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    BENESSERE&OZIOXTUTTI
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    I camion iracheni, che secondo Londra e Washington erano adibiti alla produzione di armi batteriologiche, servivano in realtà a produrre idrogeno

    LONDRA - Vi ricordate i laboratori mobili di Saddam? Una delle spiegazioni del perché gli ispettori Onu non trovavano traccia delle pericolose armi proibite erano le officine trasportabili che le producevano: molti le ricorderanno immortalate da fotografie satellitari in qualche riepilogo dato dal Pentagono. L’asserzione di Blair che l'Iraq aveva "sviluppato laboratori mobili per uso militare" (25 settembre 2002) fu per lui politicamente assai utile. L'esistenza di questi laboratori spostabili (con tanto di fotografie alla mano) negava ogni possibilità di successo agli ispettori di Blix che, invece, chiedevano tempo. Il ministero della difesa definì il lavoro dei controllori Onu come "un improbabile gioco a nascondino." Il Pentagono descrisse la situazione come “delle lumache che inseguono un giaguaro.” Cosa avrebbe potuto “the gentleman in tweed”, come era scherzosamente soprannominato Blix, contro tanta talentuosa perfidia?

    Sentite, invece, la storia raccontata a chi scrive da uno di quegli agenti del MI6 (parte dei servizi britannici) che Blair ha definito "canaglia": "Arrivò [prima della guerra ndr] una richiesta di ulteriori informazioni su questi mezzi militari fotografati dal satellite. Noi dicemmo subito che non si trattava di laboratori biologici. Attivammo, comunque, un contatto per prendere delle foto ravvicinate. Quando queste arrivarono i pezzi furono subito individuati: erano dei Marconi." Questi Marconi sono sistemi costruiti dalla Marconi Command & Contol (azienda britannica) per la produzione di idrogeno e venduti all’Iraq circa venti anni fa. L'idrogeno serve a gonfiare sonde da artiglieria. "Fu con una certa sorpresa" - racconta sempre questa volenterosa canaglia - "vedere le immagini satellitari sui giornali di mezzo mondo. Quelle ravvicinate erano assai migliori." Stranamente continuano, invece, ad essere trasmesse le immagini dei militari britannici - in tute protettive - indaffarati ad ispezionare le apparecchiature trasportabili. Essi ci dicono che ancora presto per darci una risposta circa la natura di questi sistemi.


    Giuseppe Mascoli

    http://notizie.virgilio.it/news/focus/index.html
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  2. #2
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    Le verità nascoste su Kosovo e Iraq
    di Giuseppe Mascoli

    Tony Blair si trova oggi in grande difficoltà a causa di due dossier sulle armi di Saddam Hussein rivelatisi mendaci. Documenti falsi e storie inventate non sono una novità. Prima e durante l'intervento in Jugoslavia il "Foreign Office", per giustificare l'azione militare, riportò una serie di misfatti del regime di Belgrado rivelatisi poi dei clamorosi falsi. Allora, però, nessuno ne fece un caso.
    Che cosa è cambiato?

