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  1. #11
    Cattolico Resiliente
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    Avete il novo e ’l vecchio Testamento, e ’l pastor de la Chiesa che vi guida; questo vi basti a vostro salvamento. Se mala cupidigia altro vi grida, uomini siate, e non pecore matte, sì che ’l Giudeo di voi tra voi non rida! (Dante: Paradiso Canto V)
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    Santa Francesca Romana Religiosa
    Roma, 1384 – 9 marzo 1440

    Nobile di nascita - nome e cognome riempiono una riga: Francesca Bussa de' Buxis de' Leoni - e nobilissima di animo, S. Francesca Romana, pur vissuta nell'ormai lontano Quattrocento, è così familiare nella devozione dei romani che le giovani coppie prediligono, per unirsi in matrimonio, la chiesa a lei dedicata quasi al centro dei Fori Imperiali. Francesca, detta familiarmente Franceschella o Ceccolella, nacque a Roma nel 1384. Cresciuta negli agi di una nobile e ricca famiglia, coltivò nel suo animo l'ideale della vita monastica, ma non poté sottrarsi, com'era consuetudine, alla scelta che per lei avevano fatto i suoi genitori.
    Raramente un matrimonio così combinato ebbe esito tanto felice. La giovanissima sposa, appena tredicenne, prese dimora con lo sposo Lorenzo de' Ponziani altrettanto ricco e nobile, nella sua casa nobiliare a Trastevere. Con semplicità accettò i grandi doni della vita, l'amore dello sposo, i suoi titoli nobiliari, le sue ricchezze, i tre figli nati dalla loro unione e sui quali ella riversò un amore vigile e tenerissimo; e con altrettanta semplicità e fermezza d'animo ne accettò la privazione.
    Il primo grande dolore fu la morte di un figlioletto; poco dopo morì un secondo figlio, rinnovando la ferita al suo cuore ancora sanguinante. Intanto Roma subiva i contraccolpi dello scisma d'Occidente per la contrastata presenza di antipapi. A uno di questi, Giovanni XXIII, mosse guerra il re di Napoli, Ladislao d'Angiò, che per ben due volte invase l'Urbe. La guerra colpì da vicino anche Francesca, che ebbe il marito seriamente ferito e l'unico figlio rimastole preso come ostaggio. Tutte queste sventure non piegarono il suo animo, sostenuto dalla presenza misteriosa ma efficace del suo Angelo custode.
    Il suo palazzo pareva fosse la meta obbligata di bisognosi d'ogni genere. Generosa con tutti, profondeva i beni di cui disponeva per alleviare le tribolazioni degli altri, senza nulla concedere a se stessa. Per poter allargare il raggio della sua azione caritativa, nel 1425 fondò la congregazione delle Oblate Olivetane di S. Maria Nuova, dette anche Oblate di Tor de' Specchi. Tre anni dopo la morte del marito, emise ella stessa i voti nella congregazione da lei fondata, assumendo il secondo nome di Romana.
    Morì il 9 marzo 1440. Le sue spoglie mortali vennero esposte per tre giorni nella chiesa di S. Maria Nuova, che avrebbe poi preso il suo nome, e fu così unanime il tributo di devozione resole dai romani che una cronaca dell'epoca parla di "tota civitas", di tutta Roma, accorsa a renderle l'estremo saluto. Venne canonizzata nel 1608.


  2. #12
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    Santa Barbara Patrona della Marina Militare

