TELEKOM SERBIA: LA VERSIONE DI ROMANO PRODI
Mandato da Pauler Giovedì, 11 Settembre 2003, 11:42 uur.
Romano Prodi si difende. E lo fa pubblicando un proprio memoriale sul caso Telekom Serbia, distribuito a Bruxelles, che ricostruisce l’intera vicenda. Ovviamente dal suo punto di vista. Purtroppo Romano Prodi non ha risposto a molti quesiti e la difesa sembra piuttosto lacunosa o confusionaria, visto che spesso cade nel tranello di motivare le ragioni dell’acquisto del 29% della Telekom Serbia, per poi affermare di non essere stato a conoscenza dell’operazione. Ci sono testimonianze di persone più che attendibili, dall’ambasciatore italiano a Belgrado a dirigenti e manager della Stet, di Telecom e di Stet International, che hanno affermato come l’operazione sia stata condotta con procedure irrituali e discutibili e su come esponenti del Governo fossero stati informati. Del tutto insignificante, poi, la quarta risposta della “difesa” di Prodi, nella quale l’ex primo ministro italiano fa riferimento al valore delle azioni della Telecom ai tempi della privatizzazione senza il benché minimo legame con la valutazione della perdita patrimoniale subita dall’azienda per lo specifico investimento, quello di Telekom Serbia. Forse Prodi ignora che il patrimonio della Telecom non fosse costituito solo dalla partecipazione in Telekom serbia…

IL DOCUMENTO
Prodi: "Con Telekom Serbia il governo non aiutò Milosevic" di Romano Prodi

I FATTI
Nel giugno del 1997, il gruppo Telecom Italia, tramite la propria controllata Stet International Netherlands N. V., acquisto', per circa DM 893 milioni, una partecipazione del 29 per cento in Telekom Serbia, l'operatore nazionale serbo per la telefonia su rete fissa. A quella data, il capitale della Telecom Italia era posseduto per il 61 per cento dal Ministero del Tesoro della Repubblica Italiana. Nel febbraio del 2003, il gruppo Telecom Italia, ormai privatizzato, rivendette la partecipazione del 29 per cento in Telekom Serbia per 193 milioni di euro.

LE ACCUSE
Tralasciando le accuse di tangenti, sulle quali sta indagando la magistratura di Torino e per le quali il presidente della Commissione Europea Romano Prodi ha già dato incarico ai propri legali di tutelare in tutte le forme opportune il suo onore, in relazione alla vicenda Telekom Serbia sono stati sollevati nei confronti del governo italiano allora presieduto da Romano Prodi i seguenti addebiti:
a) Con l'operazione Telekom Serbia il governo Prodi avrebbe aiutato un regime criminale.
Il pagamento del prezzo di acquisto della partecipazione in Telekom Serbia si sarebbe tradotto in un sostegno finanziario al presidente serbo Milosevic e, dunque, nel rafforzamento di un regime criminale.
b) L'operazione Telekom Serbia sarebbe stata approvata dal governo Prodi. Deliberata dal consiglio d'amministrazione di Telecom Italia il 9 giugno 1997, l'operazione Telekom Serbia sarebbe stata di fatto approvata dal governo dato che l'intero consiglio d'amministrazione era espressione dell'azionista pubblico.
c) Il governo Prodi avrebbe cambiato i vertici Telecom per cacciare chi si opponeva all'affare Telekom Serbia. Il rinnovo dei vertici di Telecom Italia deciso dal governo del gennaio 1997, pochi mesi prima della conclusione delle trattative per l'acquisto della partecipazione in Telekom Serbia, sarebbe stato determinato dalla volontà di estromettere un presidente e un amministratore delegato contrari all'operazione.
d) Approvando l'operazione Telekom Serbia il governo Prodi avrebbe provocato una ingente perdita di denaro pubblico. La differenza tra il prezzo di acquisto e il successivo prezzo di rivendita della partecipazione in Telekom Serbia avrebbe comportato una pesante perdita di denaro pubblico della quale sarebbe responsabile il governo in carica al momento della conclusione della transazione.

