12 SETTEMBRE 2017: anniversario della battaglia di Vienna del 12 settembre 1683 (onore al Re Giovanni III Sobieski, al Principe Eugenio di Savoia, al Papa Innocenzo XI, a Padre Marco d'Aviano e a tutti i combattenti per Dio, per la Grande Patria dell'Europa cattolica, per la Santa Chiesa e per il Cattolicesimo!), FESTA DEL SANTISSIMO NOME DI MARIA…
Guéranger, L'anno liturgico - Il Santo Nome di Maria
http://www.unavoce-ve.it/pg-12set.htm
“12 SETTEMBRE IL SANTO NOME DI MARIA.”
12 Settembre - Santo Nome di Maria
http://www.preghiereperlafamiglia.it...e-di-maria.htm
http://www.santiebeati.it/search/jump.cgi?ID=69950
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SS. Nome di Maria - Sodalitium
http://www.sodalitium.biz/5058-2/
“12 settembre, SS. Nome di Maria.
“Festa del santissimo Nome della beata Maria, che il Sommo Pontefice Innocenzo undecimo ordinò che si celebrasse per l’insigne vittoria riportata a Vienna, in Austria, contro i Turchi, col patrocinio della stessa Vergine”.
1. O adorabile Trinità, per l’amore con cui scegliesti ed eternamente Ti compiacesti del Santissimo Nome di Maria, per il potere che gli desti, per le grazie che riservasti ai suoi devoti, fa’ che esso sia anche per me fonte di grazia e di felicità. Ave Maria.
2. O amabile Gesù, per l’amore con cui pronunziasti tante volte il Nome della tua cara Madre e per la consolazione che a Lei procuravi nel chiamarla per nome, raccomanda alle sue speciali cure questo povero tuo e suo servo. Ave Maria.
3. O Angeli Santi, per la gioia che vi procurò la rivelazione dei Nome della vostra Regina, per le lodi con cui lo celebraste, svelatene anche a me tutta la bellezza, la potenza e la dolcezza e fate che io lo invochi in ogni mio bisogno e specialmente in punto di morte. Ave Maria.
4. O cara Sant’Anna, buona mamma della Madre mia, per la gioia da te provata nel pronunciare tante volte con devoto rispetto il Nome della tua piccola Maria o nel parlarne con il tuo buon Gioacchino, fa’ che il dolce nome di Maria sia continuamente anche sulle mie labbra. Ave Maria.
5. E Tu, o dolcissima Maria, per il favore che Dio Ti fece nel donarti Egli stesso il Nome, come a sua diletta Figlia; per l’amore che Tu sempre ad esso mostrasti concedendo grandi grazie ai suoi devoti, concedi anche a me di rispettare, amare ed invocare questo soavissimo Nome. Fa’ che esso sia il mio respiro, il mio riposo, il mio cibo, la mia difesa, il mio rifugio, il mio scudo, il mio canto, la mia musica, la mia preghiera, il mio pianto, il mio tutto, con quello di Gesù, affinché dopo essere stato pace del mio cuore e dolcezza delle mie labbra durante la vita, sia la mia gioia in Cielo. Così sia. Ave Maria.
Benedetto sempre sia, il Santo Nome di Maria.”
Ligue Saint Amédée
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“Ligue Saint Amédée @SaintAmedee
“12 Septembre : le Saint Nom de Marie.”
Preghiera del Beato Marco d'Aviano - con note sul Beato e sugli eventi dell'epoca
http://www.unavox.it/Documenti/Doc08...%27Aviano.html
“Preghiera del Beato Marco d'Aviano da lui composta per l'occasione e letta all'alba del 12 settembre 1683, dopo la celebrazione della S. Messa e la benedizione impartita all'esercito cristiano che si accingeva a dare vittoriosamente battaglia ai Turchi che assediavano Vienna.
O grande Dio degli eserciti, guárdaci prostráti qui ai piedi della Tua Maestà, per impetrarTi il perdono delle nostre colpe.
Sappiamo bene di aver meritato che gl’infedeli impugnino le armi per opprimerci, perché le iniquità, che ogni giorno commettiamo contro la Tua bontà, hanno giustamente provocato la Tua ira.
O gran Dio, Ti chiediamo il perdono dall’intimo dei nostri cuori; esecriamo il peccato, perché Tu lo aborrisci; siamo afflitti perché spesso abbiamo eccitato all’ira la Tua somma Bontà.
Per amore di Te stesso, preferiamo mille volte morire piuttosto che commettere la minima azione che Ti dispiaccia.
Soccórrici con la Tua grazia, o Signore, e non permettere che noi Tuoi servi rompiamo il patto che soltanto con Te abbiamo stipulato.
Abbi dunque pietà di noi, abbi pietà della tua Chiesa, per opprimere la quale già si preparano il furore e la forza degl’infedeli.
Sebbene sia per nostra colpa ch’essi hanno invaso queste belle e cristiane regioni, e sebbene tutti questi mali che ci avvengono non siano altro che la conseguenza della nostra malizia, síici tuttavia propizio, o buon Dio, e non disprezzare l’opera delle Tue mani. Ricordati che, per strapparci dalla servitù di Satana, Tu hai donato tutto il Tuo prezioso Sangue.
Permetterai forse ch’esso venga calpestato dai piedi di questi cani?
Permetterai forse che la fede, questa bella perla che cercasti con tanto zelo e che riscattasti con tanto dolore, venga gettata ai piedi di questi porci?
Non dimenticare, o Signore, che, se Tu permetterai che gl’infedeli prevalgano su di noi, essi bestemmieranno il Tuo santo Nome e derideranno la Tua Potenza, ripetendo mille volte: “Dov’è il loro Dio, quel Dio che non ha potuto liberarli dalle nostre mani?”
Non permettere, o Signore, che Ti si rinfacci di aver permesso la furia dei lupi, proprio quando T’invocavamo nella nostra miserevole angoscia.
Vieni a soccorrerci, o gran Dio delle battaglie! Se Tu sei a nostro favore, gli eserciti degl’infedeli non potranno nuocerci.
Disperdi questa gente che ha voluto la guerra! Per quanto ci riguarda, noi non amiamo altro che essere in pace con Te, con noi stessi e col nostro prossimo.