    Si narra che Barbara di Nicomedia in Bitinia fu rinchiusa in una torre e poi condotta al martirio per la sua indomata fede cristiana osteggiata dal padre pagano Dioscoro, che "al quattro del mese di dicembre, regnante Massimiano imperatore, ed essendo preside Marziano..." (circa nel 288 d.C.), fu incenerito da una fulmine celeste, simbolo della morte immediata senza la possibilità di redimersi.
    Essa fu prescelta perché rappresenta la serenità del sacrificio di fronte al pericolo senza possibilità di evitarlo, e fu eletta a patrona "di coloro che si trovano in pericolo di morte improvvisa". Infatti, la martire, nell'imminenza del supremo sacrificio, pregò Gesù: "... tu che tendesti i cieli e fondasti la terra e rinchiudesti gli abissi, il quale comandasti ai nuvoli che piovessero sovra i buoni e sovra i rei, andasti sopra il mare e riprendesti il tempestoso vento, al quale tutte le cose obbediscono, esaudisci per la tua misericordia infinita la orazione della tua ancilla... Pregoti Signore mio Gesù, se alcuna persona a tua laude farà memoria di me e del mio martirio,... mandali grazia per tua misericordia"...
    La compenetrazione leggenda/momenti di vita mistica spiega le ragioni per cui subito dopo l'invenzione della polvere da sparo ciascun magazzino di munizioni, in particolare sulle navi da guerra, per devozione alla vergine di Nicomedia, da sempre ha attaccato sulle pareti un'immagine della santa "perché siano preservati dal fuoco e dai fulmini celesti i depositi delle polveri che si chiamano appunto Santebarbare"... (Padre Alberto Guglielmotti).
    A seguito del Breve Pontificio di Pio XII del 4-12-1951 di proclamazione solenne a Celeste Patrona, ogni 4 dicembre gli uomini della Marina Militare e quanti operano per essa, nel ritrovarsi con le comuni origini e valori, festeggiano solennemente e degnamente la loro Santa Patrona.


  3. #13
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    San Francesco di Paola
    Patrono della Gente di mare italiana


