CRISTIANI GARANTI DELLA LAICA EUROPA

di GIAN FRANCO SVIDERCOSCHI

E ALLORA, la Chiesa dovrebbe stare zitta? Il Papa e i cardinali dovrebbero smetterla con le loro proteste, con le loro recriminazioni, e preoccuparsi più di raggiungere il cuore degli uomini che non di ottenere un qualche richiamo al cristianesimo nella futura Costituzione europea?
C'è da restare allibiti, nel leggere le critiche anche di una certa stampa moderata a Giovanni Paolo II e proprio di recente al cardinale Tettamanzi, per aver essi rivendicato il nesso inscindibile che esiste tra la fede cristiana e la storia del continente europeo.
Fosse solo una questione di agnosticismo, o di disinteresse, verso il ruolo di Chiese e di religioni nella società, si potrebbe anche considerare eccessiva quella che è stata definita una «ripresa della tradizionale lamentazione ecclesiastica».
Ma le cose non stanno esattamente così.
Cancellato ogni riferimento a Dio, alle origini cristiane del continente, alla rilevanza giuridica e istituzionale delle Chiese, si sta rischiando di fare dell'integrazione europea una casa senza fondamenta, senza una identità. Insomma, una opzione solamente economica e monetaria. Anzi, peggio, solo un «mercato».
E forse che ciò non dovrebbe preoccupare? È a dir poco incredibile la differenza tra oggi e il 1975, quando venne sottoscritto l'Atto di Helsinki. A quel tempo, l'impero sovietico si opponeva con successo agli Stati Uniti, mezza Europa era ancora sotto il giogo comunista. E tuttavia le Chiese riuscirono a strappare a Mosca importanti concessioni in tema di diritti umani, di libertà di coscienza. Mentre oggi, con la democrazia che regna dappertutto nel continente, le Chiese corrono il pericolo di venir emarginate.
C'è dunque un «filo» logico, un progetto comune, che va dalla Carta dei diritti alla elaborazione della Costituzione.
E non si tratta soltanto del neo-giacobinismo di certi politici europei, specialmente francesi, né della interpretazione così ideologizzata che essi danno conseguentemente della laicità.
Al fondo, infatti, sembra esserci la volontà di costruire una società radicalmente diversa, impostata sulla razionalità, e dove perciò non ci saranno più valori assoluti. E il cristianesimo verrà relegato nella sfera privata, e impedito praticamente di avere una incidenza sociale, una «voce», un qualche influsso nelle decisioni che contano.
Si potrebbe parlare di un nuovo Illuminismo. Ma - e qui sta appunto l'aspetto più inquietante, più minaccioso, eppure così poco considerato - un Illuminismo contaminato dal relativismo etico, e dunque sganciato da quei grandi valori morali che avevano esaltato la persona umana, la sua dignità, i suoi diritti; e che più tardi i padri fondatori dell'unificazione europea - Schuman, Adenauer e De Gasperi - giudicarono niente affatto incompatibili con l'eredità cristiana, lanciando così un ponte fra tradizioni rimaste per secoli in conflitto.
Ed ecco perché è indispensabile che questa eredità cristiana continui a far da pietra angolare dell'Europa. Come testimonianza della sua storia, del suo passato glorioso; ma anche come garanzia di un futuro nel segno della solidarietà, della partecipazione, della tolleranza e di una autentica laicità.
Sarebbe davvero assurdo che, proprio nel momento in cui si avverte più fortemente il bisogno della loro azione per promuovere il rispetto reciproco e la riconciliazione tra i popoli, le Chiese e le religioni venissero ignorate. O, peggio, venissero impedite di operare, di compiere la loro missione.

Il Tempo, giovedì 21 agosto 2003