Rafforza con la tua grazia il tuo servo e nostro imperatore Leopoldo; rafforza l’animo del re di Polonia, del duca di Lotaringia, dei duchi di Baviera e di Sassonia, e anche di questo bell’esercito cristiano, che sta per combattere per l’onore del Tuo Nome, per la difesa e la propagazione della Tua santa Fede. Concedi ai príncipi e ai capi dell’esercito la fierezza di Giosué, la mira di Davide, la fortuna di Jefte, la costanza di Joab e la potenza di Salomone, tuoi soldati, affinché essi, incoraggiati dal Tuo favore, rafforzati dal Tuo Spirito e resi invincibili dalla potenza del Tuo braccio, distruggano e annientino i nemici comuni del nome cristiano, manifestando a tutto il mondo che hanno ricevuto da Te quella potenza che un tempo mostrasti in quei grandi condottieri.
Fa’ dunque in modo, o Signore, che tutto cospiri per la Tua gloria e onore, e anche per la salvezza delle anime nostre.
Te lo chiedo, o Signore, in nome dei tuoi soldati.
Considera la loro fede: essi credono in Te, sperano tutto da Te, amano sinceramente Te con tutto il cuore.
Te lo chiedo anche con quella santa benedizione, che io conferirò a loro da parte Tua, sperando, per i meriti del Tuo prezioso Sangue, nel quale ho posto tutta la mia fiducia, che Tu esaudirai la mia preghiera.
Se la mia morte potesse essere utile o salutare, per ottenere il Tuo favore per loro, ebbene Te la offro fin d’ora, o mio Dio, in gradita offerta; se quindi dovrò morire, ne sarò contento.
Libera dunque l’esercito cristiano dai mali che incombono; trattieni il braccio della Tua ira sospeso su di noi, e fa’ capire ai nostri nemici che non c’è altro Dio all’infuori di Te, e che Tu solo hai il potere di concedere o negare la vittoria e il trionfo, quando Ti piace.
Come Mosè, stendo dunque le mie braccia per benedire i tuoi soldati; sostienili e appóggiali con la Tua Potenza, per la rovina dei nemici Tuoi e nostri, e per la gloria del Tuo Nome. Amen."
"Brevi note sul Beato Marco d'Aviano seguite dal breve racconto dell'evento dell'epoca (riprese da un articolo di Luciano Garofoli pubblicato da EFFEDIEFFE)
Carlo Domenico Cristofori, questo era il nome del Beato Padre Marco quando nacque il 17 novembre 1631 ad Aviano, in provincia di Pordenone, da Pasquale Cristofori e da Rosa Zanoni, terzo di undici figli.
Come era consuetudine in quei tempi in cui il cristianesimo permeava in pienezza la vita della società intera, il bambino fu battezzato il giorno dopo la sua nascita: tanto prima si battezzava la creatura, tanto meno il demonio aveva tempo per compiere danni o devastarne l’anima.
La sua famiglia era di buona condizione sociale e di antica casata: nel 1501 un suo avo, Giorgio Cristofori, era stato ambasciatore della Magnifica Comunità di Pordenone.
La madre era una pia donna e lo predilesse sempre sia per l’amore che dimostrava verso i ragazzi poveri, sia perché quando aveva tre anni fu protagonista di un fatto non spiegabile razionalmente, addirittura attestato con un atto notarile, in quanto in ciò si vide un presagio. Marco stava nella sua culla e la madre, improvvisamente, lo vide avvolto da una luce assolutamente non proveniente da fonte naturale: qualcosa di soprannaturale aveva avvolto e circonfuso il bambino.
Ricevette i primi rudimenti scolastici da un maestro locale, poi frequentò uno zio paterno parroco a San Leonardo di Campagna. Più tardi, in una lettera all’imperatore Leopoldo I d’Asburgo, ricorderà quel periodo della sua infanzia citando questi versi che gli erano rimasti fissati nella memoria:
«Ama Dio e non fallire
Fa pur bene e lascia dire
Lascia dire a chi vuole,
Ama Dio di buon cuore».
A 12 anni, il 2 giugno 1643, ricevette la cresima.
Come altri rampolli della borghesia fu iscritto nel 1643 al Collegium dei gesuiti a Gorizia. Entrò a far parte, mentre era in collegio, della Purificata, Congregazione Mariana che adottava un particolare e molto impegnativo programma di pratiche religiose.
In collegio si davano spesso rappresentazioni teatrali che inscenavano la vita di eroi e di martiri.
Anche quando era in casa aveva spesso sentito narrare la storia che riguardava la distruzione, avvenuta nel 1499, del castello di Aviano e della deportazione di gran parte della popolazione della sua città da parte dei turchi.
Nella sua mente di adolescente generoso, si consolidò l’idea di cercare il martirio. Aveva solo 16 anni quando pensò di raggiungere l’isola di Creta, dove la Serenissima Repubblica di Venezia stava, con fierezza e grande eroismo, difendendo i suoi possedimenti nell’isola aggredita dall’ondata espansionistica verso ovest dei turchi. In quel tempo la Sublime Porta era retta da Mehmet IV detto Avci, cioè il cacciatore. Egli riuscì a riconquistare Candia nel 1669 ed assediò Vienna nel 1683.
La storia di Marco e di Mehmet IV sono destinate ad incontrarsi, come vedremo poi. Il giovane Marco, infervorato di fede cattolica, desideroso di cercare il martirio, approfittando di una passeggiata con i compagni di collegio, scappa, abbandonò Gorizia e raggiunse Capo d’Istria, dove contava di imbarcarsi su una nave veneziana per raggiungere il fronte di guerra. In realtà si ritrovò stanco ed affamato e finì per chiedere soccorso al convento dei Cappuccini dove il padre superiore lo rimise in forze e lo aiutò a tornare in famiglia.
L’incontro con i francescani fu davvero importante: nel breve soggiorno nel convento di Capo d’Istria, intravide la possibilità di seguire in maniera diversa la sua vocazione sulla strada dell’apostolato e del supremo sacrificio di se stesso nel martirio.
Si decise ad abbandonare il mondo e ad abbracciare l’austera impegnativa regola dei Cappuccini che, tra i seguaci di San Francesco, sono quelli più rigorosi.
Nel settembre del 1648 fu ammesso al Noviziato di Conegliano Veneto ed un anno dopo, il 21 novembre 1649 prese i voti assumendo il nome di Marco d’Aviano. Fu quindi inviato ad Arzignano, nel vicentino per completare la formazione nel lavoro, nella preghiera e nelle mortificazioni.
A ciò seguì il regolare corso di studi consistente in un triennio di studi di filosofia ed un quadriennio di teologia: il 18 settembre 1655 fu ordinato sacerdote a Chioggia dal vescovo Francesco Grasso che, a cavallo tra il 1660 e il 1661, gli conferì la patente di predicatore al popolo.
