......un momento di unità nazionale.

Le commissioni d’inchiesta? “Tas de canailles sans vergogne ni entrailles”, s’indigna Andrea Manzella con Flaubert.
Ma il povero Lamartine strapazzato dal grande Gustave meritava meglio di queste ingiurie, e così le commissioni d’inchiesta, di questi tempi divenute loro malgrado un’utile valvola di sfogo. A ricordarcelo è l’ennesimo pronunciamento, o più nobilmente, grande remontrance, del Consiglio superiore della magistratura che, quanto a rispetto del bon ton istituzionale, non è che abbia lezioni da impartire.
La divisione dei poteri e il gentlemen’s agreement sono saltati – ahimé – da un pezzo e questo il professor Manzella lo sa bene,
poiché il suo diritto costituzionale non è affatto libresco ma vive di lunghi apprendistati sul campo e ai massimi livelli.
L’irruzione del giustizialismo nell’arena della politica, tra l’acquiescenza e la complicità di troppi, ha inferto lesioni
tutt’altro che rimarginate. Di qui, le commissioni d’inchiesta, assurte faute de mieux a contrappeso in una Costituzione non da oggi pesantemente squilibrata e ipotecata. Ecco perché non posso essere d’accordo quando il professor Manzella sostiene che le commissioni d’inchiesta debbano esprimere necessariamente un “momento di unità istituzionale”. Certo sarebbe meglio che ciò avvenisse, come è in effetti accaduto in passato, come giustamente ci ricorda. Ma da qui a dire che questo rappresenti una “condizione di procedibilità” ne corre parecchio. Trepido un po’ a contraddire un illustre docente sui cui libri di diritto parlamentare e costituzionale ho studiato
tra i banchi dell’università. Ma, sommessamente e rispettosamente, debbo dirgli che l’idea di un diritto di veto assoluto dell’opposizione sulla creazione delle commissioni
d’inchiesta che non sono di suo gradimento non sta né in cielo né in terra. Se l’opposizione non intende partecipare ai lavori, affari suoi; ma la commissione può senz’altro partire.
Altra questione, e su questo siamo credo tutti d’accordo, è la perimetrazione della missione delle commissioni. Queste non
possono tracimare in ambiti che, secondo la lettera della Carta, appartengono ad altri organi. Non devono in altre parole arrogarsi
una sorta di potere di avocazione e surrogazione di attribuzioni che si ritiene siano state male esercitate da altre istituzioni.
Lo scopo fondamentale di queste commissioni è un altro: ossia riconciliare con il proprio passato quella parte di opinione pubblica che stenta a riconoscersi nella ricostruzione storica del decennio 1993-2003 propinata come vulgata moralista inappellabile.

Ricostruzione dell’identità nazionale
E’ un’opera di verità e di ricostruzione dell’identità nazionale che si impone oggi come non mai, pena una spaccatura insanabile nel paese. Storici e intellettuali non hanno risposto all’appello e anzi hanno avallato i pregiudizi correnti. Tradendo così la loro investitura che non è quella di libellisti di parte e per lo più di terz’ordine.
Un aneddoto è istruttivo al riguardo. Dopo il 1919 gli storici tedeschi, conservatori e socialdemocratici, si impegnarono in una poderosa opera di ricerca documentale per sfatare il mito, iscritto a lettera d’infamia nel trattato di Versailles, che la “colpa” storica
della Grande guerra ricadesse sulla sola Germania: la Schuldfrage.
Ora a parte l’ottimo “Mattia nel Terrore” sul Foglio, ben pochi hanno osato ricostruire eventi su cui aleggia ancora una spessa cappa di ambiguità, di sospetti, di recriminazioni. E poi c’è la magistratura alla quale la storia non basta narrarla, nelle sue prolisse ed edificanti motivazioni: vuole scriverla da protagonista,
animata dal tipico furore iconoclasta di chi si ritiene depositario del Verbo.
La pensavano così anche quei giudici della Repubblica di Weimar che invocavano il diritto naturale per osteggiare una legislazione
che disapprovavano. Purtroppo è andata a finire male per tutti.
Mi chiedo allora: è davvero esigere troppo provare ad alzare qualche velo? Senza interferenze e senza intimidazioni, certo.
Ma con la legittima curiosità di chi ha diritto di sapere e di ottenere qualche risposta.
Magari poi per concludere con un rassicurante e pacificatorio: tanto rumore per nulla. Non è detto in effetti che i sospetti siano fondati, e questo senza bisogno di citare una frase inutilmente storica, ossia che chi non ha scheletri negli armadi nulla ha da temere.
Ricercare l’unità istituzionale? Perché no. Purché gli uni esercitino
l’arte della moderazione, nella quale non eccellono, e gli altri accettino un confronto leale, senza ipocrisie. Lasciando per un po’ tranquilla la Costituzione.
Stefano Mannoni

su il Foglio

saluti