LE RISPOSTE
a) Un aiuto ad un regime criminale? No. L'operazione Telekom Serbia è del 1997. La guerra del Kosovo è di due anni dopo. La firma del contratto per l'acquisto della partecipazione in Telekom Serbia avvenne il 10 giugno 1997, in un periodo di progressiva normalizzazione dei rapporti con la Serbia. Con gli accordi di Dayton del 21 novembre 1995 di cui lo stesso Milosevic era stato uno dei firmatari e che, nel sancire il nuovo assetto costituzionale della Bosnia Erzegovina, costituivano un vero trattato di pace, si era aperta nei confronti della Serbia, dopo gli anni del conflitto in Bosnia e, prima ancora, di quello in Croazia, una stagione di rinnovato dialogo. Il 1° ottobre 1996, otto mesi prima della conclusione dell'operazione Telekom Serbia, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva revocato le sanzioni economiche contro Belgrado.
All'inizio del 1997 Italia e Serbia conclusero due accordi per evitare la doppia imposizione fiscale e per la tutela e la promozione degli investimenti. In questo contesto, molte imprese occidentali, e numerose in particolare del settore delle telecomunicazioni, guardarono con interesse al mercato che si stava riaprendo. Nella nuova situazione politica non c'erano, da parte né dei governi europei né di quello americano, obiezioni di ordine politico a una ripresa degli investimenti. Questa, nel quadro di una politica tesa ad aiutare la Serbia a ritrovare la strada della democrazia e dello sviluppo, era anche la posizione del governo italiano.
Qualificare un investimento nella Serbia del 1997 come "aiuto ad un regime criminale" e come finanziamento "del genocidio di un popolo" sulla base delle responsabilità di Belgrado nel conflitto con il Kossovo di due anni dopo costituisce, prima e più ancora che un inaccettabile metodo di polemica politica, un falso storico.

b) Un'operazione approvata dal governo? No. Una autonoma decisione dell'impresa. Il 6 giugno 1997, l'amministratore delegato Tomaso Tommasi di Vignano informò il consiglio d'amministrazione di Telecom Italia dell'acquisto di una partecipazione del 29 per cento di Telekom Serbia. Si trattava di un'operazione impostata sotto la precedente gestione dell'azienda e che non necessitava di alcuna delibera in quanto già discussa e deliberata dal precedente consiglio che aveva dato in proposito un apposito mandato all'amministratore delegato. Nessuna autorizzazione fu chiesta e nessuna informazione fu trasmessa al Ministero del Tesoro. Così prevedevano le procedure che regolavano i rapporti tra il Tesoro e le società partecipate.
Quando, nel dicembre del 1996, aveva rilevato dall'Iri la maggioranza della Stet, la società finanziaria del settore delle telecomunicazioni che controllava la società operativa Telecom, il Ministero del Tesoro aveva dato piena autonomia alle società così acquisite, sino al punto di liberarle dall'obbligo di informare il proprio azionista di controllo. Il governo Prodi aveva deciso di procedere in tempi rapidi ad una vasta privatizzazione delle imprese ancora sotto il controllo dello Stato. In questa prospettiva, il Ministero del Tesoro scelse di adottare nonne e procedure che potessero garantire i mercati della assenza di qualsiasi interferenza di tipo politico.
Nessuno, dunque, in relazione alla conclusione dell'operazione Telekom Serbia, chiese autorizzazioni o informò il Ministero del Tesoro. Nessuno, a maggior ragione, né direttamente né indirettamente, informò il Presidente del Consiglio.

c) Un cambio dei vertici Telecom deciso per favorire l'operazione? No, una sostituzione decisa per facilitare la privatizzazione. Nel gennaio 1997, il governo Prodi si preparava alla fusione tra Stet e Telecom per poi procedere alla privatizzazione della nuova società. Prima di allora erano state privatizzate banche, società di assicurazione e del settore meccanico. Per il settore di attività, per l'avvio del processo di liberalizzazione che si sarebbe così avviato, per le dimensioni finanziarie che sfidavano le capacità di assorbimento dei mercati finanziari, quella della Telecom era la più complessa di tutte le privatizzazioni sino a quel momento realizzate dallo Stato italiano. In questa prospettiva, il governo ritenne, anche sulla base di precise indicazioni dell'advisor, Morgan Stanley e Euromobiliare, che le persone allora al vertice della società, notoriamente avverse al processo di privatizzazione così come impostato dal governo, non avessero le caratteristiche adatte per condurre al meglio l'operazione di privatizzazione e per guidare il gruppo in un mercato pienamente aperto alla concorrenza.
Per queste ragioni, il governo decise la sostituzione dei vertici della finanziaria Stet. Al posto di Biagio Agnes, presidente, e di Ernesto Pascale, amministratore delegato, vennero nominati Guido Rossi, avvocato, professore di diritto all'Università Bocconi già presidente della Consob, la Commissione di vigilanza sulle società e sulla Borsa, e Tomaso Tommasi di Vignano, già amministratore delegato di lritel e responsabile del dipartimento internazionale e dei rapporti con i clienti di Telecom.
Come ebbe modo di dichiarare l'allora ministro del Tesoro in un'audizione alla Camera, "era un momento di frattura tra il passato e il futuro. ..; si è ritenuto di dare maggiore importanza a professionalità più squisitamente specializzate nelle due operazioni che si debbono fare, perché non è più la sola privatizzazione ma anche la fusione...; si è ritenuto di utilizzare questo momento di cesura per assicurare ai vertici aziendali caratteristiche più appropriate ai due nuovi momenti che la società deve affrontare".

