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    Predefinito Cosa Si Nasconde Dietro Il Liberismo

    NOAM CHOMSKY

    LA PASSIONE PER
    IL LIBERO MERCATO

    ``Per più di mezzo secolo l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha costituito il principale forum da cui gli Stati Uniti hanno cercato di creare un mondo fatto a loro immagine, manovrando i loro alleati per forgiare accordi globali su diritti umani, test nucleari e l'ambiente, che Washington insisteva affinché rispecchiassero i suoi valori.''

    Così va letta la storia post-bellica, come scopriamo dal paragrafo di apertura di un'articolo di prima pagina del New York Times (NYT), scritta dall'analista politico David Sanger. Ma i tempi stanno cambiando. Oggi, il titolo di testa dell'articolo riporta, ``Gli Stati Uniti esportano i valori del libero mercato attraverso accordi commerciali globali.'' L'amministrazione Clinton va oltre il tradizionale ricorso alle Nazioni Unite, e si serve della World Trade Organization (WTO: Organizzazione Mondiale per il Commercio) per perseguire l'obiettivo di ``esportare i valori Americani.'' Alla fine, continua Sanger (citando il delegato Americano per il commercio), sembra essere il WTO lo strumento più efficace per portare ``la passione Americana per la deregulation'' e per il libero mercato più in generale, e ``i valori Americani della libera competizione, di regole giuste, e della loro efficace applicazione'' ad un mondo che ancora annaspa nel buio. Questi ``valori Americani'' sono perfettamente illustrati dall'avanzare del futuro: le telecomunicazioni, la rete Internet, l'avanzata tecnologia del computer, e le altre meraviglie create dall'esuberante spirito imprenditoriale Americano, scatenatosi grazie al mercato, finalmente liberato dalle interferenze dello stato grazie alla rivoluzione Reaganiana.
    Oggi governi di tutto il mondo abbracciano il vangelo del libero-mercato predicato negli anni ottanta dal presidente statunitense Reagan ed il primo ministro britannico Margaret Thatcher,'' Youssef Ibrahim riporta in un articolo di prima pagina del Time, ripetendo un tema ricorrente. Piaccia o non piaccia, entusiasti e critici che abbracciano un ampio spettro di opinioni concordano su ``l'implacabile avanzata di quella che i suoi esponenti chiamano la `rivoluzione di mercato' '': ``Il ruvido individualismo Reaganiano'' ha cambiato le regole del gioco in tutto il mondo, e negli Stati Uniti ``sia Repubblicani che Democratici sono pronti a dare mano libera al mercato,'' nella loro dedizione alla nuova ortodossia.
    Ci sono non pochi problemi in questa immagine. Il primo riguarda il resoconto dell'ultimo mezzo secolo. Anche il più fervente credente nella ``missione americana'' deve sapere che i rapporti tra gli Stati Uniti e le Nazioni Unite sono stati quasi esattamente l'opposto di quanto descritto nel passaggio di apertura, sin da quando l'ONU sfuggì al controllo in seguito al progredire della decolonizzazione, lasciando gli Stati Uniti regolarmente isolati nella loro opposizione ad accordi globali su un'ampia serie di temi, e decisi ad ostacolare il funzionamento di componenti fondamentali dell'ONU, in particolare quelle con un orientamento terzo-mondista. Se c'è un punto su cui non vi sono dubbi, è certamente questo.
    Per quanto riguarda il ``ruvido individualismo Reaganiano'' e la sua venerazione del mercato, è forse sufficiente citare l'analisi degli anni della presidenza Reagan di un esperto di finanza internazionale al Council on Foreign Relations (Consiglio per i rapporti con l'estero) apparsa su Foreign Affairs. Questi nota ``l'ironia'' che Ronald Reagan, ``il presidente con la più ardente passione per il laissez faire del dopo- guerra, ha presieduto alla più marcata svolta protezionistica dagli anni trenta.'' Nessuna ``ironia'', ma semplicemente il normale funzionamento dell'``ardente passione per il laissez faire'': disciplina di mercato per te, ma non per me, a meno che la competizione non risulti essere già in mio favore, solitamente come conseguenza di interventi statali su larga scala. È difficile trovare un altro tema altrettanto dominante nella storia economica degli ultimi tre secoli. I recenti entusiasmi per la rivoluzione nelle comunicazioni di cui Sanger parla sono un caso da manuale.
    I Reaganites stavano seguendo un ben collaudato percorso, che ha recentemente assunto i connotati di una farsa con i ``conservatori'' di Gingrich: mentre celebravano le glorie del mercato ed impartivano severe lezioni sulla debilitante cultura della dipendenza dei poveri, si gloriavano contemporaneamente di fronte al mondo del business del fatto che Reagan avesse ``garantito all'industria americana maggiori protezioni dall'import di qualsiasi suo predecessore in più di mezzo secolo''; in realtà maggiori protezioni dell'insieme dei suoi predecessori, in un prolungato assalto ai principi [del libero commercio] cominciato nei primi anni 70. Tale condotta viene deplorata in uno studio di Patrick Low, economista del segretariato del GATT (Global Agreement on Tariffs and Trade: Trattato Globale sulle Tariffe ed il Commercio, ndt), il quale stima che gli effetti delle politiche protezionistiche Reaganiane sono stati tre volte più restrittivi di quelli delle politiche di altri paesi industrializzati.
    La radicale ``svolta protezionistica'' rappresentava solo una parte del ``prolungato assalto'' ai principi del libero commercio condotto sotto il ``ruvido individualismo Reaganiano.'' Un altro capitolo della storia include l'enorme trasferimento di fondi pubblici al potere privato, spesso giustificati ricorrendo al pretesto della ``sicurezza nazionale.'' Se fossero mancate queste misure estreme di interferenze al mercato, è assai dubbio che le industrie americane di automobili, acciaio, macchine utensili, semiconduttori ed altre, avrebbero sopravissuto alla competizione Giapponese, o che sarebbero state capaci di dominare il mercato delle nuove tecnologie, con profonde conseguenze per l'economia.
    La Gran Bretagna della Thatcher è un altro esempio appropriato ad illustrare il ``vangelo del libero mercato.'' Limitandoci ad alcune rivelazioni del 1997, ``durante il periodo che registrò le maggiori pressioni in favore della vendita di armi alla Turchia,'' riporta il London Observer, il primo ministro Thatcher ``intervenne personalmente al fine di assicurare il pagamento di 22 milioni di sterline per la costruzione di una metropolitana nella capitale turca Ankara. Il progetto era costoso, e nel 1995'' il ministro degli esteri Douglas Hurd ne ammise ``l'illegalita'''. L'incidente è particolarmente interessante dato che ebbe luogo dopo lo scandalo della diga di Pergau. In quell'occasione il governo Thatcher aveva approvato sussidi illegali per ``incoraggiare la vendita d'armi al regime Malesiano,'' a cui seguì il giudizio di condanna dell'Alta Corte per il ministro Hurd. E questo va ad aggiungersi a prestiti governativi, finanziamenti, e tutta la panoplia di stratagemmi per il trasferimento di fondi pubblici a ``l'industria della difesa'', che produce la familiare gamma di benefici per l'industria avanzata.
    Pochi giorni prima, lo stesso giornale riportava che ``in Gran Bretagna, circa 2 milioni di bambini soffrono di cattiva salute e crescita stentata a causa della malnutrizione'' conseguenza di livelli di ``povertà non visti fin dagli anni 30.'' C'è stata un inversione della tendenza ad un miglioramento della salute infantile, e malattie dell'infanzia credute sotto controllo fanno la loro ricomparsa, conseguenza dell'assai selettivo ``vangelo del libero mercato,'' così ammirato da coloro che ne beneficiano.
    Alcuni mesi prima, un titolo di testa riportava ``Un bambino inglese su tre nasce povero,'' e la ``povertà infantile è triplicata dalla prima elezione di Margaret Thatcher.'' ``Malattie Dickensiane tornano a colpire la Gran Bretagna contemporanea'' si legge in un'altra testata, che riporta i risultati di uno studio che conclude ``le condizioni sociali in Gran Bretagna stanno regredendo a quelle di un secolo fa.'' Particolarmente severe sono le conseguenze del taglio di luce, acqua, gas e telefono ad ``un alto numero di famiglie'', conseguenza delle privatizzazioni, accompaganate da una serie di stratagemmi che favoriscono i ``clienti più affluenti'' e si traducono in una ``sovratassa sui più bisognosi,'' portando ad una ``crescente disparità tra ricchi e poveri'' anche in termini della disponibilità di elettricità, acqua ed altri servizi. I ``feroci tagli'' ai programmi sociali stanno portando la nazione su ``l'orlo del panico per un'imminente catastrofe sociale.'' Allo stesso tempo, l'industria e la finanza beneficiano invece egregiamente da queste stesse politiche. E a coronare il tutto, la spesa pubblica dopo 17 anni di vangelo Thatcheriano rimane allo stesso livello di 42.25% (del PIL, ndt) a cui era prima dell'arrivo della Thatcher.

    L'esportazione dei valori Americani
    Dimentichiamo per un momento i curiosi contrasti tra dottrina e realtà, e vediamo quello che possiamo imparare esaminando la nuova era che si affaccia all'orizzonte. Molto, penso.
    Sanger, nell'articolo citato all'inizio, celebra l'accordo sulle telecomunicazioni del WTO. Uno dei benvenuti effetti di tale accordo sta nell'aver fornito a Washington un ``nuovo strumento di politica estera.'' L'accordo ``autorizza il WTO a varcare i confini dei 70 paesi che lo hanno ratificato,'' e non è un segreto che le istituzioni internazionali funzionano nella misura in cui sono capaci di rispondere alle esigenze dei potenti, in particolare degli Stati Uniti. Nel mondo reale quindi, il ``nuovo strumento'' permetterà agli Stati Uniti di intervenire negli affari interni di altri paesi, forzandoli a cambiare le loro leggi e pratiche. Crucialmente, il WTO vigilerà affinché le altre nazioni ``mantengano il loro impegno a garantire l'accesso'' senza restrizioni ``di investitori esteri'' a settori cruciali della loro economia. Nel caso specifico che stiamo esaminando (le telecomunicazioni, ndt), il prevedibile risultato è chiaro: la rivista Far Eastern Economic Review (FEER) scrive che ``I chiari beneficiari saranno le multinazionali americane di telecomunicazioni, che sono le meglio posizionate a dominare la competizione'', assieme ad una mega-corporation americano-britannica.
    Non tutti sono deliziati da tali prospettive. I vincitori lo riconoscono ed offrono la loro interpretazione: nelle parole di Sanger, molti temono che ``i giganti americani delle telecomunicazioni possano sopraffare gli inefficienti monopoli statali che hanno dominato le telecomunicazioni in Europa e in Asia per lungo tempo'' come pure negli Stati Uniti, e ben più tardi dell'assurgere degli Stati Uniti a leader economico mondiale e più potente stato nazionale. Va sottolineato che fondamentali conquiste della moderna tecnologia vennero proprio dai laboratori di ricerca di quegli stessi ``inefficienti monopoli statali'' che dominarono le telecomunicazioni negli Stati Uniti fino agli anni 70, traendo vantaggio del fatto che erano protetti dalla disciplina di mercato al fine di soddisfare i bisogni dei settori avanzati dell'industria, in genere attraverso il trasferimento di fondi pubblici.
    Coloro i quali si aggrappano irrazionalmente al passato vedono le cose in maniera leggermente diversa. La FEER sottolinea che ``posti di lavoro saranno tagliati'' in Asia, e che ``molti consumatori Asiatici di servizi telefonici dovranno pagare di più prima di poter pagare di meno.'' Quando finalmente potranno pagare di meno? Affinché quel brillante futuro si realizzi, tutto quel che necessita è che gli investitori stranieri vengano ``incoraggiati ...ad agire in modo socialmente desiderabile,'' non semplicemente guardando al profitto ed al soddisfacimento dei ricchi e potenti. Come questo miracolo si possa realizzare non viene spiegato, sebbene non ci sono dubbi che il suggerimento ispirerà serie riflessioni tra le dirigenze delle multinazionali.
    Nell'arco di tempo rilevante alla pianificazione, la FEER prevede che l'accordo del WTO risulterà in un aumento dei costi dei servizi telefonici per la maggioranza dei consumatori asiatici. ``Il fatto è che relativamente pochi consumatori in Asia beneficeranno delle piu' economiche tariffe internazionali'' che risulteranno dal subentrare delle corporations straniere, principalmente americane. Per esempio, in Indonesia dei 190 milioni di abitanti solo circa 300.000 persone fanno chiamate internazionali, principalmente chiamate per affari. Secondo David Barden, analista delle telecomunicazioni alla J.P Morgan Securities, in Hong Kong, ``è molto probabile che le tariffe per chiamate urbane subiranno in generale un aumento'' in Asia. Ma sarà tutto per il meglio, Barden continua: ``se non c'è possibilità di profitto nel business, non ci sarà nessun business.'' E visto che una sempre più larga parte di proprietà pubblica viene trasferita sotto il controllo di corporations straniere, sarà meglio che a tali corporations venga garantita la possibilità di profitto oggi, ed una sempre più larga gamma di servizi domani. La stampa economica prevede che ``la comunicazione personale attraverso la rete Internet dominerà le telecomunicazioni in cinque o sei anni, e che gli operatori telefonici sono quelli con il maggior interesse ad entrare nel business delle comunicazioni online.'' Contemplando il futuro della sua compagnia, il CEO della Intel, Andrew Grove, vede nella rete internet ``la più grossa opportunità'' dei giorni nostri. Prevede un'enorme crescita per ``i fornitori di connessioni internet, la gente che fornisce i servizi per la World Wide Web, la gente che fabbrica i computers'' (dove ``gente'' significa corporations), e l'industria pubblicitaria, che già oggi fattura attorno ai 350 milioni di dollari e prevede ulteriori opportunità con la privatizzazione della rete Internet, che ci si aspetta verrà convertita in un oligopolio globale.
    Nel frattempo le privatizzazioni in altri settori continuano indisturbate. Per prendere un esempio importante, nonostante una notevole opposizione popolare il governo del Brasile ha deciso di privatizzare la Vale Company, che controlla vasti giacimenti di uranio, ferro, ed altre risorse minerarie, stabilimenti industriali e trasporti, nonché sofisticate tecnologie. La Vale Company ha alti profitti, con un utile di 5 miliardi di dollari per il 1996 ed eccellenti prospettive per il futuro; ed è una delle sei imprese Latino-americane che entrano nella classifica della rivista Fortune delle 500 imprese più profique al mondo. Uno studio condotto da specialisti della Graduate School of Engineering dell'Università federale di Rio, sostiene che il governo ha seriamente sottostimato il valore della compagnia, e nota inoltre che il governo ha basato la sua valuatazione su una analisi ``indipendente'' della Merril Lynch, che guarda caso è associata con il gruppo anglo-americano che cerca di acquisire il controllo di questa componente essenziale dell'economia Brasiliana. Il governo nega categoricamente le conclusioni dello studio. Se queste sono accurate, come si potrebbe plausibilmente supporre, ricadono in uno schema alquanto familiare.
    Un commento a parte: comunicazioni ed uranio non sono la stessa cosa. Ovunque vi sia anche solo una pretesa di democrazia, i mezzi di comunicazione ne sono a fondamento. La concentrazione dei mezzi di comunicazione in poche mani, qualsiasi mani (ed in particolare mani straniere), solleva dubbi sostanziali su tale democrazia. Analoghi dubbi derivano dalla concentrazione della finanza, che tende ad eliminare il coinvolgimento popolare nella pianificazione sociale ed economica. Il controllo delle risorse alimentari solleva dubbi ancor piu' sostanziali, in questo caso riguardanti la stessa sussistenza. Un anno fa, il Financial Times di Londra riportava le parole del segretario generale della FAO il quale, discutendo della ``crisi alimentare seguita all'aumento dei prezzi dei cereali di quest'anno'', ammoniva che le nazioni ``devono diventare maggiormente auto-sufficienti nella produzione alimentare.'' La FAO raccomanda in particolare ai ``paesi in via di sviluppo'' di abbandonare le politiche agricole a loro imposte dal ``Washington consensus'' (neoliberismo, aggiustamento strutturale, ndt), politiche che hanno avuto un impatto disastroso in ampie aree del mondo, e che incidentalmente hanno favorito il boom dell'agribusiness sovvenzionato dallo stato, nonché il narcotraffico che è forse il maggior successo delle riforme neo-liberiste se giudicato per mezzo dei ``valori del libero mercato'' che ``gli Stati Uniti esportano''.
    Per ricapitolare, le prevedibili conseguenze della vittoria dei ``valori americani'' al WTO sono: (1) un ``nuovo strumento'' che permette l'intromissione statunitense negli affari interni di altre nazioni; (2) la presa di controllo da parte di corporations americane di settori essenziali di economie straniere; (3) benefici per il business e i settori più affluenti della popolazione; (4) un trasferimento dei costi alla popolazione; (5) nuovi ed efficaci strumenti contro il pericolo della democrazia.
    Una persona razionale potrebbe chiedersi se la recente celebrazione (per il trionfo del libero mercato, ndt) sia dovuta a tali previsioni, o se invece queste siano semplicemente accidentali al perseguimento di valori più alti. Lo scetticismo è di rigore se si guarda all'imagine del dopoguerra data dal New York Times, e la si paragona con i fatti, incontestabili. Aumenta ulteriormente se si guarda ad alcune delle singolari regolarità della storia, tra queste, il fatto che coloro i quali sono nella posizione di imporre i propri disegni, non solo li promuovono con entusiasmo, ma ne beneficiano, sia che i valori professati includano il libero commercio o altri ammirevoli principi che irrimediabilmente risultano essere funzionali al soddisfacimento dei bisogni di quelli che controllano il gioco e ne celebrano il risultato finale. La semplice logica suggerirebbe un tocco di scetticismo quando lo schema si ripete. Guardando alla storia, tale scetticismo non dovrebbe che aumentare.
    Infatti, non c'è bisogno di guardare troppo lontano.

    Un forum inappropriato
    Nello stesso giorno che la prima pagina del New York Times riportava la vittoria dei valori americani al WTO, gli editori del quotidiano americano ammonivano l'Unione Europea (UE) a non rivolgersi al WTO per deliberare sulle accuse portate dall'UE contro la violazione Statunitense degli accordi di libero commercio. Oggetto della contesa è la legge Helms-Burton, che ``costringe gli Stati Uniti ad imporre sanzioni alle aziende straniere che commerciano con Cuba.'' Tali sanzioni hanno l'effetto di ``escludere di fatto tali aziende dal mercato statunitense, anche quando i loro prodotti e le loro attività non hanno niente a che fare con Cuba.'' (Peter Morici, direttore economico della Commissione Statunitense per il commercio internazionale). E questa è una penalità non da poco, anche senza considerare minacce più dirette ad individui ed aziende trovate ad oltrepassare una linea tracciata dagli Stati Uniti unilateralmente. Gli editori del NYT considerano la legge ``un maldiretto tentativo del Congresso di imporre la propria politica estera ad altri''; Morici osteggia la legge perché ``sta causando più costi che benefici'' per gli Stati Uniti. Più in generale, in discussione è l'embargo stesso, ``lo strangolamento economico di Cuba,'' che gli editori considerano ``un anacronismo da guerra fredda'' che sarebbe meglio abbandonare visto che risulta nocivo agli interessi commerciali americani.
    Ma dubbi più ampi su ciò che è giusto o sbagliato non si pongono, e l'intera vicenda è ``essenzialmente una disputa politica'', sottolineano gli editori del NYT, disputa che non ha niente a che vedere con gli ``obblighi di free trade'' di Washington. Assieme a molti altri, gli editori del NYT sembrano dare per scontato che se l'Unione Europea insiste, è probabile che il WTO le dia ragione e condanni gli Stati Uniti. Di conseguenza, il WTO non è il forum appropriato.
    La logica è semplice e ricorrente. Dieci anni prima, per simili ragioni, gli Stati Uniti giudicavano la Corte Internazionale di Giustizia (World Court) un forum inappropriato per giudicare delle accuse portate dal Nicaragua contro Washington. In quell'occasione, gli USA rifiutarono la giurisdizione della Corte, e quando questa condannò gli USA per ``l'illecito uso della forza,'' ordinando a Washington di cessare gli atti di terrorismo, la violazione di trattati, e l'illegale guerra commerciale, e di pagare un sostanziale risarcimento al Nicaragua, il Congresso, allora controllato dai Democratici, reagì con un'escalation dei suoi crimini dichiarando allo stesso tempo la Corte un ``forum ostile'' che, nel prendere una decisione in conflitto con gli Stati Uniti, si era totalmente discreditato. Il giudizio della Corte, e i commenti sopra citati vennero a mala pena riportati dalla stampa americana, assieme all'esplicito verdetto che qualificava gli aiuti statunitensi ai contras come ``militari'' e non ``umanitari''. Gli aiuti statunitensi nonché il coordinamento delle forze terroristiche, sempre sotto la guisa di ``aiuti umanitari'', continuarono per il tempo necessario agli USA ad imporre i propri voleri.
    In seguito, gli Stati Uniti posero il veto ad una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU che richiamava tutti gli stati al rispetto della legge internazionale (vicenda scarsamente riportata nei media), e votarono isolati (con El Salvador e Israele) contro la risoluzione dell'Assemblea Generale dell'ONU, che urgeva al ``pieno ed immediato rispetto'' del verdetto della Corte Internazionale di Giustizia, anche questo scarsamente riportato dai principali media, come pure scarsamente riportata fu la ripetizione della vicenda l'anno successivo, questa volta con la sola Israele a spalleggiare gli USA. L'intera vicenda non è altro che una tipica illustrazione di come gli USA usino l'ONU come un ``forum'' per avanzare i ``propri valori''.
    Per tornare al caso del WTO e della legge Helms-Burton, nel novembre del 1996 Washington di nuovo votò isolata (con Israele e l'Uzbekistan) contro una risoluzione dell'Assemblea Generale dell'ONU, che richiamava gli USA a cessare l'embargo contro Cuba. L'Organizzazione degli Stati Americani aveva al tempo già votato unanimamente contro la legge Helms-Burton, e aveva chiesto al proprio corpo giudicante (il Comitato Giuridico Inter-Americano) di giudicare della legittimità della legge. Nell'agosto del `96, il Comitato deliberava all'unanimità che la legge violava il diritto internazionale. L'amministrazione Clinton si difendeva sostenendo che la spedizione di alimenti e medicine non era letteralmente proibita, ma solo ostacolata dall'imposizione di condizioni così onerose e minacciose che neppure le più grandi corporations americane ed estere sarebbero state disposte a fronteggiarne le conseguenze (enormi penalità finanziarie ed anche arresto in quei casi che Washington determina essere violazioni di ``giusta distribuzione,'' nonché interdizione di navi ed aerei, la mobilizzazione dei media, ed altro). E benché la spedizione di alimenti sia a tutti gli effetti proibita, l'amministrazione americana obietta che ci sono comunque ``molti fornitori'' da altri paesi (a costi molto più elevati), cosicché la violazione diretta del diritto internazionale non è in realtà una violazione. Quando finalmente la disputa fu portata dall'UE al WTO, gli Stati Uniti abbandonarono la seduta, sostanzialmente ponendo fine all vicenda.
    In breve, il mondo che gli Stati Uniti hanno cercato di ``creare a loro immagine'' attraverso istituzioni internazionali, è un mondo basato sulla legge del più forte. La ``passione americana per il libero commercio'' comporta che gli USA possono violare a piacere gli accordi commerciali. Non c'è niente di sbagliato nel fatto che i mezzi di comunicazione, la finanza, e le forniture alimentari passino sotto il controllo di corporations estere, prevalentemente americane. Il discorso cambia tuttavia quando gli accordi commerciali ed il diritto internazionale interferiscono con i piani dei potenti.
    Possiamo imparare molto dall'esaminare le ragioni che spingono gli USA a violare il diritto internazionale e gli accordi commerciali. Nel caso del Nicaragua, l'allora consulente legale del Dipartimento di Stato Abraham Sofaer spiegò che quando gli USA riconobbero la giurisdizione della World Court (Corte Mondiale) negli anni 40, la maggior parte dei paesi membri delle Nazioni Unite ``era allineata agli USA, e ne condivideva le opinioni sull'ordine mondiale.'' Tuttavia oggi ``molti di questi paesi non si possono più contare tra le fila di coloro i quali condividono la nostra visione dello statuto costitutivo dell'ONU.'' È quindi comprensibile che fin dagli anni 60 gli USA siano abbondantemente primi nel numero di veti a risoluzioni dell'ONU su un'ampia gamma di dispute che riguardano diritto internazionale, diritti umani, protezione ambientale, e così via (la Gran Bretagna è seconda, la Francia è distante terza). Esattamente l'opposto della versione ufficiale riportata nel paragrafo di apertura di questo articolo. Gli USA aumentarono ulteriormente il loro vantaggio nella classifica dei veti ONU proprio di recente, ponendo il loro settantunesimo veto dal 1967. Quando la disputa oggetto del veto (i settlements israeliani a Gerusalemme) venne portata all'Assemblea Generale (dove non ci sono diritti di veto, ndt), gli USA e Israele isolati votarono contro. Una situazione ricorrente.
    Traendo le dovute conclusioni dall'inaffidabilità del mondo, Sofaer spiegò che gli USA devono ora ``riservarsi il potere di riconoscere o meno giurisdizione alla Corte caso per caso.'' Il prinicipio consolidato, che va ora imposto in un mondo non piu' obbediente, è che ``gli Stati Uniti non accettano la giurisdizione obbligatoria su alcuna disputa che riguardi materie'' che gli USA stabiliscono essere ``sotto la [propria] giurisdizione interna''. Le ``materie interne'' nel caso in questione erano l'attacco statunitense del Nicaragua.
    Il principio operativo basilare veniva elegantemente riasserito dal nuovo Segretario di Stato, Madeleine Albright, quando rimproverò il Consiglio di Sicurezza dell'ONU per la sua riluttanza nell'assecondare le richieste americane riguardo all'Iraq: Gli USA agiranno ``multilateralmente, con altri, quando possiamo, e unilateralmente quando dobbiamo,'' non ammettendo vincoli esterni in quelle aree che gli USA giudicheranno ``vitali ai [propri] interessi nazionali.'' L'ONU è quindi un forum appropriato quando ``si può contare'' sulla condivisione da parte dei paesi membri delle opinioni di Washington, ma non quando la sua maggioranza ``si oppone agli Stati Uniti su importanti questioni internazionali.'' Diritto internazionale e democrazia sono concetti ammirevoli, ma vanno giudicati in base ai risultati, non al metodo; lo stesso dicasi per il libero commercio.
    Quindi, l'attuale posizione degli USA nella disputa portata dall'UE al WTO non costituisce una novità. Washington ha dichiarato che il WTO non ``ha nessuna competenza a procedere'' su una materia che riguarda la sicurezza nazionale americana; ci è quindi dato ad intendere che l'esistenza stessa degli USA è in gioco nello strangolamento economico di CUBA. Un rappresentante dell'amministrazione Clinton ha aggiunto che un verdetto del WTO contro gli USA in absentia (ovvero, senza gli USA presenti alla seduta, ndt) non avrebbe alcun peso o conseguenza, perché ``crediamo che nulla di quello che il WTO dice o fa potrà costringere gli Stati Uniti a cambiare le proprie leggi.'' Va ricordato che il grande merito dell'accordo sulle telecomunicazioni del WTO stava nel fatto che questo ``nuovo strumento di politica estera'' avrebbe costretto altri paesi a cambiare le proprie leggi e pratiche secondo le esigenze americane.
    Il principio è quindi che gli Stati Uniti sono esenti dalle interferenze del WTO, così come sono liberi di violare il diritto internazionale a piacere; eccezionalmente, il privilegio può venire esteso a stati clienti come le circostanze di volta in volta esigono. I principi fondamentali dell'ordine mondiale vengono nuovamente riasseriti senza ambiguità.
    Gli accordi GATT precedenti all'istituzione del WTO lasciavano spazio ad eccezioni legate alla sicurezza nazionale, e in base a quegli accordi Washington aveva giustificato l'embargo contro Cuba come ``misure tese a perseguire fondamentali interessi di sicurezza nazionale.'' Anche il WTO permette ad uno stato membro di prendere ``qualsiasi azione che consideri necessaria alla protezione dei suoi fondamentali interessi di sicurezza,'' ma solo in relazione a tree aree specifiche: materiali nucleari, traffico d'armi, e azioni ``prese in tempo di guerra o di altra emergenza nei rapporti internazionali.'' Forse per non rischiare di passare in archivio per una patente assurdita', l'amministrazione Clinton evitò di ricorrere formalmente alle ``eccezioni legate alla sicurezza nazionale'', sebbene dichiarò esplicitamente che in gioco era la ``sicurezza nazionale.''
    Al momento di scrivere, l'Unione Europea e gli Stati Uniti stanno cercando di stabilire un accordo prima del 14 di aprile, quando cominceranno le udienze al WTO. Intanto, come il Wall Street Journal riporta, Washington ``afferma che non coopererà con il WTO, contestando all'organizzazione il diritto di giurisdizione su materie di sicurezza nazionale.''

