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    Predefinito I primi cento giorni....

    ....senza Saddam.

    Rapporto americano dull'Iraq dopo la liberazione.


    “Questa nazione, sia durante la guerra mondiale sia nella Guerra fredda, non ha mai permesso a esseri spietati e senza legge di decidere il corso della storia. Oggi, come allora, intendiamo tutelare il nostro paese, proteggere la nostra libertà e assistere altre popolazioni nella conquista di una propria indipendenza”.
    George W. Bush, 7 ottobre 2002


    L’8 agosto 2003 scadono i cento giorni dalla fine delle principali operazioni di combattimento in Iraq. “Risultati in Iraq: cento giorni per la conquista della sicurezza e della libertà” è un resoconto
    dei maggiori successi che gli iracheni dell’era post Saddam condividono con i rispettivi partner nel rinnovamento del loro paese.
    Sotto la guida dell’Autorità provvisoria della coalizione (Cpa, Coalition Provisional Authority) e del nuovo Consiglio direttivo iracheno, vengono pianificati importanti obiettivi, suddivisi in tre aree chiave: sicurezza, stabilità e crescita economica, e democrazia. Nel momento in cui il presente rapporto viene pubblicato, l’Autorità provvisoria della coalizione collabora con gli iracheni, al fine di implementare un piano strategico con obiettivi ragionevoli.
    Osservatori esterni e leader della coalizione sono concordi nel sostenere che molto resta ancora da fare per ripristinare l’ordine e portare il benessere a una società trattata crudelmente e a un’infrastruttura che soffre da decenni di un deleterio abbandono. Le misure finalizzate al raggiungimento della sovranità e della democrazia saranno complesse e richiederanno tempo e pazienza.
    Vengono compiuti notevoli progressi su tutti i fronti. Come ha dichiarato il presidente Bush la scorsa settimana, il “successo di un Iraq libero […] dimostrerà agli altri paesi di quella regione che dignità e benessere nazionale trovano il proprio fondamento in un governo rappresentativo e in libere istituzioni […]. Con l’avanzamento della libertà in Medio Oriente, quelle società saranno meno propense a generare ideologie dell’odio e a fornire reclute per il terrorismo”.
    -----------------------------------
    Il presente rapporto si focalizza su dieci ambiti nei quali la liberazione dell’Iraq ha migliorato la vita della popolazione indigena, oltre che la sicurezza e la difesa del mondo.
    Quelli che seguono sono alcuni dei punti toccati in questa relazione:

    1. Per la prima volta nella vita di gran parte degli iracheni, viene creato un governo rappresentativo e si provvede a tutelare la libertà e i diritti umani.
    2. Quasi tre dozzine di paesi contribuiscono finanziariamente al rinnovamento dell’Iraq e diciannove nazioni forniscono personale per l’operazione Iraqi Freedom (Libertà per l’Iraq).
    3. Il sistema di distribuzione degli alimenti è efficiente ed è basato su equi bisogni, e non sul nepotismo.
    4. Quasi tutti i bambini iracheni hanno portato a termine gli esami dello scorso anno. Tutte le università sono aperte.
    5. E’ in fase di esecuzione un programma da cinquantatré milioni di dollari per la ricostruzione di più di cento scuole e cliniche.
    * * *
    Dieci modi in cui la liberazione dell’Iraq favorisce la guerra contro il terrore
    1. Con la caduta del regime di Saddam Hussein, l’Iraq non è più uno Stato che appoggia il terrore. In base a rapporti sul terrorismo del Dipartimento di Stato, prima dell’eliminazione del regime di Saddam, l’Iraq era uno dei sette Stati sponsor del terrore.
    2. Il regime di Saddam Hussein costituiva una minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti e del mondo. Con l’eliminazione di tale regime, non è più al potere un leader che ha cercato di ottenere armi di distruzione di massa, ne è entrato in possesso e le ha utilizzate.
    3. Saddam Hussein non manteneva i propri impegni internazionali e, ora che non è più al potere, il mondo è libero dalla sua tirannia. Il vecchio regime iracheno ha sfidato la comunità internazionale e diciassette risoluzioni delle Nazioni Unite per dodici anni, lasciando chiaramente intendere che non si sarebbe mai disarmato, né avrebbe mai aderito alle legittime richieste del mondo.
    4. Un terrorista anziano di al Qaida, un tempo responsabile dei campi di addestramento dell’organizzazione in Afghanistan e ora detenuto, dichiara che al Qaida era decisa a ottenere dall’Iraq assistenza per le armi di distruzione dimassa (Wmd, Weapons of mass destruction). Secondo una fonte attendibile di al Qaida di alto livello, Osama bin Laden e Muhammad Atif – leader dell’organizzazione ora defunto – ritenevano che i laboratori di al Qaida in Afghanistan non fossero in grado di produrre armi chimiche e biologiche. Di conseguenza, hanno chiesto aiuto all’Iraq, che ha acconsentito a fornire a due membri di al Qaida un addestramento su armi chimiche e biologiche a partire dal dicembre 2000.
    5. Nel maggio 2002, un membro anziano di Al Qaida, Abu Musab al-Zarqawi, si è recato a Baghdad per cure mediche insieme a circa due dozzine di terroristi membri di Al Qaida. Il gruppo ha soggiornato a Baghdad e in altre zone dell’Iraq, tramando attacchi terroristici in tutto il mondo.
    6. Nel corso dell’operazione Iraqi Freedom è stato distrutto in Iraq un rifugio appartenente ad Ansar al-Islam, un gruppo terroristico strettamente connesso a Zarqawi e ad al Qaida. Nel marzo 2003, durante un raid sul campo di concentramento controllato dai terroristi nel Nord-est dell’Iraq, è stato scoperto un deposito segreto di documenti, comprendente dischetti per computer e passaporti stranieri appartenenti a combattenti di diverse nazionalità mediorientali.
    7. E’ risaputo che Ansar al-Islam, affiliato di al Qaida, è tuttora presente in Iraq. Al momento, simili gruppi terroristici terroristici complottano contro le forze statunitensi dislocate nel paese.
    8. L’applicazione delle leggi e le operazioni di intelligence hanno annientato un complotto di avvelenamento tramato dall’associato di al Qaida Abu Musab Zarqawi in Francia, Gran Bretagna, Spagna, Italia, Germania e Russia. Prima della guerra, gli impianti fondati da Zarqawi e Ansar al- Islam nel Nord dell’Iraq erano laboratori di al Qaida per la produzione di veleni e tossine.
    9. Abu Musa Zarqawi, associato di al Qaida che vanta legami diretti con l’Iraq, è stato supervisore dei responsabili dell’assassinio di Laurence Foley, funzionario Usaid (Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale), avvenuto ad Amman, in Giordania, nello scorso ottobre.
    10. Secondo un rapporto del Dipartimento di Stato, l’Iraq di Saddam Hussein ha fornito assistenza materiale a gruppi terroristici palestinesi, compresi il Fronte popolare per la liberazione della Palestina-Comando generale, Hamas e la Jihad islamica palestinese. In base a testimonianze di palestinesi e ad assegni annullati, l’aiuto concesso avrebbe compreso il finanziamento offerto a famiglie di kamikaze palestinesi. Inoltre, sempre secondo rapporti del Dipartimento di Stato, il regime iracheno proteggeva gruppi terroristici tra cui l’organizzazione iraniana Mujahedin-e-Khalq e il gruppo di Abu Nidal.

