Sessanta. Sono sessanta le donne alle quali la Lega ha voluto negare la possibilità di accedere ai due anni di indulto e alla sospensione dell’espulsione dall’Italia. Sessanta madri di cui quindici incinta. Con un emendamento presentato dal centro-sinistra insieme a Verdi, Rifondazione e Comunisti italiani, si chiedeva che l’espulsione prevista dalla legge sull’immigrazione Bossi-Fini, non fosse automatica per le detenute madri che - seppur sottoposte, una volta rimesse in libertà, alle prescrizioni previste dal cosiddetto indultino - avessero “compiuto un percorso di ravvedimento comprovato da operatori sociali competenti”. O nel caso in cui i bambini fossero risultati “inseriti in un percorso scolastico e nella realtà sociale e territoriale” .

Ma anche se le mamme avessero un regolare contratto di lavoro o un domicilio stabile anche in case di accoglienza. Si trattava, dunque, di dare la possibilità a quelle sessanta madri straniere di poter restare nel nostro paese se le loro condizioni fossero tali da far presupporre un’inserimento nel tessuto della società italiana. E non è tutto. «A parte l’ingiustizia per la disparità di trattamento tra cittadini italiani e non - spiega Lillo Di Mauro, presidente della Consulta penitenziaria - il problema per queste donne è che avevano già cominciato da tempo un percorso di recupero e alcune cooperative o associazioni di assistenza sociale avevano investito in loro. Oggi con la Bossi-Fini - prosegue Di Mauro - gli stranieri detenuti vengono esclusi da ogni percorso di reinserimento visto che a fine pena vengono automaticamente espulsi dal paese.

Ma la nuova legge sull’immigrazione è relativamente recente, quindi quelle poche madri detenute avevano già cominciato quei percorsi. Tanto che proprio la Cooperativa Cecilia, con cui lavoro per esempio, aveva iniziato a seguire una detenuta straniera quando ancora era in carcere. La donna, una ragazza latino-americana, aveva seguito un corso di formazione, pagato peraltro dal Ministero di Giustizia, e in seguito aveva iniziato a lavorare per noi. Poi è arrivata l’espulsione. A questo punto ci domandiamo: qual è il modello di famiglia che tanto questo governo intende sostenere? Non gli stranieri, non i conviventi, né gli omosessuali. Solo la famiglia di pura razza italica?». È probabile.

Ma tant’è che la Lega quell’emendamento l’ha fatto cancellare. Motivo. Perché si devono favorire le donne già condannate, dunque, più disoneste, rispetto a quelle semplicemente fermate per strada ed espulse immediatamente? «Si devono favorire le detenute madri perché hanno una specificità - risponde il verde Paolo Cento, uno dei firmatari di quell’emendamento - Devono essere privilegiate perché si trovano in una condizione di specificità che riguarda anche una seconda persona: il figlio. Anche tra le detenute italiane ci sono norme, come la custodia attenuata o il differimento della pena, che favoriscono le detenute madri, evidentemente la Lega non le conosce. La scelta del governo di penalizzarle è coerente con la Bossi-Fini e con le ragioni estremiste che l’hanno caratterizzata».

A dire il vero di argomenti a sostegno di quell’emendamento ce ne sarebbero altri. Per Katia Bellillo, PdCi, anch’essa firmataria, «la maggior parte delle detenute straniere sono in carcere per prostituzione - quasi sempre coatta - e non per reati gravi. È una questione di umanità dar loro una possibilità di recupero ed evitare, come spesso succede, che tornino nei paesi di origine e vengano sottoposte - magari a causa della presenza di figli nati fuori dal matrimonio - come nel caso delle nigeriane, a torture o maltrattamenti».