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    Predefinito Risposta al numero speciale de“La Tradizione cattolica” sul sedevacantismo

    Risposta al numero speciale de
    “La Tradizione cattolica” sul
    sedevacantismo (n. 1/2003, 52)
    don Francesco Ricossa
    La Tradizione Cattolica [d’ora innanzi
    indicata con la sigla TC] è la “rivista
    ufficiale del Distretto italiano della
    Fraternità Sacerdotale San Pio X” dal 1986,
    quando sostituì – in questo ruolo – proprio
    la nostra rivista “Sodalitium”. Il primo numero
    dell’anno 2003 (n. 52) è monotematico,
    interamente consacrato cioè alla questione
    del “sedevacantismo”, la posizione secondo
    la quale la Sede Apostolica è attualmente
    vacante.
    L’editoriale dell’abbé Simoulin. Autore,
    contenuto, scopo del numero speciale sul
    “sedevacantismo”
    In un editoriale, il superiore di distretto,
    l’abbé Michel Simoulin, presenta al lettore il
    “dossier”. Quanto all’autore, esso è presentato
    come “l’opera comune dei sacerdoti del Distretto
    d’Italia” (p. 3). In realtà, ed è risaputo,
    l’autore principale è un unico sacerdote del
    Distretto: lo scriviamo solo perché questo fatto
    influisce non poco sulle motivazioni e le
    argomentazioni dello scritto, che si discostano
    frequentemente dal modo abituale di argomentare
    della Fraternità. Quanto al carattere
    ufficiale dello scritto, “esso non pretende
    essere una presa di posizione o una dichiarazione
    ufficiale della Fraternità” (p. 3). Quanto
    al valore dell’argomentazione, essa “non pretende
    nemmeno confutare direttamente le dette
    tesi” sedevacantiste (p. 3). Per ammissione
    stessa del superiore di Distretto, quindi, il
    dossier manca di autorevolezza. Per quel che
    riguarda le persone alle quali esso è diretto,
    vengono esclusi i sacerdoti che sostengono le
    tesi “non confutate”: “questo studio si indirizza
    quindi, non ai ‘maggiori’, ai dottori o maestri
    del sedevacantismo…”, con i quali evidentemente
    non si intende aprire alcun dialogo o
    discussione: “sicuramente Dio ha più misericordia
    per i semplici (…) che non ne ha per i
    dotti” (p. 4). Si noti che questo rifiuto di dialogo
    contraddice quanto scrive al contrario il
    Dossier nella sua premessa (pp. 6-7), ma questo
    non ci deve stupire, visto quanto accennato
    a proposito del vero autore dello stesso…
    Se la TC non si rivolge ai sacerdoti “sedevacantisti”,
    a chi si rivolge? A due categorie
    di persone: ai fedeli “sedevacantisti”, ed
    ai propri lettori. I fedeli “sedevacantisti” sono
    tutti raffigurati come dei “semplici, i quali
    per lo più fanno fiducia ai maestri (…) senza
    sempre avere studiato o senza capire l’argomentazione…”.
    Il dossier si rivolge poi ai
    fedeli della Fraternità: essi “possono essere
    turbati dalle accuse e dalle critiche fatte alla
    Fraternità, affinché sappiano che non siamo
    così sprovvisti d’intelligenza o di scienza teologica
    – come alcuni cercano di far credere –
    e nemmeno di coraggio per affrontare una situazione
    difficilissima” (p. 4).
    Il turbamento di molti fedeli della Fraternità
    - di cui parla l’abbé Simoulin - è quindi il
    motivo che lo ha spinto a uscire dal silenzio
    costantemente tenuto a proposito del problema
    e, in particolar modo, della nostra rivista;
    senza citare Sodalitium l’abbé Simoulin era
    stato costretto di già a dare qualche risposta,
    su Roma felix, a proposito dei Tribunali creati
    dalla Fraternità (Sodalitium, n. 52, novembre
    2000) o a proposito dell’infallibilità del
    Papa nella canonizzazione dei santi (Sodalitium,
    n. 54, giugno 2002) soprattutto dopo
    l’uscita dalla Fraternità del priore di Rimini,
    don Ugo Carandino (Sodalitium, n. 53, dicembre
    2001) divenuto in seguito membro
    dell’Istituto Mater Boni Consilii. Il silenzio
    osservato finora, infatti, non era dovuto certo
    al desiderio di “non inasprire i nostri rapporti
    con sacerdoti che erano una volta nostri fratelli,
    o con fedeli che erano una volta nostri amici”
    (TC, p. 4), ma alla volontà di non dare alle
    tesi diverse da quelle della Fraternità il minimo
    spazio o la minima notorietà: “Dobbia-
    Controversie
    L’abbé Simoulin
    superiore del distretto
    italiano
    della FSSPX
    mo radicalmente ignorare coloro che ci hanno
    lasciato, anche se ci attaccano, o anche se fanno
    delle cose buone – scriveva l’abbé Simoulin
    ai sacerdoti del Distretto italiano della
    Fraternità San Pio X il 26 gennaio 1998 – Ci
    sono certi nomi che non devono mai essere
    pronunciati né scritti: Sodalitium, Simple lettre,
    Paladino, Milani, Vinson, ecc…” (cf Opportune,
    importune, n. 5, Pasqua 2003, p. 1).
    Il numero speciale de La Tradizione Cattolica
    segna pertanto un momento importante
    nella storia dell’opposizione cattolica
    al Vaticano II: il momento in cui, anche in
    Italia, la Fraternità ha dovuto pubblicamente
    ammettere che la questione della Sede
    Vacante non può non essere affrontata. Di
    questo, ce ne felicitiamo.
    IL DOSSIER “IL SEDEVACANTISMO:
    UNA FALSA SOLUZIONE A UN VERO
    PROBLEMA”
    Dopo aver esaminato l’editoriale dell’abbé
    Simoulin, passiamo senz’altro al
    “dossier” sul sedevacantismo.
    Prima parte: CRITICHE SUL METODO
    Quello che il dossier promette e non mantiene…
    Inizia il Dossier con una “premessa” nella
    quale l’Autore espone il fine ed il modo di argomentare
    del suo studio. Quanto al fine, l’Autore
    promette al lettore – per permettergli un
    valido giudizio – di chiarire “in cosa consista la
    posizione sedevacantista, come si articoli e come
    si giustifichi” (p. 6). Quanto al modo, egli si
    propone, nella sua esposizione, “di contribuire
    alla creazione di un clima di autentica carità”
    (ibidem). Il doppio intento è lodevole, ma
    l’Autore ha purtroppo fallito nel suo scopo.
    Vediamo innanzi tutto se abbia realmente
    cercato di chiarire in cosa consista e come
    si giustifichi la posizione sedevacantista…
    Il dossier pretende dedicare 20 pagine ad esporre
    il sedevacantismo. Di fatto ne dedica 2
    La principale difficoltà incontrata nel rispondere
    al dossier sul sedevacantismo è
    stata quella di dare un ordine alle obiezioni
    e agli argomenti presentati in maniera confusa
    ed oscura. A questa difficoltà si aggiunge
    quella che deriva dal fatto che non è stato
    5
    rispettato il progetto presentato nel sommario,
    pubblicato a p. 2.
    Il numero speciale, infatti, è diviso in due
    parti: “Parte I: Che cos’è il sedevacantismo”
    (pp. 6-22); “Parte II: una falsa soluzione” (pp.
    23-62). Almeno un terzo dello studio, quindi,
    dovrebbe essere consacrato, come promesso,
    all’esposizione della tesi che si vuole confutare.
    Le cose non stanno così. Dopo un’introduzione
    (pp. 6-9) il dossier avrebbe dovuto esaminare,
    nella prima parte, le due posizioni
    “sedevacantiste”: il sedevacantismo stretto e
    la Tesi di Cassiciacum. Alla prima posizione –
    il sedevacantismo stretto - è dedicata di fatto
    una sola pagina o poco più (pp. 9-11). Pur non
    abbracciando questa posizione, siamo sconcertati
    di fronte alla presentazione caricaturale
    che ne è fatta, riducendo il sedevacantismo
    stretto (denominato conclavismo) ad una serie
    di antipapi che nella storia e nell’elaborazione
    dottrinale (della quale non è fatta parola)
    del sedevacantismo non hanno svolto alcun
    ruolo. Più spazio è dedicato alla Tesi di
    Cassiciacum (in pratica tutto il dossier, e questo
    per motivi strettamente collegati all’autore).
    Ma quanto spazio è stato utilizzato per
    esporre la Tesi di Padre Guérard des Lauriers?
    In verità, la sola p. 11. Ne risulta che la
    prima parte del lavoro (pp. 6-21), che avrebbe
    dovuto essere consacrata all’esposizione chiara
    ed onesta delle due posizioni da confutare,
    vi dedica invece al più due paginette, mentre
    il resto della prima parte consiste in una critica
    anticipata delle suddette posizioni.
    Papa Pio IX definì l’infallibilità pontificia
    durante il Concilio Vaticano I
    In particolare, il dossier avrebbe dovuto presentare
    gli argomenti addotti dai sedevacantisti.
    Ma di queste prove non c’è alcuna traccia,
    il che evita all’autore la fatica di confutarle
    Un vecchio assioma scolastico recita:
    “addurre una difficoltà non equivale a dimostrare
    falsa un’argomentazione”. Il dossier,
    come vedremo, consisterà sostanzialmente
    in una continua variazione su di un unico tema:
    contro il sedevacantismo il dossier avanza
    – come obiezione – la dottrina sull’indefettibilità
    della Chiesa. Vedremo in seguito
    come questa obiezione – certamente importante
    – non è probante. Esso dimentica però
    di esporre le prove che avanziamo per dimostrare
    che la Sede Apostolica è (formalmente)
    vacante: un lavoro scientificamente corretto
    ha il dovere di esporre queste prove
    per poi dimostrarle false, cosa che il dossier
    si guarda bene dal fare.
    Tutto teso a sottolineare (ed esasperare)
    le divergenze esistenti tra i vari sedevacantismi,
    l’Autore dimentica proprio quel punto
    capitale sul quale l’accordo è quasi unanime:
    Giovanni Paolo II non può essere Papa proprio
    in virtù del dogma dell’infallibilità del
    Papa e della Chiesa.
    Il sedevacantismo (che si pretende studiare)
    prende le mosse proprio dall’infallibilità
    del Papa e/o della Chiesa:
    infallibilità del magistero ordinario universale
    infallibilità pratica nel promulgare le leggi
    canoniche
    infallibilità pratica nel promulgare le leggi
    liturgiche
    infallibilità pratica nella canonizzazione
    dei santi.
    Ora, la Fraternità San Pio X stessa ammette
    – ed anzi difende a spada tratta – la
    tesi secondo la quale vi sono degli errori:
    nel Concilio Vaticano II
    nel nuovo codice di diritto canonico
    nel nuovo rito della Messa e nelle altre
    riforme liturgiche
    in alcune canonizzazioni compiute dopo il
    Concilio
    Quindi di fatto il Vaticano II e le riforme
    che ne sono seguite non sono garantiti dall’infallibilità
    quando invece avrebbero dovuto esserlo.
    Non possono venire dalla Chiesa. Non
    possono venire dal Papa. Paolo VI e Giovanni
    Paolo II che hanno promulgato e confermato
    questi atti non possono essere l’Autorità.
    6
    Di tutto ciò il lettore de La Tradizione
    Cattolica – in un dossier dedicato al sedevacantismo
    e che pretende esporne le giustificazioni
    – non troverà traccia (quanto all’argomento
    proprio alla Tesi di Cassiciacum
    sull’assenza abituale e oggettiva di procurare
    il bene/fine della Chiesa in Paolo VI e
    Giovanni Paolo II, non si troverà un’esposizione
    e una confutazione, ma solo una allusione,
    a p. 11, nota 1).
    Questa sola lacuna sarebbe già sufficiente
    a screditare totalmente il dossier sul sedevacantismo
    della TC. Da questa lacuna discendono
    due conseguenze: da un lato l’Autore si
    sente esentato – come abbiamo detto – dal
    confutare gli argomenti sedevacantisti.
    Dall’altro, gli risulta così possibile accusare i
    sedevacantisti di pregiudizio e apriorismo disonesto:
    se non capiscono e persino deformano
    la teologia è perché “per essi il fatto che
    Paolo VI e successori non siano papi è un dato
    scontato e acquisito; di conseguenza, del Bellarmino
    o di altri autorevoli autori ci si serve
    non per cercare la verità in modo disinteressato,
    sforzandosi onestamente di capire cosa dicono,
    ma semplicemente per trovare argomenti
    a dimostrazione di una verità già scontata e acquisita
    in partenza (…) pure in essi [i guérardiani]
    si ritrova talora l’atteggiamento di chi intende
    far quadrare la teologia e la realtà con un
    giudizio già formulato a priori…” (p. 54) [si
    noti che il Dossier scrive il contrario a p. 7].
    Evidentemente, se si sopprimono gli argomenti
    che hanno portato a una conclusione
    così grave come quella della Sede vacante,
    una tale conclusione non può essere che frutto
    di pregiudizio, apriorismo, testardaggine…
    All’autore chiedo se non è invece vero il contrario:
    se cioè la posizione sua e dei sacerdoti
    della Fraternità non sia – quella sì – dettata da
    un giudizio aprioristico, fondato sull’autorevolezza
    di Mons. Lefebvre. E più concretamente
    chiedo: se Mons. Lefebvre avesse dichiarato
    categoricamente che la Sede era vacante (come
    fu più volte sul punto di fare) l’autore
    avrebbe abbandonato Mons. Lefebvre o sarebbe
    diventato anch’egli sedevacantista?
    Il dossier esaspera – per i propri fini – le
    divergenze tra le posizioni sedevacantiste
    Se il dossier poco spiega in cosa consista
    e come si giustifichi il sedevacantismo, si dilunga
    invece sul come esso “si articoli”
    (p. 6). L’autore ammette – a ragione – la
    confusione che da parte della Fraternità San
    Pio X è stata sempre fatta tra le due posizioni
    in cui “si articola” il sedevacantismo (sedevacantismo
    stretto e Tesi di Cassiciacum)
    (p. 13), ma poi esaspera le differenze innegabili
    tra le due posizioni per opporle l’una
    all’altra, e confutare l’una con gli argomenti
    dell’altra, e viceversa (cf L’inconciliabilità
    tra sedevacantismo stretto e Tesi di Cassiciacum,
    pp. 12-14). È troppo chiedere che le
    due posizioni siano presentate come sono,
    con le loro differenze e le loro concordanze?
    Per la Tesi di Cassiciacum Giovanni Paolo
    II non è formalmente Papa; alla domanda
    se, sì o no, Giovanni Paolo II è Papa, la Tesi
    risponde “no”. Cassiciacum e sedevacantismo
    formalmente concordano (1).
    Una “serena e spassionata riflessione”? (p. 6)
    Il dossier non mantiene quindi le sue
    promesse: il lettore non saprà da esso in cosa
    consista e come si giustifichi il sedevacantismo.
    Mantiene almeno la promessa riguardante
    quel clima di autentica carità che è
    presupposto per poter “tranquillamente trattare
    questo tema” ? Non si direbbe, leggendo
    che si attribuisce ai “confratelli” sedevacantisti
    “livore e veleno” (p. 48), ragionamenti
    da rabbini (p. 15) o da farisei (pp. 42-43),
    mettendo più che in dubbio la loro buona
    fede ed onestà intellettuale (in questo caso
    la mia: p. 56). Anche le liste dei pittoreschi
    antipapi sedevacantisti (p. 9) e dei vescovi
    consacrati da Mons. Thuc (pp. 44-45) non è
    “innocente”. Per carità, non c’è alcuna intenzione
    di “ridicolizzare” l’avversario (p.
    10), anche se questo sarà, concretamente,
    l’effetto che la pubblicazione di queste liste
    avrà sul lettore della “Tradizione Cattolica”…
    L’intenzione dell’Autore, quindi, era
    buona e, ne sono convinto, anche sincera;
    non si è purtroppo realizzata, perché troppe
    sono ancora le animosità che rendono difficile
    un dibattito veramente obbiettivo.
    Seconda parte: IL “VERO PROBLEMA” E
    LA SOLUZIONE PROPOSTA DALLA
    “TRADIZIONE CATTOLICA”
    Prima di esporre le obiezioni che la TC
    muove alla nostra posizione, e le nostre risposte,
    mi sembra opportuno esaminare la
    soluzione al problema dell’Autorità che il
    7
    dossier propone ai lettori. Inizierò col ricordare
    quale sia la materia del contendere (e
    la sua importanza), per poi analizzare la soluzione
    proposta.
    Il “vero problema”: il Papa. Importanza del
    Papa nella fede cattolica e per la salvezza
    Parlare di “sedevacantismo” vuol dire
    parlare del Papa (e scrivo Papa con la maiuscola,
    com’è giusto, e com’è corrente fare in
    italiano, e non con la minuscola, com’è abitudine
    in Francia e come scrive il “dossier” –
    il cui autore non è tuttavia francese).
