dal quotidiano IL Giornale
" il Giornale del 15/09/2003
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Tutti gli errori di Prodi su Telekom Serbia
Ecco i quattro riscontri ufficiali che sgretolano la ricostruzione dell'ex presidente del Consiglio
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Memoriale un po' smemorato, quello di Romano Prodi. L'autodifesa del presidente della Commissione europea, affidata lo scorso 8 settembre a cinque fitte cartelle, non sembra sufficiente ad appurare la sua totale estraneità da Telekom Serbia. Se doveva chiarire non è riuscito nell'intento. Vediamo perché.
Prodi lascia da parte le accuse di Igor Marini, e fin qui nulla da eccepire. Replica agli addebiti che gli vengono mossi relativamente alle responsabilità politiche di quell'operazione essendo stato, illo tempore, presidente del Consiglio. Molti dei manager dell'epoca, ascoltati in commissione o in procura a Torino, trovano alquanto improbabile che lui e i suoi ministri potessero non sapere. Idem molti osservatori imparziali o di sinistra.
Il Professore così prende carta e penna per replicare solo a quattro contestazioni, dimenticando altre incongruenze. Non fa accenno ai dispacci allarmati dell'ambasciatore italiano a Belgrado, Francesco Bascone, che avvertivano il governo dei rischi dell'operazione (E sì che alla Farnesina lavorava Stefano Sannino, ora nello staff di Prodi a Bruxelles, che di quei dispacci parlò con Fassino). Non una parola sulle interrogazioni parlamentari, a lui indirizzate, rimaste senza risposta. Né rileva le stranezze di un affare che per Prodi è "normale", ma che per quasi tutti i protagonisti di quegli anni presenta decine di anomalie.
Ecco come il presidente della commissione europea ha provato a difendersi.
Punto primo: secondo il leader ulivista in pectore con quell'operazione il governo italiano non aiutò il regime criminale di Milosevic favorendo il genocidio in Kosovo, distante due anni. Sostenerlo è un "falso storico", dice. Nel '97 per l'ex premier si era lontani dalla pulizia etnica, e l'Occidente era pronto ad aprire le braccia, e i cordoni, della borsa alla Serbi.
I dossier ignorati. Primo errore: abbiamo già pubblicato i rapporti dei servizi segreti italiani, controfirmati proprio dal Professore bolognese, che tra il '96 e il '98 raccontano di una Serbia tutt'altro che paciosa e accogliente, con inequivocabili avvisaglie di quanto stava per avvenire nella regione serba a maggioranza albanese. La relazione del 18 gennaio '97 (tre giorni dopo la visita a Belgrado de: futuro Ad di Telecom e Stet Tommasi di V grano) parla di "perdurante situazione di instabilità che rischia di estendersi ulteriormente" e di "grave crisi politica a Belgrado". Non basta? Un rapporto Onu del'96, quindi un anno prima del "lontano '97", già denunciava le "atrocità, l'aumento degli attentati, delle imboscate e delle rappresaglie in Kosovo". Falso storico? Pare di no. E ancora: mentre Prodi sostiene che "molte imprese occidentali guardavano con interesse al mercato serbo che si stava riaprendo" arriva la smentita di Robert Gelbard, inviato di Bill Clinton nei Balcani. Dire che gli Usa invitavano a investire in Serbia è "ridicolo e falso", giura l'esponente americano. Per non riesumare la dichiarazioni di Nikola Sainovic, ex vicepremier serbo: durante l'embargo, "quando nessuno veniva in Serbia nemmeno per prendersi un caffè", il governo federale aveva un solo interlocutore d'affari, sempre presente: gli italiani. Potremmo infierire a lungo ma taglia la testa al toro il fatto che lo stesso Slobodan Milosevic disse pubblicamente (lo riferisce l'ambasciatore Dojcilo Masjovaric) che i soldi di Telecom Italia erano "una buona iniezione per la nostra economia", minacciando poi il suo staff di ministri: "Risponderete personalmente se quei soldi non verranno diretti dove dico io".
Il governo all'oscuro. Punto secondo. Prodi sostiene che, buona o meno, quella fu una "autonoma decisione dell'impresa". Il governo non sapeva. E il premier non ne fu mai informato "né direttamente né indirettamente". Questo perché l'acquisizione di Telekom era stata decisa "nella precedente gestione", e il "suo" amministratore delegato Tommasi si limitò a concluderla. E poi, insiste Prodi, Telecom Italia era sulla strada della privatizzazione, così l'azionista pubblico (il Tesoro) "scelse di adottare nonne e procedure che potessero garantire i mercati dell'assenza di qualsiasi interferenza di tipo politico".
