Le canne fanno male. Al governo
di Edoardo Altomare - Cristiana Pulcinelli
«Fini e Casini sono da rimandare agli esami di riparazione. Li promuovo se riescono a spiegarmi per chi e per cosa è pericolosa la droga. Li boccio se mi dicono che la droga è pericolosa perché causa schizofrenia». Il presidente dei farmacologi Gian Luigi Gessa respinge al mittente la relazione del Consiglio superiore di Sanità che vuole lo spinello anticamera della schizofrenia. Secondo il professore la campagna del governo sulla droga è una battaglia ideologica che per eliminare ogni distinzione tra droghe leggere e pesanti trascura un aspetto fondamentale: la pericolosità delle droghe legali. «Si punta a dare un'idea negativa di qualunque tipo di assunzione - dichiara Gessa, che parla con l'Unità a titolo personale - dimenticando che le vere droghe da cui si comincia si chiamano alcool e tabacco». Prima la birra e la sigaretta, insomma, quindi lo spinello e poi oltre: un iter, questo, tipico soprattutto dell'età adolescenziale. «La pericolosità delle droghe - spiega - è condizionata dall'età d'inizio. Chi comincia prima o durante l'adolescenza si espone ad un rischio maggiore, lo dimostrano studi retrospettivi e prospettici. E nessuno inizia a fumare lo spinello se non sa già fumare la sigaretta: quest'ultima peraltro ha una capacità di dare dipendenza sempre maggiore del primo». Al proposito, per Gessa le droghe hanno una differente capacità di indurre dipendenza e anche tossicità; e negli adolescenti fanno tutte male, ma «una dipendenza da nicotina è molto più grave e difficile da curare di una da marijuana». Inoltre, «di cannabis non si muore - sostiene - mentre di fumo di tabacco sì, e prima del tempo».
Lo conferma, del resto, un editoriale pubblicato qualche giorno fa dalla prestigiosa rivista medica British medical journal. Nell'articolo l'americano Stephen Sidney nega che l'uso della cannabis faccia aumentare la mortalità. In primo luogo, dice l'autore, due grandi studi condotti in Svezia e in California dimostrano che nelle persone seguite rispettivamente per 15 e 10 anni non c'era un legame tra l'uso della cannabis e la mortalità. In secondo luogo, non si conoscono casi di overdose letale da cannabis (mentre il problema esiste per cocaina, ma anche per droghe legali come l'alcool). Le malattie croniche dovute all'uso di queste sostanze possono essere sì causa di morte, ma normalmente si instaurano dopo un lungo periodo di assunzione. Ora, sostiene Sidney, i consumatori di cannabis smettono di solito abbastanza presto nella loro vita adulta, al contrario di quanto avviene con alcool e tabacco: secondo uno studio del Dipartimento di salute degli Stati Uniti, le persone con più di 35 anni che fumano cannabis sono il 18% dei giovani tra i 18 e i 25 anni, mentre quelli che bevono sono l'89%. Inoltre l'uso della cannabis da parte dei giovani è diminuito progressivamente dal 1979 al 1998. Terzo elemento, la cannabis, pur venendo consumata come una sigaretta, non contiene nicotina, la componente del tabacco che determina un rischio elevato per le malattie coronariche e cardiache.
L'approvazione di un decreto di legge come quello ventilato da Fini, secondo il professore, getterebbe dalla finestra cinquant'anni di studi sull'argomento che hanno portato ad individuare i meccanismi che determinano la dipendenza e le possibili soluzioni al problema: «Ciò che la destra sta agitando in questo momento - aggiunge Gessa - è una guerra alla droga vista come deviazione o vizio derivante da una libera scelta. A me preoccupa invece che non venga riconosciuta la malattia del tossicodipendente che è a tutti gli effetti una malattia cronica recidivante». Cosa rende il tossicodipendente un malato da curare? La droga, dice Gessa, è come un «innamoramento deviato». Quando il cervello non è ancora maturo, essa si inserisce in alcune strutture cerebrali preposte a fondamentali funzioni di sopravvivenza: «I centri del desiderio e del piacere contengono dei "sensori" capaci di apprezzare gli stimoli appropriati derivanti dal sesso, dal cibo, dall'affermazione di se stessi».
Le droghe imitano alcune sostanze prodotte dal nostro organismo e ingannano i centri del piacere, sostituendosi a quegli stimoli: così, ragionando in termini chimici, la marijuana si sostituisce all'anandamide, la cocaina alla dopamina, la nicotina all'acetilcolina e l'eroina alle endorfine. Ecco perché, per i dipendenti da marijuana, la cannabis diventa oggetto di desiderio. Inevitabile a questo punto un riferimento al metadone, contro il quale sta montando una campagna: «Si tratta - commenta il neuropsicofarmacologo - di una "stampella" che va a sostituire il bisogno di una sostanza chimica». C'è una visione moralistica e becera, aggiunge Gessa, secondo la quale poiché il metadone è una droga che sostituisce un'altra droga, per guarire il soggetto malato si deve smettere di dargliela. Invece il metadone è un'utile aiuto che deve essere fornito per tutto il tempo necessario. Ma, avverte Gessa, da solo non basta: occorre un intervento «integrato» dal punto di vista sociologico e psicologico.
E' tutto fumo...