    Ho scritto che il grande assente del “dossier”
    sul sedevacantismo è proprio il sedevacantismo,
    ovvero in cosa consista e come si
    giustifichi questa posizione. Allo stesso modo,
    e a maggior ragione, potrei dire che il
    grande assente del “dossier” è il Papa. Eppure,
    in teoria, rifiutare la posizione sedevacantista
    vorrebbe dire dimostrare che Giovanni
    Paolo II è il legittimo pontefice della
    Chiesa Cattolica, ovvero il Successore di
    Pietro, il Vicario di Cristo (“dolce Cristo in
    terra”, secondo l’espressione di Santa Caterina),
    al quale si deve non solo subordinazione
    gerarchica, ma “vera ubbidienza, non
    solo nelle questioni che riguardano la fede e i
    costumi, ma anche in quelle relative alla disciplina
    e al governo della Chiesa” (Vaticano
    I, Pastor æternus, DS 3060 e 3064). Dimostrare
    falsa la posizione sedevacantista significa
    applicare a Giovanni Paolo II quanto
    scrive il Concilio Vaticano I a proposito del
    Romano Pontefice: “il primato apostolico,
    che il Romano Pontefice [per la TC, Giovanni
    Paolo II] possiede sulla Chiesa universale
    come successore di Pietro, Principe degli
    Apostoli, comprende anche il supremo potere
    del magistero (…). Infatti i Padri del Concilio
    Costantinopolitano IV, seguendo le orme
    dei loro predecessori, formularono questa
    solenne professione di fede: ‘Prima condizione
    per la salvezza è quella di custodire la regola
    della retta fede. E poiché non può diventare
    lettera morta l’espressione del Signore
    Nostro Gesù Cristo che dice – Tu sei Pietro,
    e su questa pietra edificherò la mia Chiesa
    (Mt 16,18) – questa affermazione si verifica
    nei fatti, perché nella Sede Apostolica la
    religione cattolica è sempre stata conservata
    senza macchia e la dottrina cattolica sempre
    professata nella sua santità. (…) [Il Papa, per
    il II Concilio di Lione] “come ha il dovere di
    difendere soprattutto la verità della fede, così
    le dispute che sorgessero a proposito della fede
    devono essere risolte dal suo giudizio.
    (…) [I Vescovi] “hanno riferito a questa Sede
    Apostolica specialmente i pericoli emergenti
    in materia di fede, perché i danni causati
    alla fede venissero riparati soprattutto dove
    la fede non può avvertire deficienze. (…)
    Perciò questo carisma di verità e di fede,
    giammai defettibile, è stato accordato da Dio
    a Pietro e ai suoi successori su questa cattedra,
    perché esercitassero questo altissimo ufficio
    per la salvezza di tutti, perché l’universale
    gregge di Cristo, allontanato per opera
    loro dall’esca avvelenata dell’errore, fosse
    nutrito col cibo della dottrina celeste, e, eliminata
    ogni occasione di scisma, tutta la Chiesa
    fosse conservata nell’unità e, stabilita sul suo
    fondamento, si ergesse incrollabile contro le
    porte dell’inferno” (Concilio Vaticano I, Pastor
    æternus, DS 3071-3075). Dimostrare falso
    il sedevacantismo significa anche applicare
    a Giovanni Paolo II quanto è stato definito
    relativamente all’obbligo dell’obbedienza
    al Papa per salvarsi: “dichiariamo, affermiamo,
    definiamo che l’essere sottomessi al Romano
    Pontefice [per la TC, Giovanni Paolo
    II] è, per ogni creatura umana, necessario per
    la salvezza” (Bonifacio VIII, Unam
    sanctam, DS 875); “nessun uomo (…) potrà
    alla fine essere salvato, al di fuori della fede
    della Chiesa stessa e della obbedienza ai
    Pontefici Romani [per la TC, Paolo VI e
    Giovanni Paolo II]” (Clemente VI, DS
    1051); “Fra i comandamenti di Cristo poi,
    non occupa un posto minore quello che ci
    comanda di essere incorporati con il battesimo
    nel Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa,
    e di aderire a Cristo e al suo Vicario [nel
    caso, Giovanni Paolo II] mediante il quale
    [Giovanni Paolo II] Lui stesso [Cristo] governa
    in terra in modo visibile la Chiesa. Per
    questo non si salva colui che, sapendo che la
    Chiesa è stata divinamente istituita da Cristo,
    rifiuta tuttavia di sottomettersi alla Chiesa o
    rifiuta l’obbedienza al Pontefice Romano
    [nel caso, Giovanni Paolo II], vicario di Cristo
    in terra” (Pio XII, lettera del S Uffizio al
    Vescovo di Boston, DS 3867). Riconoscere
    Giovanni Paolo II senza obbedirgli equivale
    a dichiararsi scismatici: “A che cosa serve infatti
    proclamare il dogma cattolico del primato
    del Beato Pietro e dei suoi successori, ed
    aver diffuso tante dichiarazioni di fede cattolica
    e di obbedienza verso la Sede Apostoli-
    8
    ca, quando le azioni in sé smentiscono apertamente
    le parole? Forse che non diventa persino
    meno scusabile la caparbietà, quanto più
    si riconosce il doveroso impegno dell’obbedienza?
    Forse che l’autorità della Sede Apostolica
    non si estende oltre ciò che è stato da
    Noi disposto, o basta avere comunione di fede
    con essa, senza obbligo d’obbedienza,
    perché si possa considerare salva la fede cattolica?
    (…) Si tratta infatti, Venerabili Fratelli
    e diletti Figli, dell’obbedienza che si deve
    prestare o negare alla Sede Apostolica; si
    tratta di riconoscerne la suprema potestà, anche
    nelle vostre Chiese, quanto meno per ciò
    che riguarda la fede, la verità e la disciplina;
    chi l’avrà negata è un eretico. Chi invece
    l’avrà riconosciuta, ma orgogliosamente rifiuti
    di obbedirle, è degno dell’anatema” (Pio
    IX, Enc. Quae in patriarchatu, n. 23 e 24, del
    1 settembre 1876) (2). Obbedienza che si
    estende anche alle censure canoniche inflitte
    dall’autorità: “la frode più usata per ottenere
    il nuovo scisma è il nome di cattolico, che gli
    autori e i loro seguaci assumono ed usurpano
    malgrado siano stati ripresi dalla Nostra autorità
    e condannati con Nostra sentenza. Fu
    sempre cosa importante per eretici e scismatici
    dichiararsi cattolici e dirlo pubblicamente,
    gloriandosene, per indurre in errore popoli e
    Principi. (…)”; invece il Papa insegna che
    “chiunque sia stato indicato come scismatico
    dal Pontefice Romano, finché non ammetta
    espressamente e rispetti la sua autorità, debba
    cessare di usurpare in qualsiasi modo il nome
    di cattolico. Tutto questo non può minimamente
    giovare ai Neoscismatici che, seguendo
    Mons Lefebvre e Mons de Castro Mayer nel 1983
    quando firmarono la lettera aperta a Giovanni Paolo II
    le vestigia degli eretici più recenti, giunsero al
    punto di protestare che era ingiusta e quindi
    di nessun conto e valore quella sentenza di
    scisma e di scomunica comminata contro di
    essi in Nostro nome (…). Queste ragioni sono
    del tutto nuove e sconosciute agli antichi
    Padri della Chiesa e inaudite. (…) Per questo
    avendo gli eretici giansenisti osato insegnare
    simili affermazioni, cioè che non si deve tener
    conto di una scomunica inflitta da un legittimo
    Prelato con il pretesto che è ingiusta,
    certi di adempiere, nonostante quella, il proprio
    dovere – come dicevano – il Nostro Predecessore
    Clemente XI di felice memoria,
    nella Costituzione ‘Unigenitus’ pubblicata
    contro gli errori di Quesnel, proscrisse e condannò
    tali proposizioni, per niente diverse da
    alcuni articoli di Giovanni Wicleff, già condannati
    in precedenza dal Concilio di Costanza
    e da Martino V. Infatti, sebbene possa
    avvenire che per l’umana incapacità qualcuno
    possa essere colpito ingiustamente di censure
    dal proprio Prelato, è tuttavia necessario
    – come ha ammonito il Nostro predecessore
    San Gregorio Magno – ‘che colui che è sotto
    la guida del proprio Pastore abbia il salutare
    timore di essere sempre vincolato, anche se
    ingiustamente colpito, e non riprenda temerariamente
    il giudizio del proprio Superiore,
    affinché la colpa che non esisteva non diventi
    arroganza a causa dello scottante richiamo’.
    Se poi ci si deve preoccupare di uno condannato
    ingiustamente dal suo Pastore, che cosa
    non dovremmo dire, però, di coloro che, ribelli
    al loro Pastore e a questa Sede Apostolica,
    lacerano e fanno a pezzi l’inconsutile veste
    di Cristo, cioè la Chiesa? (…) Ma, affermano
    i Neoscismatici, non si è trattato di
    dogmi ma di disciplina (…); e quindi a coloro
    che la contestano non possono non essere
    negati il nome e la prerogativa di cattolici: e
    Noi non dubitiamo che a voi non sfuggirà
    quanto sia futile e vano questo sotterfugio.
    Infatti, tutti coloro che ostinatamente resistono
    ai legittimi Prelati della Chiesa, specialmente
    al Sommo Pontefice di tutti, e si rifiutano
    di eseguire i loro ordini, non riconoscendo
    la loro dignità, dalla Chiesa cattolica
    sono sempre stati riconosciuti scismatici”
    (Pio IX, Enciclica Quartus supra, del 6 gennaio
    1873, nn. 6-12) (3).
    Questa è la dottrina cattolica, della vera
    Tradizione cattolica, ma non dell’omonima
    rivista, che a questa dottrina non fa il minimo
    accenno. E questo per evidenti motivi.
    9
    Infatti, la posizione della Fraternità San Pio
    X è del tutto opposta a quella or ora ricordata.
    Si sostiene che Giovanni Paolo II è Papa,
    ma la sua autorità è ridotta ad una vana
    parola: al suo magistero (potestas docendi) è
    negata non solo l’infallibilità, ma persino
    l’esistenza (Giovanni Paolo II non insegnerebbe
    mai: “è chiaro che in questa prospettiva
    qualunque tipo di insegnamento – in senso
    stretto e autentico – da parte di Giovanni
    Paolo II diviene tecnicamente impossibile,
    perde la propria ragion d’essere e quindi la
    possibilità di esistere” TC, p. 25), al suo governo
    (potestas regendi) è rifiutata qualsiasi
    obbedienza. E non vi è traccia, in tutto il
    dossier, di quell’amore per il Papa che contraddistingue
    il vero cattolico.
    La “posizione prudenziale”, soluzione della
    Fraternità San Pio X al problema dell’autorità
    del Papa
    Alla posizione sedevacantista, definita
    “una falsa soluzione”, il Dossier contrappone
    la “posizione prudenziale” della Fraternità
    San Pio X. In cosa consiste questa posizione?
    Di fronte al quesito che si pone alla
    coscienza di ogni cattolico: Giovanni Paolo
    II è – sì o no – il Vicario di Cristo, al quale si
    deve aderire (nell’insegnamento, nella disciplina,
    nella comunione ecclesiastica) per essere
    salvi, la soluzione prudenziale consiste
    nel rispondere: “non si sa”. Il che equivale a
    dire che questa domanda è di nessuna reale
    importanza per un cattolico.
    Se qualcuno pensa che il dossier sul sedevacantismo
    abbia dimostrato che Giovanni
    Paolo II è Papa, deve ricredersi proprio in
    base a quanto scrive il dossier: la “soluzione
    a carattere prudenziale” proposta, intende
    “poter agire in base ad un sufficiente numero
    di elementi che però non contemplano la soluzione
    definitiva del problema dell’autorità
    nella Chiesa” (p. 20). Anzi, la posizione della
    Fraternità si discosterebbe da quella sedevacantista
    proprio per il fatto che “prima
    ancora di differire nei contenuti, la posizione
    della Fraternità e quelle di stampo sedevacantista
    differiscono radicalmente quanto al
    livello su cui si collocano; di conseguenza
    qualunque spiegazione che la Fraternità possa
    avanzare circa la situazione dell’autorità
    di Giovanni Paolo II è realmente e qualitativamente
    un elemento sul quale essa ammette
    la possibilità di discussione, nel caso del se-
    devacantismo, invece, le posizioni di fondo
    sull’autorità di Giovanni Paolo II sono istanze
    assolute, certe e indiscutibili” (p. 20). Per
    cui – coerentemente – l’intento del dossier
    non è “quello di dimostrare che Giovanni
    Paolo II sia papa” (sempre p. 20).
    Questa posizione è – naturalmente –
    quella di Mons. Lefebvre, citato dal suo
    anonimo ma non ignoto discepolo: “forse un
    giorno, fra trenta o quarant’anni, una sessione
    di cardinali riunita da un futuro papa studierà
    e giudicherà il pontificato di Paolo VI;
    forse dirà che vi sono elementi che avrebbero
    dovuto saltare agli occhi dei contemporanei,
    delle affermazioni di questo papa assolutamente
    contrarie alla Tradizione [Mons. Lefebvre
    non ha atteso molto tempo per sostenere
    lui stesso questa posizione, e nella Pasqua
    del 1986 attribuì a se stesso la possibilità
    di essere “nell’obbligo di credere che
    questo papa non è papa” n.d.a.]. Preferisco
    fino ad ora considerare come papa colui che,
    per lo meno, è sul soglio di Pietro; e se un
    giorno si scoprisse in modo certo che questo
    papa non era papa, avrò tuttavia fatto il mio
    dovere” (p. 62).
    Quindi, la posizione “della carità e della
    prudenza”, che di fatto però esclude ogni sedevacantista
    – tacciato di spirito scismatico –
    dalla Fraternità San Pio X (4), ammette in
    teoria la possibilità che la Sede Apostolica
    sia vacante – e possa essere in un futuro dichiarata
    tale (5).
    Vediamo di tirare da questa posizione
    definita “necessaria” (cf p. 20), alcune conseguenze.
    PRIMA CONSEGUENZA: la posizione secondo
    la quale Giovanni Paolo II sarebbe
    Papa è, secondo i suoi stessi sostenitori –
    non definitiva, relativa, incerta, discutibile,
    non dimostrata.
    SECONDA CONSEGUENZA: tutti gli argomenti
    che il Dossier della TC presenta (e
    che esamineremo in seguito) sono anch’essi
    argomenti non definitivi, relativi, incerti, discutibili,
    non dimostrati. Altrimenti, la prima
    conseguenza non sarebbe vera.
    TERZA CONSEGUENZA: in particolare, un
    Papa futuro potrà e dovrà dirci se Paolo VI
    e Giovanni Paolo II erano, sì o no, legittimi
    pontefici. “Potrà”: pertanto l’argomento del
    Dossier di cui ci occuperemo in seguito
    (Paolo VI e Giovanni Paolo II sono Papi
    perché sono stati riconosciuti dalla Chiesa
    universale; affermare il contrario vuol dire
    10
    che la Chiesa ha cessato di esistere per un
    lungo periodo) non ha alcun valore. “Dovrà”:
    pertanto Giovanni Paolo II non è quel
    Papa che può garantire della sua legittimità.
    Perché attendere un Papa futuro quando si
    presuppone che ci sia un Papa attualmente
    (Giovanni Paolo II stesso)? “Se Giovanni
    Paolo II è papa – osserva don Carandino su
    Opportune, importune – non c’è bisogno di
    attendere il pronunciamento della Chiesa di
    domani. La ‘Chiesa’ di oggi si è già pronunciata
    sul Concilio, sulla nuova messa e anche
    sullo stesso Mons. Lefebvre, che considera
    scismatico e scomunicato” (n. 5, p. 2).
    QUARTA CONSEGUENZA: la posizione prudenziale
    considera secondaria la questione di
    sapere se c’è e chi è attualmente il Papa, ovverosia
    la regola prossima della Fede. Questo
    equivale, come abbiamo detto, ad escludere
    di fatto tutto l’insegnamento della Chiesa
    sul Papa, sulla sua autorità, sulla necessaria
    sottomissione al Papa per salvarsi, dal deposito
    della Rivelazione e dalla Tradizione
    che si pretende difendere. Il Papa diventerà
    – per chi adotta questa soluzione prudenziale
    – un elemento del tutto marginale nella pratica
    della propria fede cattolica.
    QUINTA CONSEGUENZA: chi adotta la soluzione
    prudenziale – che non si pronuncia
    definitivamente sulla legittimità di Giovanni
    Paolo II - si espone ad un certo naufragio,
    qualunque posizione decida di praticare: si
    tratta quindi di una posizione altamente imprudente!
    Se infatti Giovanni Paolo II è Papa,
    ci si espone allo scisma resistendogli abitualmente
    e venendo scomunicati da lui e
    separati dalla sua comunione. Se invece
    Giovanni Paolo II non fosse Papa, ci si espone
    al pericolo di seguire un falso papa, citandolo
    nel Canone della Messa e prospettando
    la possibilità di ricevere un riconoscimento
    canonico da parte sua: anche solo il prospettare
    un accordo, nel dubbio che egli possa
    non essere il legittimo Pontefice, è moralmente
    inaccettabile e pericoloso.
    SESTA CONSEGUENZA: la soluzione prudenziale
    rischia fortemente di essere una soluzione
    che verrà dimostrata falsa, come è
    già accaduto nella storia della Fraternità a
    proposito del quesito sulla liceità morale di
    partecipare alla nuova messa.
    Il biografo di Mons. Lefebvre, Mons.
    Bernard Tissier de Mallerais (6), espone molto
    bene questo caso nel capitoletto intitolato,
    appunto, “Un problema, l’assistenza alla
    nuova messa”, e nei capitoli successivi. Bisogna
    sapere che fin dal 1971 i Padri Guérard
    des Lauriers, Barbara e Vinson (tutti “sedevacantisti”)
    presero pubblicamente posizione
    contro l’assistenza alla nuova messa (cf.