d) Una operazione senza senso industriale e una perdita di denaro pubblico? No. Un'operazione analoga a tante altre senza riflessi sui conti dello Stato. Osservando che la partecipazione in Telekom Serbia acquistata nel 1997 fu rivenduta nel 2003 è stato detto che l'intera operazione era priva di senso industriale. Senza volere in alcun modo sostenere le scelte a suo tempo e in piena autonomia operate da Telecom Italia, è bene ricordare che, nel quadro dell'operazione per l'acquisto della partecipazione, il gruppo Telecom Italia stipulò un accordo con il governo serbo che gli garantiva specifici diritti riguardanti la gestione di Telekom Serbia. Detto accordo prevedeva anche il pagamento di commissioni sul fatturato di Telekom Serbia quale corrispettivo dei servizi del know-how che il gruppo Telecom Italia avrebbe trasferito a Telekom Serbia. In base a tale accordo - come bene evidenziato nel prospetto per l'offerta pubblica di vendita nel capitolo "Investimenti regionali" alla voce "Serbia" - era altresì previsto che Telekom Serbia operasse per otto anni in regime di monopolio i servizi di telefonia fissa nell'ambito di una concessione ventennale rinnovabile e che la stessa Telekom Serbia fosse titolare di una concessione ventennale non esclusiva avente ad oggetto la realizzazione e gestione della futura seconda rete cellulare per l'offerta di servizi di telefonia mobile GSM.
Telekom Serbia aveva circa 2 milioni di abbonati mentre il suo fatturato era stato, nel 1996, di oltre 600 miliardi di lire con un margine operativo lordo di 375 miliardi di lire. Insieme agli italiani, entrò nel capitale di Telekom Serbia anche la società Ote, il gestore nazionale greco dei servizi di telecomunicazione, che per circa 675 milioni di marchi tedeschi acquistò una partecipazione del 20 per cento, pagando un prezzo per azione superiore a quello di Telecom. L'acquisto della partecipazione in Telekom Serbia si inserì in un quadro allora segnato, tanto su scala italiana quanto su scala europea e mondiale, dalla corsa all'espansione internazionale da parte delle maggiori imprese di telecomunicazione.
La stessa Telecom Italia, nel periodo antecedente la privatizzazione, aveva operato acquisizioni in moltissimi paesi, tra i quali la Bolivia (comprando per 610 milioni di dollari il 50 per cento della Entel Bolivia che nel 1966 aveva realizzato ricavi per 224 miliardi di lire), il Brasile (partecipando per 230 milioni di dollari all'acquisto di una concessione della durata di 15 anni), il Cile (comprando per 301 milioni di dollari il 20 per cento di Entel Chile che nel 1966 aveva fatturato 319 milioni di dollari), a Cuba (comprando per 305 milioni di dollari il 29,29 per cento di Etec), in Austria (comprando per 1.175 miliardi di lire il 25 per cento di Mobilkom Austria che, nel periodo 24 aprile-31 dicembre 1966 aveva realizzato un fatturato di circa 635 miliardi di lire), in Francia (comprando per 490 miliardi di lire il 19,6 per cento di Boygues Decaux Telecom a sua volta titolare del 55 per cento di Boygues Telecom che nel 1966 aveva realizzato un fatturato di 45 milioni di dollari), in Spagna (partecipando per 672 miliardi di lire all'acquisto del 70 per cento di Retevision), in India (comprando per circa 67 milioni di dollari il 2 per cento della Bharti Cellular e per circa 400 milioni di dollari il 20 per cento della Bharti Televentures).