    Continua 1

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    Dieci segnali di miglioramento nella sicurezza
    La coalizione collabora con gli iracheni per il miglioramento della sicurezza interna in tutto il paese. La situazione della sicurezza si evolve, ma temibili resti dell’ex regime e altri pericoli continuano a minare i progressi e i successi ottenuti.
    1. Vengono arruolate, addestrate ed equipaggiate nuove forze di polizia e dell’esercito iracheno.
    Quest’anno, circa milleduecento iracheni saranno addestrati per il nuovo esercito del paese e, tra due anni, l’addestramento sarà esteso a quarantamila reclute.
    2. Su ottantanove città irachene, cinquantotto hanno assunto forze di polizia. Complessivamente, per il pattugliamento delle strade del paese vengono impiegati 34 mila iracheni, di cui trentamila svolgono attualmente le perlustrazioni con le forze della coalizione.
    3. In tutto l’Iraq sono state sequestrate più di ottomiladuecento tonnellate di munizioni, migliaia di AK-47, granate e altre armi, gran parte delle quali erano state immagazzinate dal regime di Hussein in ospedali, scuole e moschee.
    4. L’Autorità provvisoria della coalizione ha assunto più di undicimila iracheni per la difesa di installazioni chiave in tutto il paese.
    5. Grazie a informazioni ricevute da un iracheno, le forze della coalizione hanno messo in atto le operazioni che hanno portato alla morte di Uday e Qusay Hussein, dopo il loro rifiuto alla resa. A tutt’oggi, sono stati catturati o uccisi trentasette dei cinquantacinque iracheni in cima alla lista dei più ricercati. Con la morte di Uday e Qusay, un numero sempre maggiore di iracheni si è liberato dalla paura e ora offre volontariamente i propri servizi e le proprie informazioni.
    6. Le forze della coalizione continuano a lanciare l’offensiva contro i resti del regime baathista, che tentano di abbattere siti e simboli dei successi della stabilizzazione e della ricostruzione.
    7. Una Forza per la difesa civile irachena assisterà i reparti statunitensi e della coalizione nello sradicare i lealisti di Saddam e le bande criminali che attaccano le forze militari e ostacolano gli
    sforzi per la ricostruzione. Nelle prossime otto settimane, quattromila miliziani iracheni verranno addestrati da soldati americani.
    8. A Bassora, cinquecento agenti della polizia fluviale svolgono un costante pattugliamento dal 19 giugno.
    9. In Iraq operano circa centoquarantottomila membri delle forze armate americane e più di tredicimila soldati della coalizione provenienti da diciannove paesi.
    10. Nella maggior parte dell’Iraq regna la calma e si continua a progredire verso una democrazia e una libertà sconosciute da decenni. Gli attacchi sono limitati a zone isolate.
    * * *
    Dieci segnali di miglioramento nell’infrastruttura e nei servizi di base
    1. Elettricità. Ora, l’elettricità è più stabile ed equamente distribuita rispetto a quando, durante il regime di Saddam Hussein, veniva rifornita a Baghdad a spese del resto del paese. Fino alla fine del 2003, è previsto lo stanziamento di duecentonovantaquattro milioni di dollari per migliorare gli impianti elettrici.
    2. Impianti idrici. Al momento, in molte aree, l’approvvigionamento dell’acqua è ai livelli preconflitto. Sono state effettuate oltre duemila riparazioni di centoquarantatré reti idriche e sono stati ripresi i campionamenti della qualità dell’acqua. Si prevede di aggiungere al sistema di Baghdad una capacità di quattrocentocinquanta milioni di litri.
    3. Assistenza sanitaria. Gli ospedali iracheni sono funzionanti e l’assistenza sanitaria – che in precedenza era soltanto prerogativa dell’élite baathista – è ora accessibile a tutti gli iracheni. Cliniche e ospedali vengono riforniti di medicinali, e il personale sanitario viene pagato regolarmente, garantendo così che i dipendenti svolgano la propria attività. Sono disponibili vaccinazioni in tutto il paese, e quest’autunno verrà effettuata una campagna con un vaccino spray antimalaria.
    4. Rimpatrio dei rifugiati. E’ cominciato il rimpatrio dei rifugiati dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti. L’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Nazioni Unite per i rifugiati) e la coalizione collaborano al fine di garantire ai gruppi di rifugiati in Giordania e in Iran un rientro sicuro e privo di difficoltà in un prossimo futuro.
    5. Nuovo vigore alla produzione e distribuzione di petrolio. Gli antiquati impianti di produzione e distribuzione del petrolio in disuso sono in fase di riparazione e ammodernamento. Il petrolio, di cui l’ex regime si è appropriato indebitamente e in misura grave, costituirà la futura ricchezza del paese.
    6. Polizia. Sulle strade di Baghdad sono presenti seimila poliziotti, e attualmente sono operative trentaquattro stazioni di polizia su sessanta esistenti. In tutto l’Iraq, le strade vengono pattugliate da circa trentamila agenti di polizia.
    7. Riparazioni stradali. Le riparazioni di emergenza delle strade – ora in fase di esecuzione ovunque in Iraq – nelle prossime settimane daranno lavoro a un numero ancora maggiore di iracheni.
    8. Aeroporti. Gli aeroporti di Baghdad e Bassora sono pronti a divenire operativi: per l’aeroporto di Bassora si prevede l’avvio delle operazioni commerciali in agosto. Probabilmente, diverse linee aeree instaureranno un regolare servizio verso l’Iraq.
    9. Ponti principali. Sono stati stanziati quattro milioni e trecentomila dollari per la riparazione del ponte di Tikrit, quattro milioni e quattrocentomila dollari per la ricostruzione del ponte di Al Mat e tre milioni e duecentomila dollari per la riedificazione del ponte di Khazir.
    10. Porto di Umm Qasr. Il porto di Umm Qasr è di nuovo aperto e operativo; attualmente, le autorità doganali e portuali sono sottoposte ad addestramento.
    * * *
    Dieci segnali di democrazia
    1. Un Consiglio direttivo nazionale, costituito da venticinque membri, comprende tre donne, oltre a rappresentanti curdi, sunniti, cristiani, turchi e sciiti. L’istituzione di tale organismo è un primo passo importante verso l’autogoverno iracheno.
    2. Il Consiglio direttivo sta lavorando per la creazione di una Commissione preparatoria preposta alla stesura di una costituzione, in seguito alla cui approvazione si terranno elezioni che condurranno alla nascita di un governo iracheno pienamente sovrano.
    3. In tutte le principali città e nell’ottantacinque percento dei villaggi esistono consigli municipali, grazie ai quali gli iracheni sono responsabili della gestione di questioni locali, quali l’assistenza sanitaria, l’approvvigionamento idrico ed elettrico.
    4. Sono stati creati consigli provvisori a Najaf, Al Anbar e Bassora.
    5. Il 7 luglio 2003 è stato inaugurato il Consiglio consultivo cittadino di Baghdad, i cui trentasette membri sono stati scelti da membri dei nove consigli di circoscrizione della città, a loro volta selezionati dai cittadini di Baghdad in ottantotto quartieri.
    6. A Bassora e Umm Qasr sono operativi consigli di governo locale stabili, che collaborano nell’identificazione di aree ove è richiesta un’immediata assistenza umanitaria e per la ricostruzione.
    7. L’Office of Human Rights and Transitional Justice (Ufficio dei diritti umani e della giustizia di transizione, ndt) sta operando al fine di localizzare i dispersi, ricercare, analizzare ed esumare fosse comuni, archiviare passati abusi di diritti umani e promuovere l’educazione civica e la consapevolezza pubblica circa tali diritti.
    8. E’ in fase di creazione il Property Reconciliation Facility (Servizio di riconciliazione della proprietà, ndt), per agevolare le risoluzioni volontarie relative a rivendicazioni di diritti di proprietà.
    9. La coalizione assiste nel finanziamento e nella formazione di iracheni che intendono fondare organizzazioni non governative personali. Simili nuove organizzazioni comprendono centri di ricerca sulla politica pubblica e un’associazione di ex prigionieri politici.
    10. Al momento, in Iraq vengono pubblicati più di centocinquanta quotidiani, che offrono agli iracheni la possibilità di accedere a informazioni dei più svariati generi. Sono disponibili anche pubblicazioni estere, oltre a programmi radio e televisivi.
    * * *
    Dieci miglioramenti nella vita dell’infanzia irachena
    1. Una campagna per il “ritorno a scuola” ha procurato millecinquecento corredi di cartelle, quaderni, penne e matite, che hanno permesso a centoventimila studenti di Baghdad di rientrare in classe nel maggio 2003. In preparazione del nuovo anno scolastico, raggiungeranno l’Iraq un milione e duecentomila corredi destinati a studenti della scuola secondaria e quattromila set di arredo per gli edifici scolastici, comprendenti banchi, sedie, lavagne e librerie.
    2. Durante il governo di Saddam, la malnutrizione ha contribuito a elevati tassi di mortalità in Iraq. Gli aiuti alimentari per l’Iraq hanno continuato a rifornire il sistema di distribuzione pubblica, consentendo alla maggioranza degli iracheni di ottenere razioni di cibo. Secondo un resoconto del Programma alimentare mondiale del 15 luglio, è stato spedito in Iraq quasi un milione e mezzo di tonnellate di cibo, pari a una quantità superiore al rifornimento di tre mesi necessario per mantenere operativo il sistema di distribuzione. Alimenti per altri due milioni e duecentomila tonnellate raggiungeranno l’Iraq entro la fine di ottobre. Simili misure contribuiranno a eliminare la malnutrizione.
    3. A tutt’oggi, sono state fornite ventidue milioni e trecentomila dosi di vaccini contro il morbillo, la tubercolosi, l’epatite B, la difterite, la pertosse, il tetano e la polio, sufficienti a vaccinare quattro milioni e duecentomila bambini.
    4. Quasi tutti i bambini iracheni hanno portato a termine gli esami dello scorso anno e sono pronti a iniziare un nuovo anno scolastico in autunno. Sono state riaperte tutte le università.
    5. E’ in fase di attuazione un programma da cinquantatré milioni di dollari per ricostruire più di cento scuole e cliniche. Nella regione meridionale, più di cinquanta scuole si trovano in diverse fasi di ripristino. Più di seicento scuole saranno “come nuove”, in tempo per l’inizio delle lezioni.
    6. Cinque milioni di testi di scienze e matematica riveduti saranno pronti prima dell’inizio dell’anno scolastico.
    7. Si sta eliminando la retorica di Saddam Hussein dai libri di testo degli scolari iracheni. Come dichiara Dunia Nabel, insegnante a Baghdad: “Nei libri vogliamo fiori e primavera, non fucili e carri armati”. (The Chicago Tribune, 31 luglio 2003).
    8. Dieci sale parto in ospedali e centri di assistenza sanitaria primaria di Bassora sono state ricostruite e rifornite di farmaci essenziali e provviste mediche.
    9. L’istituzione minorile per l’infanzia, oggetto di rapporti relativi ad abusi e terribili condizioni durante il regime di Saddam Hussein, è stata sostituita da un progetto gestito dall’Unicef e da organizzazioni non governative. Per sette orfanotrofi sono stati messi in atto sostanziali rinnovi strutturali e corsi di formazione del personale.
    10. Il 30 maggio sono stati spediti quasi tremila palloni da calcio e altri sessantamila raggiungeranno l’Iraq grazie a una partnership pubblico/privata e alla comunità calcistica statunitense.