    Terminata la Seconda Guerra del Golfo il Primo Ministro britannico si è trovato a affrontare una serie di difficili e pressanti interrogativi circa il mancato ritrovamento di quella minaccia "imminente e concreta" che aveva costituito il casus belli dell'attacco all'Iraq. Dove sono le armi di distruzione di massa e dove sono i sistemi missilistici capaci di trasportarli? Sembra che al sorgere di tali quesiti, Alistair Campbell, il consigliere di Blair per le strategie di comunicazione, ad un allarmato Primo Ministro avesse detto: "Non ti preoccupare, queste armi di distruzione di massa finiranno con i 400mila desparecidos del Kosovo." Un chiaro riferimento ad una manipolazione propagandistica architettata per giustificare l'intervento in Jugoslavia nel 1999 e poi dimenticata una volta terminato il conflitto. Qualche ragione di ottimismo Campbell la poteva avere. Nell'imminenza dell'attacco alla Serbia 4 anni fa, una agenzia legata al Governo britannico rilasciò la notizia che un numero altissimo di mussulmani (possibilmente 400mila) erano stati massacrati dall'esercito serbo. Il primo ministro britannico tuonò: "Non è una esagerazione dire che quello che sta succedendo è un genocidio razziale. [...] qualcosa che speravamo non si sarebbe ripetuto in Europa." I paralleli con Hitler si moltiplicarono. Al campo di Tretcamine, ci informò la Nato, centinaia di corpi venivano sciolti in acido. Un tabloid commentò la notizia dicendo: "Questo nome [Tretcamine ndr] vivrà insieme a quelli di Belsen, Auschiwitz e Treblinka." Finita la guerra una commissione delle Nazioni Unite stabilì che a Tretcamine nessuno era morto o scomparso. Anche la storia dei 400mila massacrati si rivelò una invenzione. Oggi le agenzie umanitarie parlano di circa 2000 civili morti nel periodo che va dal 1998 al 1999 (cifra che include i civili serbi uccisi dai bombardamenti alleati, i combattenti del Kla, etc.). Terminata la guerra quasi nessuno si occupò delle inesattezze che erano state usate per motivare l'intervento in Kosovo. Nessuno, in parlamento, ne chiese conto al Primo Ministro. Fatta eccezione per il conservatore "The Spectator", la vicenda di questa contraffazione non trovò alcuna eco sulla stampa.

    Naturalmente l'armamentario propagandistico del governo britannico non si limitò alla storia dei 400mila desaparecidos e si fornì di tutti gli strumenti del caso: ideando trame di altri massacri, violenze, torture e fosse comuni. Una delle storie più clamorose fu la rivelazione da parte del ministero degli esteri circa l'esistenza di campi serbi adibiti alla violenza sessuale sistematica contro donne di etnia albanese.

    A Djakovica, secondo il Ministero degli Esteri, era stato impiantato un campo di stupro sistematico, "completando lo schema di brutalità iniziato dalle forze di Milosevic in Bosnia." "Le storie"- dichiarò il Ministro Cook - " Emergono poco alla volta perché queste giovani donne hanno difficoltà ad accettare l'esperienza subita." Non solo la stampa popolare si lanciò contro le atrocità del nuovo Hitler, ma anche i giornali di qualità fecero lo stesso. Il progressista "The Guardian" scrisse: "[...] C'è stato un unanime concordare ieri [dopo la rivelazione dell'esistenza dei "campi" nrd] che lo spettro delle violenze carnali sistematiche è tornato nei Balcani." A guardar bene, la storia poteva essere dubbia. In primo luogo avveniva il giorno dopo un'episodio che aveva creato grande imbarazzo ai paesi dell'Alleanza. Un treno di civili era stato colpito da aeri della coalizione facendo molte vittime. La storia dei campi di violenze carnali fece la parte del leone su televisione e giornali, oscurando quell'imbarazzante incidente. In secondo luogo l'Alto commissariato Onu per i rifugiati - l'organismo atto a monitorare quello che succedeva- negò ogni conoscenza circa l'esistenza dei campi di stupro asserendo che se la Gran Bretagna ne era a conoscenza l'informazione doveva venire da altre fonti, "forse da immagini satellitari." Sconfitta la Serbia, la storia del campo di Djakovica si rivelò una mera invenzione. Ma anche questa potenzialmente appetitosa storia circa una grossolana fabbricazione, sempre con l'eccezione dell'ottimo settimanale "The Spectator," fu ignorata dai mezzi di informazione. Così come molte altre invenzioni propagandistiche che, inevitabilmente, accompagnano ogni guerra, questa finì in quel dimenticatoio tanto agognato da Alistair Campbell. La guerra del Kosovo fu quindi un trionfo per la strategia informativa ideata dal governo Blair. Ora, però, con la Seconda Guerra del Golfo, le cose sembrano andare diversamente. Terminato il conflitto l'opinione pubblica non si è accomodata sui precetti di quel pudico oblio che aveva caratterizzato il dopoguerra balcanico. Al contrario, questo periodo è marcato da quotidiani attacchi al governo per i falsi dossier fatti sulle armi di distruzione di massa. Non passa giorno che qualche editorialista (dal popolare "Mirror" al colto "Independent") tenta di inchiodare il primo ministro ai suoi misfatti informativi. Contemporaneamente, un numero crescente di parlamentari chiede una indagine affidata al potere giudiziario -indagine che molto probabilmente porterebbe alle dimissioni del Primo Ministro. Come mai in uno scenario apparentemente simile al conflitto in Jugoslavia le cose sono andate differentemente?