    Pensieri indecenti
    Persone sofisticate non ci si aspetta ricordino la reazione al tentativo di Kennedy di organizzare un'azione collettiva contro Cuba nel 1961: in quell'occasione, il Messico non poté dare il suo sostegno - un diplomatico messicano spiegò - perché ``se dichiariamo pubblicamente che Cuba è una minaccia alla nostra sicurezza, quaranta milioni di messicani moriranno dalle risate.'' Qui abbiamo una reazione più sobria alle minacce alla sicurezza nazionale.
    Morti dalle risate non furono riportati neppure quando il rappresentante dell'amministrazione americana Stuart Eizenstat, cercando di giustificare il rifiuto di Washington ad accettare gli accordi del WTO, ``disputò che l'Europa stava mettendo in discussione tre decadi di politiche americano-cubane, introdotte dall'amministrazione Kennedy ed interamente mirate a forzare un cambio di governo all'Havana'' (NYT). Una sobria reazione a tali dichiarazioni è totalmente appropriata, in base all'assunzione che gli Stati Uniti hanno tutti i diritti di perseguire il rovesciamento di un governo straniero; nel caso specifico, per mezzo di atti d'aggressione, terrorismo su larga scala, e strangolamento economico.
    L'assunzione sopra-citata è ampiamente accettata e rimane apparentemente incontestata, ma la dichiarazione di Eizenstat veniva criticata su basi più circoscritte dallo storico Arthur Schlesinger. Scrivendo dalla posizione di ``qualcuno coinvolto nella politica cubana dell'amministrazione Kennedy,'' Schlesinger osserva che il sottosegretario del commercio Eizenstat ha male interpretato le politiche dell' amministrazione Kennedy. L'amministrazione era preoccupata dall'``agitazione nell'emisfero'', e dalla ``Soviet connection'' di Cuba. Queste sono ora parte del passato, quindi le politiche di Clinton sono un anacronismo, sebbene perfettamente legittime altrimenti.
    Schlesinger non spiega il significato delle frasi ``agitazione nell'emisfero'' e ``Soviet connection,'' sebbene lo avesse fatto in altra occasione, in segreto. Illustrando le conclusioni della Latin American Mission al presidente entrante nel 1961, Schlesinger spiegò chiaramente cosa si intendeva per ``agitazione [castrista] nell'emisfero'': è il ``diffondersi dell'idea castrista di prendere controllo della propria situazione,'' un problema serio, aggiungeva poco dopo, visto che ``la distribuzione della terra e di altre forme di ricchezza nazionale avvantaggia enormemente le classi possidenti ...[e] i poveri e i bisognosi, incoraggiati dall'esempio della rivoluzione cubana, chiedono ora opportunità per condizioni di vita decenti.'' Schlesinger spiegò anche la minaccia della ``Soviet connection'': ``nel frattempo, l'Unione Sovietica osserva defilata, offrendo sostanziosi prestiti per lo sviluppo e offrendosi come modello per ottenere la modernizzazione in una singola generazione.'' La ``Soviet connection'' veniva percepita in una simile luce su più larga scale a Washington e Londra, dalle origini della guerra fredda nel 1917 agli anni 60, che sono gli anni piu' recenti a cui la documentazione interna declassificata arriva.
    Schlesinger raccomandò inoltre al presidente entrante ``l'uso di frasi altisonanti'' su ``i più alti obiettivi della cultura e dello spirito,'' che ``entusiasmeranno il pubblico a sud del confine, dove disquisizioni metastoriche sono smisuratamente ammirate.'' Nel frattempo, noi ci occuperemo di cose serie. Giusto per dimostrare quanto poco le cose cambino, Schlesinger in quell'occasione criticò la ``nociva influenza del Fondo Monetario Internazionale,'' che stava allora perseguendo la versione anni 50 dell'attuale ``Washington Consensus'' (aggiustamento strutturale, neoliberismo).
    Grazie a queste (segrete) spiegazioni del significato dell'``agitazione [castrista] nell'emisfero'' e della ``Soviet connection,'' facciamo un ulteriore passo avanti nella comprensione della realtà della guerra fredda. Ma questa è un'altra storia.
    Simili agitazioni aldilà dell'emisfero hanno causato non pochi problemi, e continuano a disseminare pericolose idee tra la gente che ``ora esige opportunità per condizioni di vita decenti.'' Alla fine del febbraio `96, mentre gli Stati Uniti facevano un gran baccano per l'abbattimento cubano di due aerei del gruppo anti-castrista con base in Florida, gruppo che aveva ripetutamente violato lo spazio aereo cubano e distribuito volantini che incitavano i cubani alla rivolta (e che, secondo fonti cubane, aveva anche partecipato ai continui attacchi terroristici ai danni di Cuba), le agenzie di stampa raccontavano una storia diversa. La Associated Press riportava che in Sudafrica, ``una folla festosa dà il benvenuto ai medici cubani'' appena arrivati su invito del governo di Mandela ``per aiutare a migliorare la situazione sanitaria nelle aree rurali più povere.'' ``Cuba ha 57.000 medici per i suoi 11 milioni di abitanti, mentre il Sudafrica ha 25.000 dottori per i suoi 40 milioni di abitanti.'' Tra i 101 medici cubani si contavano specialisti affermati che, se fossero stati Sudafricani, avrebbero ``probabilmente lavorato a Cape Town o Johannesburg'' per un salario doppio di quello che riceveranno nelle aree rurali a cui sono diretti. ``Dall'instituzione del programma per l'invio oltremare di specialisti di medicina, che cominciò nel 1963 in Algeria, Cuba ha inviato 51.820 medici, dentisti, infermiere, ed altro personale medico'' nelle ``nazioni più povere del terzo mondo,'' fornendo ``aiuti medici totalmente gratuiti'' nella maggior parte dei casi. Un mese più tardi, esperti medici cubani venivano invitati ad Haiti per studiare un'epidemia di meningite.
    Questo tipo di ``agitazione'' dura da lungo tempo. Un influente giornale della Germania Occidentale (Die Zeit) riportò che i paesi del Terzo mondo considerano Cuba come ``una superpotenza internazionale'' per via dei suoi insegnanti, medici ed altro personale impegnati nell'``assistenza internazionale''. Lo stesso giornale riportò che nel 1985 16.000 cubani avevano lavorato in paesi del terzo mondo, più del doppio del totale degli specialisti statunitensi di Peace Corps e AID. Alla fine del 1988, Cuba aveva ``più medici impegnati all'estero di qualsiasi altro paese industrializzato, e più della World Health Organization dell'ONU.'' Questi aiuti sono per la maggior parte gratuiti, e gli ``emissari internazionali'' cubani sono ``uomini e donne che vivono in condizioni che non sarebbero accettate dalla maggior parte dei lavoratori per l'aiuto allo sviluppo,'' che è poi ``la ragione del loro successo.'' Per i cubani, il rapporto aggiunge, ``l'assistenza internazionale'' è considerata come ``un segno di maturità politica'' ed insegnata nelle scuole come ``la virtù più alta.'' Il caloroso benvenuto offerto dalla delegazione dell'ANC in Sudafrica nel 1996, e la folla che cantava ``lunga vita a Cuba,'' testimoniano dello stesso fenomeno.
    Tra parentesi, ci potremmo chiedere come reagirebbero gli Stati Uniti alla violazione dello spazio aereo da parte di aerei libici che nel cielo di New York e Washington distribuissero volantini incitanti alla rivolta, e questo dopo anni di attacchi terroristici contro bersagli americani sul territorio nazionale ed all'estero. Accogliendoli con ghirlande di fiori forse? Un indizio della probabile reazione veniva fornito da Barrie Dunsmore del canale televisivo ABC, poche settimane prima dell'abbattimento dei due aerei, il quale citava Walter Porges, ex vice-presidente del telegiornale di ABC. Porges racconta che quando l'equipe di ABC news, volando su un aereo civile, tentò di fare alcune foto della Sesta Flotta statunitense nel Mediterraneo, ``le fu ordinato di allontanarsi immediatamente o sarebbe stata abbattuta,'' condotta che ``sarebbe stata legale in base alle disposizioni di diritto internazionale che regolano lo spazio aereo militare.'' Un piccolo paese attaccato da una superpotenza è però tutta un'altra storia.
    Un ulteriore sguardo alla storia può essere utile. La politica tesa a rovesciare il governo di Cuba non ebbe inizio con l'amministrazione Kennedy, come suggeriva Eizenstat, ma con il suo predecessore (Eisenhower): la decisione formale di rovesciare Castro in favore di un regime ``maggiormente devoto ai reali interessi del popolo cubano e più accettabile per gli USA'' fu presa in segreto nel marzo del 1960, con l'aggiunta che l'operazione doveva essere condotta ``in modo tale da evitare qualsiasi evidenza di un intervento americano,'' per via delle prevedibili reazioni in America Latina, nonché per facilitare il compito ai manager dell'indottrinamento negli Stati Uniti. A quel tempo, la ``Soviet connection'' e l'``agitazione nell'emisfero'' erano inesistenti se non nella versione Schlesingeriana.
    Dato che Washington è l'arbitro dei ``reali interessi del popolo cubano,'' l'amministrazione Eisenhower non aveva bisogno di tener conto degli studi ricevuti sulla pubblica opinione cubana, studi che riportavano ampio supporto popolare per Castro ed ottimismo per il futuro. Per le stesse ragioni, le attuali informazioni e sondaggi su simili temi sono totalmente inutili. L'amministrazione Clinton sta servendo i reali interessi del popolo cubano imponendogli miseria e fame, indipendentemente da quanto indicato negli studi sulla pubblica opinione cubana: per esempio, i sondaggi fatti nel dicembre `94 da un affiliata della Gallup (una delle maggiori e più serie organizzazioni di sondaggi americane, ndt) trovarono che metà della popolazione considera l'embargo come ``la principale causa dei problemi di Cuba'' mentre il 3% considera la ``situazione politica'' essere ``il problema più serio per Cuba oggi''; che il 77% considera gli Stati Uniti il ``peggior amico'' (nessun altro paese ha raggiunto più del 3%); che due cubani su tre pensano che la rivoluzione abbia registrato più successi che fallimenti, e che il ``fallimento principale'' sia stato il ``dover dipendere da paesi socialisti come la Russia, che ci ha tradito''; e che metà della popolazione si considera ``rivoluzionaria'', e un altro 20% ``comunista'' o ``socialista.''
    Che siano giuste o sbagliate, le conclusioni sull'attitudine pubblica sono irrilevanti, come sempre un tema ricorrente, pure negli Stati Uniti.
    Gli appassionati di storia potrebbero ricordare che tale politica in realtà ebbe origine nel 1820, quando l'intenzione di Washington di prendere controllo di Cuba si scontrò con il deterrente britannico. Sebbene Cuba fosse considerata dall'allora segretario di stato John Quincy Adams ``un oggetto di straordinaria importanza per gli interessi commerciali e politici del nostro paese,'' questi raccomandò pazienza: nel tempo, predisse, Cuba sarebbe caduta nelle mani statunitensi obbedendo a ``le leggi di gravità ...politica,'' un ``frutto maturo'' pronto per il raccolto. E così fu, non appena gli equilibri di potere cambiarono sufficientemente a vantaggio degli USA da permettergli di liberare l'isola (dai suoi stessi abitanti) alla fine del secolo scorso, trasformandola in piantagione statunitense e porto franco per il crimine organizzato ed il turismo.
    La storica profondità dell'impegno al controllo di Cuba può forse aiutare a capire la quasi isteria così apparente nell'attuazione dell'impresa; per esempio, l'atmosfera ``quasi selvaggia'' della prima riunione di gabinetto dopo il fallimento dell'invasione della Baia dei Porci descritta da Chester Bowles, ``la richiesta quasi furibonda per un piano d'azione,'' uno stato d'animo reso bene nella pubblica dichiarazione del presidente Kennedy su come il fallimento ad agire ci vedrebbe ``pronti ad essere spazzati via con i rifiuti della storia.'' Le iniziative di Clinton rivelano una simile vena di fanatismo vendicativo, come nelle minacce e prosecuzioni che fecero sì che ``il numero di compagnie che ha ottennuto licenza di vendere medicinali a Cuba si è ridotto a meno del 4%'' dei livelli precedenti all'introduzione del Cuban Democracy Act (CDA) dell'ottobre `92, mentre ``solo pochissime delle compagnie mediche nel mondo hanno cercato di sfidare le disposizioni statunitensi'' e le relative sanzioni, come riportato da un'autorevole rivista medica.
    Considerazioni come queste ci portano dal piano astratto del diritto internazionale e degli accordi solenni alle realtà della vita umana. Gli esperti di diritto internazionale possono continuare a dibattere se il bando a forniture di prodotti alimentari e, di fatto, medicine viola o meno gli accordi internazionali, e ad affermare che ``prodotti alimentari non possono essere usati come uno strumento di pressione politica ed economica'' (Dichiarazione di Roma, 1996), assieme ad altri principi e impegni. Ma le vittime devono affrontare la realtà che il CDA è ``risultato in una sostanziale riduzione nel commercio di legittime forniture di medicine e di donazioni di cibo, a detrimento della popolazione cubana'' (Joanna Cameron, Fletcher Forum). Uno studio dell'Associazione Americana per la Salute nel Mondo, rilasciato recentemente, conclude che l'embargo ha causato seri deficit nutrizionali, un deterioramento della rete di approvvigionamento di acqua potabile, ed un ripido declino nella disponibilità di medicine e di informazioni mediche, con un conseguente aumento della mortalità infantile, e di malattie neurologiche e non, con decine di migliaia di vittime, ed altre severe conseguenze per la salute. ``Gli standard di salute ed alimentazione sono stati devastati dal recente rafforzamento dell'embargo americano durato ormai 37 anni, embargo che riguarda anche le forniture alimentari,'' scrive Victoria Brittain nella stampa britannica, riportando i risultati di uno studio di specialisti statunitensi durato un anno, che riporta di ``bambini ospitalizzati che giacevano in agonia a causa della mancanza di medicinali essenziali'', e dottori costretti ``a lavorare con l'attrezzatura medica a meno di metà del suo potenziale, a causa della mancanza di parti di ricambio.'' Conclusioni simili si possono trovare in altri studi pubblicati su riviste specialistiche.
    Questi sono i veri crimini, ben più gravi della casuale violazione di strumenti legali che sono peraltro usati come armi contro i nemici ufficiali, con il cinismo che solo i potenti sanno esibire.
    Per essere onesti, andrebbe aggiunto che la sofferenza causata dall'embargo viene a volte riportata anche negli Stati Uniti. Una storia nella prima delle pagine economiche del NYT apre così: ``Esplosione nel prezzo dei sigari cubani: l'embargo si fa veramente sentire ora che il buon fumo si fa scarso.'' L'articolo fa un resoconto delle tribolazioni dei manager che, in una sontuosa ``smoking room'' di Manhattan, lamentano che ``di questi giorni è davvero difficile trovare un sigaro cubano negli States'' se non ``a prezzi che vanno di traverso anche ai fumatori più devoti.''
    Mentre l'amministrazione Clinton, sfruttando il privilegio dei potenti, attribuisce le severe conseguenze di una guerra economica senza paralleli nella storia contemporanea alle politiche del regime da cui promette di ``liberare'' la sofferente popolazione cubana, una spiegazione più plausibile va nella direzione esattamente opposta: ``lo strangolamento americano dell'economia cubana'' è stato pianificato, mantenuto, e negli anni post-guerra fredda intensificato, per le ragioni implicite nel rapporto di Arthur Schlesinger al presidente entrante Kennedy. Proprio come temuto dalla Latin American Mission di Kennedy, i successi dei programmi castristi per migliorare gli standard di salute e di vita avevano aiutato a disseminare ``l'idea castrista di prendere controllo della propria situazione,'' incoraggiando ``i poveri e i bisognosi'' nella regione con la peggiore disuguaglianza al mondo a ``pretendere opportunità per una vita decente,'' e con pericolosi effetti altrove. Il sostanziale e assai convincente supporto di documenti interni, nonché una serie coerente di azioni basate su motivi razionali, danno non poca credibilità a questa interpretazione dei fatti. Per giudicare della veridicità delle affermazioni che le politiche di cui sopra derivano da un interesse per i diritti umani e la democrazia, anche un distratto sguardo alla documentazione storica è più che sufficiente.
    Tuttavia, è di cattivo gusto rivangare simili pensieri e ricordi adesso che stiamo celebrando il trionfo dei ``valori americani.'' Ed è altrettanto improprio ricordare che giusto pochi mesi fa, ispirato dalla stessa passione per il libero commercio, Clinton ``costrinse il Messico ad un accordo che porrà fine alla vendita negli Stati Uniti di pomodori messicani a basso costo,'' un regalo ai coltivatori della Florida che costerà al Messico circa 800 milioni di dollari all'anno, e che viola il NAFTA (North American Free Trade Agreement: Trattato Nord-americano per il Libero Commercio, ndt), come pure gli accordi del WTO (seppure solo ``nello spirito,'' dato che si è trattato di un puro gioco di forza per cui non c'è stato bisogno di una tariffa ufficiale). L'amministrazione ha spiegato la decisione con schiettezza: i pomodori messicani costano meno e i consumatori statunitensi li preferiscono. Il libero mercato funziona, ma con il risultato sbagliato. O forse anche i pomodori costituiscono una minaccia alla sicurezza nazionale.
    Per non lasciare dubbi, pomodori e telecomunicazioni sono due cose ben diverse. Qualsiasi favore Clinton debba ai coltivatori della Florida svanisce se paragonato alle richieste dell'industria delle telecomunicazioni, anche trascurando quello che Thomas Ferguson descrive come ``il segreto meglio celato delle elezioni presidenziali del `96'': e cioè che ``più di ogni altro singolo settore, sono state le industrie delle telecomunicazioni a soccorrere Bill Clinton,'' che ha ricevuto imponenti contributi da questo ``settore dai profitti sbalorditivi.'' Il Telecommunications Act del 1996, e gli accordi del WTO sono, in un certo senso, biglietti di ``ringraziamento'', sebbene è improbabile che il risultato sarebbe stato diverso anche qualora il mondo del business avesse scelto un diverso mix di generosità, mentre soffriva di profitti ``spettacolari'' in un altro ``party a sorpresa per Corporate America,'' come riportato dal Business Week.
    Tra le verità scomode, spiccano prominenti quelle citate in precedenza: la vera storia dietro il ``ruvido individualismo Reaganiano'' ed il ``vangelo del libero mercato,'' predicato (ai poveri ed indifesi) mentre il protezionismo raggiungeva livelli senza precedenti e l'amministrazione elargiva fondi pubblici all'industria high-tech con inusuale abbandono. È qui che cominciamo a raggiungere il cuore del discorso. Le ragioni appena rivisitate dello scetticismo per tale ``passione'' sono di per sè valide, ma non sono che una nota in calce alla storia vera: di come le corporations statunitensi siano arrivate a conquistare il controllo del mercato internazionale, ispirando l'attuale celebrazione dei "valori americani.''
    Ma questa è un'altra, più vasta storia, una storia che rivela molto del mondo contemporaneo: le sue realtà sociali ed economiche, e la presa esercitata dall'ideologia e la dottrina, incluse quelle dottrine atte ad indurre disperazione, rassegnazione e irreparabilità.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

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    Benetton e le altre
    Crimini e misfatti delle multinazionali italiane
    (Tratto dall'archivio di Guerra e pace)

    "Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia". L’articolo 25 della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo a tutto si presta tranne che ad essere utilizzato come slogan nella pubblicità di una multinazionale.
    Ma questo è successo. Per l’esattezza, in occasione dell’ultima campagna di Benetton, che abbinava il proprio marchio al simbolo dell’ufficio Onu che si occupa dei Diritti umani e collocava al centro di ogni manifesto un articolo della Dichiarazione.
    Per chi sa cosa c’è dietro Benetton, questi manifesti appaiono come il massimo dell’ipocrisia. Tutto ciò - ovviamente - è possibile grazie alla disinformazione. Oggi si sa molto sulle grandi imprese straniere, nulla o quasi sulle italiane. Ma le multinazionali del nostro paese non sono certo migliori delle altre. Gli esempi sono numerosissimi. Vediamone alcuni.

    Benetton: gli sfruttatori democratici
    E cominciamo proprio da Benetton. Sono già trapelate notizie dai laboratori che producono - talvolta in maniera indiretta - per Benetton, ed ogni volta tutto è iniziato con una irruzione delle "forze dell’ordine".
    Uno di questi episodi è quello di Bronte, e risale alla fine dello scorso anno. Un’indagine dei carabinieri ed alcune inchieste giornalistiche nel distretto tessile che sorge alle falde dell’Etna hanno mostrato le condizioni in cui operano le piccole aziende che lavorano in conto terzi per le grandi firme - italiane ed internazionali - del tessile. Lavoro nero, talvolta lavoro minorile, minacce e attività antisindacali, negazione dei diritti, licenziamenti ingiustificati. Violazioni rivolte soprattutto contro le donne.
    Ecco il racconto di un sindacalista di Bronte: "Bisogna tenere conto che stiamo parlando di sei-settecento ragazze, e generalmente sono figlie di braccianti o di muratori: l’agricoltura è in crisi, l’edilizia è bloccata da anni e i muratori hanno avuto una fase di estrema precarietà e di difficoltà. E’ evidente che se non si convince la figlia che vuole dire al padre o alla madre di aver subito pressioni dall’azienda, la figlia perde le 800mila lire con cui campa la famiglia.E il padre non va dal sindacato a dire: ‘hanno minacciato mia figlia. Anzi, minacciano la figlia se fa iniziative di questo tipo. Sono purtroppo situazioni ordinarie di tutte le zone di sottosviluppo".
    Quasi sempre le grandi imprese possono stare con la coscienza a posto e salvarsi la faccia. Con i codici di autoregolamentazione e le ispezioni periodiche. Con gli spot progressisti. Ma non dimentichiamo che un capo d’abbigliamento prodotto da una multinazionale, prima di essere completato, è stato spostato da un punto all’altro dell’Italia (e talvolta del mondo), e che ogni fase della lavorazione può essere subappaltata ad aziende sempre più piccole ed affidato al lavoro a domicilio.
    Chi può dire cosa succede in ognuna di queste fasi ? Come controllare il sistema delle commesse ? Per rispettare gli accordi tra piccole ditte e multinazionali scatta una corsa contro il tempo: lo spauracchio è il ritiro della commessa, per evitarlo nulla viene risparmiato. Lo sfruttamento è la regola.
    Non è certo un caso che Benetton - così come le altre - subappalti nei luoghi della povertà, dove non ci sono alternative e dove il ricatto può essere esercitato. Dove ogni condizione viene accettata.
    Nel giugno del 1994, la stampa riportò la notizia secondo cui a Troyes, in Francia, era stato scoperto un laboratorio clandestino che produceva indumenti per Benetton impiegando un centinaio di immigrati vietnamiti entrati illegalmente.
    Nello stesso periodo, il segretario della Cgil Bruno Trentin attaccava duramente "i signori in guanti bianchi come Benetton, Ellesse, la Fila, vale a dire i responsabili morali di quanto avviene negli stabilimenti dei fornitori". Trentin si riferiva alla jeanseria "Manuero 2000" di Nereto, in Val Vibrano, al confine tra Marche e Abruzzo. Qui tre operaie (Miriam Pintos, Antonella Reginella, Alexandra Palestro) erano state licenziate dal padrone, Mario Casimirri, dopo aver preso la tessera del sindacato. In più, il licenziamento aveva provocato il plauso delle colleghe della fabbrica, rese solidali col padrone dal ricatto del lavoro, e una serie di fax di appoggio giunti a Casimirri da altri imprenditori.
    L’immagine progressista di Benetton è ulteriormente messa in crisi da un’altra denuncia dei sindacati, secondo cui nello stabilimento della Carolina del Nord il gruppo veneto avrebbe speso somme notevoli per evitare la sindacalizzazione.


    L'impero Benetton

    Partita con un piccolo maglificio, la famiglia Benetton e andata via via ingrandendosi fino a diventare padrone di un vasto impero economico che comprende attività tessili e calzaturiere (35%), distribuzione (30%), ristorazione (20%), equipaggiamento sportivo (15%).
    A capo dell'intero impero si trova una società finanziaria denominata Edizione Holding da cui dipendono altre società finanziarie capofila dei singoli settori. Fra le proprieta' di Benetton compaiono Autogrill, Spizzico, GS, Euromercato oltre a varie imprese dell'abbigliamento e delle calzature.
    La famiglia possiede anche un imponente patrimonio immobiliare nelle principali città italiane, europee e americane, compresi alcuni edifici storici di notevole valore. In Patagonia (Argentina), tramite la Compania de Tierras Sud Argentino SA, possiede tenute per 900 mila ettari, con allevamenti di circa 280 mila ovini, che coprono parte del fabbisogno di lana del gruppo.
    Il gruppo nel suo complesso fattura circa 8 mila miliardi ed ha circa 26 mila dipendenti, compresi gli addetti della grande distribuzione. Le imprese dedite alle attività tessili, assieme ad altre dedite alla produzione di scarpe e di equipaggiamento sportivo, formano un sottoinsieme dell'impero Benetton megiio noto come Beneeton Group. Quest'ultimo ha un fatturato annuo di circa 4.000 miliardi e impiega circa 8.000 dipendenti. Oltre che con Benetton, l'impresa opera con i marchi: Sisley, Zero dodici, Nordica, Prince 5, Zerotondo, Undercolors, Colors of Benetton, Rollerblade, Killer Loop.


