Mafia e appalti: sette arresti in Sicilia
L'operazione della Dia coinvolge la cosca di Enna ma anche imprenditori, professionisti e commercianti. Venivano chiesti favori e finanziamenti per la costruzione di opere edilizie.
ENNA - Finanziamenti pubblici e appalti di opere edilizie "pilotati" da boss mafiosi grazie all'aiuto di professionisti e politici accondiscendenti. Sette persone sono state raggiunte da ordini di custodia cautelare in carcere in un'operazione condotta dalla Dia di Caltanissetta. A centro delle indagini Raffaele Bevilacqua, avvocato penalista ritenuto il capo della cosca. E’ indagato anche il vicepresidente dell’Assemblea regionale siciliana, Vladimiro Crisafulli (Ds): è accusato di associazione mafiosa. Sotto accusa finisce anche una talpa che avrebbe costantemente informato gli indagati dell’inchiesta aperta nei loro confronti.
Da intercettazioni telefoniche risulta che Bevilacqua è stato possibile scoprire rapporti con imprenditori e professionisti, e in alcuni casi anche con politici ai quale avrebbe chiesto 'favori' per aiutare società ritenute vicine a Cosa nostra. Crisafulli, da parte sua, avrebbe avuto diversi contatti con l’avvocato, registrati da microspie. Nelle loro discussioni, secondo indiscrezioni, avrebbero parlato di finanziamenti per progetti di opere pubbliche e appoggi elettorali. Secondo gli inquirenti nelle intercettazioni emerge chiaramente il "rapporto di complicita" che vi sarebbe fra i due indagati. Bevilacqua avrebbe chiesto al politico, in diverse occasioni, favori per conto di "amici" su appalti e contributi regionali.
Crisafulli, 52 anni, è un politico molto amato a Enna: passato dal Pc al Pds e ora Ds, è stato anche membro dell’Antimafia regionale. E' stato assessore regionale alla Presidenza nei tre governi a guida Centrosinistra. “Non riesco a capire di cosa mi possano accusare – dice il vicepresidente dell’Ars -. Ci sarebbe un' intercettazione - aggiunge - tra me ed un altro indagato su appalti. Mi pare improbabile. Non so proprio cosa dire".
Il nome di Bevilacqua emerge anche dai numerosi bigliettini scritti dal capo mafia latitante Bernardo Provenzano e diretti al boss Nino Giuffré, che li teneva con sé al momento del suo arresto. In particolare Provenzano in questi messaggi 'caldeggia' la figura dell'avvocato raccomandandone l’ascesa a rappresentante, e cioè capo, della famiglia mafiosa della provincia di Enna.
Assieme al professionista la Dia ed i carabinieri hanno bloccato gli imprenditori Filippo La Rocca, di 64 anni e Filippo Milano, di 47; l' impiegato Benedetto Brizzi, di 52; il pensionato Antonino Aleo, di 63; il commerciante Salvatore Bonfirraro, di 53 e il disoccupato Gerry Gesualdo, di 28. Sono tutti accusati di associazione mafiosa. Altre 25 persone sono indagate. Fra loro vi sarebbero pure professionisti e avvocati.
L'inchiesta, coordinata dalla Dia di Caltanissetta, mette in luce "forti e importanti collegamenti" del capomafia di Enna con boss mafiosi del Palermitano e del Catanese e inoltre "con importanti esponenti del mondo economico della Lombardia e di altri luoghi della penisola". Secondo gli inquirenti, inoltre, l'organizzazione avrebbe anche procurato voti a politici regionali in occasione delle consultazioni elettorali.
Gli inquirenti sostengono che "gli elementari diritti di 'libera economia' sono stati messi in pericolo non da improvvisati 'uomini d'onore bensì da una organizzazione ben radicata nel territorio, forte del potere intimidatorio, dell'omertà e di inquietanti supporti della 'politica sporca'". Secondo gli investigatori "pubblici amministratori che rivestono cariche istituzionali di altissimo profilo si sono macchiati del crimine più infamante", quello di aver favorito i boss.
(24 LUGLIO 2003; ORE 075, ultimo aggiornamento alle ORE 16)