché è prassi, non per dovere. La famiglia allargata cede il posto alla famiglia nucleare, essa stessa sconvolta dalle pressioni del denaro e del lavoro. La scuola, i mass media contendono ai genitori l’autorità, l’influenza, l’educazione. Tutto ciò che era annunciato dal Manifesto del partito Comunista, è realizzato dal capitalismo. Con la fine degli spazi della vita popolare (caffé...) rimpiazzati dai luoghi di consumo mercantile (uffici, centri commerciali) che non hanno qualità affettiva, si arriva a chiedere troppo alla famiglia, in un momento nel quale ha meno che mai da offrire.
Sotto la crisi della morale borghese, c’è più profondamente una crisi della moralità (cioè della socialità) capitalista. C’è una difficoltà a fissare dei «costumi», a trovare modi di relazione tra gli esseri, di comportamenti che superino il fallimento della morale borghese. Quale moralità il capitalismo moderno reca agli uomini? La sottomissione di tutti e di tutto, la sua onnipresenza rendono teoricamente superflui i supporti precedenti. Per fortuna, non funziona. Non c’è, non ci sarà mai una società capitalista pura, integralmente, unicamente capitalista. Da una parte, il capitale non crea niente ex nihilo, trasforma gli esseri e i rapporti nati al di fuori di esso (contadini inurbati, piccoli borghesi declassati, immigrati) e rimane sempre qualcosa dell’antica socialità, almeno sotto forma di nostalgia. Dall’altra parte, il funzionamento stesso del capitale non è armonioso: non mantiene le promesse del mondo di sogno della pubblicità, e suscita una reazione, un ripiegamento verso i valori tradizionali pur complessivamente superati come la famiglia. Donde il fenomeno seguente: ci si continua a sposare, tuttavia un matrimonio su quattro finisce in un divorzio. Infine, obbligato a dirigere, vincolare, maltrattare i suoi salariati, il capitale deve reintrodurre in permanenza i valori di supporto autoritativi e di obbedienza che nella sua fase attuale rende tuttavia desueti: da cui un impiego costante dell’antica ideologia accanto a quella moderna (partecipazione...)
La nostra è l’epoca della coesistenza delle morali. Della proliferazione dei codici, non della loro sparizione.
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da La Banchise n.1