    Fiat. Sfruttamento interno e da esportazione
    Solo l’immenso servilismo della stampa italiana riesce a spacciare la multinazionale della famiglia Agnelli come orgoglio nazionale. I crimini della Fiat sono ormai racchiusi in numerosi libri, e qui è possibile farne solo una sintesi.
    Cominciamo dallo stabilimento di Belo Horizonte, installato nel 1976 e perfettamente funzionante a partire dall’’84, quando una grande epurazione a seguito di un lungo sciopero sostituisce il 70 % degli operai ed installa una rigida sorveglianza antisindacale.
    In questo settore Fiat ha un’esperienza collaudatissima, avendo praticato in Italia attività di tutti i tipi contro le organizzazioni dei lavoratori, dalle schedature degli attivisti fino alla promozione di sindacati padronali, senza dimenticare più in generale le attività volte a contrastare il "pericolo rosso".
    Pochi ricordano il ruolo di Fiat nella strategia della tensione, con la promozione diretta di attività anticomuniste "non ortodosse" tramite Luigi Cavallo, sodale di Edagardo Sogno, infiltrato di professione e promotore del golpe bianco che aveva il compito di tenere il Pci in "sindrome cilena" e ridimensionarne le pretese.
    Fiat, naturalmente, è perfettamente all’interno del sistema della globalizzazione. I salari pagati dalla Fiat brasiliana sono appetibili se si considera la povertà media della regione, ma rappresentano il 10 % del prezzo finale di un veicolo. La gestione della fabbrica è un misto di post-modernità ed arcaismo, secondo meccanismi tipici delle multinazionali occidentali nelle aree del Sud: paternalismo (l’azienda come famiglia), il ricatto di "andare da un’altra parte" e lasciare la regione alla fame se ci si ribella al "privilegio di essere sfruttati" dalla multinazionale.
    A questo si aggiunge una sorta di totalitarismo tipico dell’azienda di Torino, che pretende una adesione che va oltre il rapporto professionale. Nelle fabbriche i dipendenti portano distintivi del tipo "Da più di dieci anni in azienda" e seguono i programmi noti come "Qualità totale", che prevedono una integrazione completa del lavoratore nel meccanismo aziendale. In questo quadro, ovviamente, le rivendicazioni sindacali sono semplici ostacoli alla perfezione della "macchina Fiat".
    Nel complesso, i dipendenti della Fiat in Brasile sono circa 25 mila. Nello stabilimento di Betim, i salari pagati agli operai sono inferiori del 40 % rispetto a quelli assegnati da altre multinazionali dello stesso settore (Volkswagen, Gm, Ford).
    Altra specialità della Fiat è la violazione delle leggi. Nell’aprile del 1997 Cesare Romiti (presidente Fiat) e Francesco Paolo Mattioli (direttore dell’area finanziaria) vengono condannati in primo grado per falso in bilancio. Subito dopo la condanna, una quarantina di imprenditori (tra cui Zoppas, Cuccia e Mondadori) firmano una lettera di solidarietà ai dirigenti Fiat condannati.
    Negli stessi giorni si organizza una manifestazione di solidarietà dei quadri Fiat ("caldamente invitati" a partecipare), nei locali di Mirafiori. Da ricordare l’inchiesta - ancora per falso in bilancio - per la fusione nota come "super-Gemina".
    Dalle indagini condotte, è emersa una vera e propria contabilità parallela del gruppo Fiat: si parla di 112 miliardi fatti sparire nei paradisi fiscali solo nel 1991. I soldi sottratti al fisco italiano servivano a creare fondi neri con varie funzioni: pagare tangenti, coprire buchi in bilancio, elargire compensi in nero esentasse.
    Ogni volta che gli uomini della Fiat hanno dovuto difendersi dall’accusa di aver elargito mazzette, hanno risposto così: 1. Era un sistema generalizzato che ci è stato imposto dai politici. 2. Noi (i vertici) eravamo all’oscuro di tutto.
    La seconda ipotesi non è neanche da prendere in considerazione. La prima è piuttosto curiosa, se si pensa che il gruppo Fiat negli ultimi decenni ha imposto al Paese l’intero modello di trasporti (su gomma anziché su rotaia), ha deciso di ministri e di governi, ha goduto di una extraterritorialità de facto che gli ha permesso di schedare e controllare i suoi lavoratori, creando un vero e proprio servizio segreto privato.
    Il 19 aprile 1993, un gruppo di manager Fiat si riunisce a Vaduz, in Liechtenstein: esamina le carte del conto Sacisa, utilizzato per le tangenti e sceglie quali carte vorrà consegnare ai magistrati milanesi, in modo da "farli contenti e chiudere il conto con la Procura". Il resto dei documenti finisce in un falò. L’episodio è stato raccontato al Pm Di Pietro da Antonio Mosconi, manager Fiat ‘pentito’, secondo il quale l’intera operazione fu ordinata da Romiti.
    Qualche giorno più tardi, il 23 aprile, il "Corriere della Sera" pubblica una lettera intitolata "Aiutiamoli questi giudici che stanno cambiando l’Italia". Firmato: Cesare Romiti.
    Durante gli interrogatori, i manager Fiat hanno deciso di ammettere l’evidenza, preoccupandosi poi di giustificarla in vari modi (stato di necessità, etc.). Per cui è possibile avere un quadro (parziale) del sistema di corruzione che aveva come epicentro la Fiat: sono state pagate tangenti per vincere almeno una trentina di appalti (dal restauro della Reggia di Caserta ai lavori per l’alta velocità ferroviaria); sono almeno 17 le imprese del gruppo che hanno pagato, dall’Iveco alla Cogefar Impresit, dall’Intermetro alla Fiat Avio.
    Altra attività del gruppo sono le truffe e gli appalti truccati. La Fiat ha venduto per 121 miliardi un palazzo milanese del valore reale di 38. L’affare è stato possibile grazie alla complicità dell’assessorato milanese all’edilizia privata: in questo modo la Fivi, società del gruppo Fiat, ha potuto incassare i miliardi della Telecom, l’ente pubblico che ha acquistato il palazzo.
    Nel marzo del '96 Torino ha ospitato la conferenza dei capi di Stato e dei ministri degli Esteri dell'Unione europea: la famiglia Agnelli ci ha offerto un bell’esempio di ‘familismo amorale subalpino: il vertice si è infatti tenuto nell'edificio del Lingotto, affittato alla Fiat per una quindicina di miliardi. Susanna Agnelli (ministra degli Esteri) ha consegnato la cifra al fratello Gianni Agnelli (proprietario Fiat).
    Per concludere occorre ricordare che la Fiat ha goduto di una imponente mole di finanziamenti pubblici: il caso più evidente è stato quello della fabbrica di Melfi, avviata parzialmente a spese delle collettività.
    Per ciò che riguarda i rapporti con l’indotto, è da segnalare che la Fiat paga i fornitori dopo 120 giorni e offre alla piccole e medie imprese sue fornitrici che si trovano in difficoltà di cassa la possibilità di scontargli le medesime fatture anticipandogli il pagamento dovuto, con alti tassi di interesse. Se non di vera e propria usura, si può certamente parlare di una singolare procedura...
    Infine, la Fiat è il primo produttore italiano privato di armamenti, controllando o avendo controllato ditte come Snia Bpd, Iveco e la famigerata Valsella produttrice di mine antiuomo.

    Parmalat. Cosa c’è dietro il latte
    Saranno di certo pochi quelli che, bevendo una tazza di latte, immaginano storie di sfruttamento e prevaricazione tra il Nord e il Sud del Mondo. Ma è proprio dietro i prodotti di uso comune che portano il marchio di notissime multinazionali che sta il cuore della "questione Terzo Mondo".
    Il mercato mondiale del latte è dominato dagli oligopolisti. Uno di questi è Parmalat, che nel 1961 era una piccola azienda di Collecchio ed oggi si confronta con Nestlè e Unilever, fattura 8mila miliardi ed è presente in 25 paesi di quattro continenti.
    La presenza di maggior rilievo è quella sudamericana, in particolare in Brasile. Qui Parmalat e Nestlè si dividono il mercato applicando la stessa strategia: acquisizione delle medie aziende nazionali ed imposizione dei prezzi alle piccole cooperative di produttori locali.
    La produzione di latte in Sudamerica avviene in genere attraverso grandi latifondisti oppure piccoli allevatori, che vendono - a prezzi irrisori - i loro prodotti a centrali del latte di medie dimensioni, legate al governo o alle multinazionali.
    Qui siamo nel regno del "Mercosur", il ‘libero mercato latinoamericano che non conosce le quote latte ed ogni forma di regolamentazione. Qui vale la legge del più forte, chi ricorre ad ogni scorrettezza per cancellare la resistenza dei piccoli produttori: un esempio per tutti è la pratica - di cui Parmalat è specialista - di vendita sottocosto delle eccedenze europee di latte, importate appositamente in Brasile. Mentre i prezzi europei sono sovvenzionati con denaro pubblico, i prezzi brasiliani crollano, e i produttori locali sono ridotti alla rovina e costretti a svendere alle multinazionali oppure ad accettare le loro condizioni.
    Abbiamo così uno dei peggiori paradossi del nostro tempo. I produttori europei gettano nelle strade le eccedenze di latte durante le manifestazioni di protesta contro le quote europee, e truccano i conti per non pagare le multe, mentre i loro colleghi latinoamericani sono costretti a svendere sottocosto e non riescono a sfamare le loro famiglie.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

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    SERGE LATOUCHE

    NORD E SUD : IL COSTO
    DELLA GLOBALIZZAZIONE

    La mondializzazione, o globalizzazione, come dicono gli anglosassoni, è un concetto alla moda, imposto dalle recenti evoluzioni. Fa parte. dello spirito dei tempo. In pochi anni, se non in pochi mesi, tutti i problemi sono divenuti globali: la finanza e gli scambi economici anzitutto, ma anche l'ambiente, la tecnica, la comunicazione, la pubblicità, la cultura e persino la politica. Soprattutto negli Stati Uniti, l'aggettivo globale è stato all'improvviso affibbiato a tutti questi settori.
    Si parla di inquinamenti globali, della televisione globale, della globalizzazione dello spazio politico, della società civile globale, dei governo globale dei tecnoglobalismo, ecc.
    Non c'è dubbio che il fenomeno nascosto dietro tali parole non è cosi nuovo come si vuol far credere. Alcune voci profetiche, come quello di Marshall Me Luban, annunciavano già da diversi decenni l'avvento di un "villaggio planetario" (global village). Alcuni specialisti hanno parlato di occidentalizzazione, di uniformazione o di modernizzazione dei mondo e gli storici ne hanno scoperto tutti i sintomi dentro evoluzioni di lunga durata. Ma che cosa di nuovo ?
    La mondializzazione, sotto l'apparenza di una constatazione neutra del fenomeno, è anche, invece, uno slogan che incita e orienta ad agire in vista di una trasformazione considerata come auspicabile per tutti. Il termine, che non è affatto 'innocente', lascia anzi intendere che ci si trova di fronte ad un processo anonimo e universale benefico per l'umanità e non invece che si è trascinati in una impresa, auspicata da certe persone, per i loro interessi, impresa che presenta rischi enormi e pericoli considerevoli per tutti, particolarmente per i popoli dei Sud dei mondo.
    Come il capitale al quale è intimamente legata, la mondializzazione è in realtà un rapporto sociale di dominio e di sfruttamento nella scala planetaria.
    Dietro l'anonimato del processo, ci sono dei beneficiari e delle vittime, i padroni e gli Schiavi.
    I principali rappresentanti della megamacchina senza volto si chiamano G7, Club do Paris, complesso FMI/Banca Mondiale/OMC(W.T.0), I'OCSE, la Camera di Commercio Internazionale, forum di Davos, ma vi sono anche delle istituzioni meno note, dalle sigle esoteriche, ma di enorme influenza il Comitato di Bali per la supervisione' 'bancaria e l'IOSCO (International Organisation of Securities Commissions), che è l'organizzazione internazionale delle Commissioni nazionali emettitrici di titoli. obbligatori, l'ISMA (International Securitìes Market Association), che ha un noto equivalente per i titoli obbligatori, l'ISO (Industriai Standard Organisation), che ha l'incarico di definire 'gli standard industriali.
    Infine, non si possono trascurare le grandi imprese, i grandi uffici di consulenza, i grandi studi legali e le fondazioni private. Società come Price e Watherhouse, Peat Marwick, Ernst e Yung o Arthur Andersen sono protagoniste essenziali della mondializzazione, anche se a prima vista il loro ruolo, come la certificazione della contabilità delle imprese, può apparire puramente tecnico, del tutto evidente che, lasciando credere che il fenomeno, buono o cattivo, sia incontrastabile, ci si rende complici del fatto che accada.
    Una volta compreso quello che si nasconde dietro la s u a manifestazione, non vi è alcun motivo di ritenere che il fenomeno sia irresistibile e inarginabile.
    .La mondializzazione non è positiva per tutto il mondo ed è pienamente possibile concepire un altro destino. Bisogna dunque tentare di vedere i pericoli del mercato mondiale specialmente per i paesi del Sud dei Mondo, analizzare la trappola del debito e finalmente, come far fronte a questi pericoli.

    Le conseguenze negative per il Sud dell'economicizzazione del mondo
    Sin dall'origine, il funzionamento del mercato è sovranazionale se non addirittura mondiale. Il trionfo recente del mercato non è altro che il trionfo dei tout marché (tutto è mercato). Si tratta dell'ultima metamorfosi di una lunghissima storia mondiale.
    La prima mondializzazione porta la data della conquista dell'America, quando l'occidente prese coscienza della rotondità della terra per scoprirla e imporre le proprie conquiste. Quando, secondo la formula di Paul Valery, "comincia il tempo dei mondo finito". Questa prima mondializzazione è stata forse più determinante delle successive. Con la conquista europea delle Americhe, sono stati accelerati gli scambi di piante, di animali, ma anche di malattie. Una seconda mondializzazione risalirebbe alla Conferenza di Berlino e alla spartizione dell'Africa fra il 1885 ed il 1887.
    Una terza sarebbe cominciata con la decolonizzazione e l'era degli "sviluppi".
    La globalizzazione, proprio Perché è anzitutto globalizzazione dei mercati, allarga il campo della competitività e la intensifica fino al parossismo. In conseguenza, costringe le intrapresi ad una flessibilità più forte.
    Sotto l'egida delle istituzioni di Bretton Woods, il mercato mondiale sta distruggendo il pianeta. Si tratta di una banale constatazione, confermata in modo multiforme dallo spettacolo quotidiano i comportamenti delle multinazionali,, le delocalizzazioni massicce (di impieghi, attività, eccetera), il genocidio degli indigeni dell'Amazzonia, la distruzione delle identità culturali e i conflitti etnici ricorrenti la collusione tra i narcotrafficanti e i poteri pubblici in quasi tutti i paesi, l'eliminazione programmata dagli organismi nazionali e internazionali (il FMI, la Banca mondiale o quella dei regolamenti internazionali) degli ultimi freni alla flessibilità dei salari, lo smantellamento dei sistemi di protezione sociale nei paesi del Nord, la scomparsa delle foreste, la desertificazione, l'agonia degli oceani e cosi via. Dietro tutti questi fenomeni. direttamente o indirettamente, si ritrova la mano invisibile del mercato mondiale. Tuttavia, con la mondializzazione dell'economia, la concorrenza della miseria dei Sud si ritorce contro il Nord e sta a sua volta per distruggerlo. Parti consistenti del tessuto industriale sono già lacerate ; certe economie, certe regioni sono veramente devastate, e non è ancora finita.
    Mentre si continua a distruggere l'agricoltura alimentare e l'allevamento nei paesi africani, esportandovi a basso prezzo l'eccedenza dei nostri prodotti agricoli (peraltro sovvenzionati), i pescatori, o comunque le zone costiere di quegli stessi paesi, rovinano la nostra pesca, esportando a loro volta de pesce miserabile.
    Di conseguenza, vengono dilapidati i modi di vita e i patrimoni sociali, che si sono costituiti attraverso l'accumulazione di saperi tradizionali e di relazioni e si spezzano gli equilibri ecologici. L'attuale mondializzazione sta completando l'opera di distruzione dell'Oikos planetario. Non fosse altro perché la concorrenza esacerbata spinge i paesi del Nord a manipolare, la natura senza nessun controllo, e quelli del Sud ad esaurire le risorse non rinnovabili. In agricoltura, l'uso intensivo di concimi chimici e pesticidi, nonché l'irrigazione sistematica e il ricorso a organismi geneticamente modificati, hanno avuto come conseguenza la distruzione dei suoli, l'esaurimento o l'inquinamento delle falde. freatiche, la desertificazione, la diffusione di parassiti, il rischio di epidemie catastrofiche....
    I misfatti del Liberismo economico sul Terzo mondo non sono certo nuovi né sconosciuti. Risalgono all'epoca in cui gli occidentali si sono arrogati il diritto di aprire a cannonate la via libero commercio. Dalle guerre dell'oppio all'ammiraglio Perry, passando per l'eliminazione dei tessitori indiani, l'analisi delle disastrose conseguenze per i paesi deboli della divisione del lavoro non resta certo da fare. I processi attuali, stimolati dal Fondo monetario internazionale e dai piani di aggiustamento strutturale, i comportamenti della Banca mondiale e dell'Organizzazione mondiale del commercio sono una nuova versione della medesima tendenza. L'importazione massiccia di riso in Senegal, a scapito della risicoltura locale, e più generale in Africa, i tentativi di smantellamento dell'uso collettivo della terra, poiché non consentono i prestiti ipotecari e la modernizzazione dell'agricoltura, fanno parte di questo schieramento di mezzi par garantire all'Africa una morte sicura.
    Meriterebbe riflettere bene su due casi, quello del cacao e quello delle banane, per comprendere gli effetti della globalizzazione, nel Sud. Quando il prezzo mondiale del cacao era al suo minimo, negli anni '80, e le economie dei Ghana e della Costa d'Avorio erano perciò immerse in una crisi drammatica, gli esperti della Banca mondiale non trovarono niente di meglio che incoraggiare e finanziare la piantagione di migliaia di ettari di alberi di cacao in Indonesia, Malaysia e Filippine. Se ne poteva ancora trarre profitto, speculando sulla miseria dei lavoratori di questi paesi, e a detrimento della natura.
    Per coronare l'opera, gli europei, a Bruxelles, allineandosi sulla sola Inghilterra, hanno capitolato davanti alla 'lobby' del cioccolato. Definendo il cioccolato come un prodotto che può contenere fino a 15% di grassi vegetali (e ciò senza verifica possibile) oltre che burro di cacao,, hanno fatto perdere alla Costa d'avorio e al Chana alcuni miliardi. Bisogna scandalizzarsi se alcuni piantatori hanno tolto le piante per rimpiazzarle con l'hashish?
    Il caso delle banane è legato allo stabex, il meccanismo di garanzia di introiti da esportazione, concesso dai paesi del mercato comune ai paesi A. C. P. (Africa, Caraibi, Pacifico). Quel sistema messo in piedi dalle convenzioni di Lome (da 1 a 5) era stato salutato come l'inizio di un nuovo ordine economico internazionale. Il prezzo della banana acquistata in Guadalupa, in Martinica, nelle Canarie o nell'Africa nera permette' ai produttori locali di sopravvivere (in situazioni diversissime, ovviamente ... ). Senza essere nulli, i risultati sono stati modesti, con un certo numero di effetti perversi. Ad ogni modo, era ancora troppo. Spinti dalle multinazionali nordamericane, come la Chiquita Brands (ex United Fruit) e, la Castel e Cooke, che controllano la gran parte della produzione e della distribuzione delle repubbliche. delle banane e delle piantagioni della Colombia, i paesi dell'America Centrale hanno trascinato l'Europa davanti ai panels del GATT, poi dell' W.T.O, e denunciato le barriere et gli ostacoli at libero gioco del mercato. Vogliono ad ogni costo aumentare la loro quota di mercato grazie ai bassissimi salari dei contadini, centinaia dei quali sono morti in seguito al, folle uso di pesticidi (contro i nematodi). Il W. T. 0. ha dato loro ragione. 'State conducendo' la peggiore delle guerre economiche contro un popolo senza difesa. Importate le nostre banane e, ci lasciate nella miseria, nei conflitti e nella sofferenza", ha dichiarato il presidente dei piantatori di banane della piccola isola di Santa Lucia, commentando il verdetto e condannando la campagna politicamente scorretta dell'amministrazione Clinton. Evidentemente, i Tedeschi,, grandi consumatori, per nulla intenzionati a pagare le loro banane ad un prezzo un po' più alto di quelle della Colombi a,' non sono stati degli alleati a prova di bomba in quest'affare. A Jacques Chirac che rimproverava quel tradimento all'amico Kohl, e denunciava le conseguenze della produzione 'ancora peggiori della schiavitù' sulle piantagioni americane, il cancelliere tedesco ha risposto : 'La morale è una cosa, gli affari un'altra'.
    Con la deregulation in tutti i paesi dei mondo, con lo smantellamento delle regolamentazioni nazionali, non vi è più alcun limite alla riduzione dei costi e al circolo vizioso suicida. È un vero e proprio gioco al massacro tra individui e tra popoli, a spese della natura.
    Infine, l'attuale mercificazione totale non risparmia l'Africa. Qui essa assume la forma particolare della 'zairizzazione', vale a dire della mercificazione e la privatizzazione integrale della vita politica. I rapporti sociali, il notabilato e l'accesso al potere sono inglobati ad ogni livello nella sfera mercantile. Il mercato colonizza lo Stato, molto di più di quanto non avvenga il contrario. L'esito di questo processo è ciò che Jean-Frangois Bayard chiama 'via somala allo sviluppo', fondata sul traffico di droga, criminalità di Stato, stoccaggio di rifiuti tossici industriali, e cosi via.

    La trappola del debito e lo strangolamento dell'Africa
    E' in questo contesto dei rapporti "imperialisti" di dominazione Nord-Sud che occorre collocare, il problema del debito. Il debito non è che uno degli elementi dell'insieme che contribuisce al soffocamento dell'Africa. 'C'è una vera ipocrisia nel protendere di favorire lo sviluppo dei paesi poveri e nel medesimo tempo saccheggiarli senza vergogna dice André Franqueville. Aggiunge: 'Le due facce del saccheggio attuale del Sud da parte dei paesi ricchi sono conosciute da una parte, un rimborso esatto senza pietà di un debito esterno in realtà inestinguibile perché aumenta in proporzione alla restituzione, grazie a un ingranaggio finanziario davvero machiavellico, d'altra parte, un saccheggio delle risorse naturali, materie prime, minerali e energetiche, produzioni agricole (e in conseguenza rovina' dei suoli) per obbligare a questa restituzione. Inoltre, questo saccheggio si trova rinforzato dalla svalutazione dei "rezzi di queste materie prime, saggiamente organizzata sul mercato internazionale e dichiarata ineluttabile, e sottomessa all'ingiunzione neoliberista di esportare sempre di più purché nuovi prestiti siano accordati. Dalle conquiste coloniali il saccheggio continua ; la sua ultima forma è quella dell'accaparramento delle risorse genetiche di questi paesi grazie al deposito di brevetti usurpati, come quello dei nordamericani sulla quinoa in Bolivia'1. Non verranno qui sviluppati commenti sul modo in cui la trappola del debito s'è innescata, tra riciclaggio di petroldollari da parte delle banche dopo il 1974 ed innalzamento congiunturale dei tassi d'interesse per finanziare il debito americano. I miti dello sviluppo basato sul credito diffusi dal Nord, spesso in perfetta buona fede, e le illusioni dello scambio indebitamento-crescita nutrite al Sud sono stati nel medesimo tempo alibi e prove del dramma. Così, come dicono Fottorino, Guiliemin e Orsenna: "L'Africa è, un cimitero di elefanti bianchi (... ). A differenza dei v e r pachidermi, ahimè non sono però in via di estinzione. Si tratta di costruzioni sontuose, inutili, costose, che in più hanno la facoltà di aggravare il debito dei paesi africani, di non funzionare, di trasformarsi nel giro di pochi anni in rovine, in ruggine o in fantasmi. Dighe, cementifici, alberghi nel deserto, zuccherifici, centrali elettriche' i branchi degli elefanti bianchi calpestano l'Africa, spremono la finanza pubblica, arricchiscono le imprese occidentali con la compiacenza, se non con l'incoraggiamento, delle organizzazioni internazionali,2. La perversione intrinseca dell'anatocísmo3 (interessi composti) strangola il debitore dal momento che questo utilizza il denaro per finanziare spese improduttive (armamenti o consumi) oppure fa cattivi affari. Ricordiamo che un soldo prestato al 3% all'epoca di Carlo Magno renderebbe oggi pianeti d'oro. In un racconto di fantascienza intitolato 'interesse composto' si immagina un eroe, che viaggia nel passato, proprio al fine di investire qualche spicciolo i cui interessi gli serviranno a costruire la sua macchina per risalire il tempo4. Questa situazione potrebbe valere fino ad un corto punto per i fondi pensione, non certo per l'Africa ! Certamente anche la crescita obbedisce in teoria alla medesima legge, in un secolo il PIL sarebbe moltiplicato per 867 al tasso del 10%! Ma ahimè i piani di aggiustamento strutturale imposti del FMI lasciano poche speranze di raggiungere stabilmente tassi simili ! Bisogna esportare sempre di più e far circolare le entrate da esportazione, il che però porta al risultato di far abbassare i corsi (svalutazione). Come per Sisifo, bisogna risalire una china senza fine ed il carico diventa sempre più pesante. Anche so le entrate da esportazione faticosamente ottenute fossero confiscate, i nuovi prestiti non arriverebbero a liquidare gli interessi maturati. Una volta attivato, lo strangolamento si rafforza, il debito nutre il debito. La terapia infernale delle istituzioni finanziarie internazionali dà il colpo di grazia al malato, pretendendo di guarirlo. L'antica rappresentazione dei vampirismo degli usurai viene così rinnovata. La morsa del, debito (per riprendere il titolo del libro di Aminata Traore) costituisce un eccellente mezzo per mantenere i paesi del Sud in stretta subordinazione.
    "Grazie alla morsa dei debito esterno e dell'abbassamento dei prezzi delle materie prime, scrive André Franquevìlle, una ricolonizzazione si è messa in atto sotto il giogo degli organismi finanziari internazionali di cui gli Stati Uniti sono il capo".
    E' stata proclamata con grande pubblicità la possibilità di annullare l'80% dei debito dei paesi poveri nel giugno 1996 nel corso del G7 di Lione, poi in quello di Colonia il sacrificio dei ricchi è salito fino al 90%. Tuttavia, dietro l'annuncio ad effetto, si nasconde una grande truffa.
    I dati sono impietosi e mettono in luce l'indecenza, o meglio l'oscenità della pretesa generosità. Tra il 1982 ed il 1998 i paesi dei Sud hanno rimborsato quattro volte l'ammontare del loro debito. Tuttavia questo era quattro volte più elevato che nel 1982 ed arrivava a' 1950 miliardi di dollari! Il Terzo mondo rimborsa ogni anno più di 200 miliardi di dollari, quando gli aiuti pubblici allo sviluppo (compresi prestiti rimborsabili) non oltrepassano i 45 miliardi di dollari l'anno. L'Africa subsahariana, dal canto suo, spende per rimborsare il suo debito quattro volte di più di quanto spenda per la salute e per l'istruzione. Le misure d'annullamento rasentano l'effetto della peggior vaselina. Occorre, in effetti, distinguere tre tipi di debito : quello verso la Banca Mondiale ed il FMI, che non è negoziabile, ma che per i paesi africani rappresenta dal 30 al 75% dell'indebitamento ; quello verso le istituzioni private che non è proprio questione d'annullare e che rappresenta più del 50% dell'indebitamento dei paesi latino-americani ed asiatici e quello infine tra Stato e Stato che è il solo per il quale è pensabile l'annullamento. Questo, per i paesi più poveri e più indebitati, deve essere negoziato caso per caso con il Club di Parigi. In tal modo un paese dell'Africa nera che deve, per esempio, quattro miliardi di dollari, di cui due a Banca Mondiale-FMI ed uno a banche private, può sperare nell'annullamento dell'80-90% del restante miliardo dovuto al Club di Parigi. Tuttavia un artificio tecnico riduce ancor di più questo ultimo ammontare. Se ha già avuto luogo, com'è probabile, un riscaglionamento del debito (per esempio su 600 milioni), l'annullamento non riguarderà che la parte non scaglionata, al massimo relativa a 360milioni, ovvero al 9% dei totale del debito. 9 così che, fino ad oggi, l'ammontare annullato rappresenta 25 miliardi di dollari, ossia meno del 2% del totale6 ! Siamo ben lontani dall'iniziativa Jubilée 2000 che riguarderebbe circa 300 miliardi e che è ben al di qua dell'ampiezza del problema. Anche se tutti i debiti fossero davvero annullati, tutti i 'meccanismi' che hanno generato questa situazione perversa resterebbero al loro posto. La partita ricomincerebbe ancora più dura. Non è l'indebitamento che crea la povertà, ma è vero il contrario. A dispetto. di quello che ci fanno credere, rifiutare il debito, come ho sempre sostenuto, non avrebbe probabilmente grossi effetti pregiudizievoli sul piano economico per i paesi interessati, anzi il contrario. L' irrealismo della proposta è altrove. Per i paesi dell'Africa, in ogni caso, sarebbe semplicemente suicida : la loro indipendenza è infatti totalmente fittizia. Se il Cile di Allende, per aver toccato gli interessi americani, è stato vittima di un colpo di stato fomentato dalla CIA e dall'ATT, si consideri che tutti i regimi dell'Africa, infinitamente più fragili, sono sotto stretta sorveglianza. Essi debbono 'filare a bacchetta'. Dal momento che la resistenza è, votata alla sconfitta, non resta loro che la dissidenza.