    Sodalitium, n. 50, p. 74). Da Mons. Tissier
    apprendiamo che persino Mons. De Castro
    Mayer, in una lettera a Mons. Lefebvre del
    29 gennaio 1969, comunicava al suo confratello
    nell’episcopato la sua convinzione al
    proposito: “non si può partecipare alla nuova
    messa e per esservi presenti vi deve essere una
    ragione grave. Non si può collaborare alla
    diffusione di un rito che, benché non eretico,
    conduce all’eresia. È la regola che do ai miei
    amici” (p. 441). Mons. Tissier approva invece
    la “prudenza” di Mons. Lefebvre (che
    consistette nel cambiare spesso posizione).
    Nel 1969-1970, il fondatore della Fraternità
    sostiene – prudenzialmente! - che non solo si
    può ma si deve assistere alla nuova messa, e
    che è persino lecito celebrarla (cf. pp. 441-
    442); i seminaristi di Mons. Lefebvre danno
    l’esempio, poiché, in sua assenza, “andranno
    ad assistere insieme alla messa presso i bernardini
    di Maigrauge, ove un anziano religioso
    celebra la nuova messa in latino” (p. 441).
    Mons. Tissier definisce questa posizione una
    “attitudine di prudente aspettativa” (p. 442;
    d’altra parte solo nel 1971 Mons. Lefebvre
    decide definitivamente di rifiutare la nuova
    messa: p. 487). Nel dicembre 1972, nelle sue
    conferenze ai seminaristi, ripropone la necessità
    di assistere eventualmente alla nuova
    messa per soddisfare al precetto domenicale;
    Mons. Tissier commenta: “così, l’arcivescovo
    si distacca dai sacerdoti Coache e Barbara
    che, in occasione delle ‘marce su Roma’ che
    hanno organizzato nella Pentecoste degli anni
    1971 e 1973 hanno fatto fare ai pellegrini e
    ai bambini un ‘giuramento di fedeltà alla
    messa di San Pio V’” (p. 490). Ancora nel
    1973 predica: “cercate la messa tridentina, o
    almeno la consacrazione detta in latino” (p.
    478). Ma ecco che in una lettera privata del
    23 novembre 1975 (dopo, quindi, la soppressione
    del seminario e della Fraternità decretata
    da Paolo VI), Mons. Lefebvre scrive che
    la nuova messa “non obbliga per compiere il
    precetto domenicale” (p. 490). “Nel 1975,
    ammetterà ancora una ‘assistenza occasionale’
    alla nuova messa, quando si teme di restare
    a lungo senza comunione. Ma nel 1977 è
    quasi assoluto: ‘conformandoci all’evoluzione
    che si produce poco a poco negli spiriti dei
    11
    sacerdoti (…) dobbiamo evitare, direi quasi
    in maniera radicale, ogni assistenza alla nuova
    messa” (p. 491). “Ben presto – scrive ancora
    Mons. Tissier – Mons. Lefebvre non tollera
    più che si partecipi alla messa celebrata
    secondo il nuovo rito…” (p. 491). Non dice,
    il biografo, che questo “ben presto” data solo
    del giugno 1981, in occasione della divisione
    prodottasi a Ecône sulle tesi di don Cantoni,
    allora professore in seminario (favorevole
    all’assistenza alla nuova messa, spalleggiato
    in ciò dallo stesso direttore, l’abbé Tissier)
    (7). Nel 1982, ogni candidato al sacerdozio
    della Fraternità dovrà giurare di non
    consigliare a nessuno l’assistenza alla nuova
    messa e nel 1983 il distretto italiano esporrà
    – come posizione di Mons. Lefebvre – la
    dottrina secondo la quale si commette oggettivamente
    peccato assistendo alla nuova
    messa (8). Riassumendo: per la Fraternità
    San Pio X: dal 1969 al 1975 era obbligatorio
    assistere, in certi casi, alla nuova messa, sotto
    pena di peccato. Dal 1975 al 1981 era lecito
    non assistere alla nuova messa, come assistervi.
    Dal 1981 in poi, è illecito assistervi,
    sotto pena di peccato. Vediamo quindi come
    la “posizione prudenziale” di Mons. Lefebvre
    e della Fraternità San Pio X su di un’importante
    questione morale (la non assistenza
    alla messa è materia di grave peccato) e dottrinale
    (l’assistenza al nuovo messale dipende
    dal giudizio dottrinale che si porta sulla
    riforma liturgica) è consistita in una continua
    evoluzione ove il punto d’arrivo (per
    ora) (9) è diametralmente contrario al punto
    di partenza, e sposa la posizione di coloro
    che venivano inizialmente condannati come
    “imprudenti” da Mons. Lefebvre (Coache,
    Barbara, Vinson, Guérard des Lauriers, lo
    stesso Mons. de Castro Mayer). Dietro a
    questi continui cambiamenti di posizione,
    nessuna motivazione di principio, ma solo il
    tener conto “dell’evoluzione che si produce
    poco a poco nello spirito dei sacerdoti”: la fede
    e la morale al seguito, quindi, dell’opinione…
    Non viene in mente all’autore del dossier
    che il caso della “posizione prudenziale”
    sull’assistenza alla nuova messa è assolutamente
    analogo a quello sulla legittimità di
    Giovanni Paolo II?
    Per concludere: la “soluzione prudenziale”
    proposta dalla TC è dottrinalmente
    infondata, intimamente contraddittoria e altamente
    imprudente. L’unico punto condivisibile
    è quello secondo il quale la Chiesa ge-
    rarchica (cardinali, vescovi residenziali, un
    futuro Concilio o un futuro Papa) dovrà
    pronunciarsi con autorità sulla questione
    della legittimità di Paolo VI e Giovanni
    Paolo II. Nel frattempo però il problema
    non può essere lasciato insoluto, perché fin
    da adesso i fedeli devono sapere se l’attuale
    occupante della Sede Apostolica è – sì o no
    – il Vicario di Cristo al quale è doveroso essere
    sottomessi (non solo a parole) per poter
    conseguire l’eterna salvezza.
    Terza parte: LA “PRESENTAZIONE DEL
    TEMA A CARATTERE STORICO” DA
    PARTE DELLA TC. LACUNE ED ERRORI
    STORICI CHE RENDONO CADUCHE
    TUTTE LE DEDUZIONI CHE IL DOSSIER
    PRETENDE FARE DA UN PUNTO DI
    VISTA STORICO
    “Intendiamo intraprendere la nostra analisi
    sul sedevacantismo – scrive la TC – con
    una presentazione del tema a carattere storico,
    il più possibile semplice, per permettere al
    lettore di cogliere il problema di fondo nella
    sua concretezza e nella sua immediatezza…”
    (p. 7) (10). Seguirò l’Autore nel suo intento.
    La breve storia del “sedevacantismo” (pp. 7-
    8) ha uno scopo ben preciso: dimostrare che
    la tesi “sedevacantista” sarebbe tardiva (una
    “prima e lacunosa presa di posizione” in
    Messico nel 1973, seguita in Francia da una
    più chiara e strutturata nel 1976) (cf p. 8).
    Da questo dato storico, l’Autore intende dedurre
    due conclusioni. La prima è che dottrinalmente
    il sedevacantismo è falso, poiché
    sarebbe impossibile - per l’indefettibilità
    della Chiesa - che dal 1965 al 1973-76 nessuno
    si sia accorto che la Sede era vacante (cf
    pp. 28-34, 40-41, 50-60). La seconda, di ordine
    pratico, è che il sedevacantismo avrebbe
    rotto la precedente unità dei tradizionalisti
    attorno a Mons. Lefebvre: “sarebbe auspicabile
    – conclude l’Autore – che il sedevacantismo
    avesse l’umiltà e il coraggio di trarre le
    ultime conseguenze dalla constatazione di
    questa necessità (11) affinché il mondo tradizionalista
    possa ritrovare quella unità iniziale
    lacerata il giorno della proclamazione della
    vacanza della Sede Apostolica” (p. 60).
    Dimostrerò che – anche solo da un punto
    di vista storico – queste conclusioni sono,
    per riprendere un’espressione usata contro
    di me, “semplicemente false” (cf p. 29).
    12
    Il sedevacantismo non fu tardivo. Esso fu
    persino “preventivo”! Le prese di posizione
    sedevacantiste sulla questione del Papa dal
    1962 in poi
    L’Autore del numero speciale della TC è
    giovane e non ha conosciuto altro che la
    Fraternità; si spiega forse così la sua ignoranza
    della storia del “tradizionalismo” malgrado
    le “diligenti ricerche” (cf p. 29, nota 7)
    fatte. Come egli stesso ci chiede (ibidem), gli
    diamo qualche informazione al proposito.
    Dimostreremo che il sedevacantismo è esistito
    in un certo senso prima ancora del
    1965, e che la questione del Papa è stata al
    centro delle discussioni dei “tradizionalisti”
    (sedevacantisti o no) fin dal principio, mentre
    la “soluzione prudenziale” (consistente
    nel disinteresse per questa questione, considerata
    secondaria se non oziosa e nociva) sia
    stata propria alla sola Fraternità san Pio X.
    I cattolici messicani. Padre Saenz y Arriaga
    (12) (1962/65)
    Nel titoletto ho spiegato che il “sedevacantismo”
    non solo non fu tardivo, ma fu addirittura
    “preventivo”. Faccio allusione al libro
    Complotto contro la Chiesa, pubblicato
    sotto lo pseudonimo di Maurice Pinay; la sua
    prima edizione – quella italiana - data del
    Copertina del libro “Complotto contro la Chiesa”
    pubblicato nel 1962
    1962 e fu distribuita a tutti i Padri Conciliari
    nell’ottobre dello stesso anno, dopo 14 mesi
    di lavoro da parte degli autori (13). Non si
    può richiedere – direi – una data di nascita
    più antica e più pubblica (a Roma, nell’aula
    stessa di san Pietro) del sedevacantismo. Il libro
    in questione denuncia le trattative in corso
    tra il Card. Bea (incaricato da Giovanni
    XXIII) e le autorità giudaiche (particolarmente
    il B’naï B’rith) per ottenere dal Concilio
    appena convocato una dichiarazione in
    favore del giudaismo. Questa dichiarazione
    avrebbe ottenuto lo scopo di mettere il Vaticano
    II in contraddizione con il Vangelo, il
    consenso unanime dei Padri e diciannove secoli
    di magistero infallibile della Chiesa. I
    giudei vogliono che in tal modo la “santa
    Chiesa contraddica se stessa, perdendo autorità
    sui fedeli, perché evidentemente proclameranno
    che un’istituzione che si contraddice
    non può essere divina” (p. XIX). Nell’introduzione
    all’edizione austriaca (gennaio 1963)
    si legge: “l’audacia del comunismo, della
    massoneria e dei giudei giunge a tal punto che
    già si parla di controllare l’elezione del prossimo
    Papa, pretendendo collocare sul trono
    di San Pietro uno dei loro complici nel rispettabile
    corpo cardinalizio” (p. 3). Secondo gli
    autori, tale piano non è nuovo: “come lo dimostreremo
    in questa opera, con documenti
    di indiscutibile autenticità, i poteri del Dragone
    infernale giunsero a collocare nel Pontificato
    un cardinale manovrato dalle forze di
    Satana, dando la momentanea senzazione di
    essere i padroni della Santa Chiesa. Nostro
    Signore Gesù Cristo, che non l’ha mai abbandonata,
    ispirò l’azione ed armò il braccio di
    uomini pii e combattivi come San Bernardo,
    San Norberto, il cardinal Aimerico (…) che
    non riconobbero la qualifica di Papa al cardinal
    Pierleoni, questo lupo con pelle di agnello
    che cercò per molti anni di usurpare il trono
    di San Pietro, scomunicandolo e relegandolo
    alla qualifica di Antipapa che si meritava” (p.
    4). Ed in effetti, l’intero capitolo XXV (Un
    cardinale cripto-giudeo usurpa il papato) è
    consacrato al caso dell’antipapa Anacleto II
    Pierleoni. Come si vede, per gli autori del libro
    Complotto contro la Chiesa (laici ed ecclesiastici
    legati all’Università di Guadalajara
    e all’Unione cattolica Trento), solo un antipapa
    come il Pierleoni avrebbe potuto promulgare
    il documento Nostra Aetate che il
    cardinal Bea preparava in Concilio; costui fu
    Paolo VI, eletto nel giugno del 1963. Dopo
    13
    Complotto contro la Chiesa non mancarono
    altri interventi su questo tema durante il
    Concilio (14). Nonostante ciò, e nonostante
    l’opposizione della minoranza concilare guidata
    da Mons. Carli, Vescovo di Segni (e
    coadiuvata dai Vescovi arabi), e nonostante
    numerosi incidenti di percorso che fecero
    pensare a un accantonamento dello schema,
    si giunse alla vigilia del voto definitivo della
    dichiarazione conciliare Nostra aetate. I cattolici
    che si opponevano al Concilio e a Nostra
    aetate fecero un ultimo tentativo per cercare
    di sbarrare la strada alla Dichiarazione.
    Henri Fesquet, inviato del giornale Le Monde,
    scrive in un suo articolo del 16 ottobre
    1965: “Bisogna soprattutto menzionare il libello
    di quattro pagine che hanno ricevuto i
    vescovi. È preceduto da questo titolo lungo
    quanto curioso: ‘Nessun concilio né alcun papa
    possono condannare Gesù, la Chiesa cattolica,
    apostolica e romana, i suoi Pontefici e i
    Concili più illustri. Ora, la dichiarazione sugli
    ebrei comporta implicitamente una tale condanna,
    e per questa ragione deve essere rigettata’.
    Nel testo, si leggono queste affermazioni
    impressionanti: ‘I giudei desiderano adesso
    spingere la Chiesa a condannarsi tacitamente
    e a screditarsi davanti al mondo intero. È evidente
    che solo un antipapa e un conciliabolo
    potrebbero approvare una dichiarazione
    di questo genere. Ed è ciò che pensano con
    noi un numero sempre più grande di cattolici
    sparso nel mondo, i quali sono decisi a
    operare nel modo adesso necessario per salvare
    la Chiesa da una tale ignominia’ (…)”
    (15). Gli storici della Tradizione Cattolica dovranno
    pertanto ammettere che il “sedevacantismo”
    non ha visto la nascita nel 1973/76,
    ma prese pubblica posizione, rivolgendosi a
    tutti i Padri Conciliari, dal 1962 al 1965, cioè
    dall’inizio alla fine del Vaticano II. Dovranno
    anche ammettere che questi cattolici condannarono
    la dichiarazione Nostra aetate,
    mentre Mons. Lefebvre (che pure ne aveva
    chiesto il rifiuto assieme a Mons. Carli e
    Mons. Proença Sigaud con una lettera ai Padri
    Conciliari distribuita in aula l’11 ottobre)
    (16) non fece parte – secondo le sue stesse dichiarazioni
    (17) – degli 88 Padri che non votarono
    il documento conciliare il 28 ottobre
    1965 (18). Questi soli fatti storici rovinano totalmente
    tutte le tesi della Tradizione Cattolica
    fondate sul carattere tardivo del sedevacantismo.
    Per completezza, aggiungerò altre
    testimonianze sull’esistenza del “sedevacan-
    tismo” prima del 1973/76, data di nascita di
    questa posizione secondo gli storici diligenti
    de La Tradizione Cattolica.
    Padre Guérard des Lauriers, l’abbé Coache
    (1969)
    È noto che il “tradizionalismo” esce allo
    scoperto soprattutto con la promulgazione
    del nuovo messale, nel 1969. Possiamo dimostrare
    che a quella data, i principali difensori
    della Messa cattolica in Francia erano
    “sedevacantisti”. L’abbé de Nantes narra
    infatti (a modo suo) della riunione tenutasi
    presso di lui alla Maison Saint-Joseph a
    Saint-Parres-les-Vaudes il 21 luglio 1969
    (prima della promulgazione del nuovo messale,
    avvenuta nel novembre dello stesso anno).
    Si recarono dall’abbé de Nantes l’abbé
    Philippe Rousseau, i padri messicani Saenz
    y Arringa (19) e Charles Marquette, l’abbé
    Coache e Padre M.L. Guérard des Lauriers,
    più un laico di Versailles (Alain Tilloy); Padre
    Barbara era già ospite dell’abbé de Nantes,
    indipendentemente dal gruppo che gli
    rese visita. Secondo la testimonianza
    dell’abbé de Nantes e dei suoi religiosi, i sacerdoti
    che vennero a fargli visita sostenevano
    l’invalidità della nuova messa e la vacanza
    della Sede Apostolica. La conferma di
    questa testimonianza si trova in una lettera
    di Padre Guérard des Lauriers dell’otto agosto
    seguente all’abbé de Nantes, nella quale
    fa riferimento alla visita del 21 luglio, e sostiene
    essere dimostrato – dall’approvazione
    del nuovo messale – che il “cardinale Montini”
    non è Papa (20).
    Argentina, Stati Uniti, Germania… (1967/69)
    L’influenza dell’abbé de Nantes (allora
    enorme, a causa della sua opposizione al
    Vaticano II fin dal principio) faceva esitare
    persone come Padre Barbara o, in Argentina,
    il prof. Disandro, che poneva però anch’egli,
    già nel maggio del 1969, la questione
    della Sede vacante (21). Negli Stati Uniti non
    mancarono ben presto i “sedevacantisti”, fin
    almeno dal 1967, se non prima, come lo testimonia
    la lettera del dott. Kellner al cardinale
    Browne del 28 aprile di quell’anno (22).