    (2 continua)

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    * * *
    Dieci segnali di rinnovamento economico
    1. Una nuova economia. E’ in fase di realizzazione una nuova economia irachena basata sui principi dell’economia di mercato, del rispetto dello Stato di diritto e della trasparenza.
    2. Stipendi. L’Autorità provvisoria della coalizione paga regolarmente gli stipendi a insegnanti, personale sanitario, soldati, agenti di polizia e altri dipendenti del settore pubblico che hanno ripreso a lavorare. Anche le erogazioni di pensioni e altri versamenti di emergenza hanno contribuito a evitare una crisi umanitaria. I salari degli insegnanti e di altri operatori chiave sono quadruplicati rispetto alle remunerazioni erogate durante il governo di Saddam Hussein. Circa trentanovemila dipendenti del settore elettrico sono tornati al lavoro. Altri settori mostrano analoghi segnali incoraggianti.
    3. Commercio. Nel mercato di Baghdad sono ora disponibili molte merci che, in precedenza, erano irreperibili a causa di sanzioni o perché erano proibite dall’ex regime. Ora, gli iracheni possono facilmente procurarsi articoli come i ricevitori satellitari.
    4. Banche. A Baghdad, le banche sono aperte. L’Autorità provvisoria della coalizione collabora con la popolazione che vive fuori dai confini della città allo scopo di aprire banche in tutto il paese nel più breve tempo possibile. Inoltre, esiste un forte interesse internazionale nella fondazione di una banca commerciale irachena: sono ora sotto esame proposte di banche estere per la creazione di tale tipo di istituzione.
    5. Alimenti. L’Autorità provvisoria della coalizione ha acquistato i prossimi raccolti di orzo e frumento, contribuendo a fare fronte alle necessità alimentari del paese e, allo stesso tempo, aiutando i coltivatori. I raccolti comprendono oltre seicentomila tonnellate di frumento iracheno e più di trecentomila tonnellate di orzo iracheno.
    6. Prestiti agli imprenditori. Nel Sud del paese è in fase di creazione un’istituzione per la concessione di microcrediti. Inoltre, sono previsti istituti creditizi per il resto del paese. Le due principali banche dell’Iraq cominceranno a concedere mutui aziendali di piccola e media entità per aiutare gli imprenditori iracheni a riavviare le loro attività.
    7. Valuta. E’ stata annunciata una valuta unificata per l’Iraq. Il cambio tra le vecchie e le nuove banconote potrà avere inizio il 15 ottobre.
    8. Risparmi iracheni. Il dinaro ha mantenuto il proprio valore nei confronti del dollaro, tutelando l’integrità dei risparmi in dinari dei cittadini iracheni.
    9. Risorse naturali. La produzione di petrolio è in aumento. Ultimamente, la quantità giornaliera di greggio si è aggirata su una media di un milione di barili al giorno.
    10. Budget. E’ in fase di esecuzione il budget per gli ultimi sei mesi del 2003, mentre è stato intrapreso il processo di formulazione per il budget del 2004. Solo in luglio e agosto, i ministeri hanno ricevuto una somma pari a più di quattrocento milioni di dollari del budget per il 2003. Il processo relativo al budget del 2004, che dovrà essere gestito dagli iracheni, sarà finalizzato alle priorità di maggiore importanza per la ricostruzione del paese e sarà basato sugli impegni di spesa previsti dal budget per gli ultimi sei mesi del 2003.
    * * *
    Dieci esempi di appoggio internazionale al rinnovamento dell’Iraq
    1. In merito al Consiglio direttivo iracheno, il Segretario generale delle Nazioni unite Kofi Annan ha dichiarato: “La formazione [del Consiglio] è un primo passo importante verso la piena restaurazione della sovranità irachena”. L’Onu appoggia il rinnovamento dell’Iraq con il programma Oil for Food (Petrolio in cambio di cibo, ndt), fornendo assistenza umanitaria, promuovendo i diritti umani e aiutando il Consiglio direttivo iracheno a reintegrarsi nella comunità internazionale.
    2. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità la risoluzione 1483, che abolisce le sanzioni contro il regime iracheno.
    3. I dodici principali sostenitori finanziari per il rinnovamento dell’Iraq sono (in ordine decrescente): Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Giappone, Australia, Germania, Norvegia, Danimarca, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Spagna e Kuwait.
    4. Secondo i propri rapporti, l’Onu fornisce alla popolazione dell’Iraq assistenza umanitaria per un importo totale pari a due miliardi e duecento milioni dollari, di cui un miliardo e duecento milioni sono costituiti da impegni o contributi della comunità internazionale, mentre un miliardo viene finanziato con il programma Oil for Food.
    5. Inoltre, diversi paesi hanno impegnato ottocento milioni di dollari in programmi Onu. Quasi tre dozzine di Stati hanno assunto impegni o prestato contributi per il rinnovamento dell’Iraq.
    6. Attualmente, a Baghdad sono operative trentaquattro missioni straniere. Il Kuwait ha ripristinato i rapporti con l’Iraq.
    7. Gli impegni internazionali per l’assistenza alla ricostruzione ammontano quasi a tre miliardi di dollari. In autunno è prevista una conferenza internazionale per discutere in merito a un finanziamento supplementare all’Iraq.
    8. Più di quarantacinque paesi hanno offerto forze armate. Sia la Polonia sia il Regno Unito sono al comando di divisioni multinazionali.
    9. Numerosi paesi hanno offerto alla coalizione il proprio contributo, concedendo basi e diritti di sorvolo, oltre che supporto logistico.
    10. Complessivamente, l’operazione Iraqi Freedom è appoggiata da diciannove nazioni che hanno inviato più di tredicimila truppe in Iraq, mentre quattordici Stati si sono impegnati a schierare forze supplementari.
    * * *
    Dieci segnali di rinascita culturale
    1. Viene ricostituito il Comitato olimpico iracheno senza timore di Uday Hussein: Il nuovo presidente del Free Iraq Olympic group (Gruppo olimpico Iraq libero, ndt) ha dichiarato: “Dalle squadre irachene sono sempre emersi campioni asiatici in diversi
    sport. L’insediamento al potere di Uday ha dato inizio a un declino. Ora, intendiamo dare alle nostre squadre un nuovo impulso con l’aiuto della comunità internazionale”. Sharar Haydar, ex vittima delle torture di Uday Hussein, The Guardian (Londra), 15 maggio 2003.
    2. L’orchestra sinfonica di Baghdad esegue concerti trasmessi anche in televisione. Il direttore dell’orchestra sinfonica ha affermato: “Stiamo cercando di mostrare al mondo che gli iracheni possiedono una grande cultura”. Hisham Sharaf, in occasione di un concerto dell’orchestra sinfonica di Baghdad, agenzia France Presse, 12 giugno 2003.
    3. I teatri riaprono rapidamente. Come ha affermato un produttore cinematografico: “Il mondo non può immaginare cosa significhi per noi essere su questo palcoscenico nazionale, dove tutto ciò che rappresentiamo era proibito. Ora è nostro”. Oday Rashid, Los Angeles Times, 5 maggio 2003.
    4. Vengono ripristinati i riti religiosi. Un iracheno ha dichiarato: “Non riesco a esprimere le mie sensazioni. Provo una gioia enorme. E’ la prima volta in trent’anni che posso partecipare a queste celebrazioni (sciite). Saddam proibiva tutto. Ci ha costretti alla clandestinità”. Sami Abbas, sciita presso il santo tempio di Kadhimiy, The Washington Post, 16 aprile 2003.
