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  1. #1
    Affus
    Ospite

    Predefinito Si calcola che non meno di dieci milioni di tedeschi siano stati

    Da un articolo di Shlomo Avineri, professore di scienze politiche
    all'Universita' di Gerusalemme ( é di sinistra)
    22 luglio 2003

    L'atmosfera non poteva essere piu' tranquilla. Un vecchio castello
    sulle colline di Taunus, vicino a Francoforte. Un convegno annuale,
    sotto l'egida di una fondazione tedesca, con la partecipazione di
    politici e uomini di governo: europei, americani, israeliani,
    iraniani, egiziani, turchi, palestinesi e tunisini tutti insieme,
    gomito a gomito, a discutere i problemi del Medio Oriente. Con la
    presenza in piu', quest'anno, di rappresentanti dall'Iraq post- Saddam, tra i quali esponenti del governo regionale curdo e
    importanti esponenti sciiti. Al centro dell'attenzione,
    naturalmente, la situazione in Iraq e la Road Map per la pace in
    Medio Oriente. Tra i relatori, un importante ministro tedesco,
    personalmente impegnato sulla questione, che durante la sessione
    d'apertura tratta i temi in agenda con molta competenza e molta
    sensibilita' verso le preoccupazioni sia dei palestinesi che degli
    israeliani. La serata procede secondo linee prevedibili fino a
    quando un accademico libanese solleva la questione del diritto dei
    profughi palestinesi al ritorno in Israele.
    Il ministro tedesco ascolta attentamente, poi dice: "Si tratta di
    una questione che noi tedeschi conosciamo bene. Chiedo ai miei
    colleghi tedeschi presenti in sala di alzare la mano se loro, o i
    loro famigliari, sono profughi dall'Europa orientale". Dopo qualche
    attimo di silenzio (il tema in Germania e' considerato quasi
    imbarazzante, carico di implicazioni politiche e morali), lentamente
    le mani iniziano a levarsi. Secondo il conto che ho fatto
    personalmente, piu' della meta' dei tedeschi presenti (politici,
    funzionari, giornalisti, uomini d'affari) hanno alzato la mano:
    loro, o i loro famigliari, sono stati espulsi alla fine della
    seconda guerra mondiale dalle terre dove avevano vissuto per secoli
    in Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Jugoslavia.
    Si calcola che non meno di dieci milioni di tedeschi siano stati
    espulsi in quel periodo. Con i discendenti, il numero e' almeno
    raddoppiato ed oggi rappresentano un tedesco ogni quattro.
    Nel silenzio generale, il ministro tedesco ha ripreso la parola. Lui
    stesso, ha spiegato, e' nato in Europa orientale da dove la sua
    famiglia e' stata cacciata sull'onda dei sentimenti anti-tedeschi
    che dominavano subito dopo il 1945. "Ma ne' io, ne' alcuno dei miei
    colleghi - ha aggiunto - pretendiamo il diritto di tornare indietro.
    Proprio per questo io posso visitare la mia antica terra natale e
    incontrare la gente che oggi vive nella casa in cui sono nato:
    perche' essi non si sentono minacciati, sanno che io non voglio
    espropriarli ne' cacciarli dalla loro casa". Il ministro ha
    continuato spiegando che la pace, oggi, in Europa e' radicata
    esattamente in questo concetto. Se i paesi dell'Europa orientale
    pensassero che milioni di persone di lingua e cultura tedesca
    vogliono tornare nelle terre da cui vennero cacciati, "la cortina di
    ferro non sarebbe mai caduta".
    E' stata una risposta molto commovente, anche se i rappresentanti
    arabi presenti hanno deciso poi di ignorarla completamente. E' stata
    l'espressione precisa del contesto in cui la questione dei profughi
    palestinesi del 1948 andrebbe considerata. Come ha ricordato quel
    ministro tedesco, la vicenda dei profughi palestinesi conosce
    parecchi casi analoghi nella storia recente. Chiunque oggi sostenga
    che i palestinesi hanno diritto, in linea di principio, a tornare in
    Israele deve rispondere alla domanda: e perche' non i milioni di
    tedeschi cacciati dalle loro case in Europa orientale dopo il 1945?
    Il ministro tedesco ha gia' dato la sua risposta.
    Di piu'. Se un governo tedesco, durante i negoziati del 1990 per la
    riunificazione della Germania, avesse insistito sul fatto che tutti
    i tedeschi espulsi dalla Polonia e dalla Cecoslovacchia debbano
    avere, in linea di principio, il diritto a tornare in quei paesi,
    avrebbe fatto capire a tutti che la vera intenzione della Germania
    Occidentale non era la semplice riunificazione, ma quella di
    dissolvere le conseguenze della sconfitta della Germania nazista nel
    1945. Ed e' proprio questo il significato della pretesa palestinese
    di un diritto al ritorno. L'insistenza dei palestinesi sul diritto
    al ritorno nei negoziati a Camp David e a Taba nel 2000/2001 ha
    fatto capire alla maggior parte degli israeliani che l'intenzione
    non e' quella di dissolvere le conseguenze del 1967 [occupazione di
    Cisgiordania e Gaza], bensi' di dissolvere le conseguenze del 1948
    [nascita di Israele]. A quel tempo, va ricordato, gli arabi
    palestinesi e quattro stati arabi membri delle Nazioni Unite mossero
    guerra non solo contro Israele, ma contro la legittimita'
    internazionale e un piano delle Nazioni Unite che prevedeva due
    stati [nell'ex Palestina mandataria]. Questo e' cio' che fecero i
    paesi arabi, anche se adesso evidentemente preferiscono
    dimenticarselo.
    E' chiaro che la questione dei profughi implica gravi problemi
    umanitari. Che la sofferenza dei palestinesi si sia combinata per
    mezzo secolo con l'uso che dei profughi hanno fatto i paesi arabi
    come pedine politiche da' la misura del cinismo e dell'immoralita'
    di quella politica araba. Ma i problemi umanitari dei profughi ci
    sono e sono gravi, e il ministro tedesco ne ha parlato
    esplicitamente, con riferimento sia a quelli palestinesi che a
    quelli tedeschi. Ma sul piano politico ha messo le cose bene in
    chiaro: un ritorno dei profughi, nel caso tedesco come nel caso
    palestinese, sarebbe una ricetta sicura per l'instabilita', se non
    addirittura per la guerra.