E' stato detto che lo Stato italiano avrebbe perduto nell'operazione Telekom Serbia circa 250 milioni di euro, una cifra pari all'intera differenza tra il prezzo di acquisto del 1997 (circa 893 milioni di marchi, equivalente a circa 825 miliardi di lire) e quello di vendita del 2003 (193 milioni di euro). Pochi elementi sono sufficienti per dimostrare che si tratta di un calcolo del tutto privo di fondamento. Quotate a 8.409 lire il 9 giugno 1997, il giorno della firma del contratto per l'acquisto della partecipazione in Telekom Serbia, le azioni Stet salirono il giorno dopo a 8.567 lire e continuarono ad apprezzarsi per tutto il mese successivo, sino a toccare le 11.461 lire il 18 luglio, ultimo giorno prima della quotazione delle azioni Telecom Italia risultanti dalla fusione Stet- Telecom. Analogo comportamento mostrarono i titoli Telecom, passati dalle 4.564 lire del 10 di giugno alle 4658 lire dell'11 giugno e alle 6.434 lire del 18 luglio. Quotata a 10.988 lire il 21 luglio 1997, primo giorno di contrattazione dopo la fusione Stet - Te1ecom, l'azione ordinaria Telecom Italia fu fissata a 11.425 lire il 24 ottobre 1997, ultimo giorno di offerta prima della privatizzazione.
Il prezzo definitivo per l'offerta pubblica di vendita fu, come annunciato, il minore tra il prezzo di mercato dell'ultimo giorno di offerta ridotto del 3 per cento, il prezzo massimo e il prezzo riservato per gli investitori istituzionali fissato in 1.200 lire per azione. I risparmiatori che aderirono all'offerta pubblica di vendita furono oltre 2.060.000, per una richiesta di quasi tre miliardi di azioni ordinarie Telecom, registrando una domanda di circa 4,2 volte superiore il quantitativo minimo di azioni inizialmente fissate per l'offerta. Il valore complessivo della privatizzazione di Telecom Italia risultò pari a circa 26.000 miliardi di lire.
Acquistata, come detto, per circa 893 milioni di marchi, la partecipazione in Telekom Serbia figurò per l'equivalente in lire di 825 miliardi di lire nel bilancio 1997 dell'azienda. Le verifiche e i controlli operati al momento della privatizzazione nell'ottobre del 1997 (Mediobanca e Barclays de Zoete Wedd Linrited ne furono i joint global coordinators) confermeranno, infatti, la valutazione originaria. L'operazione Telekom Serbia non influì, quindi, in alcun modo sul ricavato che il Tesoro ottenne dalla vendita al pubblico delle azioni Telecom.
Principalmente come conseguenza dei danni all'economia serba e alle attività della stessa società determinati dalle operazioni dì guerra, la partecipazione in Telekom Serbia venne svalutata a 754 miliardi nel bilancio 1998, a 556 miliardi nel bilancio 1999 e, infine, a 378 miliardi nel bilancio 2000, una cifra, quest'ultima, non molto distante dal prezzo ricavato tre anni dopo dalla definitiva cessione (come già detto, 193 milioni di euro). Ben maggiori di quelle sopportate per Telekom Serbia furono, pur senza le distruzioni che colpirono la regione dell'ex- Yugoslavia, le svalutazioni che il gruppo Telecom Italia dovette operare sulle partecipazioni in quel periodo acquisite nell'America latina. La perdita di valore della partecipazione Telekom Serbia, riflessa nei conti Telecom Italia a partire dall'esercizio 1988, era, dunque, già quasi interamente recepita nel bilancio 2000.
Calcolando che, dal 61 per cento del capitale al momento dell'investimento in Telekom Serbia, la partecipazione del Tesoro si ridusse al 44 per cento un mese dopo per scendere al 5 per cento nel gennaio 1998, al termine dell'offerta pubblica di vendita e, al 3,9 per cento alla fine del 1998, la quota parte della minusvalenza sulla partecipazione Telekom Serbia teoricamente attribuibile all'azionista Ministero del Tesoro sarebbe stata pari a meno del 4 per cento, cioè a circa 10 milioni di euro. In ogni caso, definire tale teorica partecipazione dell'azionista Tesoro a una minusvalenza su una singola partecipazione nel bilancio Telecom Italia come una perdita di denaro pubblico costituisce un nonsenso contabile ed economico.