    5. Centocinquanta quotidiani sulle strade di Baghdad diffondono le notizie di un Iraq libero. Ali Jabar avrebbe affermato: “Ogni giorno acquisto un giornale diverso. Mi piacciono tutti”. Sostiene un redattore: “Non riusciamo ad addestrare il personale con sufficiente rapidità. La gente, qui, sente un estremo bisogno di avere una stampa libera imparziale, dopo trent’nni di stato totalitario”. Saad al-Bazzaz, redattore del quotidiano Azzaman Daily di Baghdad, The Independent (Londra), 8 luglio
    2003.
    6. I ricevitori satellitari sono gli articoli più venduti a Baghdad. “Voglio vedere tutto ciò che accade nel mondo, tutti i canali del mondo. Voglio vedere la libertà”. Mohammed al-Khayat, iracheno che aveva appena acquistato la sua prima parabola satellitare, The Baltimore Sun, 26 aprile 2003.
    7. I libri proibiti sono ora disponibili sul mercato. Un insegnante che vende libri a Baghdad ha dichiarato: “Prima, erano moltissimi i libri proibiti, ogni testo che era in disaccordo con il regime: praticamente, tutto quanto fosse stampato!”. Imad Saad, Los Angeles Times, 3 maggio 2003.
    8. Gli artisti possono esibire liberamente le proprie opere e i poeti sono liberi di scrivere. Un poeta ha affermato: “Per decenni siamo stati costretti all’autocontrollo. Ora siamo liberi di pensare senza alcuna inibizione. Ma per parlare e pensare a voce alta ci vuole tempo. La libertà richiede pratica
    e ci vuole pratica per essere liberi”. Mohammed Thamer, The Washington Post, 22 aprile 2003.
    9. L’istruzione riceve nuova vita. Un membro del Consiglio comunale di Baghdad ha sottolineato: “Vogliamo possedere una vera e propria istruzione, essere una nazione progressista. L’istruzione è molto importante per la ricostruzione della nostra società. Se si vuole civilizzare la società è necessario curare l’istruzione”. Al Sa’ad Majid al Musowi, The Chicago Tribune, 31 luglio 2003.
    10. Le paludi vengono ripristinate. Ha dichiarato un iracheno: “Quando l’esercito iracheno se n’è andato, abbiamo rotto le dighe. Desideriamo che i nostri figli imparino a pescare, a muoversi di nuovo sull’acqua”. Qasim Shalgan Lafta, ex pescatore che ha contribuito a reintrodurre l’acqua nel terreno paludoso iracheno che Saddam aveva distrutto, The Chicago Tribune, 13 giugno 2003.
    * * *
    Dieci misure per migliorare la vita delle donne irachene
    1. La coalizione si adopera per garantire che le donne svolgano un ruolo importante in ogni settore del governo.
    2. Tre donne irachene, membri del nuovo Consiglio direttivo, sono totalmente impegnate a promuovere il coinvolgimento delle donne nel futuro dell’Iraq.
    3. Una stimata ex giudice irachena al ministero della Giustizia si accinge a rivedere le leggi, le pratiche legali e la professione legale in Iraq allo scopo di aumentare la parità e la partecipazione femminile.
    4. Agli inizi di aprile, il ministero dell’Interno ha condotto una valutazione delle ex forze di polizia irachene. Tale indagine ha messo in risalto la necessità di estendere l’arruolamento alle donne, includendole nell’addestramento offerto presso tutte le accademie. Il programma si concretizzerà il 15 agosto, quando la campagna di reclutamento avrà inizio con uno dei gruppi da selezionare formato da donne.
    5. Il ministero del Lavoro e degli affari sociali ha adottato una politica di pari accesso ai servizi e ai benefici per tutte le persone idonee. In definitiva, tale politica estenderà servizi e qualità a una cerchia sempre maggiore di iracheni, donne comprese.
    6. Le donne irachene avranno un ruolo nello sviluppo della democrazia e della società civile. Un funzionario amministrativo anziano del gruppo di lavoro per la democrazia e il governo dell’Autorità provvisoria della coalizione sta svolgendo attività di vasta portata per coinvolgere le donne irachene.
    7. Il gruppo di lavoro della coalizione ha organizzato numerose assemblee con donne irachene di ogni classe sociale, che hanno potuto dare voce ai loro interessi ed esprimere idee sul futuro sviluppo della democrazia del loro paese. Inoltre, l’Autorità provvisoria della coalizione ha incontrato diversi gruppi femminili e organizzazioni internazionali, per raccoglierne le idee e gli sforzi volti alla soddisfazione delle esigenze delle donne irachene.
    8. La coalizione ha assistito un gruppo di donne irachene nell’organizzazione di una conferenza tenutasi il 9 luglio, che comprendeva laboratori relativi a costituzione e democrazia, riforme legali, istruzione, sanità e affari sociali, nonché argomenti economici e riguardanti l’occupazione. Vi hanno partecipato più di settanta donne, in gran parte esperte irachene in settori quali legge, università, medicina e commercio.
    9. Le quote massime che limitavano la possibilità delle donne di accedere a determinati corsi universitari sono state aumentate o completamente abolite.
    10. Vengono create organizzazioni femminili irachene per dare alle donne maggiori opportunità di migliorare la loro vita e quella delle rispettive famiglie.
    * * *
    Dieci voci di liberazione
    1. “Vogliamo possedere una vera e propria istruzione, essere una nazione progressista.
    L’istruzione è molto importante per la ricostruzione della nostra società.
    Per civilizzare la società è necessario curare l’istruzione”. Al Sa’ad Majid al Musowi, uomo di affari membro del consiglio comunale di Baghdad, The Chicago Tribune, 31 luglio 2003.
    2. “Possiamo stampare tutto ciò che vogliamo senza alcun vincolo. La coalizione non interferisce con il nostro lavoro, anche se, naturalmente, applichiamo determinati criteri nella scelta delle pubblicazioni”. Ishtar el Yassiri, redattore del nuovo quotidiano satirico iracheno Habez Bouz, Financial Times (Londra), 31 luglio 2003.
    3. “La tensione diminuisce con il passare dei giorni. Notiamo un cambiamento: la popolazione
    comincia a capire che i soldati non intendono occupare Fallujah per sempre, ma sono qui per aiutarci nella ricostruzione”. Taha Bedawi, sindaco di Fallujah, The Washington Post, 29 luglio 2003.
    4. “E’ un’opportunità di difendere il nostro paese per il nostro popolo. E’ interessante lavorare con i soldati americani: ci offrono un nuovo addestramento e rispetto reciproco”. Omar Abdullah, recluta della forza di sicurezza comune di Mosul di recente creazione, Associated Press, 29 luglio 2003.
    5. “Voglio servire un nuovo Iraq”. Shevin Majid, ex combattente curdo, attualmente recluta della forza di sicurezza comune di Mosul, Associated Press, 29 luglio 2003.
    6. “Un numero sempre maggiore di uomini di affari si reca in Iraq. Il paese è ricco e il mercato è enorme. Tutto il mondo vuole venire a fare affari in Iraq”. Capitano Adel Khalaf, direttore del porto di Umm Qasr, agenzia France Presse, 27 luglio 2003.
    7. “Per la prima volta mi sento davvero libero”. Latif Yahia, ex sosia di Uday, dopo avere appreso la notizia della morte di Uday, agenzia France Presse, 26 luglio 2003.
    8. “Il popolo iracheno si è sbarazzato di due dei peggiori criminali della storia. Le loro vittime e i figli delle loro vittime, che hanno vissuto nell’oppressione per 35 anni, provano orgoglio e felicità”. Muwaffak al- Rubaiei, membro del Consiglio direttivo iracheno, agenzia France Presse e Reuters, 25 luglio 2003.
    9. “In passato non potevo esibirla in pubblico a causa del regime. Ora la appendo per mostrare rispetto”. Abbas Fadel, che mostra un’immagine del fratello, torturato e ucciso da Saddam Hussein, Knight Ridder, 24 luglio 2003.
    10. “Noto che i soldati americani sono liberi. Nel nostro vecchio esercito, eravamo sempre sotto pressione e assoggettati a rigorosi ordini militari. Le punizioni erano spietate”. Raad Mamoud, ex soldato iracheno, Usa Today, 21 luglio 2003.