Padre Marco esercitò la sua attività di predicatore con grandissimo zelo profondendo le sue migliori energie nell’apostolato della parola ed impegnandosi in maniera particolare durante i tempi importanti della Quaresima e dell’Avvento.
La sua attività di predicatore gli piaceva molto: «Trattandosi della salute delle anime impiegherò tutto me stesso», scriveva al Provinciale dei Cappuccini del Tirolo; non aveva perduto l’iniziale spinta al martirio: «Volentieri sacrificherò la mia vita per Dio e per il bene delle anime».
Tali parole gli uscivano nel cuore, come testimoniato anche dal Generale dei Cappuccini Padre Bernardino d’Arezzo e tutto ciò suscitava l’ammirazione del Santo Padre, come affermava il cardinale Cibo, allora Segretario di Stato.
Durante una carestia a Smeride raccolse tanto frumento per aiutare tutti i bisognosi. A Fratta Polesine e ad Este molte persone, dopo il suo intervento, sacrificarono i loro beni donandoli ai poveri.
Durante un’epidemia di peste era a Gorizia: «Vorrei essere valevole di poter sollevare (le pene) con il mio proprio sangue, che il farei…». Continuava a dire che «La missione è quella di medico spirituale».
A Salò, sul Garda, riconciliò i capi del Comune ed il parroco guadagnandosi la gratitudine della cittadinanza.
Alla sua già fervida missione aggiunse anche impegni di responsabilità e di governo in seno all’Ordine: nel 1672 fu Superiore del convento di Belluno e nel 1674 diresse la Fraternità di Oderzo. A 45 anni di età, la vita di padre Marco cambiò e lo tolse dal suo nascondimento e dalla sua umile applicazione trascendente esercitata nella sua cella di frate, per essere imposto all’attenzione universale.
L’otto settembre 1676, invitato a predicare nel monastero padovano di San Prosdocimo, con la sua preghiera e benedizione guarì istantaneamente suor Vincenza Francesconi che era paralizzata da ben 13 anni; eventi simili si ripeterono un mese dopo a Venezia, a Chioggia, ad Andria e a Verona.
La Santa Sede, che allora esercitava in pienezza il suo magistero spirituale, intervenne per difendere il cappuccino da chi, nelle diocesi di Padova e di Venezia, voleva impedirgli l’esercizio delle benedizioni.
A Schio, durante una Quaresima, resuscitò un bambino morto da quattro giorni e già sepolto: ed i genitori glielo fecero battezzare.
Il papa Innocenzo XI lo proclamò «taumaturgo del secolo».
Molti dei suoi avvenimenti straordinari furono documentati da Notari nelle cronache cittadine e riconosciuti dalle curie vescovili. La fama di guaritore si espanse e vari vescovi italiani ed europei richiesero la sua opera di predicatore. Padre Marco intraprese, quindi, vari viaggi missionari che durarono mesi in Alta Italia, Francia, Belgio, Olanda, Svizzera, Tirolo, Baviera, Austria ed in molti Stati della Germania.
Molto desiderata era la sua benedizione, da lui composta, che egli stesso divulgava con foglietti stampati, mentre nelle Domeniche e nelle Feste principali dell’anno impartiva personalmente la medesima sempre alle 11 antimeridiane.
Oltre al popolo anche vescovi, cardinali, principi e re la ricevettero con grandi frutti spirituali ed anche corporali; ottenne il privilegio di impartire ai fedeli la Benedizione Papale con annessa Indulgenza Plenaria.
Presto i suoi viaggi si trasformarono in un giubileo itinerante.
A Lione radunò quasi 100.000 persone.
A Ratisbona il suo trionfo fu tale, che gli stessi avversari furono costretti ad ammetterlo.
Ad Augusta fu accolto da un’immensa processione: il priore dei Certosini di Bruxeim scrisse al collega di Magonza: «Se l’Imperatore venisse ad Augusta accompagnato da altri sovrani, non credo che ci sarebbe un tale concorso di gente».
La Nunziatura di Colonia disse che il concorso di popolo era tale che «Non s’è visto, in questa città a memoria dell’huomini».
A Monaco di Baviera il Superiore dei Cappuccini registrò 160 stampelle lasciate da storpi guariti nelle chiese dove padre Marco aveva predicato.
Si rivolgeva ai protestanti con grande amorevolezza ed essi andavano ad ascoltare le sue prediche, contro la proibizione dei loro capi.
Ad Augusta così predicò loro: «Fratelli, so che molti di voi desiderano farsi santi. Ritornate nella Chiesa cattolica. Voi non avete colpa per la separazione. Credete, dunque, ma con una fede che sia operante nella carità».
A Worms disse loro: «Una sola fede può essere la vera: professate la fede cattolica per la quale morirono i martiri ed i vostri padri eressero chiese e monasteri».
Incitava anche i cattolici a non dare scandalo, a mostrare una condotta timorata di Dio in quanto la fede non è fatta di parole e promesse vuote, perché vivamente operante per mezzo della carità. Migliaia di persone si accostarono al sacramento della confessione e moltissimi erano quelli che da anni non l’avevano più praticata. Molti personaggi come il Re di Spagna Carlo II, il Re di Polonia Jan Sobieski e l’Imperatore d'Austria Leopoldo I furono suoi fedeli seguaci.
Dietro le insistenze dell’Imperatore Leopoldo I ed alle sollecitazioni provenienti da Roma, padre Marco si recò Vienna ben 14 volte e partecipò attivamente alla crociata antiturca.
Nel 1682 presiedette la solenne celebrazione di ringraziamento per la cessazione della peste, ma nella piazza del Graben, ispirato dal Signore, gridò: «Vienna, Vienna, convertiti, altrimenti verrà su di te un castigo maggiore».
L’anno seguente Mehmet IV, inviò una minacciosa lettera all’Imperatore ed alla Re di Polonia Sobieski: «Io ho in animo di invadere la vostra regione. Condurrò con me 13 re… Per schiacciare il vostro insignificante paese. Soprattutto ti comando, o Imperatore, di attendere me nella tua residenza, perché possa tagliarti la testa».
A proposito di voti di povertà vogliamo ricordare che padre Marco indossava sempre lo stesso saio; l’ambasciatore dell’Impero a Venezia, Conte Francesco Ulderico Della Torre, ricordava: «Chi vuole essere suo amico non deve parlargli di regali. Accetta solo immagini sacre da distribuire ai fedeli».