    (Jerusalem Post, 17.07.03)

  2. #2
    Affus
    Ospite

    Predefinito Re: Si calcola che non meno di dieci milioni di tedeschi siano stati

    In origine postato da Affus
    Da un articolo di Shlomo Avineri, professore di scienze politiche
    all'Universita' di Gerusalemme ( é di sinistra)
    22 luglio 2003

    L'atmosfera non poteva essere piu' tranquilla. Un vecchio castello
    sulle colline di Taunus, vicino a Francoforte. Un convegno annuale,
    sotto l'egida di una fondazione tedesca, con la partecipazione di
    politici e uomini di governo: europei, americani, israeliani,
    iraniani, egiziani, turchi, palestinesi e tunisini tutti insieme,
    gomito a gomito, a discutere i problemi del Medio Oriente. Con la
    presenza in piu', quest'anno, di rappresentanti dall'Iraq post- Saddam, tra i quali esponenti del governo regionale curdo e
    importanti esponenti sciiti. Al centro dell'attenzione,
    naturalmente, la situazione in Iraq e la Road Map per la pace in
    Medio Oriente. Tra i relatori, un importante ministro tedesco,
    personalmente impegnato sulla questione, che durante la sessione
    d'apertura tratta i temi in agenda con molta competenza e molta
    sensibilita' verso le preoccupazioni sia dei palestinesi che degli
    israeliani. La serata procede secondo linee prevedibili fino a
    quando un accademico libanese solleva la questione del diritto dei
    profughi palestinesi al ritorno in Israele.
    Il ministro tedesco ascolta attentamente, poi dice: "Si tratta di
    una questione che noi tedeschi conosciamo bene. Chiedo ai miei
    colleghi tedeschi presenti in sala di alzare la mano se loro, o i
    loro famigliari, sono profughi dall'Europa orientale". Dopo qualche
    attimo di silenzio (il tema in Germania e' considerato quasi
    imbarazzante, carico di implicazioni politiche e morali), lentamente
    le mani iniziano a levarsi. Secondo il conto che ho fatto
    personalmente, piu' della meta' dei tedeschi presenti (politici,
    funzionari, giornalisti, uomini d'affari) hanno alzato la mano:
    loro, o i loro famigliari, sono stati espulsi alla fine della
    seconda guerra mondiale dalle terre dove avevano vissuto per secoli
    in Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Jugoslavia.
    Si calcola che non meno di dieci milioni di tedeschi siano stati
    espulsi in quel periodo. Con i discendenti, il numero e' almeno
    raddoppiato ed oggi rappresentano un tedesco ogni quattro.
    Nel silenzio generale, il ministro tedesco ha ripreso la parola. Lui
    stesso, ha spiegato, e' nato in Europa orientale da dove la sua
    famiglia e' stata cacciata sull'onda dei sentimenti anti-tedeschi
    che dominavano subito dopo il 1945. "Ma ne' io, ne' alcuno dei miei
    colleghi - ha aggiunto - pretendiamo il diritto di tornare indietro.
    Proprio per questo io posso visitare la mia antica terra natale e
    incontrare la gente che oggi vive nella casa in cui sono nato:
    perche' essi non si sentono minacciati, sanno che io non voglio
    espropriarli ne' cacciarli dalla loro casa". Il ministro ha
    continuato spiegando che la pace, oggi, in Europa e' radicata
