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Discussione: il coraggio

  1. #1
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    Thumbs up il coraggio

    A Parigi la bella storia della Azimi. Prima gara per lei
    Non sapeva che fare: "I talebani mi hanno chiusa in casa"
    I 100 metri lentissimi di Lima
    l'afgana che nessuno ha aiutato
    dal nostro inviato MANUELA AUDISIO


    Lima Azimi

    PARIGI - Stava lì, ferma. Ai blocchi dei cento metri. Le altre esibivano tute spaziali, sguardi aggressivi, glutei d'acciao. Lei invece era una tartarughina impacciata, che non sapeva dove mettere piedi e mani. Aveva addosso i pantaloni della tuta, di quelli vecchi, un po' lanuginosi. Con una maglia grigia enorme. Senza sponsor, senza scritte. La sola ad essere coperta, a non mostrare le gambe, a chinare gli occhi.

    Un fagottino impaurito. Simbolo del futuro, della donna musulmana che si mette a correre. Ma anche del passato, di quello che fa la guerra quando ti lascia vivo, ma privo di mezzi, di cultura, d'informazione. Era una batteria importante la sua: con la velocissima americana Kelli White e con una signora dell'atletica, Marlene Ottey, 43 anni. Ma per lei, Lima Azimi, in corsia numero 2, era la prima volta. Non le era mai capitato in 22 anni di stare a braccia e a testa scoperta. In Afghanistan se sei donna, non usa. Anche se le cose sono cambiate. Ma solo un po'.

    Lima non sapeva come ci si mette nei blocchi, non li aveva mai visti. Perché lei gioca a pallavolo. E nemmeno uno stadio così pieno, aveva mai visto. "Durante il regime dei Talebani non potevo uscire da sola, dovevo essere sempre accompagnata, altrimenti erano guai. Così sono stata prigioniera in casa, a leggere sempre lo stesso libro".

    Ma la corsa non poteva partire, se lei non si sistemava sui blocchi. Allora prima si è mosso un giudice: "Cara, devi allargare le mani e metterle qui e dovresti anche toglierti i pantaloni". Ma niente da fare, lei insisteva nel non capire. Allora si è mosso un altro giudice: "Cara, i piedi vanno qui, dai che ce la fai". E lei che si sprofondava nella vergogna, che non sapeva più dove guardare.
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    Figurarsi come ti senti, se non hai mai corso i cento metri, se ti hanno comprato le scarpe la sera prima, "io avevo solo quelle dell'allenamento", se non sei mai andata all'estero, se tuo padre prima di lasciarti andare è andato a fare un sopralluogo nel paese perché non si sa mai che razza di marziani trovi, se hai tutti gli occhi del mondo addosso. Chi è quell'imbranata? Chiedevano intanto le altre.

    Quelle che sanno mettere in fretta mani piedi e aghi nel posto giusto, quelle che anche alle dieci di sera corrono con gli occhiali da sole per far piacere allo sponsor, quelle che si fanno i capelli colorati strani per piacere allo spettatore, che non vivono al villaggio perché nelle stanze non c'è la tv e l'aria condizionata, che si fanno i tatuaggi in posti strani per avere un'altra inquadratura, che sbavano per avere l'ultimo modello della scarpetta ultratecnologica.

    Sarebbe stato bello se una vecchia signora dello sprint come la Ottey che ha partecipato a tutte le edizioni dei mondiali (tranne a Siviglia nel '99, dove scontò una squalifica per doping), avesse mosso il suo stupendo sedere per andare a dare un aiuto a una ragazza musulmana che viene dall'Afghanistan e che crede che lo sport sia ancora un gioco dove c'è il tempo per un abbraccio e per la solidarietà. Proprio lei, Merlene, che è nera, che ha sofferto la discriminazione, la povertà, il disagio di chi si sente sempre nella corsia sbagliata.

    Sarebbe stato favoloso se anche le altre concorrenti avessero perso qualche secondo con un'asina che non correrà mai veloce, ma che è stata costretta da un governo fatto da uomini, a non partecipare in maniera indipendente alla vita. Avrebbe voluto dire che quest'atletica è anche capace di ricordare i traumi, le difficoltà, la disgrazie del mondo. E di farsene carico, almeno per un secondo. E invece ci hanno pensato i giudici.

    Perché la Ottey che ha lasciato il suo paese, la Giamaica, per correre con la maglia della Slovenia era troppo preoccupata della sua disastrosa partenza, perché le altre erano troppo concentrate su se stesse, sull'occasione da non perdere, sui contratti da far fruttare. Non ci poteva essere tempo per spiegare a Lima, che non hai corso all'aperto e che ha le unghie della mano sinistra colorate d'argento, "perché la religione dice che la destra deve essere pulita" come si scatta ai blocchi.

    Perché quest'atletica non sa più leggere le avversarie, non sa rispettarle, ma al massimo deridere i somari che vengono da un altro mondo, quasi fossero animali in via d'estinzione. Così le altre sono partite a razzo e lei trotterellando, con quella vecchia tuta enorme che sapeva di baule e di film in bianco e nero. E faceva venire un po' in mente la portabandiera dell'Iran, Linda Fariman, che ai Giochi del '96 ad Atlanta aveva sfilato tutta incappucciata e invisibile. È arrivata Lima quando le altre erano già negli spogliatoi. Ultima con 18''37. Nessuna delle concorrenti naturalmente s'è fermata sul traguardo ad aspettarla.