    Molti hanno ipotizzato che la magnitudine dei raggiri ideati da Blair non poteva che portare a questo. Analizziamo le principali informazioni diramate dal governo per legittimare l'intervento in Iraq e ora sotto accusa. Queste sono state esternate in due fascicoli informativi. Dei due fascicoli uno era stato, per gran parte il prodotto di una ricopiatura di una tesi di laurea. Il governo si è arreso su questo e, ammettendo il proprio errore, lo ha rinnegato. L'altro -conosciuto come il dossier di settembre- conteneva tutte le motivazioni per il conflitto ed è ancora considerato valido dal governo britannico.

    Il 25 settembre scorso, presentando questo documento, Blair aveva dichiarato che l'Iraq era in possesso di:

    "Armi di distruzione di massa pronte per essere usate entro 45 minuti dall'ordine di dato."
    "Piani militari per l'uso di armi chimiche e Biologiche"
    "Sviluppato laboratori mobili per Uso militare"
    "Cercato di acquisire quantità rilevanti di uranio dall'Africa."
    "Ritenuto illegalmente 20 missili al-Hussein con un Raggio di 650 chilometri e capaci di trasportare testate chimiche e batteriologiche.
    "Nessuno di questi punti -a distanza di alcuni mesi dall'invasione dell'Iraq- è stato provato. Il punto 3 si è pure rivelato una imbarazzante errore: i laboratori militari non sono altro che dei mezzi trasportabili costruiti per la produzione di idrogeno (per sonde aerostatiche). Peraltro questa tecnologia era stata venduta degli stessi inglesi all'Iraq in un periodo precedente all'embargo. Il punto 4 anche è risultato non vero: il documento mostrato come prova di un tentativo di acquisto di uranio si è rivelato un falso creato dall'"intelligence" di qualche paese amico. Qualcuno ha descritto questo documento falso come la "pistola fumante" che dimostrerebbe la circonvenzione operata dal Primo Ministro ai danni del parlamento. Anche il punto 5 non ha trovato riscontro - e molti dubitano che tale arsenale missilistico possa essere nascosto nello "scantinato di qualche abitazione" come asserito dal Ministero della Difesa.
    Si è detto che una debacle di tali proporzioni basterebbe di per se a spiegare la fatidica reazione dell'opinione pubblica. D'altro canto, a ben guardare, né la quantità dei misfatti né la grossolanità di questi possono spiegare la prominenza che è stata data alle varie possibili falsificazioni prodotte dal governo Blair. Come si è visto, simili, se non addirittura più marchiane fabbricazioni furono fatte per giustificare la guerra contro la Serbia, senza poi affatto emergere come clamorose rivelazioni nelle pagine dei quotidiani, né tanto meno spingere una consistente fronda di parlamentari a chiedere una indagine giudiziaria. Per capire le ragioni di questo potenziale fallimento bisogna rifarsi al punto centrale dell'approccio informativo seguito dell'ufficio per la comunicazione creato da Blair: la "teoria dello specchio", molto in voga fra coloro che vengono definiti "dottori delle manipolazioni consensuali." Teoria che è presto spiegata. L'Inghilterra è un paese con una forte identità nazionale. Le colpe nazionali sono facilmente interiorizzate. Chi vuole percepire se stesso come aggressore o criminale? L'individuo magari resiste alle scelte del governo, ma una volta in ballo non vuole vedere la propria immagine macchiata da possibili misfatti e rifugge informazioni in tal senso. L'individuo si sente specchio della nazione. Il Nazionalismo, spiegano gli studiosi del comportamento politico, fra le motivazioni che portano consenso al gruppo dirigente in Gran Bretagna, è la più rilevante. Le elite che governano il paese traggono vantaggio da questo forte consenso beneficiando di un ampio margine di manovra. Tale situazione ha permesso alla Gran Bretagna di posizionarsi come l'alleato più affidabile degli Stati Uniti (gli altri stati europei non possono contare su un supporto nazionalista così fervente) e di raccogliere i benefici che ne conseguono. Questa volta, tuttavia, la gestione del consenso nel dopoguerra si è rivelata assai problematica. Per spiegare la peculiarità dell'attuale situazione va ricordato che le precedenti fasi postbelliche erano state tradizionalmente segnata da una forte crescita di gradimento per i premier belligeranti. La Thatcher indusse elezioni anticipate dopo la guerra delle Falkland, avvantaggiandosi della aumentata popolarità che ne derivò. Lo stesso Blair emerse con una popolarità incrementata dal dopo Kosovo. Oggi, invece, il grado di approvazione della politica estera del Primo Ministro crolla nei sondaggi demoscopici insieme a tutti gli altri indici (fiducia, capacità, etc.). Per di più le distorsioni fatte dal governo circa l'arsenale e la minaccia costituita dall'Iraq potrebbero influenzare negativamente il voto del 63% degli elettori secondo l'ultimo sondaggio della prestigiosa agenzia Yourgov.

