Ricevo e trasmetto.
Domenica, 20 Luglio 2003- il Gazzettino
IL RAZZISMO DEI PERDONISTI
di MASSIMO FINI
Cosa deve pensare il cittadino di un Paese dove il presidente del Consiglio si fa votare, per sua stessa ammissione, una legge che gli garantisce l'immunità penale, e non per un ipotetico futuro ma per un concretissimo passato, dove si vuole estendere questa immunità a tutti i parlamentari, dove un deputato propone di concedere automaticamente le attenuanti generiche ad ogni condannato purché sia la prima volta che delinque, dove sta per essere varato l'"indultino", dove sono regola i condoni fiscali, edilizi e d'ogni altro genere, e dove il neodirettore del Corriere della Sera, Stefano Folli, nel suo primo editoriale, dopo quello d'intronazione, si fa promotore di un appello per la grazia ad Adriano Sofri, uno dei mandanti dell'assassinio del commissario Calabresi, definito un intellettuale le cui "riflessioni sul nostro tempo costituiscono un punto di vista impossibile da ignorare", appello subito accolto e trasversalmente dalla classe dirigente di sinistra e di destra? Se è un cittadino che ha rispettato le leggi o che se le abbia violate (nessuno è perfetto) ha pagato il suo debito con la giustizia ritenendo che questo era un suo dovere e non un grazioso favore che faceva alla collettività, non può che pensare di aver sbagliato tutto, di essere un "mona" come dicono da queste parti o una "pirla" come diciamo noi che siamo di Milano; è comunque un cretino, un ignorante e un paria come si evince dalla stessa proposta del direttore del Corriere della Sera. Infatti uno dei punti di forza per chiedere la grazia è, per Stefano Folli, il fatto che "Adriano Sofri è oggi uno dei maggiori intellettuali italiani", argomento entusiasticamente ripreso da Anna Finocchiaro, dei Ds, una di quelle più pronte a gridare allo scandalo quando i privilegi riguardano Berlusconi o Previti o qualche altro esponente del centrodestra: «Ma ci rendiamo conto che è uno degli intellettuali più raffinati del paese?». Se c'è una tesi inaccettabile e ripugnante è proprio questa. Perché instaura, in tutta evidenza (se n'è accorto persino il ministro Castelli) un odioso, oltre che incostituzionale, razzismo sociale, per cui le persone colte, che hanno studiato, che sanno scrivere bene sarebbero meritevoli, di fronte alla legge penale, di un trattamento di favore e comunque di attenuanti (mentre, al limite, dovrebbe essere il contrario), nei confronti di coloro che non sono colti e non sanno scrivere bene. E degli analfabeti che ne facciamo? In galera subito, anche se non hanno commesso alcun reato. Precisato questo, che è ciò che conta, c'è da aggiungere che il Sofri "intellettuale raffinatissimo" è una leggenda metropolitana. Adriano Sofri, che nella sua vita ha lavorato pochissimo pur consentendosi una vita agiata, fino al giorno in cui è stato ristretto nel carcere di Pisa non aveva scritto nulla di rilevante. Dopo ha pubblicato due libretti in sua difesa (nulla a che vedere con gli straordinari e drammatici affreschi di Cheryl Chessmann, condannato a morte dalla giustizia americana per stupro) ed è diventato, per meriti penali, editorialista del più a sinistra dei grandi quotidiani italiani, La Repubblica, e del settimanale maggiormente diffuso e più a destra, Panorama, impresa che può riuscire solo a chi abbia il sostegno della lobby degli ex di Lotta Continua, molti dei quali sono incistati in posizioni di comando nei principali media, e che abbia il pregio di rendersi incomprensibile ai più. Sofri non è un intellettuale raffinato, è un intellettuale rarefatto. Né è per nulla vero che stia pagando il suo debito con la giustizia con "estrema dignità e sobrietà" come scrive ancora il direttore del Corriere della Sera. Certo, Sofri non si straccia le vesti come una lavandaia di San Frediano, non sta nel suo personaggio, ma è abilissimo nel giocare il sottile inaccettabile ricatto morale del "io sono dentro mentre voi siete fuori" e proprio grazie all'enorme spazio di cui dispone sui giornali, mai concesso, nemmeno in proporzione infima, ad alcun altro detenuto (quando proposi a qualche giornale di far scrivere Renato Vallanzasca, che sta scontando da decenni la sua pena, per lo più in isolamento senza mai un lamento, senza mai una protesta, senza alcun atteggiamento ricattatorio, e che ha uno stile fresco e molte cose da raccontare, mi risero in faccia). Se poi si ritiene che Sofri abbia diritto alla grazia del presidente della Repubblica "perché non si è mai sottratto alla pena", allora si scambia quello che è un dovere del cittadino, il sottomettersi alla giustizia del suo Paese, con un optional. In realtà c'è un'unica ragione che renderebbe plausibile la grazia ad Adriano Sofri ed è il tempo che è passato dall'omicidio, sotto casa, di Luigi Calabresi, più di trent'anni. Anche se bisogna ricordare che nel clima dei Settanta fu praticamente impossibile indagare su Lotta Continua (sarebbe stato un delitto di "lesa maestà" nei confronti di Sofri, dei Boato, dei Pietrostefani, e di tutti gli altri membri dell'esecutivo di Lc che pur si assunsero la responsabilità morale di quell'assassinio) e si persero anni a seguire le "piste nere, i fascistelli, i Nardi, che non si vede che interesse politico potessero avere ad ammazzare un commissario di polizia additato da tutta la stampa di sinistra e dell'estrema sinistra come "il boia" dell'anarchico Giuseppe Pinelli. Comunque, in trent'anni, una persona può cambiare e, in genere, cambia. Ma non sembra questo essere il caso del superbioso Sofri che ci guarda tutti dall'alto della sua intelligenza, per definizione, superiore e ci dà continue lezioni di morale. Come allora lottava contro lo Stato così oggi non ne riconosce l'autorità. Non chiede la grazia. Ora, chiedere la grazia non significa affatto ammettere la propria colpevolezza, ma solo, e appunto, riconoscere l'autorità dello Stato, delle sue Istituzioni, della Magistratura che ha emesso la sentenza, del ministro Guardasigilli cui la domanda deve essere rivolta, del Presidente della Repubblica cui spetta, in piena autonomia e discrezionalità, accoglierla o respingerla. Adriano Sofri non lo fa. È un suo diritto. Ma allora deve rimanere dov'è.