Riprendiamo la pubblicazione dei testi delle audizioni più delicate e importanti che si sono tenute nella Commissione parlamentare Telekom Serbia. Quest’oggi presentiamo quella dell’ex ambasciatore d’Italia in Jugoslavia, Francesco Bascone, che si è tenuta il 9 ottobre del 2002. Fassino ha recentemente affermato che le parole dell’ex ambasciatore in commissione lo hanno di fatto scagionato da ogni coinvolgimento diretto nell’operazione, attestando le sue perplessità sulla realizzazione dell’operazione stessa. Probabile che Fassino non si renda conto della portata di queste dichiarazioni giacché conferma esattamente che diversi mesi prima della realizzazione dell’affare (si fa per dire, ovviamente) fosse a piena conoscenza della trattativa in corso. Alla luce di quanto è accaduto, com’è possibile che non fece nulla per spingere il suo Governo a interessarsi della faccenda? E’ questo il comportamento da politico responsabile o da buon amministratore? Con quale faccia Fassino è ancora sui palchi a dare lezioni di buongoverno e bacchettare l’attuale esecutivo?
L’audizione è in forma integrale, anche se abbiamo selezionato alcuni passaggi salienti che riteniamo più importanti. Bascone, infatti, fa il suo esordio rammentando la situazione nella quale si è svolta l’intera operazione, con l’opposizione di Milosevic che, preoccupata dal nascere della trattativa, ben comprese il rischio che incombeva: “in una situazione finanziaria gravissima, fallimentare, la prospettiva di poter incamerare un miliardo di dollari per la vendita del 49 per cento, denaro fresco a sua piena disposizione, veniva vista dall'opposizione come un aiuto politico nei confronti di Milosevic”. Questi sono i messaggi che tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio vennero portati da molti interlocutori, anche i più in vista, come Djindijc, Draskovic o Avramovic, che era il governatore della banca centrale. Bascone ricorda che nel corso del mese di febbraio riferì alcune volte su queste vicende. Una di queste vede l’ambasciatore italiano inviare il 13 febbraio 1997 una lettera al sottosegretario con delega sui Balcani, Fassino. In particolare afferma: “dopo aver telegrafato, alla fine di gennaio e il 7 febbraio al ministero, avendo ricevuto dalla direzione generale competente una risposta abbastanza concisa, per non dire anodina, ed avendo nel frattempo ricevuto altri messaggi da personaggi del settore democratico della Serbia, scrissi, in effetti, al sottosegretario Fassino, il quale era stato una volta, a novembre, a Belgrado, proprio per lanciare il discorso della cooperazione economica, ovviamente su incarico del ministro Dini, e poi era tornato a metà gennaio, sempre su incarico del ministro Dini, per ravvivare il dialogo con l'opposizione e, al tempo stesso, mantenere il dialogo sulla collaborazione economica. In quella occasione, Piero Fassino mi aveva manifestato un forte disagio per questa trattativa, che, come io stesso sottolineavo e come egli percepiva, si svolgeva in modo quasi segreto, senza informare l'ambasciata ed informando il ministero solo su pressante richiesta del ministero stesso ed in modo piuttosto incompleto. Avendomi egli manifestato queste perplessità e non avendo io un rapporto diretto con il ministro, ritenni - al di là delle comunicazioni che un ambasciatore manda per telegramma a vari indirizzi, quindi a nessun indirizzo in particolare e che spesso possono non raggiungere i vertici del ministero - di attirare l'attenzione del sottosegretario Fassino, il quale era, appunto, stato mio ospite per due volte a Belgrado in tempi recenti”.
Ma Fassino non mosse un dito, non avvertì il suo ministero, non avvertì il presidente del Consiglio. Almeno è questo che dobbiamo supporre visto che Prodi ha affermato di non essersi minimamente interessato della faccenda. Anziché attenuare le responsabilità di Fassino, le parole di Bascone sembrano aggravare la posizione di Fassino. Se Fassino era preoccupato, come conferma Bascone, è lecito immaginarsi che approfondì l’intera operazione. Ma dalle sue dichiarazioni odierne tutto questo non traspare. Ed il Governo non si interessò della vendita nemmeno dopo che lo stesso Ambasciatore, a contratto sottoscritto, inviò degli articoli di stampa in cui si criticava ancora una volta il ruolo dell'Italia: si tratta di articoli dell'11 giugno, cioè all'indomani della firma, e poi ancora del 13 giugno. Si criticava l'Italia, per i motivi detti prima, e si menzionava il fatto che il ministro Dini aveva avuto intenzione di partecipare alla firma, ma all'ultimo momento non era venuto. Ma queste erano solo supposizioni giornalistiche, visto che Bascone ammette di non poter confermare che Dini fosse a conoscenza dell’accordo, anche se poi afferma: “Io ebbi l'impressione che Roma fosse stata informata mentre io non lo ero. Comunque, non credo si possano trarre informazioni attendibili da articoli di stampa, quindi, forse, è meglio lasciar stare questo aspetto. Mi limiterei a dire che ci furono commenti sulla stampa, dopo mesi in cui non si era parlato di questa vicenda, e che si trattava di commenti abbastanza negativi nei confronti dell'Italia, almeno per quanto riguarda i giornali democratici o di opposizione, che dir si voglia. Questi articoli furono da me trasmessi in traduzione italiana al ministero in data 20 giugno”.
Il Governo dell’Ulivo pensò bene di non indagare. Era il Governo che ambiva a guidare un “paese normale”. Un Governo che tanto normale non lo era.
che grand'uomo!