    Che cosa non ha funzionato? Principalmente due motivi possono rendere comprensibile l'incepparsi dello sperimentato meccanismo bellico-consensuale.

    Il primo - che in parte può spiegare la pertinacia dei mezzi informativi - è costituito dalla Bbc. Durante il conflitto nei Balcani la Bbc aveva sofferto dei contraccolpi notevoli per aver preso per buone notizie da fonti governative, fonti poi rivelatesi del tutto inattendibili. Nella corporazione britannica si è arrivati alla Seconda Guerra del Golfo con una schiera di giornalisti determinati a non commettere l'errore del Kosovo. Probabilmente i ragguagli totalmente inventati che furono dati, nel corso della guerra contro la Jugoslavia, come da "fonti certe" ai giornalisti dell'emittente britannica hanno avuto un effetto retroattivamente controproducente: ogni notizia di fonte governativa è stata guardata con forte scetticismo durante il recente conflitto. C'è stata una ventata d'orgoglio nella Bbc - descritta dal ministero della difesa come "Un cavallo che scarta." Difatti, in relazione al Kosovo, la copertura della guerra in Iraq è stata largamente meno determinata dall'influito governativo. Questo atteggiamento della Bbc ha poi avuto un effetto a catena su altri canali di informazione.

    Il secondo elemento - che in gran parte può chiarire la reazione potenzialmente negativa dell'elettorato - è stato il problema dell'orgoglio nazionale. Nella guerra del Kosovo l'Inghilterra si presentò come la nazione più decisa. Sui giornali circolarono voci circa la determinazione britannica, rispetto ad una prudenza eccessiva degli Stati Uniti (uno stratagemma propagandistico già sperimentato con successo dalla signora Thatcher durante la Prima Guerra del Golfo). Ci fu addirittura una polemica riportata, ma mai verificata, fra la posizione Usa e quella di Blair che voleva una strategia più forte con l'uso di truppe terrestri ed una invasione a pieno campo della Serbia. L'impressione che si riuscì a dare fu che lo scritto di quella guerra era stato redatto, se non proprio a Londra, sicuramente non a Washington. Una guerra orchestrata dagli europei, con un forte apporto britannico. Un giornale popolare di grande circolazione scrisse: "E'una guerra forse riprovevole, ma è la nostra guerra." L'elemento nazionalista funzionò efficacemente. Nell'Iraq, invece, c'è stata la complicazione rappresentata dal fattore Bush. Mentre era possibile apparire più falchi di Bill Clinton, non è stato possibile al primo ministro presentare una facciata di maggior determinazione bellicista dell'attuale amministrazione statunitense. L'intenzione, più volte ribadita dalla Casa Bianca, di agire, anche da soli non ha lasciato dubbi che a prendere le decisioni era il potente alleato. Concetto limpidamente espresso dal Ministro della difesa statunitense Donald Rumsfield, il quale alla vigilia delle ostilità si è premurato di affermare che se l'Inghilterra volava partecipare al conflitto era la benvenuta, ma che se ne poteva fare a meno. Con l'ascesa dei neoconservatori sono finite le simulazioni diplomatiche (quando gli alleati venivano definiti "essenziali", "necessari" e "vitali") e le conseguenti lungaggini che ne conseguivano. Il messaggio oltreoceano è stato chiaro: facciamo da soli e chi vuole unirsi a noi e benvenuto (ma certamente non indispensabile).

