...e di costi per i cittadini.
Rai Way, regalo a casa Arcore
di Carlo Rognoni
Dopo l’ultimo passaggio alla Camera della legge che ingiustamente - almeno a dare retta a Storace! - porta il nome del ministro Gasparri, credo di aver finalmente capito la vera ragione che portò all’affossamento dell’accordo fra la Rai e la multinazionale Crown Castle. Un accordo - non dimentichiamolo - che consentiva all’azienda di Saxa Rubra di incassare più di 750 miliardi in cambio della cessione del 49 per cento di Rai Way.
Mi sento infatti autorizzato a pensare che la vendita di Rai Way - cioè l'infrastruttura di rete, tecnica, dei ripetitori della Rai - sia stata boicottata allora soprattutto per rendere possibile oggi quella folle corsa al digitale terrestre nella quale il ministro vuole impegnare la Rai. Se l'infrastruttura di rete della Rai fosse partecipata dalla Crown Castle, chi può seriamente pensare che sarebbe stato possibile costringere la Rai a investire senza alcun criterio, senza un piano industriale ben definito, senza alcuna garanzia di ritorno dell'enorme investimento necessario per accelerare a tutti i costi la messa in campo di due multiplex per il digitale terrestre?
Insomma, con il senno di poi, solo l'obiettivo di questo governo di impedire che un soggetto privato, socio della Rai, avesse da ridire sui suoi piani di scaricare il costo più alto dell'innovazione proprio sul servizio pubblico, sembra giustificare - si fa per dire - il fallimento voluto da Gasparri dell'operazione Crown Castle.
Le ragioni riproposte dal ministro a propria giustificazione non stanno in piedi. Primo, è troppo strategico il controllo dell'infrastruttura di rete per cederne la partecipazione a un soggetto straniero. Beh! Forse che la Bbc, un modello mondiale di servizio pubblico, in un paese che è una grande democrazia, geloso e orgoglioso della sua autonomia, vendendo il 100 per cento della sua rete proprio alla Crown Castle ha tradito gli interessi della Gran Bretagna? Non diciamo fesserie!
Secondo. Il prezzo di vendita concordato dalla Rai era troppo basso. Anche qui: scherziamo? Erano entrati in cassa quei 750 miliardi che avrebbero consentito di investire nel digitale terrestre e nell'innovazione da quel tempo. Il ministro disse allora che scommetteva sul fatto che lui avrebbe trovato un miglior acquirente! Siamo ancora qui ad aspettarlo.
Ho riletto la sentenza del Tar del Lazio dietro la quale Gasparri si trincera. Ebbene ministro, quella sentenza dice una cosa chiara: che lei aveva il diritto di dire la sua, di intervenire e anche di bloccare l'accordo, se voleva. Non dice se così facendo lei faceva gli interessi della Rai, del Paese, o di qualcun altro! Ora sappiamo che lei allora si prese una grossa responsabilità.
Aver fatto fallire quell’ accordo, si traduce nel fatto che oggi la Rai deve chieder un aumento del canone per far fronte all'innovazione. E questo governo farà così pagare ai telespettatori la scelta di Gasparri.
La Rai con la privatizzazione di Rai Way si era mossa nella direzione giusta. La privatizzazione era una scelta strategica decisiva e forse non a caso la sua cancellazione e successivo accantonamento sono stati i primi atti formali del ministero Gasparri.
Nell'era del digitale è bene sapere che i due ruoli, dell'operatore di rete e di fornitore di contenuti, tendono a separarsi e a specializzarsi. E questo dovrebbe farci capire che quando si parla di privatizzazione della Rai, per esempio, sarebbe opportuno intendersi se si pensa alla Rai come “broadcaster” integrato, gestore di rete e produttore di contenuti, oppure se invece non ha più senso entrare nella logica della rivoluzione digitale.
Ora proprio la legge che a parole dice di puntare sul digitale si dimostra non all'altezza nei fatti.
C'è da domandarsi quando questa maggioranza comincerà a rendersi conto che l'interesse della Casa delle libertà non sempre coincide con l'interesse di Casa Arcore. Noi è da tempo che sappiamo che sicuramente non coincide con l'interesse di Casa Italia, la casa di tutti gli italiani e non il privato condominio del signor B.