    Così pure in Germania, dove nel 1966 era
    stato fondato l’Una Voce-Gruppe Maria; fin
    dal 1969 il prof. Reinhard Lauth, dell’Università
    di Monaco, si dichiarò per la vacanza
    della Sede Apostolica (23). La tesi della TC
    pertanto (nessuna traccia di “sedevacantismo”
    prima del 1973/76) è dimostrata – anche
    universalmente – falsa.
    Posizioni diverse
    Vale la pena infine esaminare due altre
    posizioni che – pur non essendo necessariamente
    “sedevacantiste” – nulla hanno a che
    vedere con la “posizione prudenziale” di
    Mons. Lefebvre. Durante il Concilio Vaticano
    II, oltre ai cattolici messicani dei quali
    abbiamo parlato, si distinsero anche i francesi
    dell’abbé de Nantes, ed i brasiliani riuniti
    attorno ai Vescovi di Campos (de Castro
    Mayer) e di Diamantina (Proença Sigaud,
    che però accettò poi pienamente le riforme).
    In guisa d’appendice, citerò la posizione della
    più importante rivista francese diretta da
    laici cattolici, Itinéraires. Quale fu la loro posizione
    sulla questione?
    L’abbé de Nantes
    L’abbé de Nantes, già parroco di Villemaur,
    nelle sue Lettres à mes amis rifiutò fin
    dal principio i documenti concilari, per cui, fino
    al 1969, fu considerato di fatto il punto di
    riferimento del “tradizionalismo” (24). Nel dicembre
    1967 (CRC, n. 3), l’abbé de Nantes
    studiò in maniera approfondita il caso del Papa
    eretico, seguendo l’opinione del Cardinal
    L’abbé Coache
    Journet. I fedeli non potevano contestare la
    validità dell’elezione di Paolo VI a causa
    dell’accettazione pacifica della Chiesa universale
    (è l’argomento della TC) (25). Sposando
    la tesi del Cardinal Journet (il Papa eretico
    non è deposto ipso facto, ma deve essere dichiarato
    tale dalla Chiesa), l’abbé de Nantes
    constatava che Paolo VI, apostata, eretico,
    scandaloso e scismatico, doveva essere dichiarato
    deposto dal Clero romano (i Cardinali).
    “È loro dovere [di chi constata gli errori
    di Paolo VI] di portare questa accusa davanti
    alla Chiesa. Prima, avvertendo il Papa stesso,
    poi facendo appello (…) al magistero infallibile
    di questo Papa (26) o, in mancanza di ciò,
    al Concilio. Formalmente, spetta al clero di
    Roma, e principalmente ai cardinali-vescovi,
    suffraganei del vescovo di Roma, l’incarico di
    condurre a termine una così pericolosa ma urgente
    missione per la salvezza della Chiesa”.
    “Una tale azione – scriveva – (…) ha la preminenza
    su qualunque altra cura e costituisce
    la più alta carità, poiché il Pesce – ICTUS _
    marcisce dalla Testa se la Funzione suprema
    non è tolta ad un uomo già morto” (27). In
    questa prospettiva, vide nella lettera d’approvazione
    dei Cardinali Ottaviani e Bacci al
    Breve esame critico del novus ordo missae
    (1969) l’inizio del processo canonico a Paolo
    VI. Con questo scopo, il 10 aprile 1973 fece
    15
    pervenire a Paolo VI un Liber accusationis
    ove Giovanni Battista Montini venne accusato
    di apostasia, eresia e scisma. In questo
    contesto, chiese ai Vescovi (e specialmente,
    seppur senza nominarlo, a Mons. Lefebvre)
    di rompere la comunione con Paolo VI. “Resta
    allora l’ultimo rimedio, eroico, il solo che
    tema Colui che ha scientemente e pertinacemente
    invertito il senso della sua missione divina
    e apostolica. Bisogna che un Vescovo,
    anch’egli successore degli Apostoli, membro
    della Chiesa docente, collega del Vescovo di
    Roma e come lui ordinato al bene comune
    della Chiesa, rompa la sua comunione con lui
    finché non avrà dato prova della sua fedeltà
    all’ufficio del suo supremo pontificato” (28).
    “È evidente che l’abbé Georges de Nantes si
    augurava che Mons. Lefebvre dichiarasse al
    più presto la sua sottrazione di obbedienza a
    Paolo VI, rompendo la sua comunione con
    lui, secondo le antiche formule di un San Basilio
    [citata già nel 1965] o di un San Colombano”
    (29). La proposta inquietò Paolo VI. Già
    nel 1969 la Congregazione per la Dottrina
    della Fede aveva chiesto all’abbé de Nantes
    di “sconfessare l’accusa d’eresia portata contro
    Papa Paolo VI e la conclusione aberrante
    (…) sull’opportunità della sua deposizione da
    parte dei cardinali” (formula di ritrattazione);
    di fronte al suo rifiuto, ci si limitò a notificare
    che egli “squalifica l’insieme dei suoi scritti e
    delle sue attività” (Notificazione del 9 agosto
    1969) (30). Dopo la dichiarazione di Mons.
    Lefebvre del novembre 1974, il Vescovo fu
    convocato a Roma dalla Commissione cardinalizia
    istituita da Paolo VI. Nei loro interrogatori
    del marzo 1975 i cardinali Garrone e
    Tabera manifestarono la loro preoccupazione
    che Mons. Lefebvre ascoltasse l’appello
    dell’abbé de Nantes. Non solo Mons. Lefebvre
    non lo fece (scrisse anzi al sacerdote francese
    il 19 marzo 1975 “se un vescovo rompe
    con Roma, [quel vescovo] non sarò io”), ma
    sconfessò con i Cardinali il suo stesso manifesto
    (quelle cose “le ho scritte in un momento
    d’indignazione”) (31). Invano: la Fraternità fu
    egualmente soppressa (6 maggio 1975).
    Mons. Lefebvre romperà egualmente con
    “Roma”, ma per dei motivi disciplinari…
    Mons. de Castro Mayer
    Il Vescovo di Campos, ancora legato a
    quei tempi alla Società Brasiliana Tradizione,
    Famiglia e Proprietà, inviò a Paolo VI uno
    L’abbé de Nantes, a Roma nel 1973, mostra ai giornalisti
    il suo “Liber accusationis” contro Paolo VI
    studio di Arnaldo Xavier Vidigal da Silveira,
    membro fondatore della TFP, sul nuovo messale
    di Paolo VI e sull’ipotesi teologica del
    Papa eretico (32). La connessione tra i due temi
    era evidente. L’autore, che a differenza
    del cardinal Journet, propende per la tesi secondo
    la quale il Papa eretico è per il fatto
    stesso deposto (la considera certa); invita
    però a nuovi studi sul tema al fine di trovare
    un accordo tra i teologi che permetta di applicare
    con certezza, nella pratica, questa
    conclusione (p. 281; cf pp. 214-216) (33). La
    posizione di Vidigal da Silveira e di Mons. de
    Castro Mayer, non era ancora apertamente
    “sedevacantista”; ammonivano però dal non
    tenerne conto: “supponiamo che qualcuno
    tenga per certa, senz’altro problema, l’opinione”
    secondo la quale un Papa eretico è ancora
    Papa prima di essere deposto: “costui dovrebbe,
    logicamente, accettare come dogma
    una nuova solenne definizione che farebbe un
    papa eretico prima della proclamazione della
    dichiarazione di eresia. Una tale accettazione
    sarebbe inconsiderata, poiché, secondo quanto
    sostengono autori di gran peso, un tale papa
    potrebbe già aver perso il pontificato, e definire
    pertanto come dogma una proposizione
    falsa” (p. 215). Conseguentemente, Mons. de
    Castro Mayer non emarginò mai i “sedevacantisti”
    (al contrario di Mons. Lefebvre),
    aderì all’iniziativa dei “guérardiani” della
    Lettera a qualche vescovo (del gennaio 1983),
    e sostenne addirittura la vacanza della Sede
    16
    (senza curarsi dalla “pacifica accettazione della
    Chiesa”) a Ecône, prima delle consacrazioni
    episcopali. Se non diede maggiore pubblicità
    e seguito alla sua convinta posizione sedevacantista,
    ciò fu dovuto al desiderio di non
    compromettere le sue relazioni con Mons.
    Lefebvre, come quest’ultimo ebbe occasione
    di dichiarare: “Se non fosse per me, Mons. de
    Castro Mayer sarebbe sedevacantista. Si
    astiene dal sedevacantismo, per non disunirci”(
    Mons. Williamson, “lettera pastorale”:
    Campos - Cos’è andato male? Giugno 2002).
    La conseguenza di tutto ciò, è stato l’accordo
    coi modernisti stipulato dai Mons. Rangel e
    Rifan…
    Itinéraires
    La rivista Itinéraires (diretta da Jean Madiran)
    era la più prestigiosa rivista francese
    che avesse preso posizione contro i nuovi catechismi
    e contro la nuova messa. Pur sostenendo
    una posizione più moderata di quella,
    ad esempio, di un Padre Guérard des Lauriers
    (che era però collaboratore della rivista),
    non esitò, al momento della “promulgazione”
    del nuovo messale, ad esporre ai suoi
    lettori la questione del “papa eretico” e delle
    varie posizioni dei teologi sulla perdita del
    pontificato in questa evenienza (34). Il problema
    era per lo meno pubblicamente posto.
    La pubblica azione dei “tradizionalisti” in
    genere nacque senza l’appoggio palese di
    Mons. Lefebvre. Il sedevacantismo non può
    pertanto aver rotto un’unità iniziale attorno
    alla Fraternità San Pio X
    “Sarebbe auspicabile – così conclude la
    TC – che il sedevacantismo avesse l’umiltà e
    il coraggio di trarre le ultime conseguenze
    dalla constatazione di questa necessità, affinché
    il mondo tradizionalista possa ritrovare
    quella unità iniziale lacerata il giorno della
    proclamazione della vacanza della Sede
    Apostolica” (p. 60). Ma è proprio vero che
    “l’unità iniziale” era costruita attorno a
    Mons. Lefebvre e alla Fraternità San Pio X?
    (cf. p. 8). Ed è vero che la colpa della lacerazione
    di questa “unità iniziale” è da attribuirsi
    ai “sedevacantisti”? Possiamo tranquillamente
    rispondere “no” ad entrambi i
    questiti.
    Il ruolo di Mons. Lefebvre, già durante il
    Concilio, ove fu presidente del Coetus inter-
    Mons. de Castro Mayer
    (nella foto ricevuto a Ecône da Mons. Lefebvre)
    nationalis Patrum, è indiscutibile e a tutti
    noto; non gli saremo mai abbastanza grati
    per tutto quanto egli ha fatto per la Chiesa.
    Precisiamo però senza tema di smentite che,
    dalla fine del Concilio fino alla dichiarazione
    del 21 novembre 1974, e persino fino alla
    fine del 1975, Mons. Lefebvre volle sempre
    – in pubblico – distinguere la sua persona e
    la sua opera da quella dei “tradizionalisti”.
    Pubblicamente, egli non sostenne i primi oppositori
    al Concilio ed i primi oppositori alla
    nuova Messa.
    Mons. Lefebvre ed il Concilio (1964-1969)
    Dal 1965 al 1969 il “tradizionalismo” è
    impegnato nel rifiutare il Vaticano II; in
    Francia, spicca il nome dell’abbé de Nantes.
    Quale fu la posizione di Mons. Lefebvre?
    Lo chiederemo al suo biografo, Mons. Tissier
    de Mallerais. Mons. Lefebvre votò “placet”
    a tutti i documenti conciliari tranne due
    (Gaudium et spes; Dignitatis humanæ); anche
    questi due documenti – malgrado le affermazioni
    in contrario di Mons. Lefebvre
    (35) – furono da lui sottoscritti e promulgati
    con Paolo VI (pp. 332-334): “una volta che
    uno schema era promulgato dal papa – spiega
    Mons. Tissier per giustificare questa accettazione
    del Vaticano II – non era più uno
    schema ma un atto del magistero, cambiando
    così di natura” (p. 333). Nel 1968 Mons. Lefebvre
    disse (la conferenza è riportata in Un
    vescovo parla):“I testi del concilio, e particolarmente
    quelli di Gaudium et spes e quello
    della Libertà religiosa, sono stati sottoscritti
    dal papa e dai vescovi, quindi non possiamo
    dubitare del loro contenuto” (p. 399). Nello
    stesso anno, il Vescovo si dichiarava ottimista
    – sulla rivista Itinérarires – grazie a Paolo
    VI (p. 402). “Nessun capofila della resistenza
    cattolica in Francia e altrove – commenta
    Tissier – manifestava la minima velleità di
    mettere in dubbio le decisioni conciliari: né
    Mons. Lefebvre nei suoi commenti, né dei
    laici eminenti come Jean Madiran (…) Jean
    Ousset (…) o Marcel Clement” (p. 403): evidentemente
    l’abbé de Nantes, che era processato
    proprio nel 1968, o Padre Saenz sono
    sconosciuti (!) al biografo… In una parola:
    tutta la lodevole pubblica attività di
    Mons. Lefebvre tra il 1965 ed il 1969 si svolge
    però nell’ambito dell’accettazione del
    Vaticano II, quando invece esisteva di già la
    critica aperta al Concilio (36).
    17
    Mons. Lefebvre dopo la “promulgazione”
    del nuovo messale (1969-1974/75)
    Nel 1969, con la promulgazione del nuovo
    messale, si sviluppa il cosiddetto movimento
    “tradizionalista”. Non c’è alcun dubbio
    sul fatto che – dietro le quinte – Mons.
    Lefebvre è sempre presente per sostenere
    ed incoraggiare quanti si opposero al Novus
    Ordo Missae (N.O.M.). Tuttavia, Mons. Lefebvre
    (che nel 1969 aveva aperto un suo seminario
    e che nel novembre del 1970 aveva
    fatto approvare la Fraternità San Pio X dal
    Vescovo di Friburgo) non prese pubblicamente
    posizione, fino a quando non fu costretto
    ad uscire allo scoperto dalla visita
    apostolica al seminario di Ecône (1974) e
    dalle successive sanzioni (1975-1976). Nessuno
    contesterà quanto scrisse Alexandre
    Moncriff sulla rivista francese della Fraternità
    San Pio X, Fideliter, in occasione della
    morte dell’abbé Coache: “La Fraternità San
    Pio X era stata fondata da Mons. Lefebvre
    solo nel novembre 1970 e si occupava allora
    di formare i suoi primi seminaristi: era ben
    lungi dall’aver raggiunto lo sviluppo che conobbe
    soprattutto a partire dal 1976. Una lettera
    inedita di Mons. Lefebvre all’abbé Coache,
    datata 25 febbraio 1972, mostra come
    Mons. Lefebvre, preso dalla difficile fondazione
    della sua Fraternità, era ancora in disparte:
    ‘Reverendo (…) vogliate comprendere
    che per la sopravvivenza dell’opera che
    perseguo, Dio sa in qual dedalo di difficoltà!,
    non posso far nulla di pubblico e solenne in
    una diocesi senza avere il placet del vescovo
    (…) Ci sono già lamentele contro il seminario.
    Sto riuscendo a dimostrarne la falsità e
    lentamente mi radico e progredisco. Ma se mi
    metto canonicamente nel torto, tutte le porte
    mi saranno chiuse per delle nuove fondazioni,
    per delle nuove incardinazioni. Questo
    vale per me, a causa della sopravvivenza e
    del progresso della mia opera, ma non vale
    necessariamente per lei (…) Mi troverà troppo
    prudente. Ma è l’affetto che porto a questa
    gioventù clericale che mi porta ad esserlo. Mi
    devo estendere, ed ottenere il Diritto Pontificio’
    [ovvero, che la Fraternità fosse riconosciuta
    non solo dal Vescovo – di diritto diocesano
    – ma anche dalla Santa Sede – di diritto
    pontificio; n.d.a.]” (37).
    Questo spiega tutti i silenzi, tutte le assenze
    di Mons. Lefebvre e della sua Fraternità fino
    alla fine del 1974. Spiega l’attitudine “pru-
    denziale” sull’assistenza alla nuova messa,
    della quale abbiamo già parlato. Spiega il fatto
    che, al contrario dei Cardinali Ottaviani e
    Bacci, non sottoscrisse il Breve esame critico
    del Novus Ordo Missae (38). Spiega il fatto che
    – malgrado l’accorato appello di Jean Madiran
    sulla rivista Itinéraires (39), e l’esempio di
    altri sacerdoti (40) – si sia rifiutato di prendere
    pubblicamente posizione contro la nuova
    messa (41). Spiega il fatto che né lui né la Fraternità
    abbiano partecipato alle Marce romane
    di Pentecoste del 1970 (1.500 persone),
    1971 (5.000 persone) e 1973 (22 paesi diversi,
    700 pellegrini solo dalla Francia) organizzati
    dall’abbé Coache con Padre Barbara, P.
    Saenz, Elisabeth Gerstner e Franco Antico,
    anzi ne decretò di fatto la morte nel 1975 (42).