    Questo ha messo Blair in situazione difficile e lo ha portato a rivelare - cambiando la strategia comunicativa seguita in Kosovo - un ragionamento realista. Ragionamento che egli ha, nel suo cruciale discorso in parlamento per ottenere il mandato per l'entrata in guerra della Gran Bretagna, così esposto: "Se questo parlamento vota no, non è che si evita la guerra, la guerra si fa lo stesso." Questa concretezza è stata il perno della strategia persuasiva di Blair, una volta che questi ha dovuto abbandonare la rappresentazione del Regno Unito come nazione più decisa ed essenziale. Il discorso di Blair alla nazione è stato quanto mai chiaro: entriamo nel conflitto (inevitabile perché deciso da Washington) così almeno avremo la possibilità di influenzare il nostro forte alleato. Stare al di fuori non cambierebbe il corso degli eventi e precluderebbe al Regno Unito ogni possibilità di influenzare le scelte dell'amministrazione Usa. Tale argomentazione, assai veritiera, delucida uno dei punti fondamentali che hanno portato il premier alla decisione di entrare in guerra a fianco degli Stati Uniti. Il problema è che il credito che la nazione è disposta a dare emotivamente ad un premier belligerante è intriso di orgoglio nazionale. L'immagine di una forza subalterna, seppur intelligente, mal si concilia con tale orgoglio. Negli ambienti che studiano le occulte scienze del "comportamento politico" e del "comportamento elettorale" è quasi unanime la percezione che la strategia di comunicare un approccio realistico è stata disastrosa. Va però detto che le dichiarazioni unilaterali di Bush hanno precluso al premier britannico la strategia comunicativa seguita in Kosovo: una narrazione che raccontava di un ruolo guida, di una nazione con le redini del mondo in mano, e le conseguenti onerose responsabilità. Ove un approccio comunicativo di questa sorta fosse stato possibile nel recente intervento in Iraq, molto probabilmente, le storie circa le fabbricazioni governative sulle armi nucleari, sui laboratori mobili, sui missili capaci di portare armi batteriologiche etc. sarebbero tutte cadute in dimenticanza per orgoglio nazionale. Sarebbero finite nel dimenticatoio della storia, insieme ai 400mila scomparsi del Kosovo, così come si augurava Campbell. Invece, senza questo amor patrio, Blair rischia di crollare sotto il peso di una crescente scontentezza.

    Paradossalmente, quindi, Blair potrebbe cadere non per le falsificazioni prodotte dal suo governo, ma per la verità che, spinto dalla ruvida franchezza della attuale amministrazione statunitense, ha rivelato ai cittadini del regno. Cittadini famosi per le disciplinate file alle fermate degli autobus, ma poco disposti ad ammettere la realtà che il primo ministro ha loro palesato: oggi essi non possono che accodarsi alla locomotiva bellica dei potenti cugini americani.

    Giuseppe Mascoli


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