    Far fronte : le lezioni dell'altra Africa (come laboratorio del doposviluppo)
    L'economia mondiale, con l'aiuto delle istituzioni di Bretton Woods, ha escluso dalle campagne di milioni e milioni di persone, ha distrutto il loro modo di vita tradizionale, soppresso i loro mezzi di sussistenza, per gettarli e ammucchiarli nelle 'bidonville' nelle periferie dei Terzo Mondo. Sono questi i "naufraghi dello sviluppo". Condannati, nella logica dominante, a scomparire, non hanno altra scelta per sopravvivere che organizzarsi secondo un'altra logica. Devono inventare, e certi lo fanno davvero, un altro sistema, un'altra vita.
    Vedere l'altra Africa come uno laboratorio del doposviluppo significa vedere l'informale in positivo, vederlo positivamente, di per se stesso per quanto possibile, cioè in funzione delle sue proprie norme, e non commisurato al paradigma dello sviluppo. Si tratta di vedere con occhio diverso il modo stupefacente in cui sopravvivono gli esclusi dal mondo ufficiale. Nell'informale che ci- interessa, non si è in una economia, sia pure altra, si è in un'altra società. L'economico non vi è autonomizzato in quanto tale. Esso è dissolto, incorporato (embedded) nel sociale, in particolare nelle reti complesse che strutturano le città popolari dell'Africa. Per questo il termine di società vernacolare è più appropriato per parlare di questa realtà di quello di economia informale.
    Tuttavia la società vernacolare non è sicuramente un paradiso ritrovato. Prima di tutto, si tratta dei modi in cui i naufraghi dello sviluppo producono e riproducono la loro vita, al di fuori dei campo ufficiale, mediante strategie relazionali. Questo strategie incorporano ogni sorta di attività economiche, ma tali attività non sono (o sono poco) professionalizzate. Gli espedienti, il bricolage, la capacità di arrangiarsi di ciascuno s'iscrivono in delle reti. I 'collegati' (reliés) formano dei 'grappoli' (grappes). In fondo, queste strategie fondate su un gioco sottile di 'cassetti' (tiroirs) sociali ed economici sono paragonabili alle strategie familiari, che sono nella maggior parte dei casi le strategie delle massaie, ma trasposte in una società in cui i membri della famiglia allargata si contano a centinaia.
    Cosi la società vernacolare (o l'oikonomia neo clanica come la chiamo nel libro) è a prima vista soprattutto femminile, fondata sulla pluriattívità, sul non professionalismo e sulle strategie relazionali.
    Gli esclusi della grande società realizzano il miracolo della loro sopravvivenza reinventando il legame sociale e facendo funzionare tale legame sociale. Esclusi dalle forme canoniche della modernità, dalla cittadinanza dello Stato-nazione e dalla partecipazione al mercato nazionale, essi vivono, in effetti, grazie alle reti di solidarietà neoclaniche.
    Al di là della pluriattività e della non professionalizzazione, quel che colpisce l'osservatore attento, ai "grappoli" di "collegati" della società vernacolare 'è l'importanza del tempo, della energia e delle risorse destinate ai rapporti sociali. Se si dispiega una attività intensa, sarebbe abusivo nella maggior parte dei casi parlare di vero lavoro. Gli incontri, le visite, i ricevimenti, le discussioni prendono molto tempo. Dare e prendere in prestito, donare, ricevere, aiutarsi reciprocamente, fare una ordinazione, consegnare, informarsi occupano gran parte della giornata, senza parlare del tempo dedicato alla festa, alla danza, al sogno o al gioco... "La festa, osserva Eric de Rosny, occupa un posto smisurato in proporzione ai mezzi finanziari della popolazione, tutti gli economisti lo dicono, ma essa, è appropriata ai suoi bisogni affettivì".
    Si sarà riconosciuta facilmente in questo funzionamento della società neoclanica una logica molto diversa della logica mercantile, quella del dono e dei rituali ablativi. Qui, come dovunque, il legame sociale funziona sulla base dello scambio : ma lo scambio, con o senza moneta, si basa più sul dono che sul mercato. Ci si trova di fronte al triplice obbligo di donare, ricevere e restituire cosi come lo analizza Marcel Mauss. La cosa centrale e fondamentale in questa logica del dono è il fatto che il legame sostituisce il bene.

    Conclusione
    La società vernacolare, ma anche in Europa le banche del tempo, i lets (local exchange trade system), i SEL (systèmes d'échange locaux) sono forme di dissenso dalla norma, questi ultimi più coscienti, ma anche più fragili della società vernacolare. Sono anche forme di resistenza alla mondializzazione, dell'economia e all'economicizzazione dei mondo. Sono tutti dei laboratori del futuro, laboratori del dopo sviluppo. Nel caso dei SEL, si tratta invece piuttosto di una risposta locale a una sfida globale. Come dicono i fondatori del Sel dell'Ariege: "In qualche modo, noi rispondiamo a problemi mondiali con una soluzione locale". Un SEL stimola la produzione locale e risponde a bisogni locali. Permette di rivitalizzare la società locale senza apporto di capitali esterni. Aiuta a prendere coscienza dei problemi locali, a cercare soluzioni pratiche, concrete e realistiche. Riduce le importazioni, gli sprechi e l'inquinamento conseguente ai trasporti. Senza chiasso e senza dichiarazioni, gli 'informali' dell'altra Africa non fanno nulla di diverso. C'è una lezione dell'esperienza africana della società vernacolare che può servire anche per tutti coloro che sono impegnati in imprese alternative. La nostra riflessione 'conduce alla realizzazione di una coerenza globale dell'insieme delle innovazioni alternative: cooperativo autogestite, comunità neo-rurali, LETS (Local Exchange Trade Systems) e SEL (Systèmes d'Ech.ange Locaux), autorganizzazione degli esclusi al Sud. Queste esperienze ci interessano soprattutto in quanto forme di resistenza e di dissidenza al processo di crescita e potenziamento dell'onnimercificazione dei mondo. Il pericolo della maggior parte delle iniziative alternative volontarie è, infatti, di rinchiudersi nella fortezza che ha permesso loro di nascere e svilupparsi invece di lavorare alla costruzione e al rafforzamento di una nicchia La 'fortezza' è un concetto della strategia militare di conquista e di aggressione, legata alla razionalità economica dominante. Ciò che può fare vivere l'impresa alternativa. è piuttosto la nicchia, un concetto ecologico molto più vicino all'antica prudenza (la phronesis di Aristotele) e a una concezione sociale dell'efficacia, estranea all'efficienza economica. L'impresa alternative o sopravvive in un contesto che è, e deve essere diverso dal mercato mondializzato. E' questo contesto dissidente che occorre definire, proteggere, mantenere, rinforzare e sviluppare per la resistenza. Invece di battersi disperatamente per conservare la propria fortezza all'interno del mercato mondiale, occorre militare per ingrandire e approfondire la nicchia a margine dell'economia globale. Riuscire a imporre i prodotti dei commercio equo- solidale, o dell'agricoltura biologica sugli scaffali dei supermercati, a fianco dei prodotti 'non equi o 'anti-biologici' non è un obiettivo in sé. Va inscritto più in una strategia di fortezza che nell'ottica del rafforzamento della nicchia. E' più importante assicurarsi del carattere equo della totalità del processo, dal trasporto alla commercializzazione, cosa che esclude in prima battuta il supermercato e allarga le tessuto organizzativo. L'estensione e l'approfondimento della rete di complicità, è il segreto della riuscita e devo essere la preoccupazione principale di queste imprese. I Consum-attori (consumatori e cittadini) non sono che un elemento di un insieme che dove essere articolato: SEL, produttori alternativi, neo-rurali, movimenti associativi impegnati su questa strada. È in questa coerenza che rappresenta la vera alternativa al sistema. Si tratta di coordinare la protesta sociale con la protesta ecologica, con la solidarietà verso gli esclusi del Nord e del Sud, tramite tutte le iniziative per articolare la resistenza e la dissidenza e per sfociare, in fine, in una società autonoma. Non si tratta di concepire la "nicchia" come un'oasi conviviale nel deserto umano del mercato mondiale, ma come un organismo in crescita che fa arretrare il deserto.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    SUSAN BRYCE

    E-Commerce, Grande Fratello
    e Ordine Globale delle corporations

    “Questa assemblea, nei prossimi anni, sarà vista come un punto di svolta. Le cose non saranno mai più le stesse.”
    – L’allora ambasciatore britannico all’ONU, Ivor Richardson, commentando la risoluzione delle Nazioni Unite per un Nuovo Ordine Economico Internazionale.



    Il Nuovo Ordine Economico Internazionale (NIEO) viene raramente menzionato in questi giorni e tuttavia esso è l’annunziatore della globalizzazione. Fu nel 1974 che la risoluzione delle Nazioni Unite sul NIEO e la concomitante Dichiarazione di Lima del 1975 sullo Sviluppo Industriale e la Cooperazione1, iniziarono la campagna per la riduzione delle tariffe, per la rimozione degli impedimenti al libero commercio e per l’introduzione del cosiddetto campo di gioco spianato. Mentore della risoluzione per il NIEO fu l’allora Segretario di Stato Usa Henry Kissinger. Nell’annunciare il cambiamento verso l’economia globale, Kissinger dichiarava: “Tutte le nazioni possono ora partecipare ad un comune sistema monetario mondiale.” Il processo della globalizzazione economica era iniziato.

    Le Nazioni Unite dichiararono che il NIEO avrebbe aiutato i poveri, che le sempre più indebitate nazioni del terzo mondo si sarebbero arricchite e che le disparità nel mondo sarebbero state eliminate. Si sarebbero conseguiti questi risultati trasferendo almeno il 25% dell’industrializzazione e dei processi manifatturieri del mondo dalle nazioni sviluppate ai paesi meno sviluppati entro l’anno 2000.

    Il trasferimento di ricchezza dalle nazioni ricche a quelle povere non è mai avvenuto. Ma quello che il NIEO ha ottenuto sono stati dei drammatici cambiamenti strutturali nell’economia mondiale nelle aree dei prodotti, delle risorse naturali, del commercio e della riforma monetaria. In linea con la dichiarazione di Lima, importanti processi manifatturieri e industriali furono trasferiti nelle nazioni del Terzo Mondo, dove le persone, l’ambiente e le risorse naturali potevano essere intensamente sfruttate dalle imprese multinazionali. Per le nazioni in via di sviluppo, il NIEO significò che i leaders del mercato mondiale come ad esempio la Nike sport shoes corporation o il gigante dei giocattoli, la Mattel, non avevano più bisogno di tenere fabbriche guidate in proprio. Essi assegnavano gli ordinativi a dei produttori sempre diversi, dall’Indonesia alla Polonia o al Messico – a qualsiasi paese in cui i costi erano bassi e la popolazione poteva essere assunta a salari da fame.

    Per le nazioni ricche, il NIEO è stato ugualmente disastroso. Milioni di persone hanno perso il loro lavoro. Con l’affermarsi della produzione a termine, le compagnie assumevano lavoratori in affitto – tornava il manovale a giornata! Molti lavoratori hanno avuto fortemente intaccati i loro redditi e sono stati costretti ad accettare salari più bassi e condizioni di lavoro misere. Sono aumentati il part-time e la forza lavoro avventizia. Piccole e medie imprese, incapaci di competere con il potere contrattuale delle multinazionali, sono state inghiottite. Le industrie primarie sono state deregolate e fatte fallire così le conglomerazioni dell’agrobusiness ne hanno assunto il controllo. I lavoratori salariati sono stati trasformati in risorse umane. Il settore pubblico è stato settorializzato e poi privatizzato.

    I reali beneficiari del NIEO sono state le compagnie multinazionali di punta, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e le Nazioni Unite. La globalizzazione economica, risultato finale del NIEO, ha fornito alle multinazionali l’accesso a nuovi mercati, risorse lavorative a basso costo e attrezzature produttive sovvenzionate. Il Fondo Monetario Internazionale, una compagnia privata di assicurazioni, ha usato la sua forza per costringere delle nazioni sovrane a implementare gli aggiustamenti strutturali necessari per garantire che stipendi e reali standard di vita fossero spinti in basso. Nel frattempo, la Banca Mondiale anticipava miliardi di dollari alle nazioni del Terzo Mondo per i progetti di sviluppo del NIEO2 , assicurando che i prestiti bancari alle nazioni pesantemente indebitate sarebbero stati riportati sui registi come attività. Le Nazioni Unite applaudirono. Ciò che le Nazioni Unite non sono riuscite ad acquisire politicamente, un governo mondiale, potrebbe ora essere raggiunto in senso economico.

    La rivoluzione dell’e-commerce

    La globalizzazione economica ha necessitato e facilitato la rivoluzione dell’e-commerce. Questa cosiddetta rivoluzione ha molte importanti caratteristiche. In primo luogo, le transazioni e-commerce non comportano maneggio di contante, avvenendo nel cyberspazio su Internet. In secondo luogo, le transazioni dell’e-commerce sono globalizzate – possono avere luogo ovunque nel mondo vi sia un accesso a Internet. In terzo luogo, per essere sicuri nelle transazioni dell’e-commerce, i partecipanti hanno bisogno di accertare la loro identità per mezzo di una firma digitale o di un congegno biometrico. Questo regime di identificazione diventerà fondamentale in quanto sempre più persone utilizzano gli strumenti dell’e-commerce.

    Man mano che si diffonderà l’e-commerce, noi vedremo una graduale trasmigrazione alla moneta mondiale – la e-moneta – incoraggiata tramite Internet, un mezzo originariamento sviluppato per l’uso dei militari USA. Perché la rivoluzione dell’e-commerce prosegua, sarà necessario avere una vera banca globale per l’emissione dell’unica moneta del mondo. Il direttore uscente del Fondo Monetario Internazionale, Michel Camdessus, il suo collaboratore Stanley Fischer,3 e il finanziere internazionale Georg Soros, hanno già iniziato a parlare della possibilità che il Fondo Monetario Internazionale divenga una banca centrale mondiale.4

    Le imprese guida mondiali dell’informazione e delle telecomunicazioni stanno ora portando allo sviluppo una infrastruttura globale dell’informazione. Una volta pienamente sviluppata, questa infrastruttura formerà le basi per un sistema monetario mondiale, fondato sulla e-valuta. Come si sta evolvendo questa infrastruttura? Chi ne sono gli artefici chiave? E quali sono i loro scopi finali? Per scoprirlo, torniamo al 1 gennaio 2000.

    L’ “emergenza” Y2K

    Molti lettori di New Dawn ricorderanno l’ex Segretario alla Difesa USA, Dr. John Hamre, che assunse un ruolo guida nella preparazione delle reti dei computer del Dipartimento della Difesa USA per la svolta Y2K. Appena dieci giorni dopo il passaggio, Hamre annunciò le proprie dimissioni. La sua nuova posizione di Presidente e Funzionario Capo Esecuitivo del Centro per gli Studi strategici e Internazionali (CSIS), una commissione che rappresenta l’establishment di Washington, annoda molti fili dell’enigmatico scenario Y2K.5 E’ stato Hamre che ha detto dell’Y2K: “questo avrà implicazioni per la società americana e per il mondo che ancora non possiamo comprendere." Certamente ci sono state implicazioni per il mondo, ma non i disastri e le distruzioni sociali che noi tutti ci aspettavano. La vera storia è che l’Y2K è stato la chiave di volta nei piani a lunga portata per la rivoluzione e-commerce e un importante passo verso il sistema monetario mondiale senza contanti.

    Cominciamo con la costituzione del Centro di Cooperazione Internazionale Y2K (IY2KCC), fondato sotto gli auspici delle Nazioni Unite e finanziato dalla Banca Mondiale, le due organizzazioni all’avanguardia della dichiarazione del NIEO. Il IY2KCC divenne il punto focale dell’attenzione dei media durante il passaggio al 2000, ma come un paese dopo l’altro diede il segnale di cessato allarme, il Centro divenne lo zimbello del mondo.

    Il Centro fu denominato un elefante bianco, ma in realtà era un cavallo di Troia. La cosiddetta “emergenza Y2K” facilitò un aggancio dei computer dei governi di oltre 200 paesi e territori nel mondo. Dall’Albania allo Zimbawe, i paesi furono allacciati nella rete del sistema informatico del Centro, un sistema con la capacità di monitorare tutti i settori vitali all’interno di ogni paese, compresa l’energia, le telecomunicazioni, la finanzia, il trasporto aereo, navale e via terra, la sanità e gli ospedali, i servizi governativi, i costumi e l’immigrazione, il cibo e l’acqua. Pressochè tutti i governi del mondo hanno ora degli appositi collegamenti informatici alle Nazioni Unite, e sono in grado di segnalare sul funzionamento di tutte le loro infrastrutture critiche – un passo vitale verso il governo globale.

    Il Centro è una delle maggiori reti di computer mai create. Nessuna meraviglia che i governi si fossero dati da fare per diventare conformi all’Y2K e che la Banca Mondiale stesse trasferendo miliardi di dollari alle nazioni in via di sviluppo per aiutarle ad aggiornarsi con l’Y2K. Tutti dovevano essere collegati al Centro. Non è una sorpresa che Bruce McConnell, Direttore del Centro, stia ora lavorando con le Nazioni Unite, con la Banca Mondiale e con i coordinatori nazionali dell’Y2K per trovare i modi di utilizzare al meglio la rete di computer. In conformità, il Centro rimarrà operativo nel cyberspazio, a “scopi di ricerca”.

    Veniamo ora agli sponsor di questo Centro. Costoro sono le organizzazioni che lavorano in partnership con le Nazioni Unite e con la Banca Mondiale per aiutare insieme il progetto. Esse sono: !Candle, coordinatore dell’indirizzario del Centro; DEL, la Direct Computer Systems Company; la US Federal Reserve, che fornisce l’hardware e il software per il IY2KCC; META Group, amministratore degli Yes Corps 6; Centre for Quality and Productivity, coordinatore per i volontari; e WITSA, World Information Technology and Services Alliance, amministratore del Centro.

    Ora vediamo realmente chi stava gestendo il IY2KCC e il probabile obiettivo dietro di esso. I due importanti enti coinvolti sono la US Federal Reserve e la WITSA. La US Federal Reserve non ha bisogno di presentazioni, basta dire che per molti anni la FED è stata alle spalle della spinta per un’unica moneta mondiale in tutte le sue forme. La seconda organizzazione, la WITSA, è un consorzio di 32 associazioni dell’industria della tecnologia informatica provenienti dalle economie di tutto il mondo. Fondata nel 1978 (giusto pochi anni dopo la dichiarazione del NIEO), la WITSA si autopubblicizza come la voce globale dell’industria informatica ed è stata di grande utilità per lo sviluppo della rivoluzione e-commerce.

    Progettazione nascosta di lungo termine

    Così, qual è il significato della presenza del Dr. John Hamre al Centro per gli Studi Strategici e Internazionali? E che cosa ha a che fare il IY2KCC con la rivoluzione e-commerce? Ecco come tutto si salda insieme. Il Centro per gli Studi Strategici e Internazionali 7 è fondato con i contributi di più di 300 imprese multinazionali, di fondazioni e individuali. 8 (i personaggi del CSIS sono elencati alla fine dell’articolo.) Il CSIS rappresenta i globalisti con luminari come Henry Kissinger (ricordiamo che egli fu il mentore della risoluzione del NIEO) e Zbignew Brezinski che assumono le cariche.

    Cosa importante, il Centro per gli Studi Strategici e Internazionali è stato per molto tempo interessato alle transazioni elettroniche e al controllo. Nel 1971, ben prima che si stentisse parlare di e-commerce, il CSIS incaricò un gruppo di specialisti informatici di sviluppare un sistema di controllo di tutti i cittadini che non fosse né evidente né intrusivo. Il miglior modo di tenere sotto sorveglianza i cittadini, concluse il CSIS, era lo sviluppo di un sistema nazionale EFTPOS.

    Uno dei principali progetti del CSIS è la formazione della Commissione per l’Infrastruttura dell’Informazione Globale (GIIC), un raggruppamento privato di elite, specializzato nel portare in avanti la rivoluzione e-commerce. L’obiettivo dichiarato del GIIC è lavorare in direzione di un’economia globalmente informatizzata “in cui ogni nazione del mondo abbia la possibilità di partecipare”. Per farla breve con questo discorso ambiguo, quello che significa economia globalmente informatizzata è accesso e connessione a Internet e maggiore commercio elettronico per tutti. Ciò vuol dire gente comune, che sta a casa propria davanti a un PC, che ordina qualsiasi cosa online, dalle provviste alla pizza e all’assistenza per il tosaerba, che verifica la propria identità tramite un aggeggio biometrico o con una firma elettronica. Fuori di casa, vi saranno i punti Internet, che si moltiplicheranno come gli attuali terminali Bancomat.

    La GIIC afferma di essere “la sola autentica organizzazione globale che si rivolge all’economia della rivoluzione informatica in quanto essa investe in modo fondamentale le società, le nazioni e gli individui che operano all’interno dell’economia globale messa in rete.” Chi sono i componenti di questa commissione cheil CSIS ha incaricato di questo importante lavoro? Essi altro non sono che i rappresentanti del top mondiale delle compagnie della tecnologia informatica, i provider delle telecomunicazioni, le Nazioni Unite e la Banca Mondiale (i membri del GIIC sono totalmente elencati alla fine dell’articolo). Sono le stesse persone che hanno dimostrati interessi allo sviluppo di un unico sistema monetario mondiale. Sono le stesse persone dietro gli sforzi per una infrastruttura dell’informazione globale che spingono la rivoluzione e-commerce ai più remoti angoli della Terra.

    La GIIC è un membro fondatore dell’Alleanza per gli Affari Globali (AGB). Gli altri membri dell’AGB sono il Business Industry Advisory Committee (BIAC); la International Chamber of Commerce (ICC);9 l’International Telecommunications Users Group (INTUG), e la già menzionata World Information Technology and Services Alliance (WITSA) – amministratore del IY2KCC.

    La Alliance for Global Business ha pubblicato una serie di principi fondamentali alla base della politica per il commercio elettronico nel documento: “Piano di azione globale per il Commercio Elettronico.” Il documento sostiene neutralità fiscale per l’e-commerce (cosa meravigliosa per le multinazionali) e fornisce vedute a tutto campo dei problemi dell’e-commerce, compreso la privacy, la crittografia, la protezione del consumatore nell’ambiente online, la tutela della proprietà intellettuale, gli standard, la competizione e il governo di Internet.

    Al presente, l’AGB sta utilizzando il “Piano di Azione Globale per il Commercio Elettronico” in discussioni con diverse altre organizzazioni internazionali, compresa l’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO), il forum per la Cooperazione Economica nell’Asia del Pacifico (APEC) e l’Area di Libero Commercio delle Americhe (NAFTA). E’ stato anche ufficialmente sottoposto ai governi dell’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (OECD) alla Conferenza Ministeriale sul Commercio Elettronico dell’ottobre 1998. Questo “Piano di Azione Globale per il Commercio Elettronico” è stato presentato ai governi del mondo anche al di là di ogni input dalle organizzazioni non governative (NGOs) o le cosiddette organizzazioni della società civile.

    Piano Finale

    Il collegamento ultimo nella rete dell’e-commerce sono i militari degli Stati Uniti, l’organizzazione che ci ha portato Internet e l’organizzazione che ha inviato il Dr. Hamre al CSIS per supervisionare l’intera operazione grande fratello – il piano finale – cioè l’introduzione di un unico sistema monetario mondiale – la e-valuta. La rivoluzione dell’e-commerce porrà lentamente le basi di un regime di identificazione e controllo tramite dispositivi di verifica biometrica. Il potenziale per il controllo della personalità digitale di una persona o la traccia dei dati di base è illimitato. Un modello di lavoro in questa direzione è già stato fissato tramite il sistema EFTPOS.

    L’Agenzia per la Sicurezza Nazionale USA (NSA), l’organizzazione militare che gestisce il sistema mondiale di Echelon, è il gruppo all’avanguardia della spinta mondiale per il regime di identificazione biometrico. La NSA sponsorizzato il Biometric Consortium, costituito nel 1992, stava dirigendo e sviluppando elaborazioni biometriche avanzate, test e valutazioni tecniche. Il Consortium comprende i rappresentanti dei sei dipartimenti esecutivi del governo USA e di ciascun servizio militare.

    Con quartier generale presso l’installazione NSA di Fort Mead, il Consortium sta lavorando per incrementare la disponibilità globale dell’autenticazione biometrica e delle tecnologie di identificazione. Esso è una delle fonti primarie prese in considerazione dai governi e dalle grandi aziende del mondo intero per quanto riguarda l’informazione tecnica per le applicazioni biometriche.

    I co-Presidenti del Biometric Consortium sono Jeffrey S. Dunn della NSA e Fernando Podio dell’US National Institute of Standards and Technology. Il Biometric Consortium lavora a stretto contatto con il BioAPI Consortium, di cui anche Podio è membro. Il BioAPI Consortium è stato costituito nell’aprile 1998 con l’intento di sviluppare uno standard di applicazione (API) biometrica. Questo standard mondiale per gli apparati biometrici dovrebbe garantire la compatibilità e l’interoperatività della biometrica uguali per tutti.

    Per concludere, diamo un’occhiata al quadro nel suo insieme. In primo luogo, abbiamo le Nazioni Unite e la Banca Mondiale che premono per un Nuovo Ordine economico Internazionale sotto il pretesto di aiutare i paesi in via di sviluppo. La risoluzione fu ispirata all’ONU dall’allora Segretario di stato Henry Kissinger. Il NIEO con la dichiarazione di Lima del 1975 divenne la politica ufficiale della maggior parte dei governi del mondo dalla fine degli anni 70 agli anni 80. Il processo di globalizzazione economica era in cammino.

    Nel frattempo, i militari USA stavano sviluppando Internet ed infine la commercializzarono, provocando la rivoluzione informatica. Questo permise all’ambiente dell’e-commerce di decollare decisamente. Per garantire che le transazioni online siano sicure, bisognerà che venga accertata l’identità di una persona attraverso un congegno biometrico o una firma elettronica. La NSA ha visto disvelarsi il grande quadro ed è entrata in azione per assicurarsi di avere il controllo delle tecnologie biometriche, cooptando le maggiori società biometriche del mondo.

    All’altro capo dello spettro, il Centro per gli Studi strategici e Internazionali iniziò le sue indagini sulle tecniche di controllo che avrebbero permesso al grande fratello, in ultima analisi la NSA, di monitorare i comuni cittadini. Essi se ne uscirono con un sistema nazionale EFTPOS, la logica estensione del quale sarebbe stato l’e-commerce. Il CSIS fondò la Commissione per l’Infrastruttura Informatica Globale (GIIC), per assicurarsi che l’e-commerce fosse sviluppato all’interno di una struttura regolatrice armonizzata che fornisse un ambiente operativo standard. Il GIIC sponsorizzava un’organizzazione, l’Alleanza per gli Affari Globali, avanzava un piano di azioni globale per l’e-commerce, assicurando che gli stessi governi diventassero i maggiori protagonisti della rivoluzione e-commerce.

    Il cambio di data dell’anno 2000 ha messo in collegamento la totalità dei governi perché le Nazioni Unite sponsorizzassero e la Banca Mondiale fondasse il IY2KCC. La US Federal Reserve ha fornito l’hardware e il software per il Centro, e il WITSA, un membro dell’AGB funse da amministratore. La rete di computer costituita tramite il Centro ha potuto così diventare il fulcro del futuro unico sistema monetario mondiale dell’e-commerce.

    A meno che gli Stati non ripristinino il primato della politica sull’economia, avrà luogo la drammatica fusione dell’umanità attraverso la tecnologia e il commercio. Continueremo a starcene seduti e a meravigliarci di fronte ai prodigi di Internet ed alla convenienza dell’e-commerce, mentre su di noi si sono serrate le catene della schiavitù? Ci autoconsegneremo compiacenti nelle mani di un sistema monetario mondiale unico? Siamo così abbagliati dall’innovazione tecnologica da accettare volontariamente il regime biometrico della NSA? Questo è ciò su cui contano i globalizzatori. Noi dobbiamo dire no a questo sistema adesso, mentre c’è ancora una possibilità che esso possa essere sconfitto. Se non agiamo ora, molti di noi moriranno combattendo contro di esso nel futuro, quando non ci sarà nessuna speranza di vittoria.

    Note:

    1). Organizzazione per lo Sviluppo Industriale delle Nazioni Unite, Seconda Conferenza Generale, Lima, Perù, 12-26 marzo 1975 “Dichiarazione di Lima e Piano d’Azione per lo Sviluppo Industriale e la Cooperazione”, adottato dalla seconda Conferenza Generale dell’UNIDO nel suo incontro plenario finale.
    2). Un buon esempio è il partenariato della Banca Mondiale con la Siemens. Il partenariato sta promuovendo lo sviluppo e l’uso di impianti off-the-shelf su misura a energia da combustibili fossili bruciati.
    3). Fischer è stato proposto per la carica di Direttore Esecutivo del Fondo Monetario Internazionale.
    4). Questo è stato discusso nel marzo 1999.
    5). Il 1 maggio 2000, il Dr. Kurt Campbell, Vicesegretario alla Difesa USA per le questioni dell’Asia e del Pacifico negli scorsi cinque anni, diviene Vicepresidente anziano del CSIS e Direttore del Programma di sicurezza internazionale del CSIS.
    6). Gli YES Corps sono volontari che si sono messi a disposizione del IY2KCC per collaborare durante il periodo di emergenza.
    7). Il CSIS fu fondato nel 1962.
    8). Questo finanziamento costituisce l’85% degli introiti richiesti per raggiungere il budget del Centro, che nel 1998 è stato di 17 milioni di $. I restanti fondi provengono da donazioni, contratti governativi e vendite di pubblicazioni.
    9). La Camera di Commercio Internazionale è la potente organizzazione ufficiale degli affari mondiali. Essa rappresenta le maggiori imprese multinazionali comprese la General Motors, la Novartis, la Bayer e la Nestlè. Per molti anni, tale Camera è stata dietro l’impulso del WTO, dell G7 e dell’OECD per il cosiddetto libero commercio. Le Nazioni Unite e la Camera di Commercio Internazionale si sono accordate su una serie congiunta di investimenti d’affari pilota rivolta ai 48 paesi che le Nazioni Unite identificano come “meno sviluppati”.