    Altre voci di liberazione sono reperibili sul sito web della Casa Bianca http:// www.whitehouse.gov/news/releases/ 2003/07/iraq/20030731-7.html.
    8 agosto 2003
    Traduzione Studio Brindani

    fine
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    Predefinito Un commento sul...

    ...documento americano


    Questo documento che Il Foglio pubblica integralmente è stato presentato l’8 di agosto, prima dell’attentato contro la sede Onu a Baghdad e del duplice arresto di due dei principali dirigenti del
    regime fascista di Saddam, il vicepresidente Yassin Ramadan e, ieri, di Alì il chimico, il gasatore di migliaia di sciiti. L’Iraq postfascista non è ancora un paese sicuro, non è ancora il paese dei sogni dellaCasa Bianca (copyright New York Times), ma oggi ospita un popolo che ha finalmente una speranza di futuro migliore (copyright Washington Post). Prima non c’era nemmeno questo.
    Sergio Vieira de Mello, ucciso con altri ventidue funzionari Onu sbarcati a Baghdad per ricostruire un paese distrutto da una delle più brutali dittature del mondo, nella sua ultima intervista, riportata ieri da Repubblica, ha risposto così alla domanda se “a suo avviso l’intervento militare in Iraq era giustificato”: “Non abbiamo trovato armi di distruzione di massa, ma sono state scoperte molte fosse comuni. Abbiamo le prove di migliaia di casi di violazioni dei diritti umani, e questo basta. Gli iracheni hanno ricominciato a vivere”.
    Il documento, scritto da Paul Bremer e dai suoi uomini, fa un primo bilancio di questo ritorno alla vita. Parziale, incompleto, difficile e pericoloso quanto si vuole, ma alcuni obiettivi sono stati raggiunti.
    Il testo si intitola enfaticamente “Risultati in Iraq: 100 giorni per la conquista della sicurezza e della libertà”. Il sottotitolo spiega che si tratta di un elenco dei “principali successi riguardanti il rinnovamento dell’Iraq e la fine del regime di Saddam”. E’ un documento molto americano, scritto per punti, con le shortlist dei dieci motivi o dei dieci segnali di miglioramento della vita quotidiana nazionale, economica e culturale.

    Sostiene Bremer che aver liberato l’Iraq abbia contribuito a indebolire il fronte terroristico e, pur non sottovalutando i pericoli, anche a rafforzare giorno dopo giorno la sicurezza interna. Gli attentati e le uccisioni dei marines americani testimoniano di problemi enormi, ma certo non si tratta di “resistenza” popolare irachena agli invasori yankee, come si legge spesso sui giornali nostrani. La parola resistenza, quanto meno in Italia, dovrebbe ricordare altro. I resistenti erano i partigiani, gli antifascisti che l’esercito alleato liberò dal nazifascismo. Gli altri, i seguaci del regime, i fedeli al dittatore, i nostalgici del totalitarismo, cioè gli avversari dell’esercito liberatore e dei partigiani,
    combattevano per la Repubblica Sociale di Salò. I Fedayn di Saddam, se proprio si vuole fare il paragone, sarebbe meglio chiamarli repubblichini, non resistenti. Bremer, nel documento, elenca puntigliosamente i programmi per l’infanzia irachena, per il ritorno a scuola, per i vaccini,e le tonnellate di cibo distribuite. Si
    possono leggere i dati sul miglioramento della condizione delle donne e sui centocinquanta giornali liberi e indipendenti che sono stati fondati dal giorno della liberazione.
    Ci sono i dati sulla nascente economia e su una parvenza di nuova vita culturale.
    Sul piano politico sono fondamentali i “Dieci segnali di democrazia”, dalla nascita del Consiglio direttivo rappresentativo dell’articolazione etnica, territoriale e politica del nuovo Iraq, i primi sindaci, i lavori preparatori della Costituzione.
    E’ già tanto ma contemporaneamente ancora troppo poco. Servono impegno maggiore, più uomini, più soldi, più cooperazione.
    Il documento non fa cenno al mancato ritrovamento delle armi di distruzione di massa. Ma, come diceva anche Vieira de Mello, sono state trovate le fosse comuni di massa.
    “E questo basta”.