    Due anni fa ai mondiali di Edmonton tutti si erano messi a ridere davanti a un ciccione samoamo di nome Trevor Misapeka. Anche lui, privo di sponsor, arrivato ai mondiali in auto guidando dalla California. Doveva gareggiare nel peso, invece finì nei cento. La ciccia di Trevor non entrava nei blocchi. Lui stesso non sapeva se sarebbe riuscito ad alzarsi. "Mi domandavo se avessero sparato o urlato solo 'Go'. La mia più grande preoccupazione era quella di non finire subito a faccia in giù".

    Corse, per modo di dire, in 14''28. Suo padre che aveva un bar sulla West Coast disse che l'ultima volta che Trevor è stato così rapido fu quando cercava qualcosa da mettere sotto i denti. "Faccio il fornaio, mio figlio viene a trovarmi e mangia. Il suo unico lavoro è quello d'ingoiarsi i profitti".

    Aveva fatto sorridere ai Giochi di Sydney anche l'africano Moussambani, che quasi affogò nella piscina in un mare di schizzi, perché era la prima volta che finiva in acqua per una gara. E come disse appena riuscì a sputare i litri di cloro che s'era bevuto: "Da noi nell'acqua ci stanno i coccodrilli". Sempre ad Edmonton nel 2001 la tv regalò molti primi piani a una signora che marciava con un'andatura da vecchia zia. Otto volte doppiata, la signora arrivò ultima, 40 minuti dopo tutte le altre. Si chiamava Angela Keogh, aveva 39 anni e disse che non aveva fretta, perché dove viveva lei, nelle isole Norfolk, 1800 abitanti, nel Pacifico del Sud, non c'è motivo di correre.

    Avevano invece fretta gli organizzatori che nello stadio avevano programmato le finali e avevano bisogno della pista. Ma la signora non arrivava mai, sorrideva a tutti, e non ne voleva proprio sapere né di un rush finale né d'abbandonare.

    Lima Azimi, che ha un padre che lavora al ministero dell'Agricoltura, ora tornerà a Kabul. Dice che lei ci tiene a studiare inglese e letteratura e a vivere nel suo paese. E che quello che contava era riempire quella corsia. Non lasciarla vuota. Mai un 18''37 sui cento è stato così veloce di pensiero, di testa e di saggezza. Dispiace solo che stavolta le lente siano state quelle che tagliano il traguardo con una fretta miserabile.


    (24 agosto 2003)

  2. #2
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    A parte che c'e' il precedente dell'algeria, in piena ondata terroristica, sarebbe bello che si coltivasse meno oppio in Afghanistan.

  3. #3
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    cosa c`e` non ti piacciono le storie a lieto fine??????

  4. #4
    Hanno assassinato Calipari
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    In Origine Postato da benny3
    cosa c`e` non ti piacciono le storie a lieto fine??????
    il lieto fine quale sarebbe? L'assegno del giornalista per l'articolo?

  5. #5
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    In Origine Postato da yurj
    il lieto fine quale sarebbe? L'assegno del giornalista per l'articolo?
    la solita grossolana ed idiosincratica banalizzazione ideologica.

    tolleranza in salsa rossa.
    gli anni passano ma nulla muta. purtroppo.

  6. #6
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    Sicuramente era l'unica non drogata della batteria,
    ma doveva essere squalificata perché ha calpestato la striscia sinistra della corsia.

  7. #7
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    beh leggendo l`articolo ho capito che era anche l`unica a non sapere che sport stava praticando.
    ma brava lo stesso.

  8. #8
    Hanno assassinato Calipari
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    In Origine Postato da benny3
    la solita grossolana ed idiosincratica banalizzazione ideologica.

    tolleranza in salsa rossa.
    gli anni passano ma nulla muta. purtroppo.
    quando l'Afghanistan era socialista, le donne studiavano all'universita' ed erano dirigenti. Era a quel tempo che c'erano atlete afgane alle competizioni sportive internazionali.

    Poi i tuoi padroni hanno finanziato in tutto il medioriente l'estremismo islamico, bin laden in testa.

  9. #9
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    In Origine Postato da yurj
    quando l'Afghanistan era socialista, le donne studiavano all'universita' ed erano dirigenti. Era a quel tempo che c'erano atlete afgane alle competizioni sportive internazionali.

    Poi i tuoi padroni hanno finanziato in tutto il medioriente l'estremismo islamico, bin laden in testa.
    l`invasione di quel paese nel dicembre del `79 dei tuoi amichetti dell`armata rossa non c`entra nulla con le vacanze pagate che bin laden ha fatto in afghanistan??????

  10. #10
    Hanno assassinato Calipari
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    In Origine Postato da benny3
    l`invasione di quel paese nel dicembre del `79 dei tuoi amichetti dell`armata rossa non c`entra nulla con le vacanze pagate che bin laden ha fatto in afghanistan??????
    La guerriglia operava gia' prima. Fu quello il motivo delll'intervento dei Russi.

    Che al limite sono tuoi amichetti, visto che usarono metodi simili a quelli dei tuoi padroni. Tranne guantanamo, a essere cosi' sottoincivili non c'erano ancora arrivati. Ma con il tuo amichetto Putin non mancheranno a cio'.

 

 
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