Egli stesso scriveva l'imperatore d'Austria: «Mai ho avuto né per me né per altri (nemmeno per l’Ordine) accettare cosa alcuna. Sempre ho camminato senza interesse, con tutta sincerità».
Grande il suo impegno per costruire una solida pace cristiana in Europa: la sua splendida e modestissima presenza si manifestava nelle sue missioni di predicatore e nel suo costante impegno oltre all’assistenza dei feriti negli ospedali da campo, il sostegno morale alle truppe anche nell’organizzazione di peregrinatio Mariae come quella organizzata a Vienna nel 1697, dove fece arrivare dall’Ungheria la venerata immagine miracolosa della Vergine di Kalò. E mentre era immerso nella sua preghiera molto intensamente, arrivò fulminea la notizia che l’esercito austriaco, guidato dal principe Eugenio di Savoia, aveva sconfitto i turchi a Zenta sul fiume Tibisco.
Dimostrò anche tangibilmente il suo grande attaccamento alla sua patria, Venezia, tanto che, al termine di un periodo di preghiera dedicato alla Madonna Immacolata, il Doge Silvestro Valier, abbracciando e baciandolo disse: «Padre Marco, siete il rifugio della nostra Repubblica».
Nel luglio 1699 poco prima della sua morte, era ancora in missione a Vienna: «Mi vengono meno le forze, ma il Papa lo vuole. Devo applicarmi con grandissima accuratezza. Faci Dio che tutto riesca bene».
Dovette mettersi a letto e, a causa di un’ulcera, era ormai in fin di vita: l’Imperatore gli mise a disposizione i medici di corte, ricevette dal Nunzio Apostolico monsignor Santa Croce la Benedizione Apostolica di Innocenzo XII e ne ricavò una forte spinta spirituale ed una grande forza interiore.
Al momento in cui gli fu amministrata l’estrema unzione, rinnovò anche la professione dei suoi voti.
Alle ore 11 del 13 agosto 1699, assistito dall’Imperatore Leopoldo e da sua moglie Eleonora, morì stringendo quel crocefisso con il quale, alla stessa ora della morte, soleva benedire le genti d’Europa.
La salma rimase esposta fino al 17 agosto con grande partecipazione popolare ed anche con copiosa presenza di eventi prodigiosi. Per volontà imperiale fu sepolto sotto l’altare della Pietà nella Cripta dei Cappuccini cioè nella cripta dove venivano tumulati gli Imperatori d’Austria: lo stesso Leopoldo dettò l’epitaffio per la pietra tombale."
"La battaglia di Vienna del 1683"
https://forum.termometropolitico.it/...di-vienna.html
Due libri da leggere sulla battaglia di Vienna del 1683:
Giuliana V. Fantuz in collaborazione con padre Venanzio Renier, Marco d'Aviano e Innocenzo XI - In difesa della Cristianità, Associazione «StoriesFvg», Edizioni Segno, Tavagnacco (Udine) 2006.
G. Ganzer (a cura di), Da Vienna a Istanbul, Mariano del Friuli (GO) 2006.
https://www.amazon.it/Vienna-Istanbu.../dp/8883452364
https://www.ariannaeditrice.it/artic...articolo=54562
“Marco d’Aviano mostra come si può e si deve difendere il Cristianesimo e l’Europa di Francesco Lamendola - 23/06/2016.
Il beato Marco d’Aviano (al secolo Carlo Domenico Cristofori, nato a Villotta di Aviano, nel Friuli, il 17 novembre 1631 e morto a Vienna, dove si era recato su ordine del papa, benché malato, il 13 agosto 1699) rappresenta un aspetto della cristianità che oggi si tende a ignorare, e cioè la strenua volontà di difesa contro un terribile nemico esterno, l’islam: volontà che non solo non contraddice la mitezza del Vangelo, ma si unisce ad una intensa, straordinaria spiritualità.
Padre Marco fu, tra le altre cose, un celebre predicatore; cappuccino, aveva la semplicità, la mansuetudine, la disponibilità del grande fondatore dell’ordine dei Frati Minori; fu anche un apprezzato diplomatico, alle cui risorse di prudenza, di abilità e di lungimiranza ricorse ampiamente il pontefice; e che ovunque andasse, da un capo al’altro del continente (solo Luigi XIV non volle, con pretesti, che passasse per Parigi), veniva sempre accolto con il massimo rispetto da parte di sovrani e ministri, ascoltati con attenzione, ammirato per la sua sagacia, che si univa in lui ad uno spirito di totale disinteresse per le cose materiali.
È stato soprattutto per merito suo se, l’11 e il 12 settembre del 1683, Vienna è stata salvata dall’assedio ottomano, e i Turchi sono stati ricacciati per sempre dal cuore dell’Europa, nella battaglia del Kahlenberg, decisa dal cavalleresco intervento del re di Polonia, Jan Sobieski, che unì le sue forze al comandante imperiale, Carlo di Lorena, e salvò l’imperatore asburgico, Leopoldo I, da una terribile situazione; furono i suoi sermoni appassionati a spronare i cavalieri cristiani nell’assalto decisivo, così come fu la sua capacità di mediazione a tenere insieme i discordi comandanti della composita Lega Santa; e fu sempre la sua fede incrollabile a rianimare lo scoraggiato Leopoldo (che si era rifugiato da Vienna a Passavia, in Baviera), di cui era diventato il confessore e il consigliere spirituale. La vittoria fu celebrata con messe di ringraziamento e con immense manifestazioni di giubilo in tutta Europa; il papa Innocenzo XI proclamò il 12 settembre festa del Santissimo Nome di Maria.
Dopo di che, padre Marco, che a Vienna era il personaggio del giorno, e sul conto del quale circolavano racconti di guarigioni miracolose, riprese la sua opera diplomatica, sempre su richiesta del papa: si trattava di non sprecare la vittoria, com’era avvenuto dopo Lepanto, un secolo prima; bisognava incalzare i Turchi, scacciarli dall’Ungheria, allontanarli definitivamente dal cuore dell’Europa, in modo che non potessero mai più minacciarlo. Innocenzo XI morì nel 1689, dopo che Buda era stata riconquistata, ma l’azione già languiva, perché gli imperiali parevano disposti a una pace di compromesso; tanto più che dovevano guardarsi le spalle da Luigi XIV, il Re Sole, il quale, pur facendosi chiamare anche “il re cristianissimo”, per tutta la durata dell’assedio di Vienna e, poi, della campagna d’Ungheria, non solo non aveva mosso un dito in difesa della cristianità minacciata, ma aveva anzi cercato di favorire in vario modo l’azione politico-militare del sultano Mehmed IV, proprio per indebolire gli Asburgo, suoi eterni rivali. Ma nel 1697 Eugenio di Savoia, il geniale condottiero italiano, riprese l’avanzata e inflisse ai Turchi la sconfitta risolutiva nella battaglia di Zenta, sul Tibisco (1697), cui sarebbe seguita la pace di Carlowitz (1699).