    Spiega il fatto che nel 1968-72 non sostenne le
    processioni del Corpus Domini a Montjavoult
    (la parrocchia dell’abbé Coache), riunione
    annuale di tutti i “tradizionalisti” francesi che
    arrivò a contare 5.000 partecipanti o, nel
    1973, l’iniziativa, sempre dell’abbé Coache, di
    fondare a Flavigny un seminario minore (43)
    (ancora nel 1977, l’occupazione di Saint-Nicolas-
    du-Chardonnet a Parigi, non solo non fu
    l’opera della Fraternità, ma fu persino pubblicamente
    condannata dal direttore del seminario
    di Ecône!). Mgr Tissier, nella sua biografia
    di Mons. Lefebvre (p. 523), fissa alla fine
    del 1975 la data nella quale il Vescovo tradizionalista
    mise in causa il Concilio e Paolo VI
    (“Fino al 1975 Mons. Lefebvre bada di non attaccare
    il concilio e il papa. Il 30 maggio 1975,
    in conferenza dichiara ai seminaristi: ‘Soprattutto,
    non dite mai: Monsignore è contro il papa,
    contro il concilio, non è vero!’”).
    Potrei moltiplicare gli esempi, ma quanto
    scritto fin qui è sufficiente a sfatare la pretesa
    storica della TC. La resistenza pubblica al
    nuovo messale, come al Concilio, nacque
    senza Mons. Lefebvre; tra i primi, troviamo i
    nomi di sacerdoti che erano o diventarono
    “sedevacantisti” (delle varie correnti): Padre
    Guérard, Padre Barbara, l’abbé Coache,
    Padre Saenz. Il “sedevacantismo” non venne
    a dividere un preesistente movimento,
    ma piuttosto contribuì a fondarlo!
    Mons. Lefebvre ed i sedevacantisti. Chi
    operò la rottura, e perché (1977-1979)
    Nonostante ciò la TC sostiene che furono
    i sedevacantisti a dividere il movimento
    di opposizione al Concilio e alla riforma li-
    18
    turgica. La storia dimostra come – in realtà –
    la decisione di operare questa divisione è da
    attribuirsi alla Fraternità San Pio X, e non ai
    sedevacantisti.
    Questi ultimi, infatti, malgrado la loro
    posizione ben diversa da quella di Mons. Lefebvre,
    rimasero sempre al suo fianco: fino
    al 1974, perché prendesse pubblicamente
    posizione sulla Messa e sul Concilio, dal
    1974 al 1977, perché prendesse posizione
    sulla questione del Papa.
    Il 6 maggio 1975, infatti, il Vescovo di
    Losanna-Ginevra-Friburgo, Mons. Mamie,
    soppresse canonicamente, con l’accordo di
    Paolo VI, la Fraternità San Pio X (44). Anche
    se ancora il 22 giugno 1976 Mons. Lefebvre
    si dichiarava “in piena comunione di pensiero
    e di fede” con Paolo VI (45), la sospensione
    a divinis inflittagli il 22 luglio da quest’ultimo
    dopo le ordinazioni del 29 giugno, spinsero
    il Vescovo francese a dichiarare in luglio
    che la “chiesa conciliare” era una chiesa
    scismatica (46) e ipotizzare pubblicamente in
    agosto la vacanza della Sede apostolica (47).
    È evidente che – in questi frangenti – i sedevacantisti
    non potevano che essere in prima
    fila tra i sostenitori di Mons. Lefebvre, la cui
    popolarità “sale alle stelle” in quel periodo
    (Tissier, p. 515). Padre Guérard, professore
    a Ecône, Padre Barbara nella rivista Forts
    dans la Foi, persino i sedevacantisti messicani
    (48), sostengono Mons. Lefebvre, al punto
    che il parroco della Divina Provvidenza ad
    Acapulco, padre Carmona (che sarà consacrato
    nel 1981 da Mons. Thuc) fu scomunicato
    dal suo Vescovo per aver celebrato una
    Messa in sostegno di Mons. Lefebvre l’8 dicembre
    1976 (49).
    La collaborazione tra i sedevacantisti e la
    Fraternità di Mons. Lefebvre fu compromessa
    dalle trattative tra quest’ultimo e Paolo
    VI/Giovanni Paolo II. Già alla Messa di
    Lille del 29 agosto 1976, dove pure Mons.
    Lefebvre ebbe parole durissime verso i
    riformatori (preti bastardi, messa bastarda),
    egli invocò una udienza presso Paolo VI per
    poter fare “l’esperienza della tradizione”
    (Tissier, pp. 517-518). L’udienza fu accordata
    l’11 settembre 1976, e nel maggio successivo
    il Card. Seper, incaricato da Paolo VI,
    iniziò i colloqui col Vescovo tradizionalista.
    In quel periodo (febbraio 1977) la posizione
    sul Papa fu quella poi pubblicata nel libro Il
    colpo da maestro di Satana: la Sede vacante
    era una ipotesi possibile, alla quale era pre-
    ferita la posizione di Paolo VI Papa legittimo
    ma liberale (50). Ed è proprio nel 1977
    che vengono discretamente allontanati da
    Ecône i due principali sostenitori francesi
    del sedevacantismo: Padre Barbara (la cui
    rivista Forts dans la Foi sarà vietata in seminario
    dopo la pubblicazione del n. 51 del novembre
    1977) (51) e Padre Guérard des Lauriers,
    che non fu più invitato a tenere le sue
    lezioni a Ecône dopo aver predicato gli esercizi
    per i seminaristi nel settembre 1977 (52).
    Malgrado ciò, sia Padre Barbara nella sua rivista,
    sia Padre Guérard continuarono a sostenere
    Mons. Lefebvre (Padre Guérard inviò
    persino a Ecône, nel 1978, i suoi giovani
    domenicani, cf Tissier, p. 549). La rottura
    definitiva avvenne dopo la morte di Paolo
    VI (6 agosto 1978) e l’udienza accordata a
    Mons. Lefebvre da Giovanni Paolo II (18
    novembre 1978) dove la formula “il Concilio
    alla luce della Tradizione” (G.P.II, 6 novembre
    1978) sembrò poter diventare il minimo
    comune denominatore. Mons. Lefebvre
    scrisse così una lettera a Giovanni Paolo II il
    24 dicembre 1978, resa pubblica dalla Lettera
    agli amici e benefattori n. 16 (19 marzo
    1979) nella quale Mons. Lefebvre chiedeva
    la libertà per la messa tradizionale: “I Vescovi
    decidererebbero dei luoghi, delle ore riservate
    a questa Tradizione. L’unità si ritroverebbe
    immediatamente attorno al Vescovo
    del luogo”. Fu allora che Padre Guérard des
    Lauriers, per primo, condannò pubblicamente
    l’accordo proposto da Mons. Lefebvre
    (“Monseigneur, nous ne voulons pas de
    cette paix”). È in questo contesto che Mons.
    Lefebvre prenderà la decisione di rompere
    coi sedevacantisti con la dichiarazione dell’8
    novembre 1979 (“Posizione di Mons. Lefebvre
    sulla Nuova Messa e il Papa”), pubblicata
    sulla rivista interna Cor unum (n. 4, nov.
    1979) (53) e fatta diffondere tra i fedeli dalla
    rivista Fideliter, dove veniva omesso però
    quest’ultimo capoverso: “Conseguentemente,
    la Fraternità Sacerdotale San Pio X dei padri,
    dei Fratelli, delle Suore, delle Oblate,
    non può tollerare nel suo seno dei membri
    che rifiutano di pregare per il Papa [in quanto
    tale, n.d.a.] e che affermano che tutte le
    Messe del Novus Ordo sono invalide” (Cor
    unum, n. 4, p. 8).
    Solo in seguito a questa pubblica dichiarazione
    Padre Barbara (Forts dans la Foi, n.
    1, nuova serie, primo trimestre 1980) e gli altri
    sedevacantisti si dissociarono pubblica-
    19
    mente da Mons. Lefebvre. Seguirono le
    espulsioni o le uscite dalla Fraternità di sacerdoti
    che aderivano alle tesi di Padre Guérard
    o di Padre Barbara: Lucien e Seuillot
    nel 1979 (tesi di Cassiciacum), Guépin e
    Belmont nel 1980 (tesi di Cassiciacum),
    Barthe nel 1980 (sedevacantismo), Egrégyi
    nel 1981 (sedevacantismo), 12 sacerdoti
    americani nel 1983, quattro italiani nel 1985
    (Cassiciacum), 2 sudamericani, con 21 seminaristi,
    nel 1989, ecc.
    Una lettera di Mons. Lefebvre a Giovanni
    Paolo II dell’8 marzo 1980 riassume chiaramente
    i motivi che spinsero Mons. Lefebvre
    a questa rottura coi sedevacantisti:
    “Santo Padre,
    Per porre fine a dei dubbi che si diffondono
    (…) concernenti il mio atteggiamento e il
    mio pensiero riguardo al papa, al Concilio e
    alla Messa del Novus Ordo e temendo che
    questi dubbi giungano fino a Vostra Santità,
    mi permetto di affermare di nuovo ciò che ho
    sempre espresso:
    1) Che non ho alcuna esitazione (54) sulla
    legittimità e la validità della Vostra elezione e
    che di conseguenza io non posso tollerare
    che non si rivolgano a Dio le preghiere prescritte
    dalla santa Chiesa per Vostra Santità.
    Io ho già dovuto reprimere queste idee e continuo
    a farlo nei confronti di qualche seminarista
    e qualche prete che si è lasciato influenzare
    da ecclesiastici estranei alla Fraternità.
    2) Che sono pienamente d’accordo con il
    giudizio che Vostra Santità ha dato del Concilio
    Vaticano II il 6 novembre 1978 alla riunione
    del sacro Collegio: ‘Che il Concilio deve
    essere compreso alla luce di tutta la Santa
    Tradizione e sulla base del magistero costante
    della Santa Chiesa’.
    3) Quanto alla Messa del Novus Ordo,
    malgrado tutte le riserve che si devono fare al
    suo riguardo, io non ho mai affermato che
    essa sia in se invalida o eretica.
    Renderò grazie a Dio e a Vostra Santità
    se queste dichiarazioni potranno permettere
    il libero uso della liturgia tradizionale e il riconoscimento
    da parte della Chiesa della
    Fraternità San Pio X come di tutti quelli che,
    sottoscrivendo queste dichiarazioni, si sono
    sforzati di salvare la Chiesa perpetuando la
    sua Tradizione.
    Che Vostra Santità si degni di accettare i
    miei sentimenti di profondo e filiale rispetto
    In Xto e Maria”.
    Da quanto detto finora appare evidente
    che non furono i sedevacantisti a rompere
    con Mons. Lefebvre, ma fu questi a sacrificarli,
    con lo scopo di portare avanti le trattative
    con Giovanni Paolo II, miranti ad ottenere
    il riconoscimento della Fraternità. Pertanto,
    la versione dei fatti data dalla Tradizione
    cattolica è falsa, e atta a fuorviare i lettori
    che non hanno vissuto di persona gli avvenimenti
    qui narrati.
    Quarta parte: ANALISI DELLE OBIEZIONI
    TEOLOGICHE OPPOSTE AL SEDEVACANTISMO
    DALLA TRADIZIONE
    CATTOLICA: ESSE SI RIASSUMONO
    NELL’INDEFETTIBILITÀ DELLA CHIESA.
    SODALITIUM RISPONDE A CIASCUNA
    DI ESSE, E MOSTRA COME SIANO
    PIUTTOSTO LE POSIZIONI DELLA FRATERNITÀ
    E DEI MODERNISTI CHE – IN
    MODO DIVERSO – SI OPPONGONO A
    DETTA INDEFETTIBILITÀ
    Fin dalle prime battute, la TC – seguendo
    le tracce di don Piero Cantoni (55) - obietta
    sostanzialmente a ogni sedevacantismo
    l’indefettibilità della Chiesa: “Era e resta in
    gioco la visibilità della Chiesa e la sua continuità
    nel tempo (indefettibilità), elementi costitutivi
    e indispensabili all’esistenza stessa
    20
    della Chiesa Cattolica” (p. 9). Prima di esaminare
    le singole obiezioni, è necessario
    precisare la nozione di indefettibilità della
    Chiesa, dapprima in se stessa, e poi nella situazione
    attuale della Chiesa.
    L’indefettibilità della Chiesa
    L’Enciclopedia Cattolica così definisce l’indefettibilità:
    “proprietà soprannaturale della
    vera Chiesa, per cui essa rimarrà, fino alla fine
    del mondo, così come Gesù Cristo l’ha istituita.
    Tale concetto include: a) la durata perpetua o
    perennità della Chiesa; b) la perseveranza della
    medesima in ciò che costituisce la sua essenza,
    cioè nella sua costituzione e nelle sue proprietà
    specifiche. Ne segue che per l’indefettibilità la
    Chiesa rimarrà sempre identica a se stessa, e
    non perderà alcuna delle sue note. Così intesa,
    l’indefettibilità racchiude tutte le altre proprietà
    della Chiesa: costituzione gerarchica e monarchica,
    infallibilità, visibilità” (56).
    L’articolo continua così: “che la Chiesa
    sia indefettibile è verità di fede cattolica, chiaramente
    contenuta nella S. Scrittura [cita Mt
    XVI, 18; Mt XXVIII, 20; Jo XIV, 16] e insegnata
    dal magistero ordinario. Non è ancora
    stata direttamente definita dal magistero solenne,
    però il Concilio Vaticano aveva preparato
    uno schema di definizione nei seguenti
    canoni [il primo contro i ‘pessimisti’, per i
    quali la Chiesa si sarebbe corrotta; il secondo
    contro gli ‘ottimisti’, per i quali la Chiesa
    verrà sostituita da una nuova, migliore,
    realtà n.d.r.]: 1) ‘Si quis dixerit eamdem Christi
    Ecclesiam posse offundi tenebris aut infici
    malis, quibus a salutari fidei morumque veritate
    aberret, ab originali sua institutione deviet,
    aut depravata et corrupta tandem desinat
    esse, anathema sit’; 2) ‘Si quis dixerit praesentem
    Dei Ecclesiam non esse ultimam ac supremam
    consequendae salutis oeconomiam,
    sed expectandam esse aliam per novam et pleniorem
    divini Spiritus effusionem, anathema
    sit’” (voce ‘indefettibilità della Chiesa’, vol.
    VI, colonne 1792-1794). Il magistero ordinario
    si è espresso nel decreto Lamentabili (n.
    53) [“la costituzione organica della Chiesa
    non è immutabile; ma la società cristiana, non
    meno della società umana, va soggetta a continua
    evoluzione”. Tesi condannate] e nella
    Bolla Auctorem Fidei che condanna come
    eretica questa proposizione del sinodo giansenista
    di Pistoia: “in questi ultimi secoli si è
    diffuso [nella Chiesa] un generale offusca-
    Mons. Lefebvre il 5 maggio 1988 mentre firma il “protocollo
    d’intesa”. Dietro di lui si riconoscono l’abbé Laroche
    e l’abbé Tissier de Mallerais, negoziatori
    per la FSSPX
    mento sulle verità di maggiore importanza
    che riguardano la religione, e che sono la base
    della fede e della dottrina morale di Gesù Cristo”
    (Denz. 1501; Denz.-Sch. 2601: l’offuscamento
    delle verità nella Chiesa). [Sia la Fraternità
    San Pio X, sia i seguaci del Vaticano
    II, sostengono in un certo senso che si sarebbe
    offuscata la verità nella Chiesa: per gli uni
    nel presente, per gli altri nel passato] (57).
    La Chiesa è dotata di un’unica gerarchia
    distinta secondo due ragioni: quella di ordine
    e quella di giurisdizione (can. 108§3).
    Poiché la Chiesa è perenne ed indefettibile
    (DS 2997: “sempre stabile e salda fino alla
    consumazione dei secoli”), così lo saranno in
    essa il potere di ordine (finalizzato alla santificazione
    delle anime) e quello di giurisdizione
    (che include la potestas regiminis – il
    governo della Chiesa – e la potestas magisterii
    che assicura l’insegnamento infallibile
    della verità rivelata).
    La perennità della Chiesa (governo e
    magistero) è fondata sul primato romano
    (58), il quale è altresì perenne: “L’eterno Pastore
    e guardiano delle nostre anime per perpetuare
    l’opera salutare della redenzione, ha
    deciso di edificare la Santa Chiesa (…). Perché
    l’episcopato stesso fosse uno e indiviso e
    perché la moltitudine di tutti i credenti fosse
    conservata nell’unità della fede e della comunione
    (…) prepose il Beato Pietro agli altri
    Apostoli e stabilì nella sua persona il principio
    perpetuo e il fondamento visibile di questa
    duplice unità. E poiché le porte dell’inferno,
    con odio ogni giorno crescente, insorgono
    da ogni parte contro questo fondamento
    stabilito da Dio, per rovesciare se possibile la
    Chiesa, (…) crediamo necessario (…) proporre
    a tutti i fedeli (…) la dottrina che devono
    credere e conservare sull’istituzione, la
    perpetuità e la natura del sacro primato apostolico,
    su cui poggia la forza e la solidità di
    tutta la Chiesa” (Vaticano I, Pastor aeternus,
    D 1821, DS 3050-3052).
    “…Se dunque qualcuno dirà che non è
    per istituzione dello stesso Cristo Signore o
    per diritto divino che il Beato Pietro ha sempre
    dei successori nel primato sulla Chiesa
    universale (…) sia anatema” (ibidem, Cap. 2,
    canone, DS 3058, cf anche DS 3056-3057).