    Christian Rocca

  5. #5
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    Predefinito

    Roma. L’attentato alla sede dell’Onu di Baghdad ha messo ancor più alla frusta i vertici militari americani. Come venire a capo della resistenza irachena senza esporsi a un attrito quotidiano che attualmente sembra avvantaggiare chi colpisce e non chi difende il “nuovo” Iraq? Le teste d’uovo in divisa e i più accreditati analisti
    militari occidentali adottano una strategia a doppio livello. Da una parte si infittiscono i “pensatoi” che a porte chiuse analizzano
    difficoltà e opportunità della situazione irachena. L’agenda riservata degli addetti ai lavori prevede, per dirne alcuni, il seminario della Marine Corps Association e dell’Us Naval Institute il prossimo 3 settembre al Marriot di Arlington, dove interviene
    tra gli altri il comandante dei marine Michael Hagee e l’ex generale e inviato speciale in Iraq Tony Zinni. La conferenza
    speciale dedicata a ritrovamento e neutralizzazione delle armi di distruzione di massa, dal 24 al 26 settembre al Marriot Waldman di Washington. E due conferenze al più alto livello degli stati maggiori americani e britannici, una dedicata alle operazioni
    militari urbane a bassa densità, dal 30 settembre al 1 ottobre, e l’altra alle vere e proprie guerre urbane in caso di escalation, il 21 e 22 gennaio 2004, entrambe a Londra.

    C’è poi un secondo livello, quello diciamo così più esposto quotidianamente da una parte al fuoco degli assalitori, e dall’altra
    al fuoco dei media, che non è detto faccia meno male vista l’importanza crescente che l’opinione pubblica americana avrà sotto elezioni presidenziali, e aggravandosi intanto la crisi di popolarità di Tony Blair nel Regno Unito. Non tutti però perdono la calma.
    Nel diluvio di demagogia scatenato sui media occidentali dall’attentato di Baghdad, vale invece la pena di segnalare due analisi serie. La prima è di John Keegan, il più autorevole storico militare britannico che tiene anche una regolare rubrica sul Daily Telegraph di sir Conrad Black.
    Si avvia l’Iraq a diventare un nuovo Vietnam?, si chiedeva ieri ritualmente Keegan. Per rispondere un secco e argomentato no. Né per il terreno delle operazioni, né per l’organizzazione politica
    e militare che gli angloamericani devono oggi affrontare – i Fedayn di Saddam non possono in alcun modo paragonarsi alla
    ferrea piramide vietcong – né ancora l’accostamento tra la Siria e i santuari che nel decennio 65-73 ai viet erano offerti da Cambogia e Laos. Nulla insomma rende possibile il paragone. L’analisi sul campo vede un Nord sufficientemente in sicurezza
    grazie alle organizzazioni curde, un Sud sciita alieno da esplosioni incontrollate e che mette alla prova per la regia politica che occorre dispiegare verso Teheran. Il problema è concentrato nelle città del Centro e a Baghdad, e nella sovrapposizione di spezzoni saddamiti e di bande terroristico- sunnite. E’ un problema, secondo Keegan, che postula certo la necessità di un maggior numero di combattenti sotto la bandiera del nuovo Iraq. Ma si tratta dei 300 mila iracheni che occorre al più presto riarruolare per lanciare le nuove forze armate da affiancare al governo provvisorio.
    La lezione storica che nessuno tra i media occidentali sembra ricordare in queste settimane è che i britannici, quando tra il
    1920 e il 1923 dovettero fronteggiare la guerriglia irachena, contarono ben 14 mila tra caduti e feriti per non aver compreso
    tale strategia.

    Un’altra voce dagli Stati Uniti
    Un’altra voce seria dagli States è quella di Max Boot, fellow del Council on Foreign Relations e autore del saggio “The Savage
    Wars of Peace: Small Wars and The Rise of American Power”.
    Nel dibattito pubblico americano la formula “Little” o “Small
    War” – chiamatela pure guerricciola, usata per la prima volta dal diplomatico John Milton Hay a proposito del conflitto ispano-
    americano del 1898-1900, che spalancò agli Usa le porte di Centro America e Filippine – evoca automaticamente l’idea di
    politici che tentano di mascherare i costi onerosi di operazioni presentate come a bassa intensità mentre poi si trascinano
    per anni nel sangue. Boot evoca esattamente l’esempio filippino, dove la guerriglia si trascinò per altri due anni fino al 1902, costando la vita ad altri 4.200 soldati americani, 16 mila ribelli e purtroppo non meno di 200 mila civili.
    Fior di generali americani, come Jacob Smith, andarono alla Corte marziale per le atrocità commesse.
    E un gruppo di alti ufficiali dei Marines, ritiratisi dal servizio, scrisse negli anni Trenta un libro, “The Small Wars Manual”, che Boots addita ancor oggi come decisivo per l’Iraq.
    Ci vorrà tempo prima di un Iraq ordinato e pacificato, aggiunge. Anche per questo, i politici non devono indicare tempi fulminei che la storia priva di ogni credibilità.
    Ma il modo di venirne a capo, e bene, e senza darla vinta a demagoghi e catastrofisti, a saperlo leggere nella storia c’è
    anch’esso.
    Oscar Giannino

    saluti

  6. #6
    Hanno assassinato Calipari
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    Predefinito

    Adesso si e' messo a fare il propagandista Usa delle forze d'occupazione...

    Stanno bene in Iraq adesso, vero?

    Che schifo... Adesso dirai anche che Chalabi e' una brava persona meritevole della guida dell'Iraq

  7. #7
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    Predefinito Gratta gratta dove c'è fumo.....