Così lo storico Venanzio Renier, cappuccino, ha rievocato questo fondamentale momento della vita e della missione del Beato Marco d’Aviano nel saggio Padre Marco d’Aviano. Una vita per la Chiesa e per l’Europa (in: Marco d’Aviano, Gorizia e Gradisca. Raccolta di studi e documenti dopo il Convegno storico-spirituale del 14 ottobre 1995, a cura di Walter Arzaretti e Maurizio Qualizza, Fondazione Società per la Conservazione della Basilica di Aquileia & Banca Popolare di Trieste, 1998, pp. 29-31):
Padre Marco, durante tutta la vita, per quanto gravi ed urgenti fossero gli altri impegni, diede sempre la preferenza all’evangelizzazione. Il Seicento non fu un secolo felice per l’oratoria sacra: tuttavia il Nostro, grazie alla scelta degli argomenti e al modo di esporli, seppe adattarsi alla capacità media degli ascoltatori. Voleva essere inteso da tutti e vi riuscì così bene che nobili e popolani, magistrati e bifolchi, accorrevano ad udirlo. Così lo descrisse il 13 giugno 1690 Antonio Crestani, notaio di Bassano del Grappa, presente al Quaresimale predicato in quell’anno dal cappuccino: “La gente… pendeva dalla sua bocca e dai suoi cenni, mentre egli col crocifisso in mano gli andava animando (al bene)… Io (che) sono vecchio di sessantacinque anni, non ho mai in vita mia sentito né veduto operar dalla presenza e dalla lingua d’un huomo opere così grandi e meravigliose” (“Positio”, 542-43).
Rimasero memorande, nelle cronache cittadine, fra le sue quaresime, quelle predicate a Venezia (1681, 1684, 1694); a Udine (1683), a Oderzo (1685), a Schio (1686), a Vicenza (1687), a Brescia (1688), a Tolmezzo (1691), a Padova (per volontà di san Gregorio Barbarigo ed alla sua presenza, 1697), a Thiene (1698) e l’ultima a Ceneda, ora Vittorio Veneto (1699).
Padre Marco si impegnò anche in opere sociali. Raccomandò spesso di essere generosi nel provvedere la dote alle zitelle povere, perché potessero sposarsi onestamente, ovvero entrare nei monasteri. Diventò una vera provvidenza nelle parrocchie, nelle quali era invitato, per le abbondanti elemosine che venivano raccolte, utili alle necessità del culto e alle distribuzioni ai poveri. Così avvenne ad Oderzo, Montagnana, Fratta Polesine e a Gambarare, nella terraferma veneziana.
Quaresimalista a Sermide nel Mantovano (1677), durante una carestia, aumentata per il grande afflusso degli ascoltatori, ottenne che venissero aperti i granai a prezzi di favore, per sfamare la popolazione. Per questo – annota l’accompagnatore e primo biografo Cosma da Castelfranco – “li bisognosi… con mani drizzate al cielo, ringratiavano la Providenza suprema per havere a se concesso un predicatore opportuno nelle penurie per sollevarli dalle loro pressure e necessità” (“Positio”, 49).
A Salò, invece, prima di iniziare la quaresima, riuscì a riconciliare le autorità cittadine ed il popolo con il parroco che il vescovo aveva nominato, ma che molti si erano rifiutati di accettare. […]
Padre Marco diventò molto famoso per le guarigioni prodigiose. Tutto ebbe inizio l’8 settembre 1676, all’età ormai di 45 anni. Dopo aver terminato il panegirico sulla Natività della Madonna, guarì con la sua benedizione, nel monastero delle Nobili Dimesse di Padova, suor Vincenza Francesconi, che da tredici anni giaceva paralizzata. La notizia si diffuse in tutta la città e dintorni. Numerosissimi ciechi, storpi, sordomuti ed infermi si affollarono in chiesa ed alla porta del convento dei Cappuccini, implorando la benedizione prodigiosa. Altrettanto avvenne a Venezia, dopo che ebbe guarita suor Anna Maria Dolfini, la patrizia Gritti e molte altre persone. […]
Si può affermare che la missione sacerdotale di padre Marco fu tutta imperniata sulla riconciliazione degli uomini con Dio. Compose una formula che spesso recitava in dialogo con l’uditorio. Le testimonianze sono unanimi nel descrivere il fervore travolgente e la commozione straordinaria manifestata dai gesti e dal tono della voce con cui pronunciava le parole. Strappava le lagrime ai più ostinati. Durante le tappe dei suoi viaggi in Europa, i penitenti assiepavano i confessionali. I Gesuiti del Belgio e dell’Olanda, nelle “Littearea annuae” inviate ai superiori di Roma, e i resoconti stesi dalle diocesi della Germani, Austria, Svizzera, Slovenia e Boemia parlano di migliaia e migliaia di confessioni e comunioni generali, quali non si erano mai viste nel passato. Per oltre un quarto di secolo, padre Marco sconvolse e migliorò moltissime coscienze.
Per il tedesco padre Agostino Maria Ilg, autore nel 1876 di una galleria di trentasei ritratti spirituali degli uomini illustri dell’Ordine cappuccino, egli fu il tipico rappresentane dei predicatori: “L’ordine ne conta molti assai celebri, (ma) difficilmente se ne troverà uno uguale, se si considerano i meravigliosi effetti e le meravigliose circostanze ch accompagnarono i suoi sermoni” (cfr. “Positio”, 903. bib. 44).
Ci si potrebbe chiedere il perché di questa insistenza sull’atto di dolore, che padre Marco voleva perfetto, perché basato sull’amore a Dio padre ed a Gesù crocifisso. Egli sapeva che gli uomini, chi più, chi meno, sono poveri peccatori, poiché per debolezza o per malizia, non corrispondono alle grazie e all’amore infinito di Dio. Devono quindi sempre cercare di ritornare a Lui, come insegna il messaggio del Battista, di Gesù e degli Apostoli, che la Chiesa deve sempre proclamare e realizzare. Esortava i suoi ascoltatori a pentirsi sinceramente e poi domandare al Signore tutte le altre grazie, e, se necessario, anche i miracoli, che la divina bontà concederà, intenerita dall’umiltà. Insegnava quindi a passare, dalla purificazione e distacco dal peccato e dalle occasioni di peccato, ad una fiducia illimitata nella potenza di Dio, per arrivare alla perfezione ed alla santità.