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    Susan Bryce è una giornalista investigativa e una ricercatrice. I suoi interessi comprendono la democrazia e la libertà, le tecnologie di controllo politico, la salvaguardia dell’ambiente e le politiche globali. Può essere contattata alla PO Box 66 Kenilworth Qld Australia 4574. email: sbryce@squirrel.com.au

    Membri BioAPI

    Authentec, Barclays Bank, Biometric Identification Inc., BioNetrix, Business Integrated Technology Solutions (BITS), Compaq*, Dialog Communications Systems AG, Digital Persona, HP, IBM, Identix/Identicator, Image Computing Incorporated (ICI), Infineon Technologies (formerly Seimens), Integrated Visions, Inc., Intel Corporation*, I/O Software, Inc., IriScan*, ITT, J. Markowitz Consulting, Janus Associates, Kaiser Permanente, Keyware Technologies, Miros, Mytec Technologies*, National Biometrics Test Center, NSA. NIST *, OKI, Precise Biometrics, Recognition Systems, SAFLink*, Sagem-Morpho, Secugen, Sensar, Skytale, Startek, STMicroelectronics, Systemneeds Inc, Transaction Security, Transforming Technologies, TRW, UniSoft Corporation, Unisys*, Veridicom; Viatec Research, Visionics, Who?Vision.

    * indica i membri guida del comitato del BioAPI Consortium

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    Membri guida del Centro per gli Studi Strategici e Internazionali:

    Presidente: Dr. John Hamre

    Vice Presidente Anziano: Dr. Kurt Campbell (anche Direttore del Programma Internazionale di Sicurezza del CSIS)

    Direttore: Sam Nunn, partner della King and Spalding; ex senatore USA*

    Vice Direttore: David M. Abshire Cofondatore del CSIS; Presidente del Centro Studi della Presidenza

    Direttore del Comitato esecutivo: Anne Armstrong,* ex Ambasciatore Usa in Gran Bretagna

    Membri: Lester M. Alberthal, Jr.; Betty Beene; Reginald K. Brack, Jr.; William E. Brock; Harold Brown; Zbigniew Brzezinski; Robert A. Day; Richard Fiarbanks (ex officio)*; Michael P. Galvin*; Joseph T. Gorman; Carla A. Hills; Ray L. Hunt; James A. Kelly (ex officio); Henry A. Kissinger; Donald B. Marron; Homer A. Neal; John E. Pepper; William J. Perry; Charles A. Sanders; John C. Sawhill; James R. Schlesinger; William A. Schreyer*; Brent Scowcroft; Murray Weidenbaum; Dolores D. Wharton; Frederick Whittemore; R. James Woolsey; Amos A. Jordan, Emeritus; Leonard H. Marks, Emeritus; Robert S. Strauss, Emeritus

    *membro del Comitato Esecutivo

    Consiglio: composto da esperti di politica sia del settore pubblico che di quello privato, compresi 11 membri del Congresso degli USA. Il Consiglio è co-presieduto da Zbigniew Brzezinski e Carla Hills.

    Dirigenti di settore: Richard Fairbanks, Presidente e coordinatore; Anthony A. Smith, Vice Presidente esecutivo e Dirigente Capo operativo; Erik R. Peterson, Vice Presidente anziano e Direttore degli Studi; Bradley D. Belt, Vice Presidente per la Finanza Internazionale e La Politica economica; Judy L. Harbaugh, Vice Presidente per lo SViluppo; Robin Niblett, Vice Presidente per la Pianificazione strategica; M. Jon Vondracek, Vice Presidente per le Relazioni estere; Brenda Palmer, Vice Presidente per la Finanza e l’Amministrazione.

    Consulenti: i consulenti del CSIS sono studiosi di strategia di livello mondiale che hanno già ricoperto cariche governative ai massimi livelli. Essi sono: William E. Brock; Harold Brown; Zbigniew Brzezinski; Henry A. Kissinger; Sam Nunn; James R. Schlesinger

    Professori emeriti anziani: Fred C. Iklé; Bernard Lewis

    Consiglieri Anziani: J. Carter Beese; Arnaud de Borchgrave; Charles Bowman; M. Stanton H. Burnett; Richard R. Burt; William Clark, Jr.; Diana Lady Dougan; Luis E. Giusti; Ernest Graves; Amos A. Jordan; Max M. Kampelman; Robert H. Kupperman; David McCurdy; Thomas F. (Mack) McLarty (consulente speciale); The Duke of Westminster

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    Componenti della commissione del GIIC:

    Co-Direttore del GIIC per le Americhe:

    Mr. H. Brian Thompson, Direttore e Coordinatore della Global TeleSystems Group, Inc. (US)

    Co-Direttore del GIIC per l’Europa e l’Africa:

    Dr. Volker Jung, Vice Presidente esecutivo, Membro del Consiglio di Gestione della Siemens AG (Germania)

    Co-Direttore del GIIC per l’Asia:

    Mr. Michio Naruto, Vice Direttore della Fujitsu Limited (Japan)

    Direttore del Comitato direttivo del GIIC:

    Mr. W. Bowman Cutter, Direttore alla Gestione della E.M. Warburg, Pincus & Company, LLC. (USA)

    Direttore emerito del Comitato direttivo del GIIC:

    L’onorevole Lady Diana Dougan, Consigliere anziano del Centro per gli Studi Strategici e Internazionali (USA)

    Componenti:

    Mr. Hironori Aihara, Vice Presidente esecutivo della Mitsubishi Corporation (Giappone)
    Dr. K.Y. Amoako, Sotto Segretario generale alle Nazioni Uniti e Segretario Esecutivo dell’ECA
    Dr. Boris Antoniuk, Direttore e Coordinatore di Teleport - TP (Russia)
    Mr. Hiroshi Araki, Presidente della TEPCO (Giappone)
    Mr. David A. Bayer, Presidente del Consiglio della Leo One Corporation (USA)
    Mr. Koos Bekker, Direttore di Gestione della Naspers, e Direttore della MIH Limited
    Dr. Lewis Branscomb, Professore alla Harvard University (USA)
    Mr. John T. Chambers, Presidente & Coordinatore della CISCO Systems
    Mr. Gustavo Cisneros, Direttore & Coordinatore della Cisneros Group of Companies
    Mr. James E. Daley, Vice Presidente esecutivo e Funzionario Capo alle Finanze della Electronic Data Systems (USA)
    Dr. Hisham El Sherif, Direttore del Consiglio di Amministrazione del Regional Information Technology & Software Engineering Center (RITSEC) (Egitto)
    Mr. Rui Fernandes, Direttore alla Gestione della Telecom de Mocambique (Mozambico)
    Mr. Fernando Xavier Ferreira, Coordinatore della TELESP e Tele-sudeste (Brasile)
    Dr. Geoff G. Garrett, Presidente e Coordinatore del Council for Scientific and Industrial Research (CSIR) (Sud Africa)
    Dr. Wadi Haddad, Presidente della Knowledge Enterprise (USA)
    Mr. Jeffrey A. Hedberg, Membro del Consiglio dell’International Division, Deutsche Telekom AG (Germania)
    Mr. Edward Horowitz, Vice Presidente esecutivo della Citibank
    Mr. Hiroshi Kuwahara, Vice Presidente della Hitachi, Ltd. (Giappone)
    Mr. Ray Lane, Presidente e Funzionario Capo operativo della Oracle Corporation (USA)
    Mr. Rolf-Dieter Leister, Consulente indipendente della Information Technologies (Germania)
    Mr. Richard Li, Direttore & Capo esecutivo della Pacific Century Group (Hong Kong)
    The Honorable Lü Xinkui, Vice Ministro del Ministero dell’Industria informatica (Cina)
    Mr. Olof Lundberg, Direttore della ICO Global Communications
    Dr. Klaus Mangold, Presidente del Consiglio della DEBIS Daimler Benz AG (Germania)
    Datuk Wira Said Mohamed Ali, Capo esecutivo della Telekom Malaysia (Malaysia)
    Adv. Dikgang Ernest Moseneke, Direttore della Telkom S.A. Limited (Sud Africa)
    Mr. Taizo Nishimuro, Presidente della Toshiba Corporation (Giappone)
    Mr. Jorma Ollila, Presidente e Coordinatore della Nokia (Finlandia)
    Mr. Francisco J. Azevedo Padinha, Membro del Consiglio di Direzione della Portugal Telecom (Portogllo)
    Mr. Ravi Parthasarathy, Direttore di Gestione della Infrastructure Leasing and Financial Services, Ltd. (India)
    Mr. Manuel Arturo Pellerano Peña, Presidente della Tricom SA (Repubblica Dominicana)
    Mr. Fausto Plebani, Presidente della Italtel s.p.a. (Italia)
    Mr. Donald B. Reed, Direttore esecutivo della Cable & Wireless
    Mr. Fernando Restrepo, Presidente del Consiglio della R.T.I. Televisión, S.A. (Colombia)
    Mr. Jean-François Rischard, Vice-Presidente per l’Europa della Banca Mondiale
    Mr. Souleymane Sall, Presidente della Silicon Valley, Computer Technology and Services (Senegal)
    Mr. Shigeo Sawada, Direttore della Nippon Telegraph and Telephone (Giappone)
    Mr. Ryoki Sugita, Direttore esecutivo di Gestione della NIKKEI (Giappone)
    Dr. Pairash Thajchayapong, Direttore della Natl Science & Technology Development Agency (Thailandia)
    Ben Verwaayen, Vice Presidente esecutivo e Dirigente Capo operativo della Lucent Technologies
    Mr. Jose Manuel Villalvazo Baz, Presidente della TECELMEX (Messico)
    Mr. Maxwell R. Wynter, Direttore di gestione della The Jamaica Observer Ltd. (Giamaica)
    Mr. Eiichi Yoshikawa, Vice Presidente anziano della NEC Corporation (Giappone)
    Mr. Jaime Augusto Zobel de Ayala, Presidente della Ayala Corporation (Filippine)




    Articolo tratto dal sito www.newdawnmagazine.com.au
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    Susan Bryce

    La privatizzazione dell’acqua

    Andare verso la privatizzazione delle riserve mondiali d’acqua e
    l’applicazione di politiche di prezzi a pieno costo vuol dire per milioni
    di persone perdere l’accesso ad una risorsa già scarsa.

    C’è stato un tempo in cui l’acqua cadeva liberamente dalle nubi del cielo e spumeggiava dai balzi nelle colline…in cui fiumi, ruscelli e laghi erano colmi fino all’orlo…in cui antiche falde acquifere scorrevano come grandi vene al di sotto dei continenti… in cui l’acqua nutriva il nostro popolo, come i bambini sono sostentati dal latte della loro madre.
    Oggi, l’acqua è diventata una risorsa scarsa. Il cambiamento del clima ha causato disordine nel ciclo dell’acqua, e le nuvole non versano più molte delle loro lacrime di vita sulle nostre grandi foreste. Vaste terre agricole si alimentano da fiumi e ruscelli asciutti. I nostri laghi sono intasati di pesce morto, soffocato dagli scarichi industriali. Le viscere della Terra vengono costantemente svuotate dalle proprie acque, antiche di milioni di anni.
    Gli esperti prevedono che entro l’anno 2025 il nostro mondo soffrirà per i drammatici effetti della povertà idrica. Vi saranno grandi discordie e anche guerre per l’acqua. “La mancanza di un’azione potrebbe danneggiare il pianeta in modo irreversibile, innescando una spirale crescente di fame, privazione, malattia, squallore.” 1
    Per fortuna, è stata intrapresa un’azione – al massimo livello – per prevenire questo incubo apocalittico. Dichiarando l’acqua un prodotto, - un bene economico che va misurato, ripartito e regolato dalle corporations – la marea del disastro sarà arginata. Questa decisione di grande importanza è stata presa per noi da un pugno di corporations transnazionali e dai membri del sistema di organizzazioni delle Nazioni Unite. Tale gruppi si sono autonominati custodi delle riserve d’acqua mondiali. Essi ammettono che la valutazione dell’acqua a pieno costo, per gli usi domestici, agricoli e industriali, sarà una regola dolorosa per l’umanità. Essi sostengono che questo è un piccolo prezzo da pagare per la sicurezza dell’acqua, per la loro sorveglianza della nostra risorsa più preziosa.
    Con la benedizione dei governi nazionali, è stato stabilito un energico e dinamico ordine del giorno per privatizzare le riserve d’acqua. I diritti tradizionali e indigeni sono riconosciuti e poi messi da parte. La sovranità nazionale è affermata, poi sgretolata. L’accesso all’acqua – dono di Dio o diritto dell’uomo – è riconosciuto, poi sospeso.
    La vecchia economia è stata alimentata dal petrolio. La new economy sarà alimentata dagli idrodollari. E’ stato creato un commercio d’acqua globalizzato2 e noi, il popolo, siamo diventati i consumatori in questo mercato multitriliardario.
    Questo articolo esamina l’incredibile pensiero riduzionista, la spietatezza sociale, l’ignoranza arrogante e l’alienante struttura mentale di un gruppo di pianificatori elitari e di corporations transnazionali che guidano il percorso verso la mercificazione della nostra acqua.

    L’ora zero per l’acqua
    Accademici, scienziati, politici ed esperti idrologi sono oggi d’accordo che il mondo è di fronte ad una grave crisi dell’acqua. Con l’uso di modelli matematici3 essi sono stati in grado di predire che entro il 2025 almeno il 40% della prevista popolazione mondiale di 7,2 miliardi di persone avrà seri problemi nell’agricoltura, nell’industria o nella salute umana se conterà unicamente sui depositi naturali di acqua dolce. Una severa insufficienza d’acqua potrebbe colpire particolari regioni di paesi che ne sono ricchi, come gli USA e la Cina.4
    Già 26 paesi hanno più popolazione di quanto le loro riserve d’acqua possano adeguatamente rifornire. Le tensioni per la scarsità d’acqua salgono nel Medio Oriente e potrebbero accendersi durante questa decade. La competizione per l’acqua si sta intensificando tra gli abitanti delle città e gli agricoltori nei dintorni di Pekino, Nuova Dehli, Phoenix e altre aree idricamente insufficienti.5
    Tutte le prove indicano nel primo quarto del XXI secolo l’ora zero per l’acqua in alcune parti del mondo. La possibilità di una penuria d’acqua era già stata ventilata, ma solo negli ultimissimi anni essa ha assunto la terminologia della crisi. 6
    Le discussione internazionali sulle riserve d’acqua del mondo sono iniziate nel 1977 quando le Nazioni Unite tennero la prima Conferenza mondiale dell’Acqua a Mar della Plata, in Argentina. La Conferenza dichiarò gli anni ’80 “il decennio ONU per le riserve di acqua potabile e le fognature”. L’obiettivo altruistico era di garantire che entro un decennio tutta la popolazione del mondo avesse accesso ad adeguati rifornimenti d’acqua e impianti fognari.
    Dieci anni dopo, la Brundtland Commission ha dichiarato che il nostro modello di sviluppo era insostenibile – ma aveva pochi elementi per parlare dell’acqua. Poi, nel 1992, la Conferenza di Rio su Ambiente e Sviluppo, nella sua “Agenda per il XXI secolo” (conosciuta come “Agenda 21”), ha inserito l’acqua dolce nel capitolo 18 del suo rapporto.
    Nel 1996, è stato costituito il World Water Council, una commissione privata. I membri fondatori sono stati il Ministero Egiziano dei Lavori Pubblici e delle Risorse Idriche, la Canadian International Development Agency e la corporation trasnazionale francese delle acque Suez Lyonnaise des Eaux. Le altre organizzazione che hanno sostenuto l’avvio del World Water Council sono state:

    * International Commission on Irrigation and Drainage (ICID)
    * International Water Resources Association (IWRA)
    * Istituto Agronomico Mediterraneo (CIHEAM- Bari)
    * International Water Association (IWA)
    * United Nations Children's Fund (UNICEF)
    * United Nations Development Program (UNDP)
    * United Nations Educational Scientific and Cultural Organization (UNESCO)
    * United Nations Environment Program (UNEP)
    * United Nations Food and Agriculture Organization (FAO)
    * Water Supply and Sanitation Collaborative Council (WSSCC)
    * World Bank (WB)
    * World Conservation Union (IUCN)
    * World Health Organization (WHO)
    * World Meteorological Association (WMA)


    Il World Water Council sta sviluppando la sua visione del nostro futuro: un esauriente documento, The Long Term Vision for Water, Life and Environment, (Visione a lungo termine per acqua, vita e ambiente)7 più noto per il suo sottotitolo, World Water Vision, Making Water Everybody's Business (Visione dell’acqua mondiale, rendere l’acqua il business di tutti).
    In un incontro tenuto nel 1998 a Washington, DC, il World Water Council ha nominato un gruppo di incaricati per trasformare in realtà la Visione dell’acqua mondiale. I componenti della World Water Commission, com’è stata chiamata, vanno visti come un who's who dell’élite al comando. Gli incaricati di alto profilo comprendono:

    * Dr Ismali Serageldin (Capo della Commissione), Vice Presidente della World Bank, e Presidente della Global Water Partnership
    * Margaret Catley-Carlson, Presidente del Population Council
    * Gordon Conway, Presidente della The Rockefeller Foundation
    * Mohamed T. El-Ashry, Presidente e CEO del Global Environment Facility
    * Howard Hjort, ex Vice Direttore della FAO
    * Enriquo Iglesias, Presidente della Inter-American Development Bank
    * Yolanda Kababadse, Presidente della World Conservation Union
    * Jessica Mathews, Presidente del Carnegie Endowment for International Peace, USA
    * Robert S. McNamara, Co-Presidente della Global Coalition for Africa
    * Maurice Strong, Presidente dell’Earth Council, membro della Commission on Global Governance, e consigliere capo delle Nazioni Unite per il processo di riforma
    * Wilfred Thalwitz, ex Vice Presidente anziano della World Bank
    * Jerome Mondo, Presidente del Collegio Sindacale della Suez Lyonnaise des Eaux

    Crisi o occasione di affari?
    La consapevolezza dell’imminente crisi dell’acqua è aumentata in seguito ai Forum internazionali sull’Acqua Mondiale, I convegni pubblici triennali del World Water Council. Numerosi accordi e principi provenienti da questi Forum sono diventati le basi su cui si sta effettuando il complessivo controllo dell’acqua.
    Più di 4.000 luminari da tutti il mondo hanno partecipato al Forum Mondiale dell’Acqua a l’Aia nel marzo del 2000. Sono intervenuti scienziati, esperti idrologi, leader di governo, uomini d’affari e organizzazioni greenwash8. La Visione dell’Acqua mondiale è stata formalmente presentata al Forum dall’organizzazione di Mikhail Gorbachev la Green Cross International.9
    Il meeting di sei giorni si è concluso con la pubblicazione da parte dei rappresentanti di 130 governi della “Dichiarazione Ministeriali dell’Aia” un documento di quattro pagine che richiede a tutte le organizzazioni in questione di sentirsi coinvolte nella “gestione delle risorse d’acqua integrate” per assicurare che “ogni persona abbia accesso a sufficiente acqua sicura ad un costo accessibile”. Nascosto tra il caloroso, generico, doppio senso della Dichiarazione, sta il reale ordine del giorno.
    Valutare l’acqua: gestire l’acqua in modo che esprima tutto il suo valore economico, sociale, ambientale e culturale in tutti i suoi usi, e avviarsi verso un sistema di prezzi per i servizi dell’acqua che riflettano il costo della loro fornitura.10
    Il Forum del marzo 2000 è stato presentato al mondo come parte di un processo di partecipazione democratica alla gestione dell’acqua, mentre nei fatti il processo è stato stabilito da potenti multinazionali e da delle élite, senza tener conto dei bisogni basilari delle persone. Vi era ben rappresentato il top mondiale delle corporation transnazionali ed esse hanno rilasciato una speciale dichiarazione aggiuntiva di tre pagine durante il Forum. La Nestlé e la Unilever (rispettivamente la prima e la terza delle maggiori corporation dell’alimentazione) hanno unito le loro forze a quelle dell’Heineken, della ITT e delle compagnie globali dell’acqua DVH, Azurix, CH2M Hill e Suez Lyonnaise des Eaux per dichiarare:
    L’acqua è un bene economico e il suo valore economico dovrebbe essere riconosciuto nell’assegnazione delle scarse riserve d’acqua per gli usi concorrenti. Mentre questo non dovrebbe impedire alle persone di ottenere a prezzi accessibili i servizi d’acqua per i loro bisogni di base, il prezzo dell’acqua deve essere fissato ad un livello che ne incoraggi la conservazione e l’uso prudente.11
    L’acqua è già un business globale da 400 miliardi di dollari USA, e tuttavia l’acqua privatizzata ammonta a solo il 10% di quella gestita da servizi pubblici a livello mondiale. La World Water Commission sostiene che solo le aziende private possono disporre dell’enorme capitale, stimato in 180 miliardi di dollari USA, necessario a rimediare ai problemi dell’acqua mondiale. Questo comporta l’eliminazione di sussidi generalizzati per l’acqua e la loro sostituzione con prezzi che offrano un allettante ritorno sull’investimento.

    Visione dell’acqua mondiale – o incubo?
    Se andiamo avanti con il nostro “come al solito, affari” per rivolgerci all’acqua, allora i limiti dei sistemi naturali e socioeconomici saranno raggiunti nel 2025, avverte il World Water Council nella Visione dell’Acqua Mondiale. Tutt’al più, ci troveremo con problemi cronici e le catastrofi possono dare l’avvio a crisi regionali e anche globali. La Visione non approfondisce su quello che possono precisamente essere queste crisi, basta dire che esse possono essere differite muovendosi verso un sistema di prezzi a pieno costo per tutti i servizi dell’acqua. Il quarto capitolo della Visione dell’Acqua Mondiale getta uno sguardo futuribile su quello cui potrebbe assomigliare il mondo nell’anno 2025. La vita sotto la Visione potrebbe essere molto diversa da ora:
    Verso il 2010, i servizi pubblici e privati stavano applicando generalmente recuperi a pieno costo. Poiché alcune famiglie a basso reddito non potevano permettersi l’acqua, vennero introdotte delle misure per sussidiarle, in modo che esse potessero pagare l’acqua per soddisfare i loro elementari bisogni. Queste famiglie contribuivano anche in natura al costo dei loro servizi tramite il loro lavoro per l’installazione e il funzionamento.
    Come il lavoro di miliardi di persone povere possa essere usato “in natura” per “installazione e funzionamento” non viene affrontato esattamente. Uno può solo presumere che la Visione vedrebbe un ritorno ai giorni dei signori feudali, quando il povero lavorava come uno schiavo per il pane quotidiano – o, in questo caso, per l’acqua quotidiana.
    Proseguendo nella Visione, sussidi d’acqua per poveri (e possibilmente anche per gli stessi poveri) sono cancellati, con sussidi per l’acqua agricola:
    Un nuovo giro di negoziazioni della World Trade Organization porta nel 2010 ad aggiungere i sussidi per l’acqua all’elenco dei sussidi inaccettabili come input per l’agricoltura. Come questa politica viene implementata negli anni seguenti, i prezzi dei generi alimentare dai paesi esportatori salgono leggermente, incrementando i redditi agricoli nei paesi sviluppati. I prezzi alla fine si stabilizzano attorno al loro livello precedente, ma i meno abbienti che abitano in città hanno sofferto il cambio di tali prezzi, mentre durava il loro aumento.
    Commentando la valutazione dell’acqua per l’agricoltura a costo pieno, la Visione dice:
    Come primo passo, i governi avevano iniziato a decentrare la responsabilità del funzionamento e della manutenzione a cooperative o a proprietari privati – una tendenza acceleratasi nei primi anni del nuovo secolo. Poiché gli agricoltori dipendevano dall’appropriato funzionamento di questi sistemi per i loro mezzi di sostentamento, essi si fecero carico del funzionamento e della manutenzione. In più, molti agricoltori e specialmente gli utenti a basso reddito contribuivano al costo con i loro servizi in natura. Un’adeguata tecnologia a buon mercato come il pompaggio a pedale di acque poco profonde fu largamente adottato dai proprietari di piccoli lotti. Tutti i sussidi per il funzionamento e il mantenimento furono eliminati e così anche i sussidi indiretti per i costi di funzionamento, come l’energia. Questo ebbe un maggiore impatto sulla gestione dell’acqua in India, che nel 2005-15 scoraggiò il pompaggio dell’acqua superficiale eliminando gradualmente i sussidi per l’energia necessaria per pompare l’acqua dai pozzi.
    La cosa più importante per chi ha una visione è avere anche uno schema d’azione per implementare la visione. Al di là dell’appuntamento di alto profilo (la World Water Commission), il World Water Council ha partorito un’entità sorella, la Global Water Partnership, per sviluppare e guidare una “Struttura per l’Azione".
    Il documento sulla Struttura, come tutti i documenti presentati dal World Water Council e dalle sue diramazioni, usa un linguaggio retorico e colorito nel tentativo di dare alle raccomandazioni un suono più gradevole. Riferimenti del genere dare potere alla comunità e riforma del suolo aiutano a dipingere quelli che sono gli scopi da raggiungere di espandere e rafforzare il potere delle corporation sulle riserve d’acqua mondiali.
    Il documento contiene le azioni che i governi dovrebbero intraprendere per implementare la visione. Specificamente, esso richiede: piena liberalizzazione e deregulation del settore dell’acqua (trattamento nazionale), per cui alle corporations transnazionali viene dato lo stesso trattamento delle imprese locali e/o delle pubbliche autorità; trasparenza nelle commesse governativi sui contratti dell’acqua; facilitazioni nel commercio, mentre i governi dovrebbero essere più orientati verso il settore privato; e privatizzazione quanto più possibile, con trattati di partecipazione mista pubblico-privato come prossimo obiettivo più auspicabile. Ulteriori raccomandazioni includono: l’eliminazione di tutti i sussidi che alterano il prezzo e il commercio; la risoluzione della controversia sui problemi di acqua; la promozione di biotecnologie agricole; la protezione dei diritti di proprietà delle risorse d’acqua; e la domanda di uno stabile e prevedibile clima di investimenti, che rafforzi i diritti di chi investe.12

    La Banca Mondiale: "Un mondo pieno di povertà"13
    Diversi anni fa, il Dr Ismail Serageldin, Vice-Presidente della Banca Mondiale, disse che le guerre del XXI secolo sarebbero state per l’acqua.14 Per rispondere alla crescente crisi, la Banca Mondiale ha adottato una politica di privatizzazione dell’acqua e di valutazione dell’acqua a pieno costo. Le basi delle politiche della Banca Mondiale sono abbozzate nel documento del 1992 “Miglioramento nella Gestione delle Risorse d’Acqua”, che descrive l’importanza della valutazione economica e di altri incentivi che incoraggino i consumatori ad adottare pratiche efficienti nell’uso dell’acqua basate sulla relativa valutazione dell’acqua:
    I prezzi per le forniture d’acqua domestica e industriale sono generalmente semplici da praticare. Nella maggior parte dei casi, l’uso può essere quantificato e i costi possono essere attribuiti a seconda del volume e della qualità dell’acqua usata. L’efficienza economica sarebbe ottenuta regolando i prezzi per l’acqua pari al costo dell’opportunità di averla. Comunque, l’adozione immediata di tali prezzi risulta essere spesso politicamente difficile. Così, dato il basso livello presente della copertura del costo e l’estensione della sottovalutazione, l’adozione di compensi che stabilissero l’autonomia finanziaria dell’entità acqua sarebbero un buon punto di partenza per garantire l’indipendenza dell’entità e la sostenibilità delle operazioni. Le entità sia pubbliche che private dovrebbero pagare per i costi dell’acqua e dei servizi fognari che ricevono.
    La Banca Mondiale ritiene che rendere l’acqua disponibile a costo zero, o a basso costo, non dà ai consumatori il giusto incentivo. La sua ricerca e la sua esperienza indicano che:
    ...quando le forniture d’acqua sono sicure, poveri vogliono pagarle, e quando il servizio è precario i poveri pagano di più o di meno, dei tipici acquioli ambulanti. Come indicato nel 'World Development Report 1992', i poveri hanno bisogno di essere riforniti secondo un’ampia gamma di opzioni, in modo da poter scegliere il livello di servizi d’acqua per il quale vogliono pagare, dando con ciò alle forniture un interesse finanziario nell’andare incontro alle necessità dei non abbienti. I listini prezzi possono essere strutturati in modo che i consumatori ricevano una limitata quantità d’acqua a basso costo e pagano di più per l’acqua aggiuntiva. I compensi strutturati in questo modo possono corrispondere a prezzi di rendimento per il consumo aggiuntivo, anche mentre forniscono basse tariffe di base a beneficio dei poveri. Comunque, il listino nel complesso dovrebbe fornire coperture a pieno costo; altrimenti verrebbe compromessa la praticabilità finanziaria dell’entità acqua. Un’altra forma di aiuto ai non abbienti, che potrebbe essere gestito attraverso movimenti di bilancio una tantum, è un sussidio per l’allacciamento delle famiglie alla rete idrica e fognaria.
    L’approccio pratico della Banca Mondiale ad una valutazione dell’acqua a pieno costo è una testimonianza della sua grandiose illusione, del suo bilancio gonfiato e della ricerca di controllare I popoli e le loro risorse. A parte il suo stanziamento per sostenere la privatizzazione dell’acqua, la Banca è la maggiore singola fonte mondiale di fondi per la costruzione di grandi dighe, avendo investito più di 50 miliardi di $ USA (del 1992) per la costruzione di oltre 500 grandi dighe in 92 paesi. L’importanza della Banca Mondiale nei progetti delle principali dighe è illustrata dal fatto che essa ha direttamente finanziato quattro dei cinque progetti più significativi di dighe nei paesi in via di sviluppo senza tener conto delle Cina, tre dei conque maggiori bacini in questi paesi, e tre delle cinque maggiori centrali idroelettriche. 15