    Francesco nacque il 27 marzo 1416 a Paola (Cosenza) da Giacomo Martolilla e Vienna da Fuscaldo. Già in età avanzata, i genitori attribuirono la nascita del loro primogenito all’intercessione di S. Francesco, e per questo gli diedero il nome del Santo assisiate e promisero di rivestirlo dell’abito votivo dei Francescani.
    All’età di quindici anni Francesco fu accompagnato presso i Conventuali di S. Marco Argentano (Cosenza) per sciogliere il voto e prestare l’anno di famulato. Qui Francesco manifestò la sua propensione alla preghiera e le sue doti di pietà, accompagnate da manifestazioni soprannaturali, le stesse che, successivamente, avrebbero alimentato la sua fama di grande taumaturgo. Al termine della sua permanenza i religiosi avrebbero voluto trattenerlo, ma il giovane Francesco, sentendo vicino il tempo di una radicale scelta di vita e avvertendo in sé uno spiccato desiderio di conoscere le diverse forme di vita religiosa, lasciò il convento e, assieme ai genitori, intraprese un pellegrinaggio. Si recò ad Assisi, toccando Montecassino, Roma, Loreto e visitando gli romitori che costellavano Monte Luco. La visita di Roma lo turbò profondamente: secondo il suo primo anonimo biografo, Francesco redarguì lo sfarzo di un cardinale con le parole: "Nostro Signore non andava così". L’episodio mostra come nell’animo del giovane andasse ormai maturando l’idea di una riforma della vita ecclesiale basata sulla povertà.
    Il pellegrinaggio costituì motivo di riflessione e di decisioni per il suo futuro. Ritornato a Paola, Francesco espresse ai suoi genitori il desiderio di condurre vita eremitica. Attorno al 1435, si ritirò fuori dell’abitato di Paola, in un terreno di proprietà della famiglia, suscitando grande stupore fra i concittadini per l’austerità del suo modo di vivere. L’esperienza di Paola lo forgiò alla contemplazione, al lavoro, alla solitudine e alle privazioni e mortificazioni corporali.
    Ben presto iniziarono ad affluire al suo eremo molte persone desiderose di porsi sotto la sua guida spirituale e di condividere lo stesso austero genere di vita. Con l’arrivo in diocesi di mons. Pirro Caracciolo, nominato arcivescovo di Cosenza il 31 agosto 1452, il movimento ottiene il beneplacito dell’ordinario diocesano e può dotarsi di un oratorio. I flussi di pellegrini che si portano all’eremo di Paola attirano l’attenzione di Paolo II che, agli inizi del 1467, invia un suo visitatore per indagare sulla vita di Francesco. Al rientro in Curia, mons. Baldassarre De Gutrossis rassicura il papa sulla fedeltà di Francesco alla Sede Apostolica e, visto che l’Eremita aveva avviato la costruzione di una chiesa, il 7 luglio 1467 gli fa ottenere una lettera collettiva di quattro cardinali con la quale concedevano l’indulgenza, alle consuete condizioni, a coloro che visitavano o contribuivano alle spese per l’erigenda chiesa di Paola.
    Col trasferimento a Paola, agli inizi del 1470, dell’ex visitatore che assumerà il nome di P. Baldassarre da Spigno, inizia l’iter giuridico che porterà al riconoscimento ufficiale del movimento eremitico fondato da Francesco. La prima tappa è costituita dal nulla osta rilasciato da mons. Caracciolo il 30 novembre 1470. A distanza di alcuni anni, grazie al fattivo interessamento dell’arcivescovo cosentino e all’opera diplomatica di P. Baldassarre, il 17 maggio 1474 il movimento ottiene l’approvazione pontificia assumendo il nome di "Congregazione eremitica paolana di S. Francesco d’Assisi". Al romitorio di Paola seguirono quelli di Paterno Calabro (1472), Spezzano della Sila (1474), Corigliano Calabro (1476) e Milazzo (1480). La vita di questi eremiti era regolata dagli "ordinamenti e statuti" che, in parte, confluirono nelle successive stesure della regola.
    Francesco divenne per Paola un punto di riferimento religioso e sociale, entrando nel cuore della gente che si recava da lui per sottoporgli problemi di diversa natura. L’Eremita era visto, inoltre, come l’unico baluardo in grado di opporsi ai soprusi della corte aragonese, come la persona capace di mettersi dalla parte della gente povera e semplice di quel lembo del Regno di Napoli e di assumere un ruolo di vero "umanista" nell’interesse di chi non aveva voce. Francesco era, per il suo genere di vita, un contestatore che richiamava le grandi figure dell’anacoretismo. Lo avvicinavano potenti e semplici, ed egli non faceva distinzione di ceto: una testimonianza al processo apostolico di Cosenza afferma che Galeazzo di Tarsia, barone di Belmonte, si recò più volte a Paola chiedendo la guarigione, e che Francesco gli fece portare le pietre insieme agli altri operai. Il Santo seppe creare attorno a sé un ambiente di profonda religiosità e fede con l’invito costante alla preghiera e all’osservanza della volontà di Dio.