    Se è perenne e indefettibile il Primato di
    Pietro, è tale anche il suo infallibile magistero:
    “Perciò questo carisma di verità e di fede,
    giammai defettibile, è stato accordato da Dio
    a Pietro e ai suoi successori su questa cattedra,
    21
    perché esercitassero questo altissimo ufficio
    per la salvezza di tutti, perché l’universale
    gregge di Cristo, allontanato per l’opera loro
    dall’esca avvelenata dell’errore, fosse nutrito
    col cibo della celeste dottrina e, eliminata ogni
    occasione di scisma, tutta la Chiesa fosse conservata
    nell’unità e, stabilita sul suo fondamento,
    si ergesse incrollabile contro le porte
    dell’inferno” (ibidem, DS 3071).
    Questa dottrina è pienamente abbracciata
    e creduta da tutti i membri dell’Istituto
    Mater Boni Consilii, e da tutti coloro che seguono
    la Tesi detta di Cassiciacum.
    L’indefettibilità nella situazione attuale della
    Chiesa. La posizione dei “tradizionalisti”
    in generale e della Fraternità San Pio X in
    particolare sul potere di giurisdizione e di
    magistero nella situazione attuale
    Abbiamo visto come la Chiesa sia indefettibile:
    non solo non può scomparire ma
    non può neppure mancare alla sua missione.
    L’indefettibilità infatti le è stata accordata
    non solo per durare materialmente di fatto
    (come può succedere anche a una falsa religione,
    a una setta eretica, a una struttura puramente
    umana) ma per “per applicare a tutte
    le generazioni umane i frutti della (…) redenzione”
    (DS 2997), “per perpetuare l’opera
    salutare della redenzione” (DS 3050). Essa
    pertanto non può (perché divinamente assistita)
    dare ai suoi figli del veleno (Vaticano I,
    DS 3070-3071) né per quel che riguarda il
    potere di santificare le anime mediante i sacramenti,
    né per quel che riguarda il governo
    della Chiesa ed il suo insegnamento.
    Ora, una grave difficoltà si presenta a
    questo proposito a tutti i cosiddetti “tradizionalisti”.
    Essi, infatti, non si limitano a
    condannare degli abusi: “la critica dei ‘tradizionalisti’
    non concerne principalmente degli
    abusi commessi da dei membri della Chiesa
    discente [sacerdoti, fedeli] e neppure delle
    deviazioni di parti più o meno estese
    dell’Episcopato. Essa concerne innanzitutto
    ed essenzialmente degli errori e deviazioni
    contenuti nel Concilio stesso, e poi nelle
    riforme ufficiali susseguenti (specialmente in
    materia di liturgia e sacramenti) nonché nei
    testi di Paolo VI e di Giovanni Paolo II che
    si prefiggono di applicare il Concilio. Abbiamo
    mostrato in altra occasione (Cahiers de
    Cassiciacum, n. 5, pp. 61-72) che le principali
    tendenze abitualmente etichettate come ‘tra-
    dizionaliste’ formulano effettivamente questa
    critica. Il fatto che Mons. de Castro Mayer
    abbia sottoscritto la ‘Lettre à qualques Evêques…’
    e in seguito il testo firmato congiuntamente
    da Mons. Lefebvre e da Mons. de
    Castro Mayer (Fideliter, n. 36, nov.-dic.
    1983) confermano che è proprio questo il
    cuore della battaglia ‘tradizionalista’” (59). Se
    stanno così le cose, qual è la “grave difficoltà”
    di cui parlavo? Diamo di nuovo la parola
    all’abbé Lucien: “se (…) si afferma che
    questa ‘gerarchia’ è formalmente la Gerarchia
    cattolica, si cade nel secondo dei ‘grandi
    e fatali errori’ denunciati da Leone XIII a
    questo proposito [a proposito cioè dell’indefettibilità]:
    ‘dal che deriva che sono in grande
    e fatale errore coloro i quali si foggiano in
    mente a proprio arbitrio una Chiesa quasi
    nascosta e non visibile; come pure coloro che
    la considerano una umana istituzione, con
    una certa organizzazione, una disciplina e riti
    esterni, ma senza una perenne comunicazione
    di doni e della grazia divina, e senza
    quelle cose che con aperta e quotidiana
    manifestazione attestino che la sua vita soprannaturale
    deriva da Dio’ (Satis cognitum,
    Insegnamenti Pontifici, La Chiesa, n.
    543)” (60). Ora, qual è la posizione della Fraternità
    San Pio X sul Vaticano II, l’insegnamento
    post-conciliare e l’attuale gerarchia?
    (61). Quanto al potere di magistero, la Fraternità
    San Pio X rifiuta l’insegnamento del
    Concilio e dei Papi conciliari, anzi la TC
    suppone persino probabile l’inesistenza di
    questo magistero in quanto tale (62). Quanto
    al potere di giurisdizione, la Fraternità San
    Pio X rifiuta l’obbedienza alle autorità dichiarate
    legittime. Quanto al potere legislativo,
    la Fraternità rifiuta il nuovo Codice di
    diritto canonico. Quanto al potere di santificazione,
    la Fraternità San Pio X rifiuta i sacramenti
    amministrati con i nuovi riti, ed invita
    i propri fedeli dall’astenersi da quelle
    celebrazioni.
    Ne segue che il riconoscimento di Giovanni
    Paolo II è più nominale che reale; è ammessa
    l’esistenza di una gerarchia, di un magistero,
    di una giurisdizione: ma questa gerarchia,
    questo magistero, questa giurisdizione,
    questi riti esterni sono dichiarati privi di
    “quella perenne comunicazione di doni e della
    grazia divina, e senza quelle cose che con aperta
    e quotidiana manifestazione attestino che la
    sua vita soprannaturale deriva da Dio”. Né il
    magistero conciliare, né la disciplina attuale,
    22
    né la liturgia rinnovata della messa e dei sacramenti
    sono stimati venire da Dio…
    La TC dovrebbe pertanto capire che non
    intendiamo tanto difendere le opinioni personali
    di Padre Guérard contro Mons. Lefebvre
    o la Fraternità. Il nostro intento è diverso.
    Sodalitium approva la critica di Mons.
    Lefebvre (e altri) al Vaticano II, e cerca per
    l’appunto di dimostrare che questa critica
    non implica un attacco all’indefettibilità e
    perennità della Chiesa, che è un articolo della
    nostra fede, come invece potrebbe far credere
    proprio la posizione della TC. Difendendo
    la Tesi di Cassiciacum siamo convinti
    di difendere anche l’essenziale della posizione
    di Mons. Lefebvre, ovvero il rifiuto del
    Vaticano II e della nuova Messa in nome
    dell’ortodossia cattolica, poiché la Tesi ci
    sembra la migliore soluzione che la teologia
    possa dare al problema dell’indefettibilità
    della Chiesa dopo il Vaticano II.
    La “Tesi di Cassiciacum” implica davvero la
    fine della Chiesa docente (pp. 23-26) e la fine
    del potere di giurisdizione (pp. 26-27)?
    È quello che sostiene il Dossier, alle pagine
    citate, ripetendo anche in questo caso
    quanto a suo tempo scrisse don Cantoni (63).
    La nostra risposta si trova di già implicitamente
    in questo articolo, nel capitolo dedicato
    all’indefettibilità della Chiesa; cerchiamo
    di renderla esplicita.
    La Chiesa che crediamo indefettibile è la
    Chiesa fondata da Cristo, pertanto una
    Chiesa essenzialmente gerarchica. Nella
    Chiesa vi è per istituzione divina una sola
    gerarchia, che si distingue quanto all’ordine
    e quanto alla giurisdizione. La gerarchia, in
    ragione dell’ordine, comporta Vescovi, sacerdoti
    e ministri inferiori; riguardo alla giurisdizione
    essa comporta il Pontificato supremo
    e l’episcopato subordinato (cf can.
    108). La Chiesa sarà quindi perenne nel suo
    potere d’ordine come nel suo potere di giurisdizione
    e di magistero, aliter et aliter, però
    (in maniera diversa).
    Per quel che riguarda la perennità del
    potere d’ordine, la situazione attuale della
    Chiesa non pone una grave difficoltà: la divina
    Provvidenza ha fatto in modo che l’offerta
    del Divin Sacrificio e l’amministrazione
    dei sacramenti non venisse a cessare malgrado
    il tentativo di abolizione compiuto
    con la riforma liturgica del Vaticano II, e
    questo neppure nella Chiesa di rito latino.
    Le consacrazioni episcopali hanno assicurato
    la trasmissione nella Chiesa dell’episcopato
    per quel che riguarda il potere d’ordine,
    e la perennità del sacerdozio per la gloria
    di Dio e la salvezza delle anime (64).
    La difficoltà si pone per il potere di governare
    la Chiesa e di insegnare con autorità,
    il che dipende dal potere di giurisdizione
    alla cui sommità è Pietro. Se infatti ammettiamo
    la Sede Vacante, dov’è, si chiede
    la TC, la Chiesa docente? Dov’è la Chiesa
    gerarchica?
    I sedevacantisti rispondono in genere
    che, a ogni morte di Papa e prima della valida
    elezione del successore, senza che nulla
    specifichi la durata di questo tempo, la Chiesa
    è per l’appunto priva di Papa, priva quindi
    di un Capo visibile (è acefala, è vedova
    del suo pastore): eppure essa non cessa di
    esistere, e non è resa vana la promessa di
    perpetuità, della Chiesa come del primato.
    La TC non accetta questa spiegazione:
    “anche nei periodi ordinari di sede vacante –
    scrive a proposito del potere di magistero –
    cioè tra la morte di un papa e l’elezione del
    suo successore, questo corpo permane –
    nell’episcopato – come corpo docente (…)
    sarebbe infatti mostruoso pensare che la
    Chiesa Docente muoia col papa per poi risorgere
    il giorno dell’elezione del nuovo pontefice”
    (p. 23); “questa autorità – scrive parimenti
    a proposito della giurisdizione – comunicata
    alla Chiesa è assolutamente perenne:
    è stata, è, e sarà presente tutti i giorni fino
    alla fine dei tempi (inclusi i momenti compresi
    tra la morte di un papa e l’elezione del suo
    successore, nei quali continua a sussistere
    nell’episcopato) (…)” (p. 26).
    Come ben avverte il lettore, la TC sposta
    il problema dalla perennità e indefettibilità
    del primato papale, a quella dell’episcopato
    gerarchico: la risposta sedevacantista che si
    fonda sulla possibilità della vacanza della sede
    apostolica è considerata vana perché oltre
    al Papa verrebbero a mancare i vescovi,
    nel loro compito di insegnare e governare.
    Don Cantoni diceva: non è più il problema
    del “Papa eretico” [ammesso e studiato da
    tutti i teologi], ma della “Chiesa eretica”
    [Papa e vescovi assieme]!
    Senza dubbio, i vescovi residenziali fanno
    parte della Chiesa gerarchica e della
    Chiesa docente. Senza dubbio, anche l’episcopato,
    in quanto d’istituzione divina, è pe-
    23
    renne nella Chiesa. Non solo lo ammetto,
    ma lo professo pubblicamente.
    Ma la TC non considera sufficientemente
    come l’episcopato è fondato sul primato,
    e la perennità dell’episcopato su quella del
    primato (Vaticano I, D 1821, DS 3051-
    3052); lo abbiamo visto precedentemente.
    Mi sembra che da questa verità si possano
    trarre molte conseguenze.
    Innanzitutto, se la perennità della successione
    nel primato è solo moralmente ininterrotta,
    si dovrà dire la stessa cosa di quella
    dell’episcopato. Ora, per il primato è sufficiente
    una continuità morale, che può essere
    interrotta da una più o meno lunga vacanza
    della sede: scrive al proposito Padre Zapelena
    s.j., dell’Università Gregoriana, parlando
    della perennità del Primato di Pietro (rivelato
    da Cristo, Mt XVI,18, e definito dalla
    Chiesa, D. 1825): “Si tratta di una successione
    che deve durare continuamente fino alla
    fine dei secoli. È sufficiente, evidentemente,
    una continuità morale, che non è interrotta
    durante il tempo in cui viene eletto il nuovo
    successore [la sede vacante]” (65). Se questo
    è vero del capo, sarà anche vero del corpo
    episcopale.
    Questa conclusione è confermata dalla
    considerazione dei compiti del Vescovo residenziale
    che per la TC sono ininterrotti e
    perenni in ogni istante del tempo in cui vive
    la Chiesa: la giurisdizione e il magistero.
    Ora, se la giurisdizione ed il magistero papale
    possono, durante la vacanza della sede,
    non esistere in atto, a maggior ragione ciò
    potrà succedere alla giurisdizione e al magi-
    Padre Guérard des Lauriers in una foto del 1973
    stero episcopale. Infatti, il vescovo governa
    solo una porzione particolare della Chiesa, e
    non la Chiesa universale, e deriva dalla Prima
    Sede, ovvero dal Papa, fonte e principio
    di ogni giurisdizione ecclesiastica tutta la sua
    giurisdizione. Lo stesso, e ancor più, si dica
    del magistero. Il magistero episcopale, non
    solo quello di un singolo vescovo, ma anche
    quello di tutti i vescovi riuniti, NON è infallibile
    senza il Papa; durante la vacanza (più
    o meno lunga) della sede romana, pertanto,
    NON esiste in atto un magistero infallibile
    che possa con certezza guidare i fedeli, la
    Chiesa discente.
    Senza il Papa la Chiesa – fondata su Pietro
    (Mt XVI, 18) - è veramente acefala (priva
    di capo visibile), vedova del suo pastore
    (senza governo), priva di magistero infallibile:
    manca in atto, ma non in potenza, la
    Chiesa gerarchica come Cristo l’ha costituita
    (ovvero monarchica e non episcopaliana)
    (66); l’esistenza dell’episcopato subalterno
    non cambia sostanzialmente le cose da questo
    punto di vista: la Chiesa – lo ricordo alla
    TC – non è collegiale ma monarchica, fondata
    sul Primato di Pietro.
    In cosa allora l’assenza assoluta di vescovi
    residenziali o di cardinali potrebbe
    compromettere l’esistenza della Chiesa nella
    sua indefettibile durata? Solo nel rendere
    impossibile l’elezione del successore al
    soglio di Pietro.“Durante la vacanza della
    sede primaziale – continua Zapelena nel
    passo citato precedentemente - rimane nella
    Chiesa il diritto e il compito (assieme
    alla divina promessa) di eleggere qualcuno
    che succeda legittimamente al Papa defunto
    nei diritti del primato. Durante tutto
    questo tempo la costituzione ecclesiastica
    non muta in quanto il potere supremo non
    è devoluto al collegio dei vescovi o dei
    cardinali, ma resta la legge divina concernente
    l’elezione del successore”. Dove si
    trova dunque la Chiesa gerarchica, la Chiesa
    docente, come l’ha voluta Cristo, ovvero
    fondata sul primato di Pietro, durante la
    vacanza della Sede apostolica? L’assioma
    ubi Petrus ibi Ecclesia è sempre valido. Là
    dov’è Pietro, lì è la Chiesa. Durante la sede
    vacante, “il Papato, tolto il Papa, si trova
    nella Chiesa solo in una potenza ministralmente
    elettiva, poiché essa può, durante la
    Sede vacante, eleggere il Papa mediante i
    cardinali o, in un caso (accidentale) per
    mezzo di sé stessa” (Gaetano, De compara-
    24
    tione auctoritate Papae et Concilii, n. 210)
    (67). Durante la sede vacante, non è tanto il
    magistero fallibile dei vescovi o il governo
    ridotto e locale dei vescovi che mantiene la
    Chiesa di Cristo: è il fatto che Essa abbia
    questa potenza elettiva del nuovo Papa, come
    lo ricorda Lucien citando P. Goupil e
    Antoine (68).
    Ora, la Tesi di Cassiciacum sostiene per
    l’appunto che, nella particolarissima vacanza
    della sede apostolica che stiamo vivendo, resta
    sempre possibile la provvisione della medesima
    sede e l’avere nuovamente un legittimo
    Papa, sia perché l’attuale occupante della
    sede apostolica potrebbe recuperare la
    sua piena legittimità (come lo scrisse, prima
    di Padre Guérard – nel 1543!- il Cardinale
    Girolamo Albani) (69), sia perché i vescovi o
    i cardinali anche materialiter possono procedere
    ad una valida e giuridicamente legittima
    elezione papale, grazie alla successione
    materiale nelle sedi (70), oppure, ritrovata la
    loro autorità, procedere alla constatazione
    dell’eresia formale di Giovanni Paolo II e
    all’elezione di un successore. Il sedevacantismo
    quindi, almeno nella Tesi di Cassiciacum
    (71), non implica la negazione dell’indefettibilità
    della Chiesa, poiché ammette l’esistenza
    del papato “nella potenza ministralmente
    elettiva della Chiesa”.
    Non bisogna mai dimenticare – parlando
    dell’indefettibilità – che la Chiesa può eccezionalmente
    attraversare, e sta attraversando
    attualmente, dei periodi di grave crisi. Il caso
    esemplare del Grande Scisma d’Occidente.