    Progettare coltivazioni per essere meno assetati
    Nei primi anni ’70, ci fu un boom nello sviluppo dell’irrigazione. L’irrigazione fu il fattore guida della Rivoluzione Verde, che ebbe per risultato riso, grano e varietà di mais ad alto rendimento i quali sono dipendenti dall’ampio uso di fertilizzanti inorganici. Le nuove coltivazioni della Rivoluzione Verde spiazzarono gli alimenti locali e la dieta di molti popoli del mondo divenne pericolosamente povera di ferro, zinco, vitamina A e di altri microcomponenti nutrizionali.16 Le compagnie chimiche transnazionali che fornivano i fertilizzanti petrolchimici di base, i pesticidi e gli erbicidi che alimentavano la Rivoluzione Verde espansero il loro controllo e la loro influenza nel settore agricolo.
    Oggi, il 70% dell’acqua mondiale è usato per irrigare le coltivazioni. Poiché la popolazione aumenta, ci si aspetta che la terra irrigata diventi sempre più produttiva per nutrire le persone. Ma l’imminente crisi dell’acqua spingerà molte aree coltivate sull’orlo del disastro, dal momento che non vi è acqua sufficiente per irrigare le nostro culture alimentari. Questo problema si combina con il fatto che un’ulteriore espansione delle terre coltivabili non può essere sostenuta a causa degli effetti dell’agrochimica (erosione del suolo, salinità, avvelenamento dell’acqua, etc.).
    Nel corso degli ultimi 10 anni, le compagnie del settore agrochimico stanno spostando i loro interessi dalla chimica alle scienze della vita, dove stanno i futuri profitti. La rivoluzione della biotecnologia è stata duplicata nella “Doppia Rivoluzione Verde” da essa propugnata, la quale proclama non solo che metterà più cibo a disposizione di più persone (lo stesso argomento che alimentò la Rivoluzione Verde originaria), ma che le sementi possono essere progettate geneticamente meno bisognose d’acqua.
    Questo è uno sviluppo critico che vedrà le corporations trasformare la crisi dell’inquinamento e della diminuzione delle risorse d’acqua (che esse per prime hanno contribuito a creare) in un’opportunità affaristica, dal momento che il controllo della provvista mondiale delle sementi e delle risorse d’acqua diventa la nuova frontiera degli investitori privati.
    Il gigante della chimica Monsanto si è già messo nella posizione di principale protagonista nelle scienze biologiche tramite il suo controllo sulle sementi, il primo anello della catena alimentare. In un rapporto per l’organizzazione Corporate Watch, il Dr Vandana Shiva descrive il nuovo interesse della Monsanto: l’acqua.17 Egli cita un documento strategico della Monsanto che traccia il piano della compagnia per il controllo in comune dell’acqua:
    Primo, noi riteniamo che le discontinuità (sia i principali cambiamenti politici che le maggiori fratture nelle linee di tendenza della quantità e qualità di risorse) siano auspicabili, particolarmente nell’area dell’acqua, e noi saremo in buona posizione tramite questi affari per trarre profitto in modo anche più significativo quando accadranno queste discontinuità. Secondo, stiamo esaminando il potenziale di finanziamento non convenzionale (NGOs, World Bank, USDA, etc.) che possa rendere più basso il nostro investimento o fornire risorse da imprese affaristiche locali.
    Per la Monsanto, "sviluppo sostenibile" vuol dire conversione di una crisi ecologica in un mercato dalle risorse limitate:
    La logica affaristica dello sviluppo sostenibile è che la popolazione cresce e lo sviluppo economico applicherà una pressione crescente sui mercati delle risorse naturali. Queste pressioni e il desiderio mondiale di prevenirne le conseguenze creerà un’ampia opportunità economica. Quando osserviamo il mondo attraverso la lente della sostenibilità, siamo nella posizione di vedere la corrente e di prevedere le imminenti tendenze del mercato delle risorse e gli squilibri che creano le domande del mercato. Noi abbiamo ulteriormente messo a fuoco questa lente sul mercato delle risorse di acqua e terra.
    La Monsanto prospetta redditi per 420 milioni di dollari e un utile netto di 63 milioni di dollari entro il 2008 dagli sviluppi della risorsa acqua solo in India e in Messico. Il documento della Monsanto dichiara:
    Siamo particolarmente entusiasti del potenziale della partecipazione con la International Finance Corporation (IFC) della World Bank ai progetti in joint-venture sui mercati in via di sviluppo. La IFC è impaziente di lavorare con la Monsanto per commercializzare le occasioni di sostenibilità e vorrebbe apportare sia capitale d’investimento che capacità operative in direzione dei nostri sforzi..

    I pericoli della privatizzazione
    Secondo Maude Barlow,18 autore di Oro Blu: la Crisi Globale dell’Acqua e la Modificazione dell’Approvvigionamento d’Acqua del Mondo:"La privatizzazione dei servizi dell’acqua municipali ha un terribile primato che è ben documentato. Le quote dei clienti sono raddoppiate o triplicate; i profitti delle società crescono anche del 700 per cento; la corruzione e le bustarelle sono in auge; gli standard di qualità dell’acqua calano, a volte, drammaticamente; l’uso eccessivo è promosso per fare soldi; e i clienti che non possono pagare vengono tagliati fuori… Quando la privatizzazione colpisce il Terzo Mondo, coloro che non possono pagare moriranno.”
    Queste breve sintesi dimostra l’estensione così lontana di una modificazione, e illustra alcuni dei suoi fallimenti.

    Mondo in via di sviluppo
    Programmi che trasferiscono le gestioni pubbliche dell’acqua a ditte private, a servizi finanziariamente autonomi e ad associazioni di utenti vengono implementate in America Latina (Argentina, Colombia e Messico) in Asia (Bangladesh, Indonesia, Nepal, Pakistan, Filippine e Sri Lanka), in Africa (Costa d’Avorio, Madagascar, Marocco, niger, Senegal e Tunisia), in Europa Orientale (Ungheria).
    In alcuni paesi, come l’Indonesia, il Nepal, l’Olanda e lo Sri Lanka, la tradizione di sistemi dei servizi dell’acqua organizzati dai coltivatori è vecchia di secoli.

    Argentina
    La compagnia di gestione statale dell’acqua, la Obras Sanitarias de la Nación è stata venduta alla Aguas Argentinas, una compagnia privata di proprietà della Suez- Lyonnaise des Eaux of France. Aguas Argentinas ha esteso la rete idrica a 600.000 nuovi residenti. Aguas Argentinas ha promesso di ridurre I prezzi del 27% e di investire 4 miliardi di dollari USA nel miglioramento dei servizi nel corso di un periodo di 30 anni. La International Finance Corporation (una filiale della Banca Mondiale) ha prestato ad Aguas Argentinas la somma di 172.5 milioni di dollari nel 1994.
    Alcune persone nel centro di Buenos Aires hanno beneficiato della privatizzazione, ma chi vive al di fuori della capitale sostiene che l’acqua è più costosa e che il servizio non è migliorato.
    "Per molti giorni non c’è acqua," dice Marcelo Paoletti, attivista di un gruppo argentino chiamato Officina Ecologista. Vive a Rosario la seconda città del paese. La bolletta di Paoletti assomma a 24 pesos al mese (24 dollari USA), più di quando la gestione dell’acqua era pubblica.
    La Aguas Argentinas è stata anche criticata numerose volte dall’authority preposta, per condotta commerciale scorretta e per gli standar scadenti del servizio fornito. 19

    Bolivia
    Come spiega Maude Barlow20. nel 1998 la Banca Mondiale:
    "...rifiutò di garantire un prestito di 25-milioni di dollari USA per il miglioramento dei servizi idrici a Cochabamba, la terza città della Bolivia, a meno che il governo non avesse venduto il sistema idrico pubblico al settore privato e passasse i costi ai consumatori. Fu presa in considerazione solo un’offerta e il servizio fu affidato ad una filiale di un gruppo guidato dalla Bechtel—la gigantesca compagnia di progettazioni implicata in Cina nella famigerata Diga delle Tre Gole, che ha causato l’esodo forzato di 1.300.000 persone.
    "Nel gennaio del 1999, prima ancora di aver esposto la sua insegna, la compagnia annuncia il raddoppio dei prezzi dell’acqua. Per la maggior parte dei Boliviani, questo significa che ora l’acqua costa più del cibo; per le persone a salario minimo o disoccupate, la bolletta dell’acqua è cresciuta improvvisamente a circa metà del loro bilancio mensile. Ulteriore affronto, la Banca Mondiale ha ammesso il monopolio per i concessionari privati dell’acqua, ha annunciato il suo sostegno ad una valutazione dell’acqua a pieno costo, ha agganciato il costo dell’acqua al dollaro USA e ha dichiarato che nessuno dei suoi prestiti può essere usato per sussidiare i non abbienti per i servizi idrici. Tutta l’acqua, anche da pozzi della comunità, ha bisogno di permessi di accesso, ed i contadini e i piccoli coltivatori diretti devono addirittura comprare i permessi per raccogliere l’acqua piovana sulle loro proprietà."
    Il 10 aprile 2000, centinaia di migliaia di persone hanno marciato verso Cochabamba per una protesta anti-governativa. Il governo ha fatto marcia indietro, ordinando alla Bechtel di uscire dalla Bolivia, e ha revocato la legislazione sulla privatizzazione dell’acqua.

    Nazioni Sviluppate
    Australia
    Un rapporto, A Vision for Australia's Water Resources 2025, è stato preparato per il World Water Forum 2000 dalla Resource Management Ltd sotto contratto con l’UNESCO. Il rapporto australiano raccomanda sia che la valutazione dell’acqua sia in rapporto al volume e al tempo, sia di limare i sussidi.21
    L’Australia ha già intrapreso un programma di cambiamenti progressivi sui metodi di organizzazione e di gestione del settore dell’acqua, con un ruolo crescente del privato. Nel 1994, il Council of Australian Governments (COAG) ha dichiarato che “gli affari come norma” nell’industria dell’acqua rurale non erano un’opzione attuabile per gli irrigatori o per l’ambiente.22 Essi stanno ora effettuando dei cambiamenti che colpiranno il sistema dei prezzi, le assegnazioni d’acqua, i piani istituzionali e la gestione ambientale. Queste riforme sono da realizzare insieme, come un pacchetto, quest’anno.
    Il pacchetto di riforma, include un accordo del COAG per introdurre nel 2001 un sistema di prezzi al pieno costo nelle aree rurali. Ciò significa che i prezzi correnti da pagare per l’acqua sono presumibilmente in salita. In alcuni casi, I prezzi sono già aumentati. Molti governi locali in Australia hanno costruito serbatoi per l’acqua piovana e per il riciclaggio illegale di acqua.23

    Gran Bretagna
    Sin dalla privatizzazione dei servizi idrici effettuata in Gran Bretagna durante il governo Thatcher, I prezzi sono schizzati fino al 450%, con un incremento medio del 67%. Migliaia di persone, non in grado di pagare le bollette, sono state private del servizio. Come risultato, i casi di dissenteria si sono sestuplicati, portando la British Medical Association a condannare la privatizzazione a causa dei rischi collegati alla salute. Mentre i profitti delle compagnie sono enormi e i redditi dei dirigenti volano, nessuno sforzo è stato risparmiato per massimizzare gli utili. In un caso, una compagnia ha iniziato a inviare bollette ad un agricoltore che si serviva di un pozzo. La ditta sosteneva che la pioggia che cadeva sulla proprietà del residente trovava la sua via nel sistema fognario e perciò il residente doveva pagare un servizio.24

    Canada
    L’acqua sta diventando un bene da commercializzare e vendere. Stanno crescendo in Canada le pressioni per privatizzare il controllo dei servizi idrici municipali e per trattare le risorse dell’acqua come un bene da esportare. Compagnie francesi e inglesi rivaleggiano con ditte americane per controllare i servizi idrici del Canada.
    Molte municipalità sono entrare in "partnership" con organizzazioni private. Moncton, ad esempio, ha approvato un accordo che vedrà l’impianto di depurazione dell’acqua della città a manutenzione e funzionamento privati. La compagnia, la US Filter, costruirà l’impianto e lo cederà alla città al suo completamento, in cambio del diritto esclusivo di vendere a Moncton la propria acqua potabile. La compagnia ha richiesto lo status di municipalità per motivi fiscali, sostenendo che essa dovrebbe essere esente da GST.25

    Francia

    In Francia, compagnie private sono state processate per avere fornito acqua inquinata e non potabile. Un rapporto del Governo francese ha rivelato che più di 5.200.000 cittadini ricevono acqua “batteriologicamente inaccettabile”. Anche la corruzione è rampante, con sistemi di tangenti in relazione all’acqua che risultano da condanne di funzionari municipali e da membri di consigli di compagnie idriche messi sotto inchiesta. Le città francesi con acqua privatizzata fanno pagare il 30% in più di quelle con acqua a gestione pubblica. In Francia come in Germania e nella Repubblica Ceca, le municipalità garantiscono I pagamenti alle compagnie se I consumi o I prezzi non sono sufficienti ad assicurare un profitto.26

    USA
    Negli ultimi cinque anni, si è estesa negli USA la privatizzazione dei servizi idrici. I maggiori fornitori la Consumers Water Co., la Dominguez Services, la Southwest Water, la Connecticut Water e la E'Town Corp hanno visto, per gli investitori, dei ritorni di oltre il 20%.
    Nel febbraio del 2001, la US Water News Online27 ha registrato nello stato del Kansas un cambiamento verso il concetto di “diminuzione zero” per l’acqua. La proposta del governatore Bill Graves comporta la politica di “diminuzione zero” per il livello acquifero del Kansas entro il 2020. Questo comporta che l’acqua prelevata da una falda in un certo periodo di tempo non superi la quota d’acqua che si rinnova. Un gruppo d’intervento sulle risorse d’acqua che Graves ha indicato come parte della sua “Iniziativa di Previsione per il XXI secolo” ha sostenuto una politica di diminuzione zero.
    La California riceverà un surplus d’acqua dagli stati nel bacino del Colorado in seguito ad un impegno recentemente firmato che impegna lo stato nel miglioramento dei propri sforzi per la conservazione dell’acqua. L’accordo impegna la California a ridurre la propria dipendenza d’acqua dal fiume Colorado nel corso dei prossimi 15 anni, con l’obiettivo di raggiungere la propria assegnazione di 4.4 milioni di acri l’anno. Senza l’accordo, la California si sarebbe trovata a fronteggiale cause legali potenzialmente costose promosse dagli altri sei stati del bacino del fiume: Utah, Wyoming, Colorado, New Mexico, Arizona e Nevada.
    Per incrementare la disponibilità d’acqua nei prossimi 15 anni, le autorità regionali prenderanno in considerazione passi come la desalinizzazione dell’acqua marina e il trasferimento d’acqua da altrove in California e fuori dello stato.

    Incubo mondiale dell’acqua, 2001-2025
    Nel 2025, ritorniamo a vedere che cosa è accaduto dopo che l’acqua è diventata un bene e studiamo l’effetto degli idrodollari sulla nuova economia. Invece di un mondo di prosperità e abbondanza, noi vediamo un Incubo Mondiale dell’Acqua.
    Nel 2025 è diventato diffuso il commercio globale di acqua illegale. Il numero di morti per acqua inquinata e acqua da mercato nero è in crescita. Si sta diffondendo un’altra classe di sostanze inquinanti l’acqua: i residui di farmaci dati a persone e ad animali domestici. Ne vengono rilevate quantità sempre crescenti nell’acqua di superficie, in quella sotterranea e in quella potabile del rubinetto.
    Nel mondo in via di sviluppo, milioni di persone sono morte di sete e di inedia. Guerre per l’acqua hanno decimato il Medio Oriente, la Cina e parte degli Usa. Vaste aree di terre coltivabili sono divenute desolate, in mano alle corporations che controllano le coltivazioni estensive dove cresce il nostro cibo.
    La trasforzazione dell’acqua in bene economico non ha creato “agricoltura sostenibile” o aiutato l’ambiente. Il mondo è quasi al collasso per l’acidità del suolo. La biotecnologia, la scienza che ha promesso cibo, salute e speranza per il mondo, ha tradito i suoi propositi. Nel 2025, noi vediamo i risultati delle coltivazioni progettate geneticamente meno bisognose di acqua e più produttive. Le grandi carestie che il mondo sta correntemente sperimentando sono un diretto risultato della monocultura basata sulle forniture di sementi geneticamente modificate. Il prezzo del cibo è al di là delle possibilità di molti abitanti cittadini. All’inizio essi si era dati all’orticoltura domestica – prima che questa fosse dichiarata illegale. Ora essi non hanno altra scelta se non contribuire al costo del loro cibo e acqua pagando in natura, con la loro fatica. O morire. Le scienze della vita sono diventate le scienze della morte.
    Se solo noi ci fossimo messi in azione appena questi piani ci furono rivelati. Se solo le nostre proteste non si fossero rivolte ad orecchie sorde. Se solo i nostri governi avessero messo in dubbio le decisione prese al World Water Forum 2000. Invece, essi sono stati acquiescenti ai progetti, spedendo i loro ministri, i lori consiglieri, i loro burocrati e i loro scienziati a prenderne parte. Il vero futuro dell’umanità sulla Terra è stato gravemente messo in pericolo da uomini politici e da corporations avidi, disonesti, affamati di potere. Essi stanno riuscendo a ridurre ad un bene economico ogni componente della Natura. Essi hanno abrogato l’etica e lo spirito della preservazione della vita e li hanno sostituiti con i valori del consumismo aziendale.
    Mercificazione dell’acqua... ingegneria genetica e brevettazione delle scorte di sementi tradizionali... Acqua controllata, cibo controllato, persone controllate... Un’epoca veramente oscura incombe su di noi.



    Note:

    1. Comunicato stampa ONU GA/9259 ENV/DEV/424, 23 giugno 1997. Nel 1997, fu convocata una speciale sessione dell’ONU per fare il punto e valutare l’effettuazione di "Agenda 21", il programma d’azione adottato dalla Conferenza ONU su Ambiente e Sviluppo (UNCED) tenuta a Rio de Janeiro nel giugno del 1992. Queste osservazioni furono fatte dal Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan in un comunicato ai media che discuteva le conseguenze della non effettuazione di Agenda 21.
    2. L’acqua viene ora commercializzata su Internet. Sul sito water2water.com, potete comprare, vendere, trattare o mettere all’asta dell’acqua 24 ore su 24.
    3. I lettori ricorderanno che il sistema dei modelli matematici è stato usato anche dal Club di Roma nel suo rapporto del 1972, “I limiti dello sviluppo”, che prevedeva disastri se la popolazione mondiale avesse continuato a crescere senza limiti.
    4. Gleick, Peter H., "Making Every Drop Count", Scientific American, February 2001, pp. 29-33. Vedi anche Journal of the American Water Resources Association, vol. 25, no. 6, Dicembre 1999, che esamina metadata per quasi 900 riferimenti bibliografici sugli effetti del cambiamento climatico e sulla variabilità delle risorse idriche USA.
    5. Per maggiori dettagli, vedi The Last Oasis: Facing Water Scarcity di Sandra Postel. Il suo studio, finanziato dalla Ford Foundation, fu pubblicato nel 1992 e riedito nel 1997 come parte del Worldwatch Environmental Alert Series. Le raccomandazioni della Postel sono state ribadite dal Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan in occasione del World Water Forum nel marzo del 2000. Il comunicato di Annan ai media era intitolato “L’ONU si impegna a garantire la sicurezza dell’acqua mondiale e la ‘Rivoluzione Blu’, dice il Segretario Generale nel messaggio al World Water Forum"; vedi Comunicato stampa ONU SG/SM/7334 ENV/DEV/534.
    6. Ad esempio, nel Comunicato stampa dell’ONU SG/SM/5931 del 1996, "La comunità internazionale deve agire per evitare la catastrofe imminente delle riserve d’acqua” l’allora Segretario Generale dell’ONU Boutros Boutros-Ghali descriveva l’imminente crisi dell’acqua come “peggiore della crisi del petrolio degli anni ‘70”. Egli stava parlando in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua nel marzo del 1996.
    7. Il primo abbozzo della Visione dell’Acqua Mondiale era disponibile nel 1997. Un secondo è giunto nel 1999. Il documento completo della Visione è stato presentato al World Water Forum nel marzo del 2000.
    8. Si definiscono "greenwash" le situazioni in cui corporations transnazionali mantengono ed espandono i loro mercati ponendosi come amiche dell’ambiente e nemiche della povertà. Il greenwash prende molte forme: da una pia preoccupazione per l’ambiente, espressa in costose campagne pubblicitarie, al “miglioramento continuo” strombazzato in codici di comportamento volontari; dalla creazione gruppi aziendali di facciata dai nomi ad hoc; alla partecipazione di conferenze ed eventi in materia di ambiente sulle multinazionali... Tutti questi impegni raggiungono l’obiettivo di evitare sanzioni nazionali e internazionali per i lavori sporchi delle corporations che sono alla radice di molte crisi ambientali globali. Vedi il libro di Kenny Bruno e Jed Greer, Greenwash: The Reality Behind Corporate Environmentalism, pubblicato da Third World Network e APEX Press, nel 1996.
    9. La missione della Green Cross International è di aiutare a creare le condizioni per un futuro sostenibile coltivando una relazione più armoniosa tra gli esseri umani e l’ambiente. Il Presidente della Green Cross International, Mikhail Gorbachev, è stato invitato a curare un’edizione speciale di Civilization, la rivista della Libreria del Congresso USA, sulla crisi globale dell’acqua. L’edizione è stata lanciata in uno speciale evento a Washington, DC, il 10 ottobre del 2000. Alla Green Cross International è stato assicurato lo status di Consulente Generale con il Consiglio Sociale ed Economico delle Nazioni Unite. Il suo consiglio onorario comprende membri come il Dr David Suzuki, Shimon Perez, Javier Perez de Cuellar, Rudolph Lubbers e il Dr Thor Heyerdahl. La Green Cross International ha svolto un ruolo cruciale nella stesura della Carta della Terra.
    10. Dichiarazione ministeriale de L’Aia, accolta mercoledì 22 marzo 2000 al World Water Forum.
    11. Le compagnie partecipanti al World Water Forum CEO Panel su affari e industria e che hanno approvato questa dichiarazione sono state: Azurix (USA); CH2M Hill Companies Ltd (USA); DHV (Olanda); Heineken NV (Olanda); ITT Industries (USA); Suez Lyonnaise des Eaux (Francia); Nestlé SA (Svizzera); Nuon (Olanda); Severn Trent PLC (Gran Bretagna); Unilever NV (Olanda); Vivendi Water (Francia).
    12. Corporate Europe Observer, "E non una goccia da bere! Il World Water Forum promuove la privatizzazione e la deregulation dell’acqua mondiale ", numero 7, www.xs4all.nl/~ceo/.
    13. Il motto della missione della Banca Mondiale è "Un mondo libero dalla povertà".
    14. Il Jerusalem Morning Post del 1° febbraio del 2001 ha avvertito che la corrente crisi dell’acqua in Israele è “la peggiore della storia”. Il Commissario per l’Acqua Shimon Tal ha dichiarato che, per la prima volta dalla fondazione dello stato, si prevede che quest’anno venga fornita più acqua per usi domestici che per l’agricolture a causa dei piani di riduzione delle quote di acqua dolce per le coltivazioni in media del 50%. Il problema di Acqua per la Pace nel Medio Oriente è stato sollevato al World Water Forum 2000. Mikhail Gorbachev (rapprentante della Green Cross), il Ministro di Giordania Mahadin (in Giordania, la penuria d’acqua sta diventando permanente e l’acqua può veramente diventare una ragione di conflitti), John Frydman di Israele, e l’Ambasciatore Habbab dell’Autorità Palestinese hanno discusso sul problema di acqua e pace nel Medio Oriente.
    15. Sin dal 1948, la Banca Mondiale ha finanziato progetti di grandi dighe che hanno forzatamente spostato circa 10 milioni di persone dalle loro case e dalle loro terre. La stessa rivista della Banca del 1994 “Ristrutturazione e sviluppo” ammette che la grande maggioranza di donne, uomini e bambini sfrattati dai progetti finanziati dalla Banca Mondiale non hanno più riguadagnato I loro precedenti redditi né ricevuto al diretto beneficio dalle dighe per le quail essi sono stati obbligati a sacrificare le loro case e le loro terre.
    16. La Monsanto ha affrontato questo problema creando un nuovo “Golden Rice” progettato geneticamente contenente beta-carotene (una fonte di vitamina A). Il Golden Rice viene ora promosso come la soluzione alla deficienza di vitamina A nei paesi in via di sviluppo.
    17. "L’estensione dei monopoli della Monsanto dale sementi all’acqua", Corporate Watch, agosto 1999, www.corpwatch.org/trac/corner/worldnews.
    18. Barlow, Maude, "Water Is A Basic Human Right - Or Is It?", Toronto Globe and Mail, Canada, 11 Maggio 2000, www.theglobeandmail.com/hubs/national.html [citato anche in NEXUS 7/05 Global News].
    19. Per utleriori dettagli, vedi www.whirledbank.org/development/private.html.
    20. Barlow, ibid.
    21. A Vision for Australia's Water Resources 2025, Final Report, Novembre 1999, preparato per il World Water Council da Integrated Resource Management Research Pty Ltd, Brisbane, Australia (Contratto UNESCO BL 21-05), http://www.catchment.com/.
    22. Comunicato del Consiglio dei Governi Australiani, Hobart, 25 Febbraio 1994, http://www.dist.gov.au/science/pmsec...app3form.html.
    23. National Competition Council, Second Tranche Assessment of Progress on Water Reform in NSW and Queensland, http://nccnsw.org.au/member/wetlands.../nccass1.html.
    24. Estratto da Alberni Environmental Coalition On-Line Library, CUPE's Rapporto annuale sulla privatizzazione 1999, http://www.portaec.net/library/ocean...om_water.html.
    25. ibid.
    26. ibid.
    27. Vedi www.uswaternews.com/homepage.html.

    Sull’Autore:
    Susan Bryce è una giornalista australiana, autrice di oltre 70 articoli di ricerca pubblicati. Susan pubblica la Guida Australiana alla Libertà ed alla Sopravvivenza, che mira a mettere in difficoltà i miti pervasivi che avvolgono la cultura consumistico-aziendale, la globalizzazione e il Nuovo Ordine Mondiale.
    La Guida incoraggia il pubblico dibattito e l’interrogazione sui problemi che sono fondamentali per la nostra futura libertà e sopravvivenza. Tali questioni comprendono l’ingegneria genetica, l’irradiazione del cibo e i problemi correlati, il Grande fratello e il regime di sorveglianza internazionale, il potere delle corporations e il governo globale, e l’autosufficienza nel XXI secolo.
    Per maggiori dettagli visitale il sito di Susan al www.squirrel.com.au/~sbryce/
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    Arkan Crkovic

    LA POVERTA'
    GLOBALIZZATA

    Meccanismi finanziari grazie ai quali gli organismi internazionali (Banca Mondiale e FMI) controllano l’economia dei paesi poveri

    «Arrestare l’impoverimento dei paesi in via di sviluppo cancellando, entro il 2000, tutti i debiti che non possono essere ripagati».
    Dirlo è molto più facile che farlo: eppure è l’obiettivo che numerose realtà laiche ed ecclesiali (raccolte sotto il nome “Sdebitarsi. Per un millennio senza debiti” e in coordinamento con la coalizione internazionale Jubilee 2000) si sono poste già dall’anno scorso, nella scia dell’appello lanciato all’inizio dello scorso anno dalla Cimi — l’organismo che riunisce 16 istituti missionari italiani — per liberare i paesi poveri dal debito.
    Secondo un primo bilancio effettuato dalla rivista “Nigrizia” (Vicolo Pozzo, 1 - 37129 Verona), «Il 27 febbraio scorso sono state consegnate al presidente del consiglio Romano Prodi 300.000 firme; e all’Angelus del 1° marzo papa Giovanni Paolo II ha rinnovato il suo appello a chi ha il potere decisionale affinché venga alleviato al più presto il debito che “grava come un macigno sul destino di molte nazioni del mondo”. A metà maggio a Birmingham (Gran Bretagna), in occasione dell’incontro del G8, 70 mila persone tenendosi per mano hanno simboleggiato la catena del debito. L’iniziativa veniva da Jubilee 2000 (la coalizione ufficiale di una settantina di organizzazioni religiose e laiche che organizza la campagna a livello internazionale). C’erano anche le delegazioni di 16 paesi diversi e rappresentanze di centinaia di ong di molti paesi del mondo. A quella data erano già state raccolte un milione e mezzo di firme. L’obiettivo è 21 milioni di adesioni entro il 2000. Nel documento finale del G8 diffuso il 17 maggio, i grandi del mondo si sono impegnati a sostenere la rapida e puntuale applicazione dell’Hipc, che è il programma della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale lanciato nel 1996 per una certa riduzione del debito (applicato finora solo a Mozambico, Uganda e Costa d’Avorio, e in fase avanzata di esame per Guyana, Bolivia, Burkina Faso, Mali e Guinea-Bissau). Ma l’Hipc è già stato criticato da molti: troppo pochi i paesi contemplati, troppo lunghi i tempi di attuazione. Jubilee 2000 propone un rimedio radicale: la cancellazione di tutti i debiti non sostenibili».
    A giudicare da quanto dichiara il teologo Leonardo Boff nell’intervista riportata alle pagine precedenti, la posizione ufficiale della Chiesa in merito non corrisponderebbe alla realtà dei fatti — ma questo è un altro discorso. Vediamo invece più da vicino che cosa s’intende per debito.