    Fin dall’inizio, Francesco ebbe fama di grande taumaturgo I prodigi accompagnarono tutta la sua vita, a partire dalla costruzione dei primi conventi fino alla sua andata in Francia. Fu il suo un potere taumaturgico a favore di tutti, ma in particolare dei poveri e degli oppressi dalle diffuse malversazioni dei potenti, contro le quali Francesco non si stancò di levare la voce. Gli elementi usati per il miracolo erano davvero secondari o insignificanti, i primi a portata di uomo, quasi a far capire che non erano essi a guarire o a risolvere il problema, bensì Dio. C’è un fatto che ben sottolinea la "metodologia" del miracolo. Un giovane di Paola, nonostante il consulto di medici di fama, aveva su un braccio una piaga che non si rimarginava. La madre gli disse: "Vai anche tu al romitorio di Francesco e vedrai che ti farà la grazia". Si decise, andò ed espose il suo problema e tutti i tentativi fatti per guarire. Francesco si abbassò, prese la prima erba che gli venne tra le mani e gli disse: "Falla bollire, mettila sulla piaga e sarai guarito!". Il giovane lo guardò e gli disse: "Di quest’erba ve n’è tanta a Paola, possibile che fa miracoli?". L’Eremita replicò: "É la fede che fa i miracoli!". Ad un prete che gli faceva questa domanda: "Come fai a sapere che quest’erba ha delle virtù?", Francesco rispose con semplicità evangelica: "A chi serve fedelmente Dio e osserva i suoi comandamenti, anche le erbe manifestano le loro virtù". Molti dei suoi miracoli impressionarono grandemente letterati e artisti, che l’immortalarono nelle loro opere, come il noto episodio del passaggio dello Stretto di Messina compiuto sul mantello steso sulle onde del mare.
    Portata dai mercanti napoletani, la fama di Francesco giunse in Francia, alla corte di Luigi XI, allora infermo, il quale chiese a papa Sisto IV di far arrivare l’Eremita paolano al suo capezzale. Fu l’inizio del "capitolo diplomatico" della vita di Francesco. Il pontefice, desideroso di un riavvicinamento alla Francia, con la quale avrebbe voluto un accordo per l’abolizione della Prammatica Sanzione di Bourges del 1438, accolse favorevolmente l’ambasceria francese e altrettanto fece il re di Napoli. Furono però necessari molti mesi per convincere Francesco, il quale accettò di partire solo quando il papa glielo impose. Fu per l’Eremita un’obbedienza difficile: aveva 67 anni, la sua Congregazione si era da poco estesa anche in Sicilia e, soprattutto, aveva ritrosia ad andare a vivere in una reggia con un appannaggio sovrano, dopo aver vissuto per più di trent’anni in un romitorio. Il sacrificio richiestogli di lasciare il Regno di Napoli sarebbe poi stato largamente compensato dal favore della corte francese verso il suo Ordine e dagli interventi della medesima presso la Curia Romana.
    Lasciato l’eremo paternese il 2 febbraio 1483, Francesco fu accolto a Napoli trionfalmente sia dal popolo, sia dalla corte, che dalla sua andata in Francia sperava in un allontanamento della paventata invasione del Regno da parte dei Valois. Il re Ferdinando I avrebbe preteso un rapporto preferenziale dal suo suddito. A Roma Sisto IV lo ricevette più volte, affidandogli delicati incarichi. Al suo arrivo al castello di Plessis–les–Tours, Luigi XI si inginocchiò di fronte a lui, chiedendogli la benedizione. Il sovrano non ottenne la guarigione, ma l’azione a corte del Paolano portò ad un lungo periodo di buoni rapporti tra il papato e la monarchia francese, di cui beneficiarono anche i Regni di Spagna, Boemia e Napoli.
    Francesco fu subito benvoluto a corte e – nonostante la non conoscenza della lingua – fu avvicinato dai semplici, come dai dottori della Sorbona, desiderosi di riforma personale questi ultimi e in cerca di interventi prodigiosi i primi. Francesco visse in Francia circa venticinque anni e si creò il suo mondo lavorando un appezzamento di terra, presentandosi come riformatore della vita religiosa e con l’aureola di uomo di Dio penitente, eremitico, un nuovo Giovanni Battista. Per questo suo austero stile di vita viene scelto da alcuni benedettini, francescani ed eremiti, che lasciano le rispettive famiglie religiose per aggregarsi a Francesco. Il loro arrivo, oltre a internazionalizzare la Congregazione calabrese, determinò un profondo cambiamento al suo interno, in quanto fu abbandonato l’eremitismo e fu introdotta la vita cenobitica. Tale svolta porterà alla nascita dell' Ordine dei Minimi, seguita dalla fondazione prima del Terz’Ordine secolare e poi delle Monache. Le rispettive regole furono definitivamente approvate da Giulio II il 28 luglio 1506.
    Francesco si spense a Tours il 2 aprile 1507. La fama di questo taumaturgo, attraverso i tre rami della famiglia Minima (frati, monache e terziari), si diffuse in Europa, favorendo la sua beatificazione (7 luglio 1513) e la sua canonizzazione (1° maggio 1519) avvenuta a soli dodici anni dalla morte.
    Francesco entrava nel cuore della gente e la sua protezione si estese su numerosi Regni; si moltiplicarono le chiese in suo onore, la gente lo invocava con familiarità e ne conservava i ricordi come preziose reliquie (a Paola, nel 1510, ancor prima della sua beatificazione c’era chi andava per toccare o per rivestirsi degli indumenti da lui usati). Patrono della Gente di mare italiana – Pio XII lo dichiarò tale il 27 marzo 1943 – e di diversi regni, tra cui Francia, Spagna, Napoli, Boemia, è invocato in modo particolare per la prole. E' altresì patrono degli emigranti delle popolazioni del Sud d’Italia.