    esattamente in questo concetto. Se i paesi dell'Europa orientale
    pensassero che milioni di persone di lingua e cultura tedesca
    vogliono tornare nelle terre da cui vennero cacciati, "la cortina di
    ferro non sarebbe mai caduta".
    E' stata una risposta molto commovente, anche se i rappresentanti
    arabi presenti hanno deciso poi di ignorarla completamente. E' stata
    l'espressione precisa del contesto in cui la questione dei profughi
    palestinesi del 1948 andrebbe considerata. Come ha ricordato quel
    ministro tedesco, la vicenda dei profughi palestinesi conosce
    parecchi casi analoghi nella storia recente. Chiunque oggi sostenga
    che i palestinesi hanno diritto, in linea di principio, a tornare in
    Israele deve rispondere alla domanda: e perche' non i milioni di
    tedeschi cacciati dalle loro case in Europa orientale dopo il 1945?
    Il ministro tedesco ha gia' dato la sua risposta.
    Di piu'. Se un governo tedesco, durante i negoziati del 1990 per la
    riunificazione della Germania, avesse insistito sul fatto che tutti
    i tedeschi espulsi dalla Polonia e dalla Cecoslovacchia debbano
    avere, in linea di principio, il diritto a tornare in quei paesi,
    avrebbe fatto capire a tutti che la vera intenzione della Germania
    Occidentale non era la semplice riunificazione, ma quella di
    dissolvere le conseguenze della sconfitta della Germania nazista nel
    1945. Ed e' proprio questo il significato della pretesa palestinese
    di un diritto al ritorno. L'insistenza dei palestinesi sul diritto
    al ritorno nei negoziati a Camp David e a Taba nel 2000/2001 ha
    fatto capire alla maggior parte degli israeliani che l'intenzione
    non e' quella di dissolvere le conseguenze del 1967 [occupazione di
    Cisgiordania e Gaza], bensi' di dissolvere le conseguenze del 1948
    [nascita di Israele]. A quel tempo, va ricordato, gli arabi
    palestinesi e quattro stati arabi membri delle Nazioni Unite mossero
    guerra non solo contro Israele, ma contro la legittimita'
    internazionale e un piano delle Nazioni Unite che prevedeva due
    stati [nell'ex Palestina mandataria]. Questo e' cio' che fecero i
    paesi arabi, anche se adesso evidentemente preferiscono
    dimenticarselo.
    E' chiaro che la questione dei profughi implica gravi problemi
    umanitari. Che la sofferenza dei palestinesi si sia combinata per
    mezzo secolo con l'uso che dei profughi hanno fatto i paesi arabi
    come pedine politiche da' la misura del cinismo e dell'immoralita'
    di quella politica araba. Ma i problemi umanitari dei profughi ci
    sono e sono gravi, e il ministro tedesco ne ha parlato
    esplicitamente, con riferimento sia a quelli palestinesi che a
    quelli tedeschi. Ma sul piano politico ha messo le cose bene in
    chiaro: un ritorno dei profughi, nel caso tedesco come nel caso
    palestinese, sarebbe una ricetta sicura per l'instabilita', se non
    addirittura per la guerra.

    (Jerusalem Post, 17.07.03)
    battiamoci pure per il ritorno dei tedeschi in polonia......
    noi della destra siamo imparziali e non faziosi come i comunisti

 

 

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