    Ma cos’è questa crisi?
    Adesso come adesso stiamo parlando di qualcosa come 272 miliardi di dollari: vale a dire la somma che il sistema finanziario internazionale ha prelevato dalle tasche dei paesi del sud del mondo nel 1997, fra interessi e rate di ammortamento del debito estero. Facciamo l’esempio della solita Africa: per 1 dollaro di aiuti ricevuti, deve restituirne 3 al solo scopo di pagare gli interessi del debito. Ed esistono altri paesi che assegnano a questo scopo oltre il 30% di quanto producono.
    Come sottolinea M. Castagnaro (un giornalista che si è occupato a fondo dei problemi economici del Sud del pianeta), «è interessante che si parli di debito estero perché oggi — a differenza di ciò che succedeva 15 anni fa, quando non se ne parlava ed era diventato un problema per il sistema finanziario internazionale — è diventato un problema solo per i paesi che sono indebitati. Non è differenza da poco, perché i paesi indebitati sono i paesi poveri, quelli che hanno poca voce nel sistema dell’informazione internazionale, mentre coloro che hanno in mano il sistema delle comunicazioni oggi hanno molto meno questo problema. Le tecnocrazie internazionali, l’establishment economico finanziario, che è poi quello che detiene in grande parte i mezzi di comunicazione a livello internazionale, ha sostanzialmente risolto dal suo punto di vista il problema del debito estero» (“Altrafinanza”, maggio 1997).
    In altre parole, e come ha più volte sottolineato un analista acuto e autorevole come Noam Chomsky, l’indebitamento è in realtà un concetto sociale e ideologico, che non può essere ridotto e ricondotto a mero dato economico: il debito estero è ormai diventato uno strumento di gestione politica — anzi, di controllo — delle difficili relazioni tra Nord e Sud. Il che lo rende, per i creditori, infinitamente più interessante della possibilità di recuperare mai quei benedetti 272 miliardi di dollari annui (i giochi di borsa ne vedono sfumare molti di più): «In teoria, i dispositivi del libero scambio dovrebbero diminuire i salari nei paesi dove sono più alti e aumentarli nelle zone più povere in cui si sposta il capitale, aumentando l’equità mondiale. ma, nelle condizioni attuali, il risultato è assai differente. [...] Herman Daly [economista del Dipartimento per l’Ambiente della Banca Mondiale] fa rilevare che la vasta e crescente offerta di sottoccupati nel Terzo Mondo assicurerà “un’ampia riserva di manoidopera, rendendo impossibile un rilevante aumento dei salari”. Se poi è necessario, la repressione e d il terrore aiutano a raggiungere questo risultato. Ne deriveranno quindi enormi profitti, l’abolizione degli alti salari e delle conquiste sociali, comprese le leggi contro il lavoro minorile, sull’orario di lavoro e la protezione dell’ambiente» (Noam Chomsky, Anno 501, la conquista continua, Gamberetti editrice, Roma 1993, p. 88).

    Il caso italiano
    Un po’ per abitudine, un po’ per pigrizia mentale, molti credono che al centro di questo dramma stiano sempre e soltanto gli Stati Uniti. È vero il “sempre”, ma non il “soltanto”.
    Tanto per restare in Italia, non è poi così semplice capire la posizione del Bel Paese sul debito estero dei paesi poveri. Prima di tutto, riuscire ad ottenere informazioni precise e trasparenti sui debiti contratti dai cosiddetti paesi in via di sviluppo verso le banche italiane (e che alla fine del 1996 venivano stimati in circa 32.643 miliardi di lire) è a dir poco complicato e non certo alla portata di tutti: infatti il ministero del tesoro, responsabile in materia, non ha nessun obbligo di informare il parlamento e il pubblico sulla suddivisione della somma in oggetto, sui finanziamenti (chi dà a chi, e a quale scopo), sui tassi di interesse, sulle condizioni di restituzione, sulle modalità delle attribuzioni eccetera. Il provvidenziale “segreto bancario” avvolge tutto in una nebbia fitta e impenetrabile ai profani — economia e politica, ancora una volta, vanno a braccetto.
    Per amor di chiarezza, prendiamo il caso del Mozambico: «Un paese con cui l’Italia ha da anni rapporti di cooperazione governativa e non governativa; con cui la nostra diplomazia, ufficiale e non, ha lavorato molto per arrivare agli accordi di pace; a cui l’Italia nel ’95 ha condonato quasi la metà del debito bilaterale. Eppure a febbraio proprio l’Italia si è opposta con durezza all’alleggerimento del debito da parte del Club di Parigi (che raccoglie i paesi creditori). E si è anche rifiutata di istituire un fondo comune dei paesi creditori per aiutare a colmare il deficit del Mozambico. Chi conduce la politica estera italiana — si chiede Jubilee 2000 —: il ministero degli esteri o quello del tesoro?» (“Nigrizia”).

    Il denaro virtuale
    In Italia, come in tutto il mondo, il punto nodale della questione è il denaro — o, per meglio dire, la nuova dimensione del denaro contemporaneo. Da qui in poi, ci affidiamo a Castagnaro, che presenta il problema in termini esaustivi oltreché rivelatori: «Il problema del debito estero ci illumina su alcuni elementi fondamentali per leggere oggi la contraddizione nord-sud del mondo. Uno [...] è proprio l’aspetto finanziario, inerente la circolazione del denaro, o la circolazione dei titoli che rappresentano il denaro. Oggi è questo l’elemento preponderante, non a caso se ne parla come dell’ingranaggio più sostanzioso della globalizzazione, della finanziarizzazione dell’economia. Noi abbiamo ormai una massa di denaro, reale o virtuale (dato che ormai circola attraverso la rete del computer) che in larghissima parte non ha alcun legame con operazioni di tipo produttivo; è denaro legato esclusivamente ad operazioni di tipo speculativo. Questa cifra è stimata tra l’1,5 e i 2 miliardi di dollari al giorno, vale a dire una cifra pari al P.I.L. di un paese come la Francia in un anno.
    «Immaginate, quindi, la quantità di denaro circolante del tutto sganciata dalla produzione in qualsivoglia applicazione, nell’agricoltura, nell’industria, o nello scambio di merci, ma puramente fondata su operazioni speculative. Questo aspetto dell’economia internazionale e della finanza è sempre più rilevante».

    Nord/sud
    «La questione del debito estero è stato per una certa fase […] argomento da prima pagina: quando il Messico nel 1982 dichiarò di non poter più pagare il proprio debito estero, si innescò il panico nei mercati finanziari internazionali, perché si percepì il timore che la scelta dei paesi poveri di non pagare potesse mandare il sistema in bancarotta. In realtà quel che ha cercato di fare negli anni Ottanta, tra l’82 e l’89, il sistema finanziario internazionale è neutralizzare dal suo punto di vista questo tipo di minaccia, per cui noi oggi abbiamo un debito estero dei paesi poveri che è molto superiore a quello di 15 anni fa, ma che non rappresenta assolutamente più un problema per il sistema finanziario internazionale.
    «Il debito, come si diceva, è invece ancora un problema per i paesi poveri, perché se un paese ha una esposizione verso l’estero che è nell’ordine dell’ammontare complessivo delle proprie esportazioni di 10 anni, è chiaro che i condizionamenti sulla propria politica economica sono enormi: esistono cioè di norma paesi del sud del mondo che ogni anno dedicano il 40% del loro bilancio al pagamento del debito.
    «Se un paese deve dedicare una fetta così significativa del bilancio dello stato al pagamento del debito, avrà molte poche risorse da manovrare, sulle quali esercitare un’opzione politica e chiaramente questo ha delle ricadute di natura economica, ma anche politiche, in termini di sovranità.
    «C’è un aspetto da sottolineare: non è corretto pensare che il problema del debito estero dei paesi poveri sia equiparabile al nostro debito pubblico. L’esempio dell’Italia vale da solo: il nostro paese, che ha un enorme debito pubblico, è essenzialmente indebitato verso i propri cittadini.
    «Noi siamo abituati a pensare, e in questo la televisione ha un potere micidiale, che i problemi delle finanze dello Stato siano come i problemi di una famiglia, secondo i codici del “buonsenso” sparso a piene mani: se il buon padre di famiglia non ha i soldi risparmia e così deve essere per lo Stato. Lo Stato, invece, non funziona nello stesso modo, perché è indebitato con i propri cittadini attraverso i Titoli di Stato e, in realtà, il debito pubblico non mette a rischio di bancarotta, mentre ha effetti negativi solo in termini di ridistribuzione del reddito. Chi sono, infatti, generalmente i possessori dei Titoli di Stato? La vulgata dice che anche gli operai e gli impiegati possiedono i BOT, ed è vero; però l’80% dei Titoli di Stato è in mano a società finanziarie e alle imprese. Allora, lo Stato deve pagare gli interessi sui Titoli di Stato, ma da dove ricava i soldi per pagare gli interessi? Dalle entrate fiscali, quindi capite chiaramente che se anche non ci fosse il fenomeno dell’evasione fiscale in Italia, si avrebbe, comunque, una ridistribuzione di ricchezza dal serbatoio generale di chi paga le tasse verso chi possiede titoli, quindi chi ha rendite.
    «La situazione non è però assimilabile a quella di una bancarotta, come invece accade ai paesi del Sud del mondo. Questi ultimi, infatti, sono esposti verso banche private straniere e verso organismi finanziari internazionali, non verso i propri cittadini e questo cambia di molto la situazione.
    «Per avere un’idea di cosa sia il debito, basta che prendiate i dati di uno qualunque di questi paesi e analizziate le quote di prestito che ricevono dai governi […], da organizzazioni finanziarie internazionali (banca mondiale, fondo monetario internazionale) e i prestiti che vengono da banche private (internazionali, commerciali, o dalle imprese attraverso gli investimenti esteri).
    «Vi troverete di fronte a un fenomeno del quale già intuitivamente potrete percepire la gravità: solo osservando uno degli aspetti, vedrete che questi paesi devono dedicare una quota che va tra il 25 e il 40% delle loro entrate al pagamento del debito e quindi si trovano continuamente nella condizioni di subire una decurtazione rilevante delle loro risorse disponibili. Ci troviamo, poi, davanti al paradosso constatando che, da quando il debito è diventato un problema rilevante per queste economie, quindi diciamo dagli anni Settanta ad oggi, il debito stesso è cresciuto enormemente,; ne consegue che questi paesi sono oggi molto più indebitati di ieri e nonostante questo sono da allora, dall’inizio degli anni Ottanta, esportatori netti di capitali, cioè mandano verso il nord del mondo molti più soldi — attraverso il pagamento degli interessi o dell’ammontare del debito — di quelli che ricevono attraverso nuovi prestiti, donazioni ecc. II paradosso consiste nel fatto che questi paesi hanno mandato molti più soldi al Nord di quelli che hanno ricevuto, ma nonostante questo sono indebitati più di prima. Caso esemplare in questo è l’America Latina.

    America Latina
    «L’America Latina alla fine degli anni Settanta aveva complessivamente un debito estero valutabile attorno ai 285 miliardi di dollari; nel 1990, cioè dopo 10 anni, il debito estero era di 420 miliardi di dollari, cioè circa 140 miliardi di dollari in più. Nonostante questo, in quest’arco di tempo l’America Latina era stata esportatrice netta di capitali per circa 160 miliardi di dollari, aveva cioè mandato al Nord 160 miliardi di dollari in più di quelli che aveva ricevuto.
    «Il problema dal 1990 in poi non è cambiato, visto che l’America Latina ha superato i 600 miliardi di dollari (dati ’97) e continua ad essere esportatore netto di capitali.

    «Come mai è accaduto tutto questo?
    «Sotto accusa sono sia cause interne sia cause attribuibili al sistema finanziario internazionale.
    «Le prime sono le più semplici da capire: sostanzialmente questi soldi non sono stati spesi in maniera produttiva; quando si riceve un prestito, la convinzione di poterlo restituire si basa sull’impiego di quei soldi in una maniera che permetterà non solo di rendere l’investimento sensato dal punto di vista della spesa e del ricavo, ma anche di poter in un X periodo di anni avere un surplus che consentirà di rimborsare il debito. In questi paesi non è avvenuto: una grande quantità di denaro è finita, infatti, in queste voci di spesa:
    1) spese militari, cresciute in maniera consistente a causa dei regimi militari (anni Settanta fino alla metà degli anni Ottanta);
    2) opere faraoniche spesso non produttive (cattedrali nel deserto, interventi che già funzionano poco nei paesi sviluppati, figurarsi in paesi con infrastrutture deboli: inevitabilmente finiscono per essere insostenibili anche dal punto di vista economico,
    3) corruzione. Ingenti somme sono state intascate da dirigenti, politici, capitani di industria, e sono finite poi di nuovo nel circolo del denaro del supercapitalismo internazionale, tramite le commesse, tramite operazioni pseudo- commerciali che servivano ad abbassare il prezzo, poiché le élite economiche di questi paesi sono élite legate al capitale internazionale, legate alle grandi multinazionali. Quindi fuga di capitali, che transitano soltanto nei paesi poveri e nelle mani delle élite, per poi ritornare nei paesi che contano, dove queste élite hanno intestati i loro conti, molto consistenti, a volte pari al debito estero.
    «Il Messico, che aveva un debito estero fino alla crisi del ‘95 nell’ordine di 110 miliardi di dollari, oggi sarà pari a 170, 180 miliardi di dollari. All’estero, nelle banche dei paesi sviluppati ci sono circa 120, 130 miliardi di dollari messicani.
    «Il meccanismo è facile da capire: vi è stato uno spreco enorme di questo denaro che non è stato utilizzato per fini produttivi e che avrebbe permesso il rientro dei prestiti. Ma c’è poi un altro meccanismo più tipico, più pregnante, che rende meglio l’idea dell’interconnessione dell’economia internazionale.
    «Questi paesi hanno assistito alla grande crescita, iniziale, del loro debito negli anni Settanta, anni caratterizzati da due importanti shock petroliferi, 1973 e 1979: i paesi OPEC aumentano il prezzo del petrolio che raggiunge i 70 dollari al barile — a prezzi di oggi […]. Cosa succede? I paesi ricchi pagano una bolletta petrolifera molto più elevata ai famosi sceicchi. Il sistema finanziario internazionale si trova, quindi, con un’abbondanza di quelli che allora si chiamavano petrodollari, e che vengono riversati nelle banche private, nelle banche commerciali dei paesi ricchi. Naturalmente una banca guadagna sull’investimento del denaro, non semplicemente tenendolo in cassaforte, per cui le banche hanno necessità di investire questo denaro. I tassi di interesse si abbassano molto e si propone la possibilità di accedere a prestiti molto vantaggiosi ai paesi poveri, che trovano in questo, al di là di tutte le distorsioni, l’opportunità per avere denaro per investimenti a un tasso di interesse basso.

    Gli anni Ottanta
    «Questo accade fino al ’79, quando questi paesi accumulavano consistenti debiti, ma in una situazione in cui le politiche adottate nei paesi ricchi, in espansione, accettavano ancora tassi elevati di inflazione (in Italia nel ’79 si arrivò al 20% annuo di inflazione); Tra il 1980 e il 1981, però, la politica cambia completamente: nel 1979 al governo in Inghilterra sale la signora Thatcher, due anni dopo negli Stati Uniti Ronald Reagan, con i quali assistiamo al cambio drastico del tipo di impostazione economica. Le loro politiche neoliberali hanno come obiettivo fondamentale proprio quello di sconfiggere l’inflazione, o di ridurla a livelli bassissimi. Come si fa per ridurre l’inflazione? Si alzano i tassi di interesse e si fanno politiche restrittive.
    «La logica è questa: se sul mercato è presente molta moneta, il denaro costa poco, si fanno quindi molti investimenti, con margini di profitto anche limitato. Questo porta, oltre certi limiti, a un aumento dell’inflazione, a un surriscaldamento dell’economia. Per raffreddare l’economia si compie una manovra di stretta economica, si alzano cioè i tassi di interesse, si possono così fare solo investimenti che danno una redditività sufficientemente alta per pagare tassi di interesse più elevati. Ciò comporta una serie di conseguenze per i paesi ricchi, tra cui quelle politiche di tipo restrittivo, neoliberali, che stiamo conoscendo ancora oggi. Il tutto ha conseguenze importanti sui paesi del Sud del mondo, perché i prestiti che questi paesi avevano contratto erano a tasso di interesse variabile. Giacché, infatti, le politiche economiche erano rimaste invariate da diversi anni (dagli anni Trenta), e nulla faceva presupporre un cambiamento di situazione, il fatto che ci fossero tassi di interesse variabile non sembrava rilevante in quel momento. Vi era una grande disponibilità di denaro e questi paesi non si erano cautelati nello stabilire che i tassi di interesse fossero invece fissi, bassi e fissi.
    «Le nuove classi dirigenti dei paesi ricchi, le stesse che legittimano gli organismi finanziari internazionali — il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale sono organismi internazionali cui partecipano 150-170 paesi, ma nei quali non vige il sistema di “una testa un voto”, perché la rappresentanza è proporzionale alla quota di capitale: Stati Uniti, Giappone, Francia, Germania, Gran Bretagna, controllano circa il 42-45% dei voti, oltre il 50% con Italia e Canada —, avendo deciso di adottare politiche di tipo restrittivo per raffreddare le proprie economie e combattere l’inflazione, automaticamente i paesi che si erano trovati ad aver contratto prestiti all’1%, si sono trovati a pagare l’anno successivo il 10% di interesse.
    «A questo punto i paesi interessati dal debito cercavano di pagarlo con gli interessi, e di recuperare nuovo denaro aumentando l’esportazione; ma se un’operazione sul tasso di interesse la si fa in un minuto, aumentare del 50% la produzione, per esempio di caffè, è un’operazione che non si fa in 10 giorni; per di più, se si pensa di ottenere denaro che serve per pagare il debito producendo più caffè, mentre anche gli altri paesi fanno la medesima operazione, accade che il prezzo del caffè crolla; allora paradossalmente si produce sì più caffè ma ad un prezzo unitario inferiore, quindi si produce molto di più, ma portando a casa meno denaro.
    «L’altro sistema consiste nel chiedere un prestito per pagare gli interessi, e qui si innesca la spirale perversa: si chiedono prestiti per pagare gli interessi su prestiti precedenti il meccanismo si autoalimenta fino a raggiungere situazioni paradossali che rappresentano il nocciolo della questione del debito estero.
    «Perché oggi il problema non è più del sistema finanziario internazionale, ma lo è solo per questi paesi, quindi non se ne parla?
    «Poiché nella seconda metà degli anni ’80 sono stati adottati, o sono stati proposti, o imposti una serie di piani da parte degli organismi finanziari internazionali, nell’85 e nell’89, allorché si prendeva atto che il debito non era pagabile — certi paesi il debito non lo pagheranno né adesso né mai — si dovevano trovare dei meccanismi (non si condona il debito, perché questo vuol dire violare una regola essenziale del sistema finanziario internazionale: chi ha un debito lo deve pagare), per risolvere in primo luogo il problema delle banche private. Per tutta una prima fase, infatti, l’esposizione di questi paesi era soprattutto con banche private, commerciali; alcune di queste all’inizio degli anni ’80 subiscono il contraccolpo del rischio che il debito non venga pagato, con conseguenti fallimenti.
    «Per risolvere questo problema gli organismi finanziari internazionali, quindi Banca Mondiale e Fondo Monetario, hanno concesso prestiti affinché questi paesi potessero ricomprarsi parte del proprio debito a prezzi scontati. Questo sistema certamente consolida le banche, anche se naturalmente socializza le perdite; il sistema finanziario internazionale copre queste banche private che riescono a ridurre di molto le proprie sofferenze e riescono a recuperare parte dei loro crediti.
    «Per i paesi indebitati la situazione invece non cambia di molto, perché se è vero che ottengono una certa riduzione del proprio debito, restano comunque in gran parte indebitati anche se adesso con gli organismi finanziari internazionali.
    «Il secondo aspetto, connesso al primo, è che si spingono le banche a utilizzare il cosiddetto “mercato secondario dei titoli di debito”. Se per esempio la Bolivia ha 100 milioni di dollari di debito che non potrà mai pagare, si valuta quanto può valere questo titolo che dice che la Bolivia ha 100 milioni di dollari di debito. Valutiamo, seguendo l’esempio, che esso valga 10 milioni di dollari, cioè un decimo, sul mercato secondario si può comperare quindi un titolo del debito di 100 milioni di dollari per 10 milioni di dollari. Una impresa multinazionale può valutare interessante questa operazione e comperare a 10 milioni di dollari un titolo di 100 milioni di dollari, che poi la Bolivia deve pagare in moneta locale. Come può pagare? Vendendo alla multinazionale alcune imprese, ma acquistarle in moneta locale significa acquistarle a prezzo stracciato.

    Svendita nazionale
    «Questo sistema ha permesso alle grandi imprese multinazionali di comprare, a prezzi di grandissimo realizzo, comparti consistenti del settore industriale dei paesi del Sud del mondo. Il meccanismo ha permesso sostanzialmente di risolvere il problema del debito a vantaggio del sistema finanziario internazionale, ma naturalmente non ha risolto il problema dal punto di vista dei paesi poveri, perché quando si ha un debito il problema fondamentale sono gli interessi. In pratica si subisce un drenaggio costante di risorse, poiché, anche se non vi è alcuna prospettiva di pagare il capitale di debito, comunque questi paesi devono continuare a pagare gli interessi, con un deflusso costante di risorse che paradossalmente nel giro di un certo numero di anni potrà anche essere superiore all’ammontare del capitale, restando come un drenaggio costante.
    «Una terza possibilità è costituita dall’accedere ad alcuni trattamenti di favore, a nuovi prestiti e ad accordi legati alla possibilità di cedere una parte del proprio debito ad un prezzo inferiore — queste manovre non vengono svolte soltanto dalle multinazionali, esistono grandi organizzazioni ambientaliste come il WWF che hanno acquistato pezzi di debito estero al mercato secondario in cambio di pezzi di territorio da adibire a riserva naturale, giustificando l’operazione in un’ottica di tutela ambientale. Un metodo discutibile, perché investe il problema della sovranità nazionale: si tratta di uno scambio debito contro natura, mentre lo scambio della multinazionale si chiama scambio debito contro titoli di proprietà di imprese nazionali.

    Fine della sovranità
    «Per accedere a questi meccanismi qual è la proposta imposta dagli organismi del sistema finanziario internazionale? Quali garanzie chiedono in cambio dei prestiti finanziari?
    «Chiedono di controllare le decisioni sulla politica economica del paese, per avere la garanzia che sia in grado di restituire i prestiti.
    «Questo si è tradotto nei piani di riaggiustamento strutturale, le ricette neoliberali, cioè, del Fondo Monetario Internazionale, molto semplici da capire, anche perché le abbiamo viste applicate negli ultimi anni anche da noi.
    «La filosofia è questa: chi ha un debito da pagare deve da una parte lavorare molto, vendere molto, cioè deve guadagnare, dall’altra parte non deve consumare, deve cioè spendere poco e incassare molto, in modo da ottenere un grande avanzo, una grande differenza positiva tra entrate ed uscite, necessarie per pagare il debito.
    «Allora le regole sono: bloccare i salari, svalutare la moneta, aumentare le tasse dirette, tagliare la spesa pubblica, aumentare gli interessi, sfruttare le risorse naturali, esportare.

    «Come si fa a spendere di meno?
    «1. Ridurre la spesa pubblica: licenziare i dipendenti pubblici, ridurre le spese sociali (eliminare i sussidi alla produzione e al consumo, eliminare i sussidi dati alle imprese dei trasporti pubblici, i sussidi dati alle famiglie, ai produttori per tenere i prezzi dei beni di consumo più bassi. Tagli sulla spesa della sanità, della istruzione, della assistenza sociale). Il capitolo spese militari è invece un capitolo delicato da toccare.
    «2. Svalutare la moneta per poter aumentare le esportazioni. Se si ha una moneta molto competitiva le esportazioni avranno una maggiore capacità di penetrazione nei mercati internazionali.
    «3. Aumentare le entrate statali attraverso l’incremento delle tariffe dei servizi, le privatizzazioni, l’aumento delle imposte dirette.
    «Questi paesi hanno sistemi fiscali pessimi, difficilmente progressivi, con una fascia molto ridotta di contribuenti.
    «4. La liberalizzazione finanziaria e commerciale, la eliminazione del controllo sui tassi di cambio per permettere la svalutazione. La riduzione delle barriere doganali, perché si sostiene che un’economia aperta è un’economia più efficiente.
    «La liberalizzazione dei movimenti di capitale ci dà la possibilità di fare qualche rapida considerazione su ciò che sta avvenendo in questi ultimi anni.
    «È intuitivo che questo tipo di politiche neoliberali hanno una conseguenza fondamentale: far pagare il debito ai ceti medi e alla classe popolare.
    «Abbiamo una riduzione del potere di acquisto dei salari che normalmente è nell’ordine del 50-60% nel giro di 15 anni, questo vuol dire anche meno servizi, tariffe più elevate...
    «Questo modello innesca anche un problema di tipo economico: la liberalizzazione doganale, quindi del mercato delle merci, e del movimento dei capitali, porta in genere a dei grossi deficit della bilancia dei pagamenti.

    «Quando una moneta è stabile?
    «Una moneta è stabile sostanzialmente quando un paese esporta più di ciò che importa, e in questo caso la moneta è forte. Viceversa, un paese che importa più di quello che esporta ha una moneta debole. Quando vi è un deficit della bilancia dei pagamenti, la moneta è sottoposta ad una tensione. Come si fa per evitare la svalutazione della moneta?
    «Si applicano alti tassi di intesse, per far sì che affluisca capitale dall’estero, in questo modo, poiché la bilancia dei pagamenti è data da una parte dalla bilancia commerciale, dall’altra dalla bilancia dei movimenti di capitale, si compensa il deficit della bilancia commerciale con l’arrivo di capitali dall’estero. Perché una moneta sia stabile, la bilancia dei pagamenti deve essere in pareggio.
    «La bilancia dei pagamenti, sintetizzando, è fatta da due sfere importanti, la prima è quella commerciale, la seconda è quella dei movimenti di capitale. Perché sia in pareggio le possibilità sono:
    1) i due piatti della bilancia sono entrambi in pareggio, quindi la sommatoria risulta in pareggio;
    2) un piatto è in surplus e l’altro è in deficit, o viceversa.
    «Se si ha un deficit in una delle due poste, per mantenere un livello di stabilità della moneta e quindi una situazione di pareggio, si dovrà avere l’altra posta altrettanto in surplus. In questa situazione si crea però un aumento delle importazioni, soprattutto di prodotti primari, che supera in genere le esportazioni, a maggior ragione perché le materie prime (ciò che questi paesi esportano) hanno conosciuto negli ultimi 20 anni un tracollo nei loro paesi (il cacao negli anni 80 ha perso l’80% del suo valore).
    «Nel momento in cui si ha questo deficit nella bilancia commerciale, si dovrà avere un surplus consistente nella bilancia dei capitali, si dovranno cioè attirare movimenti di capitale.
    «Come fare? Devono essere pagati molto, più del mio vicino.
    «Noi abbiamo avuto economie che hanno dovuto tenere i tassi di interesse molto elevati, e questo ha consentito un afflusso consistente di finanza internazionale, di capitali internazionali (del 98% dei soldi che circolano nel mondo, una bella fetta è andata a questi paesi), ma si tratta di capitale che si sposta molto facilmente, è sufficiente che un altro paese applichi un tasso di interesse più elevato.
    «Già di per sé avere un deficit della bilancia commerciale consistente è un elemento di tensione, perché si devono tenere i tassi d’interesse molti elevati e si diventa perciò molto dipendenti dall’afflusso di questi capitali; nel momento in cui sono subentrati degli elementi che hanno allontanato questi capitali, si è creato un effetto valanga che ha trascinato nel baratro l’economia.
    «Gli effetti che possono provocare uno spostamento di capitale possono essere molto diversi, immediatamente percepibili (il debito degli Stati Uniti è pari a quello di tutti i paesi del Terzo mondo), ma possono essere anche fattori politici. Un paese in una situazione di instabilità politica non è molto appetibile per gli investimenti, non soltanto perché si nazionalizzano le fabbriche, ma perché molto spesso funzionano meccanismi di tipo psicologico (pensate a quanto si è insistito sulla necessità di recuperare la credibilità dell’Italia sui mercati internazionali!).
    «Quei 2 mila miliardi di dollari che ogni giorno circolano nel mondo non sono gestiti da noi: gli operatori finanziari spostano le valute da un posto all’altro e oggi hanno sempre più peso e rilievo quegli strumenti finanziari che giocano esclusivamente sulla differenziale dei tassi di cambio.

