VITO ANTONIO LEUZZI

La Divisione Acqui, che presidiava le isole dello Ionio, fu una delle poche grandi unità dell'esercito italiano che rifiutò di arrendersi ai nazisti dopo l'8 settembre 1943. Dette prova di estrema dignità e coraggio e si batté con valore per diversi giorni; ma, priva di aiuti esterni, fu sopraffatta e massacrata.
La battaglia di Cefalonia iniziò, dopo sporadici scontri ed estenuanti trattative protrattisi all'indomani dell'armistizio, nel pomeriggio del 15 settembre di sessant'anni fa, con un massiccio bombardamento di Ju 87 che attaccarono a ondate progressive le postazioni delle batterie italiane nella zona di Argostoli. Ancora più intenso fu il bombardamento del giorno 16 sulla capitale dell'isola e sulla costa dove furono lanciate circa sessanta tonnellate di bombe.
La decisione finale di resistere ai tedeschi venne assunta dal generale Gandin, dopo una consultazione con ufficiali e soldati che manifestarono il proposito di non cedere le armi ai nazisti. Il comandante della Acqui temeva che la divisione potesse essere lasciata sull'isola o peggio di non essere portata in Italia, ma sul continente greco per combattere contro i ribelli.
Il 13 settembre, all'indomani del trasferimento di Mussolini dalla prigione del Gran Sasso a Vienna, un ufficiale nazista si presentò sull'isola per invitare Gandin a nome di Mussolini, di passare dalla parte tedesca e della (costituenda) Repubblica Sociale Italiana. Il generale italiano fu invitato anche ad un colloquio personale con il duce, come si legge nella documentazione tedesca recuperata dallo storico Gerhard Schreiber. Alla base del rifiuto di Gandin, sembra esserci una valutazione della situazione, dove appare preminente il desiderio dei suoi uomini di ritornare in patria e di mettere fine ad un conflitto rivelatosi disastroso sin dagli inizi.
Si deve inoltre tener conto che i tedeschi avevano già tentato, il 13 settembre, di invadere Corfù, dopo il rifiuto del colonnello Lusignani, comandante del 18 reggimento fanteria della Divisione Acqui, di schierarsi dalla parte dei nazisti. Sull'isola furono lanciati manifestini in cui si affermava che gli ufficiali italiani «verranno fucilati se non si dichiareranno subito disposti a consegnare le armi». Le operazioni tedesche su Corfù furono poi temporaneamente sospese per concentrare tutte le forze disponibili su Cefalonia.
Qui, benché nelle prime fasi dello scontro gli uomini della Acqui avessero messo in difficoltà il nemico, gli italiani furono sopraffatti il 22 settembre. Difatti, gli attacchi aerei e l'invio di reparti scelti da parte dell'alto comando della Wehrmacht avevano determinato una situazione insostenibile per le nostre forze militari.
Scattata la resa, tra il 23 ed il 25 settembre, si scatenò «la vendetta tedesca» sulla base dell'ordine del Fuehrer di non fare prigionieri. Furono fucilati circa 5000 uomini ( esclusi i cappellani militari, i sud tirolesi, gli ufficiali di sanità e pochi ufficiali di truppa). Il generale Gandin e trenta alti ufficiali, furono passati per le armi davanti ad una grande rupe, a circa un chilometro da Argostoli, ed i loro corpi gettati in mare.
Immane fu il massacro dei soldati italiani, come raccontano i superstiti. I loro cadaveri, collocati in fosse comuni, bruciarono per alcuni giorni ed i resti vennero dispersi in mare o abbandonati senza sepoltura.
L'attacco tedesco a Corfù iniziò nelle prime ore del 24 settembre con ingenti forze e si concluse nella notte del 25, quando i cacciatori da montagna fecero prigioniero il comandante dell'isola. Lusignani ed i suoi ufficiali vennero giustiziati con le stesse modalità dei loro colleghi di Cefalonia (si dispose che i corpi fossero trasportati in mare ed affondati); e la rappresaglia non venne estesa ai soldati per ordine del generale d'armata Lohr. Tuttavia il numero molto alto delle vittime - dalle seicento alla settecento - non dissolse i sospetti emersi nel corso del processo di Norimberga che anche lì diversi italiani siano stati fucilati dopo la resa.
A Cefalonia vennero eliminati anche alcune centinaia di marinai e di finanzieri. Degli 11.500 militari della Divisione Acqui, i sopravvissuti furono circa 3000: infatti ai 5000 trucidati ed ai 1500 morti in combattimento bisogna aggiungere alcune migliaia di prigionieri che morirono su mezzi navali affondati nel corso del loro trasporto. I superstiti in gran parte furono avviati verso il porto di Atene ed i campi di concentramento del Terzo Reich.
Le modalità con cui si svolsero le vicende del processo a carico degli alti ufficiali della Wehrmacht presso la suprema Corte militare internazionale di Norimberga furono sconcertanti. Sembra infatti, come riferisce Schereiber, che la Corte non si sia preoccupata di ascoltare testimoni italiani o greci. Il maggiore responsabile dello sterminio degli italiani, il generale Lanz, condannato a dodici anni per la rappresaglia contro gli ufficiali, ne scontò solo cinque. Non si tenne conto delle dichiarazioni del generale Telford Taylor, capo dell'accusa, il quale affermò: «Questa strage deliberata di ufficiali italiani che erano stati catturati o si erano arresi è una delle azioni più arbitrarie e disonorevoli nella lunga storia del combattimento armato».

VITO ANTONIO LEUZZI la Gazzetta del Mezzogiorno 17 09 03