Questo brano della biografia di padre Marco D’Aviano ci aiuta a comprendere i motivi della sua straordinaria popolarità, del suo carisma, del suo ascendente sugli uomini più importanti del suo tempo: basti dire che, al suo capezzale di moribondo, fu vegliato amorevolmente dall’imperatore in persona e da sua moglie, Eleonora (gli verrà poi accordato l’onore straordinario di essere sepolto nella Cripta dei Cappuccini, riservata alla dinastia regnante austriaca); e che il comandante imperiale al tempo della battaglia di Vienna, Carlo di Lorena, era un suo personale e devoto ammiratore, tanto è vero che solo per merito della sua paziente opera di persuasione, quegli accettò di porsi sotto il comando del re polacco Sobieski. Padre Marco era ugualmente stimato, ammirato e venerato sia dal popolo che dalle personalità eminenti, e ciò dipese dal fatto che la sua spiritualità appariva evidente, profondissima, commovente. Le sue parole erano autorevoli, perché non solo sapeva tenere delle prediche edificanti e fiorite, nel migliore stile barocco, ma anche perché da esse traspariva la sincerità, e nel suo sguardo, nei suoi gesti, si poteva cogliere l’intima coerenza di un personaggio che già in vita ere in odore di santità (anche per via delle sue doti di taumaturgo) e che aveva suscitato una impressione fortissima su tutti quelli che lo avevano visto e udito. A Venezia, a Belluno, a Udine, a Padova, a Oderzo, a Vicenza, a Ceneda, a Bassano, a Brescia, ovunque folle strabocchevoli si erano assiepate per ascoltare i suoi quaresimali, nei quali egli aveva fatto rivivere lo spirito di crociata e trasmesso non solo ai suoi compatrioti, ma a gran parte degli Europei, lo slancio e l’ardore necessari per fronteggiare un pericolo che si profilava di una gravità estrema, quale forse mai la cristianità intera aveva vissuto, dai temi della caduta di Costantinopoli e, poi, dello sbarco ottomano a Otranto, con il relativo massacro della popolazione che non aveva voluto convertirsi alla religione della mezzaluna.
Marco d’Aviano era un frate pieno di amor di Dio e del prossimo; un uomo umile, privo di ambizioni personali o di secondi fini; un francescano innamorato della povertà, della carità, di Cristo e di Maria Vergine, il quale, pur amando la pace, non si tirò indietro quando i nemici del Vangelo portarono la guerra, mediante il ferro e il fuoco, sin nel cuore del nostro continente. Se Vienna fosse caduta, noi, oggi, forse saremmo già islamici, come lo sono tante popolazioni balcaniche, che vissero per secoli sotto il (pessimo) dominio ottomano (cfr. il nostro articolo: L’Impero Ottomano è decaduto perché privo di un’idea e di un’etica, pubblicato su Il Corriere delle Regioni in data 25/10/2015; e anche La rivincita della Mezzaluna tre secoli dopo l’11 settembre del 1683, pubblicato sul sito di Arianna Editrice l’11/09/2009). E se Vienna non è caduta, una buona pare del merito va proprio al frate friulano, il quale non disperò quando tanti disperavano, non perse la testa, non cessò mai di aver fede nell’aiuto di quel Signore che aveva detto ai suoi discepoli: Bussate e vi sarà aperto; chiedete e vi sarà dato.
Oggi è diffuso uno stranissimo modo di pensare, proprio fra tanti sedicenti cristiani, i quali, tutti infervorati dalla volontà di dialogare ad ogni costo e con chiunque, anche col peggior nemico, e tutti ipnotizzati da quella magica parola, ecumenismo, che, per loro, è diventata una specie di abracadabra, poiché sembrerebbe voler dire che i cristiani devono rinunciare alla loro identità, in favore di una religiosità vaga e generica, imbevuta di gnosticismo e deismo, nella quale possano entrare tutti, nessuno escluso, come se la Verità fosse qualcosa di relativo, e il Cristianesimo avesse lo stesso contenuto di verità di qualsiasi altra religione, e come se l’importante fosse che tutti gli uomini della terra si riuniscano a pregare insieme, non importa se rivolgendosi al vero Dio o agli dei falsi e bugiardi di cui parlava Dante Alighieri.
Per codesti cristiani del terzo millennio, debitamente progressisti e modernisti, la figura di Marco d’Aviano può risultare vagamente scomoda e imbarazzante, quasi indisponente. Avrebbero preferito un uomo di Dio che va disarmato incontro ai nemici e che mette dei fiori nei loro cannoni, come recitava il testo di una insulsa e melensa canzonetta dell’epoca sessantottina, nella quale il pacifismo a senso unico veniva celebrato come un valore assoluto e irrinunciabile; e quando parlare di una “guerra giusta”, come pure hanno sempre fatto fior di teologi, da Sant’Agostino (che diede personalmente l’esempio, partecipando fino all’ultimo respiro alla difesa della sua città, Hippo Regius, assediata dai Vandali), a San Tommaso d’Aquino (che, nella Summa Theologiae, la equipara alla legittima difesa del singolo individuo, qualora venga ingiustamente minacciato e aggredito), era qualcosa d’inconcepibile per codesti zelatori di un Vangelo remissivo, inerme, pronto a lasciarsi distruggere dal primo che lo voglia fare.
Padre Marco d’Aviano era pacifico, ma non pacifista; credeva nel dialogo e nella misericordia divina (subito dopo la battaglia del Kahlenberg, volle che i viennesi rendessero grazie a Dio pregando per le anime di tutti i caduti, compresi i nemici), ma non nel fatto di lasciarsi ammazzare o sottomettere senza opporre alcuna resistenza, perché, di ciò, i popoli minacciati avevano – e hanno - pieno diritto, sia in quanto europei, sia in quanto cristiani.
Sì: in questi tempi di buonismo ideologizzato e di cristianesimo in via di auto-rottamazione, la figura e l’esempio di padre Marco d’Aviano, spirito profondamente pacifico e tuttavia magnifico lottatore, possono davvero risultare scomodi, perché appaiono in assoluta controtendenza. Egli ci ricorda che bisogna anche sapersi battere per difendere il Vangelo e la vita stessa, se ciò diviene necessario; che c’è un tempo per la pace e un tempo per la lotta, un tempo per parlare e un tempo per misurarsi con la spada; e che il diritto e il dovere alla propria difesa, e alla difesa di ciò in cui si crede, non cade mai in prescrizione, anche con il trascorrere dei secoli. Ovunque si ripresentino le condizioni dell’11 settembre 1683, l’Europa avrà sempre bisogno di una guida spirituale forte e coraggiosa, mite e tuttavia animosa, come lo fu, per i suoi contemporanei, quella di padre Marco d’Aviano.”