  4. #14
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    SAN LONGINO

    Longino - detto l'Isaurico perché originario della provincia di Isauria - fu il soldato che colpì con la lancia il costato di Gesù, ormai morto. Dalla ferita sgorgò subito sangue misto ad acqua.
    Qualche goccia di detto sangue finì negli occhi ammalati di Longino, che immediatamente uscì risanato dal male che lo affliggeva da lungo tempo.
    Quel miracolo inaspettato portò alla fede il soldato, il quale subito provvide a raccogliere un poco di terra bagnata dal sangue di Gesù, ai piedi della croce. Custodito in una cassetta metallica, Longino portò seco quel prezioso cimelio attraverso lunghe peregrinazioni finendo - col suo prezioso tesoro - in terra mantovana ove sostò.


  5. #15
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    San Cristoforo, portatore di Cristo

    Cristoforo era un gigante con una forza spaventosa e un aspetto terribile. Il re del suo paese lo aveva ingaggiato come guardia del corpo, perché a nessuno veniva in mente di attaccar briga con quel gigante che poteva abbattere una grossa quercia con un solo colpo di spada. Ma, un giorno, Cristoforo si annoiò di proteggere il suo re, che era un gran fifone, e decise di andare a cercare il re più potente del mondo e mettersi al suo servizio. Dopotutto se lo meritava: nessuno era abile e valoroso come lui. Dopo un lungo pellegrinare, giunse alla corte di un re che raccontava a tutti di essere invincibile. Quando questo re vide il gigantesco Cristoforo, ben volentieri lo prese al proprio servizio e gli consentì di abitare nel suo castello. Un giorno, un giullare cantava ai piedi del re una canzone in cui veniva spesso ricordato il nome del diavolo. I1 re, che era cristiano, ogni volta che sentiva nominare il diavolo, si faceva il segno della croce. Cristoforo se ne meravigliò molto e domandò al re il significato di quel segno. Il re si rifiutò di rispondere, ma Cristoforo disse: " Se non me lo dici, me ne vado! ". E il re: " Quando odo il nome del diavolo, cerco sempre protezione in questo segno, perché ho una gran paura del suo malefico potere e non vorrei cadere sotto le sue grinfie ". Cristoforo lo guardò deluso, e poi dichiarò: " Se hai tanta paura del diavolo, vuol dire che il diavolo è più potente di te. Perciò me ne vado davvero, perché ti avevo ben detto che voglio servire il re più potente del mondo. Addio, re. Me ne vado a cercare il diavolo per mettermi al suo servizio ".
    Cristoforo lasciò la corte e si mise in cerca del diavolo. Arrivò in un luogo aspro e deserto, dove era accampata una masnada di terribili soldati. Le sentinelle lo fermarono e lo portarono dal loro capo. Questi aveva un volto peloso e crudele, con gli occhi che sprizzavano scintille di cattiveria. " Dove vai? ", ringhiò con una voce che metteva la pelle d'oca. " Vado a cercare il diavolo perché voglio mettermi al suo servizio " rispose Cristoforo. L'orribile omaccione sghignazzò, poi disse: " Sono io quello che cerchi ". Cristoforo, contento di aver trovato il sovrano più potente del mondo, promise di servigli per sempre. Ma un giorno, mentre Cristoforo e il diavolo camminavano insieme per una strada, si imbatterono in una croce. Il diavolo divenne paonazzo, cominciò a emettere degli strani grugniti, e poi si mise a fuggire di gran carriera sollevando nuvolette di polvere. Quel che è peggio, costrinse Cristoforo a seguirlo per un sentiero impervio e scomodo, solo per non dover passare davanti alla croce. Quella sera, Cristoforo, ancora sbalordito, chiese al diavolo il perché di quella fuga improvvisa che li aveva costretti ad abbandonare una strada agevole per seguire un brutto sentiero. Il diavolo si rifiutò di rispondere, ma Cristoforo disse: " Se non me lo dirai me ne andrò ". Suo malgrado, allora, il diavolo spiegò: " Un uomo chiamato Gesù fu un giorno inchiodato sulla croce. Così tutte le volte che vedo il segno della croce sono costretto a fuggire spaventato ". E Cristoforo: " Questo Gesù allora è molto più potente di te, se ti fa tanta paura solo un segno che lo ricorda. E io mi accorgo di non avere ancora trovato il re più potente del mondo. Tu mi avevi mentito. Addio, diavolo. Vado a cercare Gesù ". Cristoforo