    ....trovi arrosto: gratti dittatura ecco il comunismo o nazismo


    Roma. In Romania sotto Nicolae Ceausescu, Ion Mihai Pacepa aveva raggiunto il massimo della carriera militare. Non tanto per il grado pure elevato di tenente generale,ma perché per anni ha diretto la DIE, il servizio di spionaggio estero della dittatura comunista. Del regime sapeva tutto, dei suoi traffici d’armi in nome e per conto dei russi con Gheddafi fino alla fine degli anni 70 per esempio, e di molte operazioni “coperte” sovietiche in tutto il mondo, visto che l’interfaccia di Bucarest col vertice del
    Kgb era proprio lui. Tra gli spioni del Patto di Varsavia passati all’Occidente, è stato il più alto in grado a fornire per anni alla
    Cia puntuali debriefing su come smantellare reti e operazioni dei suoi ex alleati. Caduto il muro, è considerato ancora molto
    autorevole, in materia di servizi dell’Est.
    E sul perché le armi di distruzione di massa di Saddam non si trovino, un tema che continua ad arroventare il dibattito nei paesi
    occidentali, ieri Pacepa ha strappato il riserbo che aveva sin qui mantenuto, e ha rumorosamente detto la sua. Con un memorandum che per qualche tempo è rimbalzato su alcuni siti specializzati a pagamento, prima di essere rilanciato ieri da alcune
    testate tra cui il Washington Times.
    Le armi non le troverete, cari americani, perché a Baghdad prima dell’invasione è scattata l’“operazione Sarindar”, dice Pacepa.
    “Uscita di sicurezza”, suonerebbe in italiano. Un’operazione che i servizi impostati sul modello sovietico hanno più volte realizzato con successo nei decenni passati, in occasioni di crisi internazionali nelle quali occorreva cancellare ogni traccia di armi di distruzione di massa di regimi amici e alleati di Mosca. Pacepa descrive in dettaglio come i rumeni aiutarono i sovietici a far sparire quelle del colonnello Gheddafi, nel 1976-77, con tanto di finanziamenti collaterali ai movimenti pacifisti occidentali, incaricati di negare fino alla morte che il colonnello le avesse e di affermare
    invece che esse erano una pura invenzione provocatoria di americani e sionisti. Gli agenti chimici e i vettori missilistici furono
    frazionati e dispersi in mare, la documentazione distrutta tranne alcune copie sepolte nel deserto. Pacepa elenca i suoi colloqui
    nella realizzazione di quel piano, dall’autorizzazione di Ceausescu a quella personalmente confermatagli allora da Leonid Breznev, dagli incontri operativi con l’allora capo del Kgb Yuri Andropov fino alla diretta collaborazione nel progetto con una figura che ritroviamo nella vicenda irachena.
    L’allora generale del Kgb Evgheni Primakov si occupò della Sarindar libica. Divenuto negli anni 90 capo del Kgb e amico
    personale di Saddam, coadiuvò nella realizzazione della armi proibite il Mukhabarat iracheno, che ai sovietici era sempre rimasto legato a doppio filo. Primakov nel ’96 divenne ministro degli Esteri e nel ’98 premier russo. E guarda caso si è a lungo trattenuto a Baghdad tra il dicembre del 2002 fino a fine febbraio del 2003, da che americani e britannici cominciarono lo schieramento delle truppe in Kuwait fino a pochi giorni prima di Iraqi Freedom.
    Era solo per assicurare un contatto diplomatico “sicuro” tra il suo amico Saddam e Mosca, che si giustificava la sua missione?
    Pacepa non è di questo avviso. E rivela che se non ci fosse stata di mezzo un’operazione Sarindar non si spiegherebbe come mai ad accompagnare Primakov erano due ben noti ex vertici del Kgb specializzati nel ramo, il già generale Vladislav Achalov, giunto sotto Eltsin a essere viceministro della Difesa, e l’ex capo di Stato maggiore dell’aeronautica russa Igor Maltsev, specialità di provenienza i missili strategici. Inutile dire che Achalov e Maltsev rifiutano ogni contatto con la stampa, Mosca nega che essi ricoprano alcun incarico. La Cia però sa bene che non è così, sono diverse le operazioni “coperte” in cui risultano implicati per non far sporcare le mani ai servizi “ufficiali” del Cremlino putiniano.
    Il memorandum Pacepa non si limita a lanciare questa ipotesi alla Frederick Forsyth, o se volete alla Tom Clancy. Ricostruisce
    anno per anno il ruolo che Primakov e i servizi russi hanno a suo giudizio svolto nell’occultamento e dispersione degli arsenali
    proibiti iracheni dal 1995 in avanti, quando Saddam per la prima volta andò seriamente nei guai per effetto della diserzione in Giordania del generale Hussein Kamel (poi eliminato con 40 familiari), che per dieci anni aveva diretto i programmi segreti in materia biologica e chimica. Da allora si susseguirono negli anni, mentre il Consiglio di sicurezza dell’Onu accumulava le sue risoluzioni, ben tre rapporti iracheni di “Full Disclosure” in cui via via gli agenti chimici proibiti come il Vx e i missili
    proibiti sparivano nella nebbia. Fino alla dichiarazione finale, poche settimane prima della guerra, che li dichiarava totalmente
    assenti.
    Ben fatto, compagno Primakov, sorride Pacepa.


    saluti

  8. #8
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    Predefinito Ben Laden ha lasciato eredi....

    ....fedele nel suo Paese.

    L’attentato alla sede delle Nazioni Unite a Baghdad è probabilmente stata opera di estremisti sauditi i quali in futuro potrebbero nuovamente colpire”. Così ha dichiarato Jalal Talabani, leader del partito curdo Upk, Unione patriottica del Kurdistan, uno dei più seri e accreditati leader della resistenza irachena contro Saddam. Secondo Talabani gli autori della strage
    all’hotel Canal di Baghdad, che ha provocato la morte di Sergio Vieira de Mello, si sono infiltrati da Sud-est, dai confini semidesertici che separano Arabia Saudita e Iraq. E’ un’indicazione attendibile e comunque probabile, che spiega la natura multipolare ed essenzialmente politico-religiosa, più che militare-organizzativa, di al Qaida e del terrorismo islamico. E’ un’indicazione probabile, proprio perché alla sostanziale inerzia del governo saudita, del principe Abdullah, che non riesce a incidere né sulla crisi irachena, né su quella palestino-israeliana, non può che corrispondere a Riad una forte iniziativa del partito anti Abdullah, fortissimo e radicato dentro la corte, che ha partorito anni fa il fenomeno al Qaida.
    Se si valuta la storia di bin Laden e della sua organizzazione, si scopre che ha una genesi specifica. L’organizzazione di bin Laden, infatti, nasce come reparto militare di un progetto di esercizio di potenza regionale di due paesi, Pakistan e Arabia Saudita. Sono i capi dei servizi segreti di Riad e di Islamabad (Turki bin Feisal e il generale Memhoud) a organizzare, finanziare, armare al Qaida, prima in funzione antisovietica e poi a offrire questi stessi mujaheddin a protezione del governo dei talebani, che loro stessi controllano a Kabul. I due paesi intendono condizionare il futuro dell’Afghanistan con questo strumento. Dal 1996 al 2001 ci riescono e governano per interposta persona il paese. Al Qaida è il braccio armato di un progetto
    Ma al Qaida non è quindi solo un esercito tecnicamente efficiente, è soprattutto parte di un progetto universale di affermazione dell’Islam fondamentalista che negli anni 80 e 90, dopo la rivoluzione islamica in Iran, si radica ovunque nella comunità –
    umma – dell’Islam, dal Marocco all’Indonesia.
    L’11 settembre di New York non è quindi il prodotto di una perfetta ed efficiente “spectre” islamica, ma la realizzazione di una strategia antioccidentale, antiamericana, di affermazione dell’Islam, che vive in una parte crescente del mondo musulmano e che ha in al Qaida solo il suo braccio armato. La conferma viene subito dall’Arabia Saudita: il padrino di al Qaida viene dimesso undici giorni prima dell’attacco dell’attacco alle Twin Towers, il suo co-padrino pakistano Memhoud perde il posto pochi giorni dopo, ma l’Arabia Saudita non muove un dito per contrastare la presenza di al Qaida al suo interno (almeno fino al 12 maggio scorso, quando viene pesantemente colpita) e il Pakistan appoggia con la mano di Musharraf gli americani in Afghanistan,
    ma con la mano dei servizi segreti bin Laden e il mullah Omar. Al Qaida insomma, si delinea sempre più come sintomo ed
    espressione della crisi politico-dinastica saudita, del suo esercizio fallito di potenza regionale, così come delle trentennali convulsioni
    che scuotono il Pakistan. La conferma viene dagli ultimi due attentati di Baghdad, contro la Giordania e contro l’Onu.
    E’ evidente il salto politico, l’abbandono della serie di attentati “facili e generici” contro gli occidentali che ballano nelle
    discoteche dell’Indonesia e del Marocco e l’inserimento delle due iniziative in una lucida strategia politica. Il re di Giordania
    Abdallah si era spinto, nel recente Economic World Forum di Amman, fino a chiedere investimenti israeliani per la ricostruzione
    dell’Iraq. Il sovrano ha mostrato di volersi appoggiare su un rinnovato asse Amman-Baghdad, delineato sin dal 1931, dai suoi nonni, per costruire un Medio Oriente in pace con Israele e puntato allo sviluppo, senza velleità panarabe alla Saddam
    Hussein, senza nessuna volontà di costituire un Islam aggressivo e fondamentalista.
    Progetti speculari e antagonisti alla strategia di fondo del partito dinastico saudita che punta invece alla continuazione in eterno del jihad antisraeliano e che non può sopportare la ripresa a Baghdad di un processo costituzionale, interrotto dal golpe del 1958.
    Vieira De Mello ha dato un contributo determinante al riconoscimento da parte dell’Onu della legittimità del consiglio nazionale iracheno creato da Paul Brenner e dalla coalizione anglo-americana. Per questo è stato punito, ucciso e per questo l’Onu è diventata un nemico: perché la somma della coalizione anglo-americana e della forte legittimità delle Nazioni Unite a sostegno della costruzione democratica dell’Iraq è intollerabile per lo sviluppo del progetto fondamentalista islamico. I suicidi-
    assassini di al Qaida o di qualche satellite saudita hanno fornito l’altro giorno la manovalanza, ma il progetto ancora una volta è di altri. Probabilmente addirittura dentro la corte di Riad, in raccordo – e il paradosso è solo apparente – con qualche palazzo di Teheran e forse addirittura di Damasco.