Seconda infondatezza. Prodi dovrebbe sapere che l'azionista di maggioranza era comunque presente nei processi decisionali di Telecom. Il Tesoro aveva un suo rappresentante nel Cda, Izzo, che curiosamente ha ricordi molto vaghi della discussione di quell'acquisizione (tanto che il presidente della commissione Enzo Trantino ha trasmesso le sue frasi in procura). Tommasi firmò il contratto a Belgrado, ma anche se non era ai vertici di Telecom Italia "nella precedente gestione", è stato lui a condurre la trattativa fin dall'inizio, quando si era in pieno embargo. E i vecchi vertici di Stet-Telecom, da Biagio Agnes a Ernesto Pascale, fino a Francesco Chirichigno, escludono che un affare di tale importanza, condotto in un Paese così esposto, potesse "non essere conosciuto" da Palazzo Chigi. Proprio qui, nella sede del governo, nel '97 arriva Domenico Porpora, che aveva lavorato per l'acquisizione di Telekom Serbia dall'ufficio legale di Telecom. La richiesta di distacco è firmata direttamente dal premier, che lo apprezzava fin dai tempi dell'Iri e che lo mette a capo della sua segreteria. Inoltre, a tre giorni dalla firma del contratto, Repubblica elenca in un documentato articolo ("I telefoni salvano Milosevic") tutti i pericoli politici di un'operazione che foraggiava Slobo. Possibile che Romano Prodi non leggesse nemmeno i giornali a lui vicini? Possibile che fi ignorasse anche il suo vice Enrico Micheli, che pure sostiene di avere appreso da un trafiletto di quell'affare, molto tempo dopo? Ma c'è di più. Smentiscono Prodi, fra i tanti, manager Agliata e Aloia. Quest'ultimo, ex direttore di Stet International, ricorda che "si trattava di una operazione politicamente delegata". Mario Agliata, anche lui un ex di Stet, non ha avuto dubbi in commissione: "Fu un'operazione contro ogni regola, l'affare Telekom venne ideato dall'esterno".
I manager silurati. Punto terzo. Prodi nega qualsiasi relazione tra la defenestrazione di Agnes, Pascale e Chirichigno e il desiderio politico di far concludere l'operazione. Il governo decise di rimuoverli in favore di Guido Rossi e di Tomaso Tommasi di Vignano "per favorire la privatizzazione", giura l'ex premier, perché le persone allora al vertice della società" erano "notoriamente avverse al processo di privatizzazione". Terzo inciampo, forse il più imbarazzante. I tre (Agnes, Pascale e Chirichigno) hanno sempre ribadito tanto la loro contrarietà all'acquisto di Telekom Serbia quanto il loro favore alla privatizzazione dell'azienda italia na. E dopo l'uscita del memoriale di Prodi, Pascale e Agnes reagiscono con una nota congiunta al veleno, accusandolo senza mezzi termini di mentire: "Ci dica dove, come e quando ci saremmo espressi in pubblico o in privato contro la privatizzazione della Stet, a meno che Prodi non voglia riferirsi all'acquisizione del 29 per cento di Telekom Serbia avviata e conclusa dopo che fummo costretti a dimetterci". Quanto a Tommasi, per Prodi "uomo ideale" nel processo di privatizzazione, tanto da metterlo a capo della controllata (Telecom) e della controllante (Stet), sentite il parere di Guido Rossi, presidente di Telecom. "Tommasi aveva una cultura pubblicistica e poteva dunque andare in rotta di collisione con la privatizzazione". Complimenti. Glieli fa con garbo anche l'Osservatore Romano, foglio del Vaticano, poco soddisfatto dalle spiegazioni dell'ex premier: "Ma allora di chi furono le responsabilità gestionali?"
I danni per lo Stato. Quarto e ultimo punto. Prodi smentisce che l'acquisto di Telekom Serbia sia stata "un'operazione senza senso industriale e una perdita di denaro pubblico". In sintesi, il presidente della Commissione europea vorrebbe farci credere che lo shopping a Belgrado e la svendita di cinque anni dopo altro non sono che "un'operazione analoga a tante altre, senza riflessi sui conti dello Stato". E le trattative condotte sotto embargo? La mancanza di una gara internazionale? Le mediazioni miliardarie pagate? La mancanza di una "due diligence"? Il fatto che la Serbia fosse fuori dal Fondo monetario internazionale, con la conseguenza che la moneta serba, il dinaro era carta straccia? E il rischio Paese nemmeno calcolato? Senza tornare, perché lo abbiamo già detto, al punto di partenza: ovvero a quei soldi, tanti soldi, che finivano dritti nelle tasche di un dittatore in crisi economica. Quanto alla perdita di denaro pubblico, Prodi sposa la teoria di Luigi Spaventa: poiché si è venduto a "due lire" quando Telecom Italia era ormai privata, l'erario è salvo. E ai milioni di azionisti che credevano - come Prodi - nella privatizzazione, chi ci pensa? "
Saluti liberali