    Il lettore che ci ha seguito fin qui potrà
    essere rimasto perplesso, e chiedersi se le
    spiegazioni date finora salvaguardano effettivamente
    l’indefettibilità, l’apostolicità e la
    visibilità della Chiesa. La risposta è senza
    dubbio affermativa. Il medesimo lettore
    però non deve mai dimenticare che la Chiesa
    può attraversare eccezionalmente, ed attraversa
    attualmente (72), dei periodi di grave
    crisi, simboleggiati dalla tempesta che
    squassa, nel racconto evangelico, la Barca di
    Pietro, mentre il Signore sembra dormire
    (Mt VIII, 25; Lc VIII, 24). “…Nonnumquam
    Ecclesia tantis gentilium pressuris non solum
    afflicta sed et fondata est ut, si fieri possit, Redemptor
    ipsius eam prorsus deseruisse ad
    tempus videretur” scrive al proposito San
    Beda il Venerabile.
    Uno studio accurato del Grande Scisma
    d’Occidente ci mostrerà la somiglianza (non
    certo l’identità: la storia non si ripete mai) tra
    quella crisi e quella attuale, particolarmente
    per qual che riguarda la visibilità, l’apostolicità
    e l’indefettibilità della Chiesa. Com’è noto,
    lo scisma iniziò nel 1378, con l’elezione di
    Urbano VI alla quale fu opposta quella di
    Clemente VII. Esso durò fino al 1417, quando
    23 cardinali di tre “obbedienze” diverse
    (quella pisana di Giovanni XXIII, quella avignonese
    di Benedetto XIII e quella romana di
    Gregorio XII) coadiuvati da altri 30 ecclesiastici
    non cardinali, nel corso del Concilio di
    Costanza (indetto da Giovanni XXIII,
    dell’obbedienza pisana) elessero Papa Martino
    V, il quale fu accettato da quasi tutta la cristianità
    (alcuni avignonesi durarono nello scisma
    fino a circa il 1467; e dal 1439 al 1449 si
    riaprì lo scisma del Concilio di Basilea). Pur
    ammettendo come legittimi Papi quelli
    dell’obbedienza romana, si deve dire che molto
    si dubitò nel passato; Alessandro VI si considerava
    il successore di Alessandro V, un papa
    “pisano” e non “romano”, e san Vincenzo
    Ferrer († 1419) seguì, dal 1378 al 1415, il papa
    “avignonese” Benedetto XIII (Pedro de Luna)
    del quale fu anche confessore… Alcuni
    hanno pensato che tutti e tre i papi erano oggettivamente
    papi dubbi, e pertanto papi nulli:
    in questo caso la cristianità si sarebbe trovata
    non con tre papi (il che è impossibile) o
    con un papa e due antipapi, ma con un lunghissimo
    periodo di sede vacante (73).
    Pur difendendo la legittimità dell’obbedienza
    “romana”, il teologo gesuita Zapelena
    non considera impossibile l’ipotesi secondo
    la quale, essendo tutti e tre i pretendenti
    al soglio pontificio dei papi dubbi, sarebbero
    stati dei papi nulli, puramente putativi. In
    questo caso, vennero a mancare in atto nella
    Chiesa la giurisdizione ed il magistero… e
    persino dei legittimi elettori, da un punto di
    vista puramente legale (tutti i cardinali e i
    vescovi residenziali erano altresì dubbi!);
    proprio ciò che per la TC (e a suo tempo
    don Cantoni) sarebbe ipotesi impossibile,
    poiché contraria alla Fede. Non così pensa
    l’eminente teologo della Gregoriana Timoteo
    Zapelena; egli si limita a spiegare come,
    in questa ipotesi, Cristo avrebbe supplito alla
    giurisdizione in quanto necessario (all’elezione)
    in favore di quanti godevano almeno
    di un “titolo colorato” (apparente) a partecipare
    a quel Conclave atipico (74), che di
    25
    fatto elesse Martino V… L’indefettibilità e
    la visibilità della Chiesa non sarebbero state
    compromesse anche in questa eventualità,
    poiché ancora si poteva procedere ad una
    valida elezione del Papa; è quanto abbiamo
    sostenuto nel capitoletto precedente.
    Per concludere: la nostra posizione (al
    contrario di quella della Fraternità San Pio
    X) non compromette l’indefettibilità della
    Chiesa, pur descrivendo ed analizzando teologicamente
    una situazione che la TC stessa
    definisce come quella della “tragedia conciliare”
    (p. 24).
    La fine della professione della Fede e della
    Oblazione pura (carattere tardivo del sedevacantismo)
    (pp. 27-29; 40-41)
    Questa obiezione della TC si richiama anch’essa
    all’indefettibilità: la Chiesa cessa di
    esistere se – anche in un solo momento – viene
    a cessare la pubblica professione di fede e
    la celebrazione del divin sacrificio. Ora, per i
    sedevacantisti, la vacanza della Sede Apostolica
    farebbe parte della pubblica professione
    di fede, e la celebrazione della Messa in comunione
    con dei falsi papi (“messa una
    cum”) non sarebbe l’Oblazione pura. Quindi,
    a causa dell’indefettibilità della Chiesa, la dichiarazione
    della Vacanza della sede apostolica
    e la celebrazione della Messa “non una
    cum” avrebbero dovuto esistere fin dal 1965,
    data dalla quale si pretende che la sede vacante
    avrebbe avuto certamente inizio. Ora,
    conclude trionfalmente la TC, le cose non
    stanno così: il sedevacantismo è tardivo (nasce
    tra il 1973-1979): pertanto, nell’ipotesi sedevacantista,
    la pubblica professione di fede,
    la celebrazione della Messa e la Chiesa stessa
    avrebbero cessato di esistere tra il 1965 ed il
    1973/79, il che è impossibile.
    Notiamo innanzitutto che, se una parte
    di un sillogismo (di un ragionamento) è falsa,
    la conclusione non può essere che falsa o
    comunque non dimostrata. Ora, abbiamo
    già visto come sia falsissimo quanto afferma
    la TC a proposito del carattere tardivo del
    sedevacantismo: esso non data dal 1973/79,
    come pretende, ma dal 1965 e persino, preventivamente,
    dal 1962. L’argomento della
    TC è pertanto privo del suo fondamento, e
    la conclusione resta non dimostrata.
    Potremmo fermarci qui.
    Vorrei tuttavia sottolineare come, anche
    se l’ipotesi della TC fosse vera (inesistenza
    del sedevacantismo dal 1965 fino al 1973/79),
    sarebbe falsa comunque la conclusione.
    L’obiezione infatti è sostanzialmente
    identica a quella opposta a Padre Guérard
    des Lauriers, nel 1980, da Jean Madiran (nel
    frattempo separatosi anch’egli, come don
    Cantoni, da Mons. Lefebvre per accettare
    l’Ecclesia Dei), il quale denunciava il “carattere
    tardivo” della Tesi. All’obiezione di Madiran
    rispose a suo tempo l’abbé Lucien, che
    non si avvalse di tutti gli argomenti storici
    pubblicati in quest’articolo; eppure, ancor
    oggi, stimo sempre valida l’accurata risposta
    che l’abbé Lucien diede a Jean Madiran sui
    Cahiers de Cassiciacum (75), alla quale rinvio
    eventualmente il lettore.
    Posso aggiungere che l’enunciato della Tesi
    di Cassiciacum (Giovanni Paolo II non è formalmente
    Papa) non appartiene direttamente
    (76) alla fede cattolica, in quanto non è stato
    (ancora) definito come tale dalla Chiesa: chi riconosce
    Giovanni Paolo II come legittimo
    Pontefice non è – per questo – necessariamente
    fuori dalla Chiesa (77). Allo stesso modo, il
    Sacrificio della Messa celebrato in comunione
    con Giovanni Paolo II – pur oggettivamente,
    non sempre soggettivamente, sacrilego – è pur
    sempre la Santa Messa (come lo sono le messe
    celebrate dai greco-scismatici); l’esempio di
    padre Pio addotto dalla TC (p. 41) (il santo
    cappuccino celebrò “una cum”) o prova troppo
    o non prova nulla, in quanto oltre che celebrare
    in unione con Paolo VI, obbedì anche a
    Paolo VI (cosa che Mons. Lefebvre e la Fraternità
    San Pio X si guardarono bene dal fare).
    A questo proposito, viene a fagiolo l’esempio
    di San Vincenzo Ferrer, il quale dall’inizio del
    suo sacerdozio (nel 1378) e per la bellezza di
    37 anni testimoniò la Fede e celebrò la Messa
    in comunione con un (probabile) antipapa.
    Oggettivamente, ed in foro esterno, il Santo
    era scismatico, ed era proibito ai cattolici di assistere
    alla sua Messa, anche se – a causa della
    buona fede nell’ignoranza invincibile – egli apparteneva
    almeno in voto alla Chiesa, ne testimoniava
    la Fede (confermandola coi miracoli)
    ed offriva a Dio un Sacrificio che gli era gradito.
    Questo vale mutatis mutandis anche per
    quei cattolici rimasti integri nella professione
    pubblica della Fede e che celebrano col rito
    cattolico, ma che – per ignoranza invincibile
    (nota solo a Dio) – aderiscono ad una falsa autorità
    e celebrano conseguentemente in comunione
    con questa falsa autorità. La pubblica
    rottura di comunione con Giovanni Paolo II (e
    26
    la conseguente celebrazione della Messa senza
    citare il suo nome laddove il Canone prescrive
    di nominare il Sommo Pontefice) fa parte certamente
    della pubblica professione della Fede,
    per coloro beninteso che non sono, a questo
    proposito, in stato di ignoranza invincibile.
    La risposta di fondo comunque anche alla
    presente obiezione sarà data nel capitolo
    seguente, riguardante la pacifica accettazione
    dell’elezione papale quale prova a posteriori
    della legittimità di un Pontefice.
    Questione annessa: la pacifica accettazione
    dell’elezione papale (pp. 28-33; 50-60)
    “Questione annessa”, cioè, a quella
    dell’indefettibilità. La TC dà però a questa
    appendice della questione dell’indefettibilità
    una grande importanza, consacrandole ben
    27 pagine. L’obiezione non è nuova, e ad essa
    è stato già ampiamente risposto dai sostenitori
    della Tesi di Cassiciacum (anche se la
    TC fa credere il contrario, cf p. 33). A quanto
    scrive al proposito l’abbé Lucien (78) non
    vi sarebbe nulla da aggiungere, se non fosse
    che la TC non conosce o fa finta di non conoscere
    questo testo, che cerca però di confutare
    in base ad alcune citazioni di Sodalitium.
    Vediamo allora di cosa si tratta.
    Il nostro contraddittore sostiene (p. 30):
    “è però un fatto dogmatico, cioè un dato che
    deve essere ammesso come assolutamente
    certo a causa delle sue connessioni dirette col
    dogma, che Paolo VI fosse papa nel giorno
    della sua elezione al Sommo Pontificato [e
    anche posteriormente – come viene precisato
    altrove dall’autore]. Il motivo formale su
    cui si fonda questo fatto dogmatico consiste
    nel fatto che un nuovo papa, riconosciuto come
    tale dalla Chiesa dispersa nel mondo, è
    certamente papa. Che piaccia o no, è quanto
    è accaduto il 21 giugno 1963, per il cardinale
    Montini (…). Questo non significa che sia la
    Chiesa universale ad eleggere il papa, ma che
    il riconoscimento pacifico da parte sua è il segno
    che toglie ogni eventuale dubbio”.
    Questa tesi è costantemente attribuita
    dalla TC al card. Billot, unico autore citato
    (79), anche se poi si afferma (p. 57, nota 21)
    che su di essa vi è il “consenso moralmente
    unanime dei teologi” il che implica che si
    tratti di “una sentenza teologicamente certa”,
    “criterio certo della Divina Rivelazione” (80).
    Nel rispondere a questa obiezione mi occuperò
    prima di tutto del valore della tesi
    (secondo la quale l’accettazione pacifica della
    Chiesa universale dà la certezza infallibile
    della legittimità dell’eletto al papato) e poi
    del suo fondamento.
    Il valore della “Tesi del card. Billot”: si tratta
    di una opinione teologica; senza accorgersene
    lo ammette perfino La Tradizione Cattolica.
    E poi: i teologi vanno interpretati alla luce
    del magistero della Chiesa, o viceversa?
    Per quel che riguarda il valore della tesi,
    sostengo, con l’abbé Lucien (p. 108), che,
    “intesa nel senso assoluto supposto dall’argomento”
    ripreso dalla TC “è solo un’opinione
    teologica, e non l’insegnamento della Chiesa
    o della Rivelazione”.
    La TC combatte aspramente questa posizione
    e mi accusa persino di disonestà (p.
    56) per il fatto di sostenerla, ma non si rende
    conto di trovarsi essa stessa in una contraddizione
    insanabile (la TC parlerebbe – per
    farsi capire da tutti – di aporia). Infatti, come
    ho già notato nella seconda parte di questo
    articolo parlando della “posizione prudenziale”
    di Mons. Lefebvre fatta propria
    dalla TC, è possibile che un giorno la Chiesa
    ci dica che Paolo VI e Giovanni Paolo II
    non sono mai stati o hanno cessato di essere
    Papi; ma allora non è vero che siamo CERTI
    del fatto che essi sono papi, come viene
    sostenuto in base alla tesi della “pacifica accettazione
    della Chiesa”.
    Ma c’è di più. La TC scrive (pp. 55-56):
    “quanto sostiene il dotto cardinale [Billot] è
    ridotto quindi [da Sodalitium] ad una discutibilissima
    opinione personale (mentre in
    realtà si tratta di un fatto dogmatico ammes-
    27
    so da tutti i teologi- Cfr Da Silveira, La Nouvelle
    Messe de Paul VI: Qu’en penser?, p.
    296)…”. Poiché la TC invoca l’autorità di da
    Silveira al proposito (e quindi dell’allora
    Vescovo di Campos che approvò il libro),
    vediamo cosa possiamo leggervi:
    “…Consideriamo solo l’ipotesi più importante
    nella nostra prospettiva: l’elezione
    di un eretico al pontificato. Cosa succederebbe
    se un eretico notorio fosse eletto e assumesse
    il pontificato senza che nessuno ne abbia
    contestato l’elezione?
    A prima vista la risposta a questa domanda
    è molto semplice in teoria: poiché la Chiesa
    non può permettere che tutta la Chiesa sia
    nell’errore a proposito del suo Capo, il Papa
    pacificamente accettato da tutta la Chiesa è il
    vero Papa. Sarebbe dovere dei teologi allora,
    sulla base di questo principio teorico chiaro,
    di risolvere il problema concreto che si porrebbe:
    o dimostrare che il Papa non era un
    eretico notorio e formale al momento dell’elezione;
    o dimostrare che si è convertito in seguito;
    o verificare che l’accettazione da parte
    della Chiesa non è stata pacifica e universale;
    o ancora presentare un’altra spiegazione plausibile.
    Un esame più approfondito della questione
    rivelerebbe, tuttavia, che anche da un
    punto di vista teorico sorge un’importante difficoltà:
    bisognerebbe determinare con precisione
    che cos’è questo concetto di accettazione
    pacifica e universale da parte della Chiesa.
    Affinché questa accettazione sia pacifica e
    universale, è sufficiente che nessun cardinale
    abbia contestato l’elezione? È sufficiente che
    in un Concilio, per esempio, la quasi totalità
    dei Vescovi abbia sottoscritto gli atti [del Concilio],
    riconoscendo per il fatto stesso, implicitamente,
    che il Papa è il vero Papa? È sufficiente
    che nessuna voce, o quasi, abbia lanciato
    un grido d’allarme? Oppure, al contrario,
    una diffidenza molto generalizzata ma spesso
    diffusa potrebbe essere sufficiente a distruggere
    l’accettazione apparentemente pacifica
    e universale in favore di questo Papa?
    E se questa diffidenza diventasse un sospetto
    per numerose menti, un dubbio positivo per
    molti, una certezza per qualcuno, sussisterebbe
    questa accettazione pacifica e universale?
    E se queste diffidenze, sospetti, dubbi e
    certezze affiorassero di tanto in tanto nelle
    conversazioni e negli scritti privati, e qua e
    là nelle pubblicazioni, potremmo ancora
    qualificare come pacifica e universale l’accettazione
    di un Papa che era già eretico al
    L’abbè de Nantes e P. Barbara nel 1968 a Parigi ad una
    conferenza sul nuovo catechismo
    momento dell’elezione da parte del sacro
    Collegio? Non fa parte del compito di
    quest’opera rispondere a simili domande. Vogliamo
    solo formularle, chiedendo a quanti
    hanno autorità in materia di chiarirle” (81).
    Stupisce che l’anonimo della TC si sia
    fermato nella lettura a p. 296, e gli siano
    sfuggite le pagine 298-299: se le avesse lette,
    si sarebbe reso conto che esse tolgono ogni
    valore assoluto e probatorio, e quindi ogni
    certezza, alla sua tesi…
    Si può naturalmente non essere d’accordo
    con da Silveira. È più difficile invocare
    però il consenso unanime di tutti i teologi…
    Ancor meno ciò è possibile se tra questi teologi
    vengono a mancare due Papi nell’esercizio
    del loro magistero pontificio: Paolo IV e
    San Pio V.
    La TC non ignora la Bolla Cum ex apostolatus
    di Papa Paolo IV (cf pp. 55-58);
    omette di dire (ma ciò non cambia molto le
    cose) che questa Bolla fu confermata da Papa
    San Pio V. La TC però – che dà tanto valore
    alle opinioni dei teologi (che sono pur
    sempre dei dottori privati) – non dà nessun
    valore ad un atto del magistero pontificio
    qual è la Bolla di Paolo IV, anzi la ridicolizza,
    come vedremo. Ci viene rimproverato di
    opporre l’insegnamento di Paolo IV a quello
    dei teologi (TC, p. 57): la TC dovrebbe
    guardarsi piuttosto di non opporre l’insegnamento
    dei teologi a quello del Papa!