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“L'11-12 Settembre 1683 a Vienna gli Ussari Alati di Giovanni III Sobieski, re di Polonia, salvano l'Europa Cristiana dall'assalto del'Impero Ottomano.”
“Il 12 settembre 1866 muore S.E.R. Monsignor Emanuele Marongiu Nurra, Arcivescovo metropolita di Cagliari. Per aver condannato le leggi del 1848 e 1850 che usurpavano i beni ecclesiastici e per aver vietato ai confessori di assolvere i loro fautori, fu espulso dal Regno. Dal 1850 al 1866 fu esule presso Pio IX.”
“12 SETTEMBRE 2017; il SANTO NOME DI MARIA.”
Guéranger, L'anno liturgico - Il Santo Nome di Maria
http://www.unavoce-ve.it/pg-12set.htm
“12 SETTEMBRE IL SANTO NOME DI MARIA.
Oggetto della festa.
Qualche giorno dopo la nascita del Salvatore la Chiesa ha consacrato una festa per onorarne il nome benedetto. Ci insegnava così quanto questo nome contiene per noi di luce, di forza, di soavità, per incoraggiarci ad invocarlo con fiducia nelle nostre necessità (L'anno Liturgico, 183-187).
Così dopo la festa della Natività della Santissima Vergine, la Chiesa consacra un giorno ad onorare il santo nome di Maria per insegnarci attraverso la Liturgia e l'insegnamento dei santi, tutto quello che questo nome contiene per noi di ricchezze spirituali, perché, come quello di Gesù, lo abbiamo sulle labbra e nel cuore.
Storia della festa.
La festa del santo nome di Maria fu concessa da Roma, nel 1513, ad una diocesi della Spagna, Cuenca. Soppressa da san Pio V, fu ripristinata da Sisto V e poi estesa nel 1671 al Regno di Napoli e a Milano. Il 12 settembre 1683, avendo Giovanni Sobieski coi suoi Polacchi vinto i Turchi che assediavano Vienna e minacciavano la cristianità, sant'Innocenzo XI, in rendimento di grazie, estese la festa alla Chiesa universale e la fissò alla domenica fra l'Ottava della Natività. Il santo Papa Pio X la riportò al 12 settembre.
Nome uscito dal cuore di Dio.
Più che il ricordo storico della istituzione della festa, ci interessa il significato del nome benedetto dato alla futura Madre di Dio e nostra.
Il nome presso i Giudei aveva un'importanza grandissima e si soleva imporre con solennità. Sappiamo dalla Scrittura che Dio intervenne qualche volta nella designazione del nome da imporre a qualche suo servo. L'angelo Gabriele previene Zaccaria che suo figlio si chiamerà Giovanni ed egli ancora dice a Giuseppe, spiegandogli l'Incarnazione del Verbo: "Gli porrai nome Gesù". Si può quindi pensare che Dio in qualche modo sia intervenuto, perché alla Santissima Vergine fosse imposto il nome richiesto dalla sua grandezza e dignità. Gioacchino ed Anna imposero alla loro bambina il nome di Maria che a noi è tanto caro.
"Il tuo nome è un olio sparso".
I Santi si sono compiaciuti di paragonare il nome di Maria a quello di Gesù. San Bernardo aveva applicato al Signore il testo della Cantica: "Il tuo nome è un olio sparso" (Cantico dei Cantici, 1,3), perché l'olio dà luce, nutrimento e medicina. Anche Riccardo di san Lorenzo dice: "Il nome di Maria è paragonato all'olio, perché, dopo il nome di Gesù, sopra tutti gli altri nomi, rinvigorisce i deboli, intenerisce gli induriti, guarisce i malati, dà luce ai ciechi, dona forza a chi ha perso ogni vigore, lo unge per nuovi combattimenti, spezza la schiavitù del demonio e, come l'olio sorpassa ogni liquore, sorpassa ogni nome" (De Laudibus B. M. V. l. II, c. 2).
Altre interpretazioni.
Oltre sessantasette interpretazioni diverse sono state date al nome di Maria secondo che fu considerato di origine egiziana, siriaca, ebraica o ancora nome semplice o composto. Non vogliamo trattenerci sulle interpretazioni e scegliamo le quattro principali riferite dagli antichi scrittori. "Il nome di Maria, dice sant'Alberto Magno, ha quattro significati: illuminatrice, stella del mare, mare amaro, signora o padrona" (Commento su san Luca, I, 27).
Illuminatrice.
È la Vergine immacolata che l'ombra del peccato non offuscò giammai; è la donna vestita di sole; è "colei la cui vita gloriosa ha illustrato tutte le Chiese" (Liturgia); è infine colei, che ha dato al mondo la vera luce, la luce di vita.
Stella del mare.
La liturgia la saluta così nell'inno, così poetico e popolare, Ave maris stella e ancora nell'Antifona dell'Avvento e del tempo di Natale: Alma Redemptoris Mater. Sappiamo che la stella del mare è la stella polare, che è la stella più brillante, più alta e ultima di quelle che formano l'Orsa Minore, vicinissima al polo fino a sembrare immobile e conservare una posizione quasi invariabile per lunghe notti e per questo fatto è di molta utilità per orientarsi sulla carta del cielo e aiuta il navigante a dirigersi, quando non possiede la bussola.
Così Maria, fra le creature, è la più alta in dignità, la più bella, la più vicina a Dio, invariabile nel suo amore e nella sua purezza, è per noi esempio di tutte le virtù, illumina la nostra vita e ci insegna la via per uscire dalle tenebre e giungere a Dio, che è la vera luce.
Mare amaro.
Maria lo è nel senso che, nella sua materna bontà, rende amari per noi i piaceri della terra, che tentano di ingannarci e di farci dimenticare il vero ed unico bene; lo è ancora nel senso che durante la Passione del Figlio il suo cuore fu trapassato dalla spada del dolore. È mare, perché, come il mare è inesauribile, è inesauribile la bontà e generosità di Maria per tutti i suoi figli. Le gocce d'acqua del mare non possono essere contate se non dalla scienza infinita di Dio e noi possiamo appena sospettare la somma immensa di grazie che Dio ha deposto nell'anima benedetta di Maria, dal momento dell'Immacolato Concepimento alla gloriosa Assunzione in cielo.