però dovette girare a lungo prima di incontrare qualcuno che potesse indicargli dove trovare Gesù. Finalmente si imbatté in un eremita che gli raccontò la storia di Gesù Cristo, gli fece leggere il Vangelo e gli insegnò le verità della fede. Cristoforo ascoltò tutto con molta attenzione, chiese il Battesimo e promise di servire Gesù fedelmente con tutte le sue forze. " Il re che desideri servire, deve essere onorato con frequenti digiuni " aggiunse l'eremita. " Mi chieda qualsiasi altro servizio, perché in questo non posso servirlo " rispose con franchezza Cristoforo. " Dovrai anche pregare a lungo " continuò l'eremita. " Neppure in questo posso servirlo " disse sinceramente Cristoforo. E l'eremita: " Vedi quel fiume laggiù in cui molti periscono miseramente quando cercano di attraversarlo? ". " Sì ". " Allora, dal momento che sei così alto e forte, va' sulla riva di quel fiume e aiuta i passanti ad attraversarlo. Gesù lo considererà certamente un valido servizio e, buono e generoso com'è, può anche darsi che te lo venga a dire ". " Questo è un servizio che posso rendergli " disse questa volta Cristoforo. Si recò sulle rive del fiume, che scorreva impetuoso e violento, tagliando in due la pianura, e si costruì una capanna. Con il tronco di un giovane albero si fece un robusto bastone, per camminare meglio nell'acqua, e cominciò a trasportare da una sponda all'altra tutti i viandanti che volevano guadare il fiume. Chi voleva attraversare dava una voce al buon gigante, che si caricava il viandante sulle spalle e poi sfidava la corrente del fiume per portarlo dall'altra parte. Cristoforo adempiva al suo compito con assoluta fedeltà, per servire il suo nuovo re, anche se non lo conosceva ancora. Passarono così alcuni mesi. Un giorno, mentre si riposava nella sua capanna, Cristoforo udì una voce di bambino che lo chiamava. " Cristoforo, vieni fuori e portami al di là del fiume ". Cristoforo uscì fuori, ma non trovò nessuno. Scrollò le spalle e tornò nella capanna. Ma, appena dentro, udì di nuovo la medesima vocina che lo chiamava. Di nuovo corse fuori e non trovò nessuno. Rientrò nella capanna, ed ecco, per la terza volta, una voce di bambino lo chiamò. Per la terza volta corse fuori e questa volta trovò un bambino sulla riva del fiume. Col molto garbo, il bambino chiese a Cristoforo di essere trasportato sull'altra riva. " Scricciolo, sei talmente piccolo che non ti vedevo neppure! Avevo proprio bisogno di sgranchirmi un po' le gambe " disse Cristoforo bonariamente. Con una mano sola si mise il bambino in spalla ed entrò nel fiume appoggiandosi al bastone. Ma ecco che l'acqua cominciò a gonfiare e il bambino a pesare come piombo. Cristoforo era dotato di una forza eccezionale, ma ora, quanto più si inoltrava nel fiume, tanto più la corrente diventava minacciosa e il peso del bambino lo schiacciava, piegandogli le ginocchia. Più volte fu sul punto di soccombere. Quella traversata gli sembrò interminabile e gli costò uno sforzo tremendo. Arrancando arrivò sull'altra sponda, depose a terra il bambino e crollò in ginocchio sull'erba, stremato. " Bambino ", ansimò il gigante, " mi hai messo in gran pericolo: il tuo peso era tanto grande che mi pareva di portare sulle spalle il mondo intero ". Il bambino lo fissò sorridendo. " Non ti meravigliare, Cristoforo " rispose. " Hai portato sulle spalle non solo il mondo intero, ma anche Colui che l'ha creato: io sono Gesù, il re che hai promesso di servire. E perché tu sappia che quanto dico è vero, quando avrai di nuovo attraversato il fiume, pianta il tuo bastone vicino alla capanna e domattina lo troverai fiorito e carico di frutti ". Detto questo, il bambino scomparve. Cristoforo obbedì. Tornato alla capanna, piantò in terra il bastone e la mattina dopo lo trovò carico di foglie e di frutti.
    Il culto si San Cristoforo era diffusissimo nel Medioevo, e sui castelli, le porte e le mura ma anche sui passi montani, si era presa l'abitudine di mettere statuette o immagini del santo che si possono ancora vedere soprattutto in Germania, Austria e Spagna, perché una diceria affermava che guardando il santo di mattina la "mala sorte" sarebbe stata lontana.


 

 
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