    Carlo Panella sul Foglio

    saluti

  9. #9
    Hanno assassinato Calipari
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    Predefinito

    basta dire falsita' di continuo senza riscontri, Panella.

  10. #10
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    Predefinito Chi depista...

    E se fosse stato Saddam a mentire, grazie a informatori più o meno volontari, sulle armi dell’Iraq?

    Roma. Chi ha depistato chi sulle armi di distruzione di massa in Iraq? L’ultima, attribuita dal Los Angeles Times ad addetti ai
    lavori della Cia e dell’intelligence Usa, è che la disinformatjia sia partita da Saddam. Non per far credere – come si dava sinora
    per ovvio – che le armi proibite non le avesse, ma al contrario per dare a intendere che ne aveva. Molte delle segnalazioni su cui si
    fondavano i servizi americani, e anche quelli britannici, e che poi si sono rivelate fasulle, provenivano da transfughi iracheni.
    E’ possibile che alcuni fossero “agenti doppi”, che lavoravano allo stesso tempo per Baghdad e i servizi occidentali. Che altri “esagerassero” per fini propri. Di qualcuno si sono accorti che raccontava balle e l’hanno scartato come inattendibile. Ma l’ipotesi
    più accreditata è che la maggior parte fossero transfughi veri, che fornivano informazioni false in buona fede. Sapientemente
    imboccati. Gli dicevano per filo e per segno dove si sarebbe trovato cosa. Reggevano ai riscontri incrociati e alla macchina
    della verità. Se mentivano, non ne erano coscienti. Quindi qualcuno deve avergli fornito a bella posta informazioni
    taroccate quanto verosimili. Ancora non s’è capito come e perché. Ma il gruppo di lavoro incaricato di dar la caccia alle armi proibite, diretto da David Kay (l’ex ispettore Onu ora consigliere speciale della Cia) e dal generale Keith Dayton che era il responsabile dell’“human intelligence” per la Defense Intelligence Agency del Pentagono sta cercando di dipanare la matassa.
    L’obiettivo è “verificare come e se siano state diffuse false informazioni, come abbiano potuto filtrare in canali legittimi e come ci si sia potuti far completamente imbrogliare”. “Stiamo
    prendendo in considerazione ogni possibilità. Non si può escludere nulla, ripensiamo tutti gli assunti originari”, dice uno dei loro collaboratori.

    La veridicità delle fonti è solo un aspetto, anche se chiave, del puzzle. La cosa da appurare è come sia potuto succedere che
    ci siano cascati tutti, “l’intera intelligence comunity, non solo noi americani”. Ma che interesse avrebbe avuto Saddam a far credere di avere scorte di armi proibite?
    Un’ipotesi è che volesse creare confusione, “bluffare”, facendo credere ai “nemici”, da Washington a Teheran, quanto ai vicini da intimidire, di essere molto più forte di quanto fosse in realtà. Il gioco potrebbe non essere così assurdo come appare.
    C’è chi ha persino osservato che forse George W. Bush non avrebbe fatto la guerra all’Iraq “se fosse stato sicuro che disponeva di armi di distruzione di massa”. In fin dei conti il suo “collega” Kim Jong Il se l’è finora cavata molto meglio dichiarando di avere l’atomica anziché giurando di non averla.
    Un’altra ipotesi è che abbia fatto circolare false informazioni specifiche sulle scorte di armi per poter poi mettere in difficoltà gli
    avversari quando le ricerche degli ispettori dell’Onu, cui le soffiate erano state passate, fossero finite in un buco nell’acqua.
    Una delle fonti dell’agenzia di spionaggio del Pentagono, un ingegnere iracheno, avrebbe rivelato già nel 2001 le locazioni delle armi biologiche, ma nei siti da lui indicati non se n’è trovata traccia.

    La scoperta, grazie a una tempesta di sabbia
    L’intelligence Usa aveva avvertito a ottobre Casa Bianca e Congresso che l’Iraq aveva “ripreso a produrre” armi chimiche e
    batteriologiche, “mustard gas, sarin, cyclosarin, gas nervino VX, da 100 a 500 tonnellate, molto di cui prodotto lo scorso anno”.
    Secondo una nuova dottrina di disponibilità limitata, non in grande scala come prima della guerra del Golfo, ma dispiegabile al
    momento opportuno. Di tutto questo non c’è traccia. Come non ce n’è dei “25.000 litri di antrace, 38.000 litri di botulino”, citati da
    Bush nel suo discorso sullo stato dell’Unione del gennaio scorso. Non è più questione delle “esagerazioni”, che è evidente ci sono
    state a Londra e a Washington (e come poteva essere altrimenti?) a sostegno degli argomenti per la guerra. E’ che le “dritte” erano troppo precise per essere solo esagerazioni.

    Una terza ipotesi è che a forzare le cose siano stati i dissidenti in esilio, che certo avevano un interesse nella materia. “Siamo rimasti prigionieri delle nostre credenze. Eravamo convinti che Saddam Hussein fosse un maestro di bugie e inganni.
    E quando non si è riusciti a trovare nulla, ne abbiamo tratto la conclusione che ciò provava che mentiva e nascondeva qualcosa,
    anziché rimettere in discussione i nostri assunti”, osserva un esperto di ritorno dall’Iraq.
    Ma se così fosse si potrebbe anche concludere che il più furbo ha finito col darsi la zappa sui piedi. C’è chi è a questo punto convinto che di armi proibite non se ne troveranno. Ma anche chi osserva che, se solo qualche settimana fa hanno scoperto
    casualmente, grazie a una tempesta di sabbia che aveva messo a nudo un timone di coda, in una zona di deserto occupata da ormai tre mesi, una trentina di Mig sepolti nella sabbia, niente esclude che siano riusciti a nascondere quel che i 1400 uomini
    del Survey Group continuano a cercare.

    saluti

 

 
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