Signora o padrona.
Maria è veramente, secondo il titolo datole in Francia, Nostra Signora. Signora vuoi dire Regina, Sovrana. Regina è veramente Maria, perché la più santa di tutte le creature, la Madre di Colui, che è Re per titolo di Creazione, Incarnazione e Redenzione; perché, associata al Redentore in tutti i suoi misteri, gli è gloriosamente unita in cielo in corpo e anima e, eternamente beata, intercede continuamente per noi, applicando alle nostre anime i meriti da lei acquistati davanti a Lui e le grazie delle quali è fatta mediatrice e dispensiera.
Discorso di san Bernardo.
Preghiamo la Santissima Vergine, perché voglia realizzare per noi i diversi significati, che santi e dottori hanno dato al suo nome benedetto, riportando la conclusione della seconda omelia di san Bernardo sul Vangelo Missus est:
"E il nome della Vergine era Maria. Diciamo qualche cosa di questo nome, che significa stella del mare. Si adatta perfettamente alla Madre di Dio, perché come l'astro emette il suo raggio, così la Vergine concepisce suo Figlio e il raggio non diminuisce lo splendore della stella e il Figlio non diminuisce la verginità della Madre. Nobile stella sorta da Giacobbe il cui raggio illumina il mondo, splendente nei cieli, penetra l'abisso, percorre la terra. Riscalda più che i corpi le anime, inaridisce il vizio, feconda la virtù. Sì, Maria è l'astro fulgente e senza uguali che era necessario sul mare immenso, che scintilla di meriti e rischiara coi suoi esempi la nostra vita.
Chiunque tu sia che nel flusso e riflusso del secolo abbia impressione di camminare meno su terra ferma che in mezzo alla tempesta turbinante, non distogliere gli occhi dall'astro splendido, se non vuoi essere inghiottito dall'uragano. Se si desta la burrasca delle tentazioni, se si drizzano gli scogli delle tribolazioni, guarda la stella e invoca Maria. Se sei in balìa dei flutti della superbia o dell'ambizione, della calunnia o della gelosia, guarda la stella e invoca Maria. Se collera, avarizia, attrattive della carne, scuotono la nave dell'anima, volgi gli occhi a Maria. Turbato per l'enormità del delitto, vergognoso di te stesso, tremante all'avvicinarsi del terribile giudizio, senti aprirsi sotto i tuoi passi il gorgo della tristezza o l'abisso della disperazione, pensa a Maria. Nei pericoli, nell'angoscia, nel dubbio, pensa a Maria, invoca Maria.
Sia sempre Maria sulle tue labbra, sia sempre nel tuo cuore e vedi di imitarla per assicurarti il suo aiuto. Seguendola non devierai, pregandola non dispererai, pensando a lei tu non potrai smarrirti. Sostenuto da lei non cadrai, protetto da lei non avrai paura, guidato da lei non sentirai stanchezza: chi da lei è aiutato arriva sicuro alla meta. Sperimenta così in te stesso il bene stabilito in questa parola il nome della Vergine era Maria".
MESSA
EPISTOLA (Eccli 24,17-2l). - Come vite diedi frutti di soave odore, e i miei fiori dan frutti di gloria e di ricchezza. Io sono la madre del bell'amore e del timore, della scienza e della santa speranza. In me ogni grazia della via e della verità, in me ogni speranza di vita e di virtù. Venite a me, o voi tutti che mi bramate, e saziatevi dei miei frutti; perché il mio spirito è più dolce del miele, e il mio retaggio più del favo di miele. Il ricordo di me durerà nelle generazioni dei secoli. Chi mi mangia avrà ancora fame, e chi mi beve avrà ancora sete. Chi mi ascolta non sarà confuso, e chi lavora per me non peccherà; chi mi illustra avrà la vita eterna.
Tutta la compiacenza del cielo, tutte le speranze della terra si fissano sulla culla in cui Maria dorme, mentre veglia per Dio il suo cuore (Ct 5,2). La Sapienza fa il proprio elogio (Eccli 24,1): per la beata figlia di Anna e di Gioacchino le preferenze del suo amore, manifestate all'origine del mondo sono ormai giustificate e per sempre sarà sua delizia essere con i figli degli uomini (Pr 8,31). La vigna eletta, la vigna del Pacifico è davanti a noi e annunzia con i suoi fiori profumati (Ct 8,11-12) il grappolo divino, il succo del quale, spremuto nel torchio, feconderà tutte le anime, inebrierà terra e cielo.
VANGELO (Lc 1,26-38). - In quel tempo: L'Angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea detta Nazareth, ad una Vergine sposata ad un uomo della casa di David, di nome Giuseppe, e la Vergine si chiamava Maria. Ed entrato da lei l'Angelo disse: Salute, o piena di grazia: il Signore è teco! Benedetta tu fra le donne! Ed essa turbata a queste parole, pensava che specie di saluto fosse quello. E l'Angelo le disse: Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio; ecco, tu concepirai nel seno e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù. Questi sarà grande, e sarà chiamato figlio dell'Altissimo; e il Signore Dio gli darà il trono di David suo padre; e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe; e il suo regno non avrà mai fine. Allora Maria disse all'Angelo: Come avverrà questo, se io non conosco uomo? E l'Angelo rispose: Lo Spirito santo scenderà in te e la potenza dell'Altissimo ti adombrerà: per questo il Santo che nascerà da te sarà chiamato figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei un figlio nella sua vecchiaia, ed è già nel sesto mese, lei che era detta sterile; ché niente è impossibile davanti a Dio. E Maria disse: Ecco l'ancella del Signore: si faccia di me secondo la tua parola.
Abbiamo qui la più solenne ambasciata di cui la storia angelica ed umana abbia conservato ricordo, e presenta in Maria ciò che il suo nome significa, la Padrona del mondo. L'interesse più alto che possa toccare l'umanità presente, passata o futura, le gerarchie celesti, Dio stesso è trattato tra l'Altissimo e la Vergine di Nazareth soli, come soli aventi titolo da una parte per proporlo e dall'altra per accettarlo. L'angelo non è che un messaggero e l'uomo è con lui nell'attesa. Maria contratta con il Creatore, in nome dell'uomo e dell'angelo, come in nome proprio, in nome del mondo intero, che rappresenta e che domina con la sua regalità.
da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1067-1072.”
Luca, Sursum Corda!