    Conclusione
    «La situazione che ci troviamo di fronte oggi per la prima volta in vent’anni rende non solo necessaria, ma credibile, convincente, la necessità di andare oltre, di modificare, di non farci coinvolgere nell’impostazione economica neoliberista.
    «Ci sono alcune proposte anche molto banali sulle quali anche nella società civile si comincia a discutere, per esempio la Tobin tax, una tassa cioè per i movimenti di capitale. È significativo che il premio Nobel per l’economia sia stato dato ad Amartya Sen e che l’anno scorso sia stato dato a due economisti americani che avevano svolto uno studio, una ricerca particolarmente interessante su queste forme di investimento finanziario molto rischiose, complesse. Oggi è necessario cercare di capire se soggetti diversi, con provenienza diversa, con scuole di pensiero economico diverse, riescano a contribuire a sostenere idee capaci di demistificare la religione del neoliberismo, diventato ormai il “senso comune” di politici, imprenditori, economisti.

    - TRATTO DA ORION N°165 -
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    Aleksandr Dugin

    L’evaporazione dei fondamentali nella new economy
    L’ontologia problematica del turbo-capitalismo


    In che cosa consiste la specificità della cosiddetta “new economy”? Tra tutti i parametri di solito messi in atto, a nostro avviso è specialmente necessario sottolineare la de-materializzazione del settore reale, vale a dire l’essenziale cambiamento di proporzioni tra l’entità e la struttura dei capitali che circolano da una parte nei settori tradizionali dell’economia classica (produzione, servizi, investimento) e dell’altra nel campo dei mercati borsistici, della finanza virtuale, della scommessa sui mercati dei fondi pensione e dei derivati di tipo più disparato (swaps, futures, warrants, put-options etc.). Il noto economista americano H.B. Litvak, (che una volta, tra l’altro, propugnava e sviluppava il concetto di “geo-economia”), ha proposto di definire la “new economy” come "turbo-capitalismo". Nell’economia turbo-capitalista – in quanto contro l’economia del classico capitalismo industriale – il settore puramente finanziario speculativo, la scommessa borsistica, le operazioni ad alto rischio e a breve termine in strumenti di credito finanziario (che una volta costituivano non più di un frammento, di un settore dell’economia classica) mostrano una crescita sproporzionata, divengono autonome; esse eludono il modello classico dell’equilibrio di mercato, in cui l’area della finanza pura ha sempre conservato una certa correlazione alla produzione, alla dinamica della relazione tra offerta e domanda incentrata su beni concreti.
    Alcuni teorici dell’ “analisi tecnica” dicono che i moderni mercati e specialmente quelli dei fondi pensione e dei derivati, operano in una condizione separata dai normali fondamentali dell’economia capitalistica, diventando indipendenti dalla sfera della produzione reale. I volumi finanziari coinvolti nel settore reale del credito ed i meccanismi di investimento sembrano essere di molto inferiori al volume del capitale virtuale che circola nel campo delle scommesse di borsa. In certe fasi di questo processo vi è un fenomeno estremamente interessante: a certi livelli di sfasamento dei tempi di mercato, la dinamica dell’evoluzione dei prezzi diviene completamente indipendente dalla componente economica delle azioni, perché la velocità del calcolo razionale dei fondamentali appare considerevolmente più lenta del tempo necessario ai giocatori di borsa per prendere una decisione. E di conseguenza, alcuni precisi momenti del gioco di borsa sfuggono alla logica della dinamica di formazione dei prezzi tipica del capitalismo classico. Un simile fenomeno era stato individuato anche in precedenza ed alcuni sostenitori del sistema classico erano inclini a ridurre questo fenomeno a fluttuazioni casuali (teoria del percorso casuale), che sembravano anomalie solo ad una approssimazione assai grande, essendo inserite in modelli di medio-lungo termine all’interno della logica normativa dell’evoluzione di mercato.
    Una caratteristica distintiva del turbo-capitalismo è che in pratica esso si basa sul considerare situazione normale queste anomalie, conferendo loro un autonomo valore teoretico. Fluttuazioni a breve termine delle tendenze dei prezzi e operazioni ad alto rischio negli strumenti di credito finanziari e nei derivati finiscono per essere il criterio prioritario per valutare il passo dello sviluppo economico; ed il volume crescente del capitale impiegato in questo settore, rispetto ai settori tradizionali, è la dimostrazione di questo sviluppo. Le contabilità della circolazione di capitali del settore virtuale generano il quadro impressionante di prosperità della "new economy", e il frenetico coinvolgimento di semplici cittadini nel gioco di borsa (di questi tempi una quantità senza precedenti di individui della borghesia USA sono azionisti – cioè il 50% di tutti gli Americani!) avvalora questa illusione.
    Tale indirizzo alla virtualizzazione nelle condizioni del turbo-capitalismo è accompagnato dall’incremento del settore dei servizi all’economia, dal momento che la principale massa monetaria circola non nel campo della produzione, ma nel campo dei settori di seconda linea. La old economy, limitata al settore reale, è svalutata e inizia ad essere considerata un’area minore, sussidiaria. Manager, specialisti nel campo delle tecnologie di PR, designers, stilisti, etc. sono incomparabilmente meglio retribuiti dei lavoratori della sfera manifatturiera o anche della sfera commerciale.
    Il processo di virtualizzazione viene anche rispecchiato nel tipo di compagnie che divengono centrali nel gioco di borsa. Sono le compagnie collegate alle "high technologies", all’informatizzazione ed alla logistica dell’informatizzazione. Le principali aspettative degli azionisti puntano in questa direzione, che è quanto più possibile pubblicizzata su scala globale come “destino economico dell’umanità”. Curiosamente, queste compagnie hi-tech vengono valutate secondo la loro quotazione azionaria, essenzialmente diversa dalla loro reale redditività. Ed il gap tra la capitalizzazione di mercato e la reale efficienza (redditività) raggiunge a volte percentuali a tre cifre. Valga come esempio il caso della company di Internet, Yahoo, in cui il gap raggiunge la cifra senza precedenti del 1000 %! In altre parole, la gente investendo denaro nelle azioni delle ammiraglie della "new economy" (Microsoft, AOL etc.) è guidata da due differenti motivazioni. In una prospettiva a lungo termine essi acquistano efficienza futura, cioè pagano la loro convinzione che queste compagnie, non così efficienti, possano in seguito realizzare un balzo qualitativo. Ponendosi in questa convinzione, causando aspettative, gli azionisti ottengono la parte del leone sui profitti ricavati dalla "new economy". Apparentemente, le categorie “aspettativa” ed anche “convinzione” non sono che virtuali. Le aspettative possono rivelarsi vere, ma possono anche non esserlo. Anche l’efficienza di queste compagnie è virtuale. La sola cosa non virtuale, reale, in questa situazione è l’aumento delle quotazioni delle azioni – e tutti i partecipanti al processo possono essere completamente convinti di questo, avendole cambiate in moneta contante. Dal momento che l’intera macchina della "new economy" è diretta al sostegno di queste aspettative, tali controlli non raggiungono una massa critica, rimanendo dei casi particolari: avendo comprato e rivenduto le azioni con profitto, senza nessun problema, il possessore sarà necessariamente esposto alla tentazione di ripetere l’affare.
    Così nel turbo-capitalismo ha luogo un’evaporazione dei fondamentali. Che cosa sottolinea il termine “evaporazione” (in latino "evaporatio")? Non che il capitale svanisce nel processo di circolazione della "new economy", ma che esso cambia considerevolmente la sua qualità. Nel modello classico il denaro è il sangue dell’economia. Credito, investimento, strumenti finanziari, azioni, prestiti, etc., servono alla fine al settore reale, creando un ambiente operativo per la crescita, la metamorfosi e la scomparsa di beni. I più astratti modelli economici che si riferiscono al capitalismo industriale non attribuiscono alcun valore ontologico autonomo alla sfera finanziaria. Così il capitale rimane confinato alla realtà materiale (o semi-materiale) della vita economica, pur essendo un elemento derivato, anche se con un enorme grado di indipendenza. Per quanto complesso possa essere, esso è comunque solo una funzione del settore reale, una sua logistica, una sua ingegnosa proiezione.
    Nella teoria liberale classica, le realtà ontologiche di base del mercato rimangono comunque i cosiddetti “fondamentali”, cioè gli assai concreti e verificabili equilibri tra offerta e domanda, collegate a beni concreti (o servizi). Questi fondamentali sono gli oggetti delle più complicate manipolazioni rompicapo che formano anche il tessuto vivente della storia economica. L’essenza del Marxismo è l’esposizione di alcune di queste manipolazioni. Ma in ogni caso i fondamentali sono salvati, qualsiasi sia la posizione tenuta in relazione ad essi dai principali attori del processo economico.
    Nella "new economy" questi fondamentali subiscono una trasformazione qualitativa. La sfera della finanza virtuale e gli strumenti di credito finanziario iniziano passo dopo passo ad affermare il proprio diritto a cancellare la realtà dei fondamentali di mercato, come basi del sistema operativo direzionale. E di conseguenza, si appropriano per sé dello status di realtà finale, postulando i fondamentali di mercato in base alle proprie regolarità inerenti, quando e ovunque sia necessario. Nel turbo-capitalismo il primario ed il secondario, la base e la sovrastruttura scambiano i loro posti – in questo viene mostrata l’essenza stessa della sua virtualità. Virtualità è possibilità, i fondamentali del mercato sono gli elementi della realtà. La “new economy” postula che i processi nella sfera del possibile siano autonomi in relazione alla realtà. D’ora in avanti, l’offerta e la domanda ed anche la concreta relazione tra di esse non sono più i “fatti atomici” della gestione. Al contrario, esse vengono concepite come conseguenze collaterali dei trend di oscillazione delle scommesse borsistiche. L’offerta e la domanda possono essere totalmente provocate o viste in modo artificiale, dipendendo dai processi autonomi dei mercati.
    Attraverso l’evaporazione, i fondamentali sono trasferiti ad uno speciale livello di esistenza – essi non sono più soggetti e relazioni costruiti in riferimento a soggetti, ma segni e relazioni che sorgono in riferimento a segni (vedi G.Debord, J.Baudrillard etc.).
    Il segno diviene l’equivalente elementare della virtualità. Così il segno, inizialmente assunto solo a temporanea sostituzione della cosa, per servire come suo sostituto relativo e convenzionale, acquista un’ontologia autonoma, uscendo dall’associazione alla cosa significata, mostrando – da un certo momento – solo se stesso. E inoltre, il segno può essere interpretato attraverso cose differenti, non avendo un preciso equivalente, ipnotizzando le coscienze per il fatto stesso della sua presenza, del suo valore intrinseco. La contemplazione stessa del segno acquista un valore, il confidare che esso esista, che esso sia qualcosa di vicino. Il segno può così provare la sua reversibilità nei fondamentali a coloro che sono troppo diffidenti o retrogradi; ma il senso del turbo-capitalismo è che questa reversibilità è così “ovvia” che ogni tentativo di controllarla con la realtà è concepito come qualcosa di fastidioso e inappropriato, “incivile”. “La saggezza convenzionale crede nel segno” – ecco l’imperativo della “new economy”. Dubitare di esso vuol dire mostrare un’assoluta inverosimilità, “navigare contro corrente”.
    Ecco come può essere un’obiezione: il modello descritto non rappresenta che una stupida illusione. La “old economy”, vedete, non scompare dappertutto, le sue leggi non sono state abrogate da tutti. E se il settore reale non si svilupperà o generalmente non opererà, il fosforescente sistema delle piramidi virtuali e dei mercati surriscaldati, nonostante tutti i convincimenti ipnotici, cadrà comunque…Quando il gap tra i fondamentali evaporati (fondati sull’ontologia del segno) ed i reali, classici fondamentali raggiungerà una forma critica, ci saranno un collasso, una recessione, un crack di borsa, e tutto ritornerà di nuovo all’ineludibile modello classico, al settore reale, etc. In realtà, le cose sono molto più complesse.
    Ma vediamo: qual è l’origine di un simile punto di vista dei manifesti o impliciti sostenitori della “old economy”, che criticano il turbo-capitalismo e prevedono la sua inevitabile fine? Al fine di comprendere convenientemente l’ontologia della “new economy” è necessario ritornare al passato. E’ vero, oggi la realtà dell’ “evaporazione dei fondamentali” dell’economia sta incombendo più sempre più vicina. Ma quegli stessi fondamentali – quando e come hanno acquisito la qualità di referenza di base della realtà ontologica? I sostenitori della “old economy” generalmente trascurano tale problema. Per essi il contenuto ontologico della comprensione economica della realtà appartiene alla categoria dei postulati: l’economia e le sue leggi di sviluppo sono i fondamentali, dal momento che sono connesse con gli aspetti elementari, primari, fondamentali della vita umana – con la soddisfazione dei bisogni materiali primari e con la complessa sovrastruttura socio-psicologica e politico-economica che sorge sul loro fondamento. L’economia classica – sia liberale che marxista (come sua derivazione eterodossa) – è partita (silenziosamente, ma anche esplicitamente) dal riconoscimento della profonda natura ontologica dello sviluppo economico. L’economia, il polo economico venivano visti come il fondamento più profondo della vita umana, come una caratteristica della realtà, nel suo senso etimologico – “l’essere cosa” [veschnost’].
    L’economocentrismo è il denominatore generale della maggior parte della visioni sociali e politiche della modernità. L’economia è vista come la realtà originaria dello sviluppo sociale e, nello stesso tempo, come un destino. Il dibattito con coloro che difendevano differenti equazioni ontologiche è stato vinto da molto tempo. Per questa ragione il contesto filosofico in cui si trova oggi l’argomento della “new economy”, lo svelamento dell’ “ontologia del turbo-capitalismo”, ed in particolare, i segnali d’allarme sulla catastrofica “evaporazione dei fondamentali”, sono strettamente delimitati dai presupposti paradigmatici – l’ontologia del mercato classico e la prospettiva allarmante della sua perdita (trasmutazione) nelle nuove tendenze di transizione verso la virtualità. Così lo sviluppo della virtualizzazione è riconosciuto dai sostenitori della “old economy” come una disastrosa aberrazione, come certi casi storici di “evoluzione in un vicolo cieco”. A più lungo termine la loro prognosi è: o il grande collasso del turbo-capitalismo e il ritorno agli standard classici dell’economia o la catastrofe totale. E’ assai interessante che gli apologeti della “new economy” (le cui conclusioni filosofiche debbono comunque essere ascoltate con grande prudenza, (dal momento che sono tatticamente motivati e lautamente pagati) risolvano questo problema in modo più spiritoso e (a nostro vedere) più coerente: essi affermano che la virtualizzazione dell’economia e il divenire autonomi da parte dei segni non portano in sè niente di particolarmente drammatico e che l’umanità (forse non tutta l’umanità) si troverà bene nello spettacolo che si autogenera, come a suo tempo assimilò la sfida dell’Età Moderna e in seguito approfondì il suo economocentrismo. Questa posizione – assunta con alcuni correttivi – è più interessante degli “avvertimenti dei classici” (per non menzionare le sparate da retroguardia di certe specie di marxisti, bloccati sul post-industrialismo). Là, dove gli apologeti della “old economy” identificano una rottura senza precedenti, i sostenitori del turbo-capitalismo vedono un continuum; ciò che i “classicisti” considerano come una deviazione casuale, è identificato dai “virtualisti” come una fase unicamente logica, che differisce da tutte le precedenti.
    Per un più adeguato approfondimento dell’essenza del problema, è necessario rivolgersi al contesto storico e paradigmatico in cui sono comparse le prime teorie economiche. Certamente, alcuni definiti aspetti della comprensione dell’economia sono sempre stati comuni a tutte le società. Ma fino ad un preciso, strettamente fissato momento storico, essi non rivendicarono (e per una serie di cause non potevano rivendicare) lo status di disciplina indipendente, e per di più una funzione di interpretazione filosofica prioritaria. Questo divenne possibile solo in seguito, quando l’attenzione generale dell’umanità fu assorbita dalla libera ricerca di sistemi di interpretazione inauditi – nel campo dell’ontologia, dell’epistemologia, della metodologia, etc. – dove il successo fu a volte spiegato da uno stravagante approccio nichilistico (nei confronti degli standard convenzionalmente stabiliti – giudicati cumulativamente come “reliquie” e “pregiudizi”). Certo, stiamo parlando dell’Età Moderna, dell’Età dell’Illuminismo, etc. Lasciateci sottolineare che al principio delle loro costruzioni teoretiche, Adam Smith e altri fondatori dell’economia politica non rivendicarono una generalizzazione ontologica, in quanto esse venivano considerate come uno strumento ed uno sviluppo applicativo dell’approccio generale liberal-meccanicistico, mettendo in opera i parametri socio-filosofici di Francis Bacon, John Locke e Thomas Hobbes ed il metodo di applicazioni fisico e matematico di Galileo Galilei e Isaac Newton, all’area dell’economia. Ma su questo campo applicativo iniziale dell’economia politica furono incentrati tutti i motivi principali dell’Età Moderna, espressi in semplici formule fisiche e matematiche. La derivazione dell’uomo e dell’esperienza umana e, di conseguenza della vita umana, da certe realtà inferiori, ontico-materiali, primarie – dal modello di cose e di regolarità ad esse inerenti, ed anche dal sistema di scambi e desideri con esse - balzò, divenne una straordinaria e audace conclusione della fondamentale guida intellettuale dell’Età Moderna, agevolmente incarnata nella struttura razionale matematica, evidente e ottimamente applicabile nella pratica. Da tale svolta come spesso accade, un’intera serie di implicazioni ontologiche fu anche riportata sui classici dell’economia politica; anche il loro più serio e autentico oppositore, Karl Marx, riconosce ingegnosamente nel campo economico un polo di lotta escatologica dell’umanità per il significato e il destino della realtà.
    In ogni modo, proprio allora – allo storico punto di svolta dell’incombente Età Moderna, e nel contesto di una generale rivoluzione epistemologica, con il rifiuto della caratteristica normativa di fiducia della società tradizionale e con la ricerca attiva delle radici dell’ontologia nei sistemi degli oggetti materiali e nelle loro rappresentazioni – furono concepiti i primi semi dell’ontologia del mercato, cioè degli stessi fondamentali la cui evaporazione ispira oggi timori così forti in così tanta gente. Così la deontologizzazione dell’economia non è un’esclusiva proprietà della “new economy”. Il turbo-capitalismo, la dominazione del settore virtuale non fanno altro che estendere e sviluppare un impulso già presente alla scaturigine stessa dell’economia moderna.
    Nel sistema di valori della società tradizionale, che fu riconosciuto e successivamente rovesciato dall’Età Moderna, l’economia aveva una qualificazione secondaria: era il campo delle conseguenze, la sfera della coagulazione delle più sottili e tenui relazioni. L’ontologia dell’economia era un caso particolare dell’ontologia della società (politica) e questa a sua volta un caso particolare dell’ontologia della Chiesa. La vita era concentrata sui mondi sottili dello spirito, sui dogmi teologici, sui culti, sulle basi sacre delle istituzioni sociali. Il mondo delle cose e il loro moto circolare, i cicli dei bisogni primari e delle reazioni elementari erano considerati la periferia dell’ontologia, l’area dei fenomeni più arbitrari e casuali. L’economia in quanto tale non poteva essere fondamentale e la logica autonoma di mercato era in permanenza bloccata da istanze più elevate che obbedivano ad un piano di priorità diverse, connesse con un sistema di idee rigidamente dominante su tutto il sistema delle cose. L’uomo e la sua economia erano strumenti dell’ontologia e non i suoi poli costitutivi.
    L’Età Moderna in sè è stata l’unico periodo di evaporazione di fondamentali differenti – i fondamentali della società tradizionale. Questi fondamentali non sono svaniti per sempre (perciò noi parliamo di “evaporazione”, invece che di cancellazione), ma hanno intercambiato la loro natura, essendo impersonati in qualcosa di diverso. Fino a quell’epoca incerta e dipendente fisicamente dalla volontà dei nobili, leggera come la spuma delle onde che dondola le navi dei mercanti, l’autonoma logica borghese iniziò a trasformarsi nel solido basamento della nuova società. I valori dell’aristocrazia iniziarono ad avere un nuovo equivalente, valore ed onore ricevettero un nuovo significato. Ogni questione cominciò ad essere misurata in base al suo prezzo. Cicli economici e strumenti monetari divennero la misura comune, sostituendo lo spirito, la conoscenza, la volontà, la forza. L’ontologia della società tradizionale fu dissolta. Sembrò allora che questa fase di nichilismo significasse la “fine del mondo”. Irriducibili conservatori profetizzarono che un mondo senza fondamentali non sarebbe durato a lungo …
    La storia ha dimostrato, comunque, che i nuovi sistemi di valori sono ampiamente in grado di condensarsi in qualcosa di relativamente solido e le epoche dell’inizio del capitalismo, della sua espansione, della sua materializzazione, della sua penetrazione in tutti gli angoli della vita umana e delle istituzioni sociali hanno generato un quadro su vasta scala della sua stabilità dinamica. I fondamentali dell’equilibrio di mercato hanno superato molte sfide. Il Marxismo, i cui accenti furono posti su una valutazione etica del cambiamento socio-politico – andando per la via opposta rispetto a coloro che, senza alcuna speciale riflessione, procedevano lungo la via maestra del capitalismo – è stato sconfitto con grande difficoltà e a prezzo di costi incredibili. E proprio in quel momento, quando la vittoria sul marxismo si prospettava definitiva e l’eredità dell’Età Moderna senza alternative era andata verso il sistema liberal-capitalista, di nuovo all’ordine del giorno vi era il problema di un serio mutamento qualitativo dell’ontologia del capitalismo – verso il lato della logica virtuale del turbo-capitalismo, dei labirinti paradossali della “new economy”.
    Da una parte, la deontologizzazione del capitale viene rappresentata come un fenomeno disastroso. Dall’altra, essa è un processo oggettivo: l’ontologizzazione autonoma dell’economia, implicitamente già presente nei classici ed alla fine riconosciuta da Marx (in un sistema etico alternativo di coordinate), significò la deontologizzazione del più enorme sistema di valori della società tradizionale, in cui i mondi degli oggetti materiali non erano che all’estrema periferia. Questi oggetti ed i loro cicli (“le trappole del prodotto” – Hakim Bay) sembrano una piccola realtà piuttosto relativa, a paragone dell’ontologia massimamente spirituale e poi politico-feudale delle società tradizionali. Allora la sfera dei principi metafisici era considerata incondizionatamente reale e autentica, mentre il campo economico era una sfera secondaria e casuale. Questo significa che il modello economico poteva essere cambiato (e consacrato o forzato) a seconda delle più profonde tendenze sociali.
    La transizione al sistema borghese separò l’economia da quei fondamentali alla cui partecipazione essa era prima destinata. Accadde qualcosa di interessante nel mondo dell’argomento su cui stiamo indagando: nella società tradizionale la realtà era un segno (prevaleva anche in un Cattolicesimo tomistico-aristotelico, invece del nominalismo pre-borghese di Roscellier-Ockam). Anche questo segno produceva l’ontologia della cosa, come la sua anima. Echi dell’ontologia del segno si possono incontrare anche in Paracelsus e in Jakob Boehme - signatura rerum. Queste “signature” erano la quintessenza di una produzione ontologica della realtà di "rerum" (cose) strettamente parlando. Traducendo dal latino: l’ “essere cosa” delle cose era non reale (=simili al segno). La transizione dai segni vivi e dai loro sistemi (incarnati dalla teologia del clero e dall’araldica guerriera) verso i sistemi di cose fu la precisa espressione del “terzo stato” – quello che generò la moderna economia politica ed un’ontologia applicabile ad essa. Fondamentali divennero i fondamentali dei mercanti. Ai loro tempi essi non erano meno avanzati e audaci delle teorie dei moderni apologeti dell’ “analisi tecnica” di borsa.
    Da tutte queste considerazioni, ne segue che la “new economy”, corrodendo quei fondamentali che ci sono stati familiari in questi ultimi secoli, sta facendo qualcosa di simile a ciò che accadde quando quei fondamentali si affermarono per la prima volta. Nel turbo-capitalismo noi non raggiungiamo semplicemente i confini dell’ontologia, bensì i confini dell’ontologia del terzo stato, i limiti del sistema borghese delle misure. E la stessa “new economy” non è ancora una nuova era – è una sfida ambigua e pluri-significante dire addio al vecchio, ma non offrire nello stesso tempo niente di nuovo. Già all’orizzonte della “new economy” appaiono confusamente figure virtuali assolutamente non familiari e insolite - "Lawnowerman", che vivono nei computer o cloni umani mutanti. Contemporaneamente, vi sono delle curiose situazioni di semi-restaurazione nella “new economy” – erodendo il sistema delle cose ed evocando un sistema di segni, in cui l’elemento essenziale non è tanto il possesso, quanto la contemplazione e la simulazione sensoriale (da qui la proliferazione di narcotici, network televisivi e giochi per computer), il turbo-capitalismo porta la realtà in movimento e corporea, fuori dalle ristrette strutture del materiale e dalle catene razionali, dall’alternarsi di domanda-offerta. In verità, i tradizionalisti integrali (R.Guénon) dicono che la presente fase di post-materialismo corrisponde all’ “apertura dell’uovo cosmico dal di sotto”, mentre nell’epoca delle società tradizionali esso era aperto dalla parte superiore e, in seguito, (durante il capitalismo classico) esso era chiuso da tutte le parti. Ed in verità, i segni nella società tradizionale svolgevano un ruolo essenzialmente differente, rispetto alla pubblicità moderna ed ai marchi commerciali. Comunque queste differenze sono relative: nelle società orientali, dove i motivi tradizionali non sono mai stati completamente cancellati, gli elementi post-moderni si combinano assai facilmente con le reliquie pre-moderne. E’ molto significativo in questo senso il Giappone, dove le più recenti tecnologie sono elegantemente inscritte nel politeismo scintoista e il gioco di borsa è intrecciato con la meditazione buddhista zen – la teoria sulla “lettura dei grafici di mercato” attraverso associazioni visive – le “candele”, “la buddhi a cinque punte” dei brokers di Tokyo, etc.
    Il processo di evaporazione dei fondamentali nella “new economy” giunge abbastanza facilmente alla fissazione. Molto più complesso è definire quale sarà l’esito.
    Produrrà qualcosa di nuovo? O crollerà, non essendo in grado di rimanere sull’orlo della tensione – in quanto la proliferazione nell’orizzonte umano di nuove tecnologie, di macchine automatiche, di virtualizzazione ed ingegneria genetica viene messa in questione? Terrorizzata per dove la sta portando la sua logica di desacralizzazione, ritornerà l’umanità a ciò che ha sconsideratamente abbandonato alla soglia dell’Età Moderna? Diventerà la sfera della “new economy” un terreno di battaglia tra differenti tendenze geopolitiche, culturali e di civiltà?
    Abbiamo detto in precedenza che noi ci troviamo di fronte al “passaggio da un sistema di cose ad un sistema di segni”. Vi è un punto debole in questa espressione: questo nuovo “sistema di segni” sarà un vero sistema, cioè una struttura ordinata gerarchicamente? E in tale caso, secondo quali criteri?
    Questo è un problema aperto, alla cui soluzione noi tutti dovremmo contribuire.

    Novembre 2001



    Originale pubblicato su "Arctogaia" http://www.arctogaia.com/
    e "Eurasia" http://eurasia.com.ru/
    Traduzione dalla versione inglese pubblicata da Archivio Eurasia
    http://utenti.tripod.it/ArchivEurasia/index.html
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

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