    Vediamo il modo di procedere – veramente
    sconcertante – della TC al proposito.
    Dapprima, Sodalitium (ed io stesso) veniamo
    sospettati di disonestà intellettuale per il fatto
    di sostenere che la Bolla di Paolo IV non ha
    più valore giuridico, e poi che potrebbe essere
    utilizzata per mettere in dubbio l’assolutezza
    della tesi detta “di Billot” (p. 55-56).
    Dipoi, si afferma che Paolo IV, nella sua Bolla,
    prendeva “in considerazione un caso impossibile”
    (p. 57, nota 21): “il documento di
    Paolo IV infatti concerne l’elezione di un eretico
    a qualunque carica ecclesiastica, compreso
    il papato. In quest’ultimo caso però la sua
    applicazione è impossibile, in quanto il caso si
    rivela metafisicamente impossibile se l’eletto è
    universalmente riconosciuto” (p. 57) quando
    invece Paolo IV insegna proprio che se “il
    Pontefice romano, prima di essere eletto al
    pontificato, mentre era ancora cardinale, o
    prima di ricevere la carica pontificia, avesse
    deviato dalla fede cattolica, o fosse caduto in
    qualche eresia, la sua elevazione a una dignità
    28
    superiore o la sua entrata in funzione, anche
    se decisa di pieno accordo e col consenso
    unanime di tutti i cardinali, è nulla, non valida,
    e senza valore alcuno; e l’intronizzazione
    o il riconoscimento ufficiale dello stesso
    Pontefice romano, o l’obbedienza datagli da
    tutti e l’esercizio della sua carica… per una
    qualunque durata di tempo, non potrebbero
    essere dichiarate come valide…”.
    Quanto al primo punto, non capisco come
    la TC possa vedere della disonestà intellettuale.
    Una cosa è sostenere la validità giuridica
    attuale di un documento; altra cosa è riconoscere
    il valore dottrinale di un testo magisteriale.
    Per restare in tema di elezione papale,
    ad esempio, non ha più valore legale la prescrizione
    di Giulio II che dichiara invalida
    l’elezione simoniaca; tuttavia, il documento di
    Giulio II dimostra che la Chiesa può porre
    delle condizioni invalidanti l’elezione, tra le
    quali la simonia, che questa ipotesi cioè NON
    È (fisicamente o metafisicamente) impossibile.
    Veniamo dunque al documento di Paolo
    IV (e San Pio V): sostenere, come fa la TC,
    che essi hanno legiferato su di un caso “metafisicamente
    impossibile” non dimostra “con
    quale zelo la Chiesa veglia sulla purezza della
    dottrina dei propri pastori” (p. 57, nota 21),
    ma dimostrerebbe semmai il contrario: ammettendo
    come possibile un caso impossibile,
    Paolo IV e San Pio V sarebbero stati poco intelligenti
    e poco ortodossi (come se avessero
    pubblicato una Bolla sul sesso degli Angeli –
    dimostrando poca intelligenza – o su di una
    eventuale quarta persona della Trinità – dimostrandosi
    ben poco ortodossi). Dal punto
    di vista storico, poi, è appurato che per Paolo
    IV e san Pio V l’ipotesi dell’elezione di un
    eretico al Sommo Pontificato non era per nulla
    impossibile, giacché per pochi voti non vennero
    eletti il card. Pole ed il card. Morone, da
    loro considerati eretici (quest’ultimo richiuso
    a Castel Sant’Angelo e processato da Paolo
    IV) eppure stimatissimi da tanti altri presuli.
    Le difficoltà concrete di applicazione della
    Bolla, i dubbi che possono facilmente sorgere
    sulla legittimità dei Sommi Pontefici, spiegano
    come questo punto non sia stato ripreso dai
    documenti più recenti (esattamente come le
    disposizioni sull’elezione simoniaca) promulgati
    in tempi più tranquilli di quelli dell’eresia
    protestante dilagante; ma è innegabile che
    concretamente la Bolla di Papa Caraffa ottenne
    il suo scopo, sbarrando la strada del papato
    al cardinal Morone, che senza questo docu-
    mento sarebbe stato probabilmente eletto in
    Conclave e riconosciuto come legittimo pontefice
    dai cardinali, e quindi – almeno in un
    primo tempo - da tutto l’orbe cristiano (82).
    In ogni caso, anche se per assurdo la TC
    considerasse le Bolle di Paolo IV e san Pio
    V non come documenti del magistero pontificio,
    quali sono, ma anche solo come
    espressioni dell’opinione di due teologi chiamati
    Caraffa (Paolo IV) e Ghisleri (San Pio
    V), uniti a tutti i cardinali che sottoscrissero
    le Bolle, deve ammettere che non vi è più
    quel “consenso moralmente unanime dei teologi”
    vanamente invocato…
    Il vero fondamento della tesi dell’accettazione
    pacifica universale della Chiesa quale infallibile
    garanzia della legittimità dell’elezione di
    un Papa è, ancora una volta, l’indefettibilità
    della Chiesa, la quale non può cadere in errore
    sulla fede. Anche in questo caso, la Tesi di
    Cassiciacum non mette in pericolo detta indefettibilià,
    mentre la posizione della Fraternità
    conduce a insolubili contraddizioni…
    Bisogna ora vedere qual è il fondamento
    della tesi detta “di Billot”, giacché, laddove
    non si tratta del magistero ma di sentenze di
    teologi, più che all’autorità di un autore si
    deve badare al motivo addotto da quest’autore
    in favore di una determinata tesi.
    Questo motivo non può essere l’infallibilità
    della Chiesa, come scrive la TC a p. 31.
    Infatti, occorre ricordarlo, “tutti i vescovi,
    SENZA il Papa, NON sono infallibili. Il loro
    giudizio comune non può quindi fornirci
    un criterio infallibile nel caso in questione, in
    cui l’insieme dei Vescovi è considerato necessariamente
    senza il Papa (poiché è la sua legittimità
    che è in causa). È d’altra parte tipico
    – prosegue Lucien – che sono spesso le stesse
    persone (tradizionaliste) che rifiutano di riconoscere
    l’infallibilità dei Vescovi CON il
    Papa [per poter rifiutare la nostra conclusione
    sull’assenza di autorità] che vorrebbero
    imporci di riconoscere [per affermare la legittimità
    del ‘papa’] l’infallibilità di questi
    stessi Vescovi SENZA il Papa!” (83). A lungo
    difatti è stata negata l’infallibilità del Magistero
    ordinario universale, benché definita
    dal Vaticano I, ovvero del Papa e dei Vescovi,
    per poter sostenere che il Vaticano II
    non avrebbe dovuto essere infallibile… E
    poi la TC vorrebbe dare valore infallibile al
    consenso dei Vescovi… senza il Papa? (84).
    29
    Questo motivo non può essere neppure
    la necessità che ha la Chiesa di “sapere con
    certezza chi sia il proprio legittimo pastore e
    chi abbia autorità su di essa” (TC, p. 30).
    Certo, non siamo noi di Sodalitium che neghiamo
    l’importanza della questione, al contrario!
    È proprio la TC che, contraddicendosi,
    afferma che su questo punto non c’è nessuna
    certezza (cf capitolo sulla “posizione
    prudenziale”) e che è sufficiente “conservare
    la fede di sempre” e “fare come prima”
    senza risolvere il problema dell’autorità…
    Tuttavia, di per sé, è accaduto che la Chiesa
    non avesse, per un certo tempo, questa certezza,
    malgrado il criterio della “tesi Billot”:
    il caso del Grande Scisma lo dimostra in abbondanza,
    e la TC potrà consultare l’Enciclopedia
    Cattolica alle voci “Papa” (vol. IX,
    coll. 764-765) e “Antipapa” per rendersi
    conto di come, malgrado questo “certissimo”
    criterio, sussistano ancor oggi dei dubbi
    sulla legittimità di certi Pontefici e sul conseguente
    numero dei Papi.
    Il vero fondamento della “Tesi di Billot”,
    come rileva Lucien, è quindi l’indefettibilità
    della Chiesa: ciò che è impossibile è che tutta
    la Chiesa segua – accettando un falso
    Pontefice – una falsa regola di fede, e aderisca
    pertanto all’errore. “L’impossibilità assoluta
    alla quale si riferisce implicitamente il
    card. Billot – scrive a ragione Lucien – è che
    l’insieme dei fedeli aderiscano a una dottrina
    falsa: questo appartiene immediatamente
    all’indefettibilità della Chiesa. Ora, riconoscere
    un falso Papa non significa ancora aderire
    a una falsa dottrina. Il suddetto riconoscimento
    non può comportare una tale adesione
    che nel caso di un atto magisteriale che
    Roma 1973 piazza S. Pietro: l’abbé Coache e P. Barbara
    dirigono la veglia di preghiera sotto le finestre di Paolo
    VI, durante il pellegrinaggio romano
    contiene un errore. Ma abbiamo visto che
    esisteva un criterio intrinseco di discernimento
    accessibile a ogni fedele: la non contraddizione
    riguardo a tutto ciò che è stato già infallibilmente
    insegnato dalla Chiesa (cf sopra,
    pp. 17-22, specialmente p. 19). L’indefettibilità
    della Chiesa implica certissimamente
    che un eventuale ‘falso papa’ (considerato
    vero da tutti) non possa definire falsamente
    un punto dottrinale liberamente discusso nella
    Chiesa. Nel caso contrario, in effetti, i fedeli
    sarebbero privi di ogni criterio oggettivo
    per rifiutare la loro adesione all’errore: sarebbero
    quindi ineluttabilmente indotti in errore
    e l’indefettibilità della Chiesa sarebbe
    colpita (è questa la ‘parte di verità’ della tesi
    del cardinal Billot). Ma l’indefettibilità della
    Chiesa non si oppone al fatto che un ‘falso
    papa’ pretenda insegnare ufficialmente un
    punto già infallibilmente condannato dalla
    Chiesa. Al contrario, abbiamo allora il segno
    infallibile che questo falso papa non possiede
    l’Autorità pontificia divinamente assistita:
    non concludere a questa assenza di Autorità
    comporta il rifiutare il Lume provvidenzialmente
    accordato. Nella situazione attuale,
    Dio ci ha dato, col Vaticano II, il segno necessario
    e sufficiente per evitare di cadere
    nell’errore, e per smascherare i falsi papi.
    Spetta a ogni fedele accogliere questo Lume,
    e tirarne le conseguenze pratiche” (85).
    La Tesi di Cassiciacum non pone quindi
    un problema insolubile: i fedeli non sono infallibilmente
    tratti in inganno da un “papa
    putativo” (come Mons. de Castro Mayer
    chiamava Giovanni Paolo II) (86), un “papa”
    solo apparente, al quale sanno di non dovere
    aderire; al contrario, i partigiani della legittimità
    di Giovanni Paolo II – come la TC
    - dovrebbero, se coerenti, abbracciare il suo
    falso insegnamento, compromettendo, per
    quanto dipende da loro, la suddetta indefettibilità.
    L’ultima obiezione speculativa della TC alla
    sola Tesi di Cassiciacum è quella di fondarsi
    su di un “giudizio privato” (pp. 17-20; 34-
    39). Inanità di questa obiezione, che si riduce
    a quelle precedenti già risolte
    La TC ammette che i sostenitori della
    “Tesi di Cassiciacum” non pretendono di sostituirsi
    alla Chiesa nel constatare la vacanza
    (formale) della Sede Apostolica. Quando diciamo
    che Giovanni Paolo II non è formal-
    30
    mente Papa, non pretendiamo di parlare a
    nome della Chiesa e con la sua autorità (cf
    Lucien, p. 119-120); non solo lo ammette,
    ma ci loda per questo la stessa TC (pp. 17 e
    34). Lode avvelenata: la TC pretende difatti
    dedurre proprio da questa affermazione delle
    “gravissime conseguenze”. Vediamo se ciò
    corrisponde al vero… È lecito, per un cattolico,
    seguire un “giudizio privato” in materia
    teologica? E nel nostro caso concreto, un
    “giudizio privato” sul fatto dogmatico “Giovanni
    Paolo II non è Papa” comporta delle
    “gravissime conseguenze”?
    Un “giudizio privato”, ovvero una conclusione
    teologica, è una guida sicura per il fedele
    nella misura in cui detta conclusione è
    fondata sui dati della fede ed un retto ragionamento.
    È invece illecito opporre il proprio
    “giudizio privato” a quello che viene reputato
    il magistero della Chiesa, come fa la
    Fraternità San Pio X
    Cosa significa “giudizio privato”? Il giudizio
    è la conclusione di un sillogismo, di un
    ragionamento: se il ragionamento è corretto,
    il giudizio sarà vero. Poiché stiamo parlando
    di cose di fede (la legittimità di un Pontefice
    è un fatto dogmatico che può appartenere
    all’oggetto materiale della fede), il ragionamento
    in questione è un ragionamento teologico
    che, fondato su almeno una premessa
    di fede, può giungere ad una conclusione
    (detta teologica) assolutamente certa, tale
    cioè da ottenere la piena adesione dell’intelligenza
    a quella conclusione. Chiamiamo
    questo giudizio “privato” perché esso non è
    portato dalla Chiesa, che è divinamente assistita,
    ma solo da dei teologi (come lo era, indubitabilmente,
    Padre Guérard des Lauriers)
    e dei fedeli.
    Non vediamo in sé quale problema di
    principio possa porre il fatto di sostenere una
    tesi teologica come assolutamente certa, e
    questo alla luce della fede (il che la Fraternità
    fa tranquillamente, e a ragione, a proposito
    del Concilio e della Riforma liturgica). “Certa”,
    perché rigorosamente dimostrata (con
    quegli argomenti che la TC omette di esporre,
    per poterci poi accusare di affermare cose
    gravissime in modo arbitrario). “Alla luce
    della fede”, perché la Tesi si avvale nella sua
    dimostrazione deduttiva di una premessa di
    fede, unita a dei fatti di osservazione immediata
    e al principio di non contraddizione (cf.
    Lucien, p. 11) (87). Per la TC invece il nostro
    ragionamento sarebbe lungo, complesso,
    inaccessibile al semplice fedele (p. 35) che
    dovrebbe fidarsi ciecamente (con derive carismatiche)
    (ibidem) delle sue guide… L’eleborazione
    dell’argomento è certamente complessa;
    non così però la semplice presa di coscienza
    del fatto che un vero Papa non può
    insegnare l’errore, darci una messa cattiva,
    distruggere (nella misura del possibile) la
    Chiesa. È quanto, in fondo e molto semplicemente,
    scriveva lo stesso Mons. Lefebvre:
    “un problema grave si pone alla coscienza e
    alla fede di tutti i cattolici dall’inizio del pontificato
    di Paolo VI. Come può un papa, vero
    successore di Pietro, assistito dallo Spirito
    Santo, presiedere alla distruzione della Chiesa,
    la più profonda ed estesa della sua storia, nello
    spazio di così poco tempo, come non era
    riuscito finora a nessun eresiarca?”
    (Dichiarazione del 2 agosto 1976; Itinérarires,
    n. 206, p. 280).
    A questa domanda, Mons. Lefebvre rispose,
    nella sua lettera ai cardinali riuniti
    per il conclave, del 6 ottobre 1978: “Un Papa
    degno di questo nome e vero successore di
    Pietro non può dichiarare che si dedicherà
    all’applicazione del Concilio e delle sue
    Riforme” (Itinérarires, n. 233, p. 130).
    Commentava queste parole l’abbé Lucien:
    “In effetti, la dottrina cattolica sull’assistenza
    dello Spirito Santo verso l’Autorità
    della Chiesa in genere ed il Magistero in particolare
    ci detta delle affermazioni certe riguardo
    il fatto dogmatico: Paolo VI non era
    Papa. Affermazioni che, per il fatto stesso,
    sono sostenute alla luce della fede.
    Sì, è impossibile, è una certezza di fede,
    che un Papa conduca la Chiesa alla sua distruzione
    con un fiume di riforme imposte
    nei fatti e autentificate ‘in nome della sua suprema
    autorità’.
    È impossibile in particolare che un Papa
    promulghi in unione coi vescovi rappresentanti
    la Chiesa universale un testo conciliare
    che contraddice un punto di dottrina già fissato.
    Ciò è impossibile in virtù del magistero
    ordinario universale (…).
    È parimenti impossibile che un vero Papa
    promulghi, stabilisca nei fatti e imponga un
    rito della messa ‘pericoloso e nocivo’.
    Queste sono le certezze della fede, accessibili
    a tutti, che rispondono alla questione
    che si pone alla coscienza di tutti i cattolici”
    (Cahiers de Cassiciacum, n. 5, p. 76).
    31
    Che Paolo VI e Giovanni Paolo II non
    avessero l’Autorità è una necessaria conseguenza
    del fatto – sostenuto anche dalla TC
    – che il Vaticano II ha errato nel suo insegnamento
    e che il nuovo messale è moralmente
    inaccettabile.
    Concludiamo: se gli argomenti dei “sedevacantisti”,
    ed in particolare della “Tesi di
    Cassiciacum”, danno una dimostrazione rigorosa
    del fatto che Paolo VI non poteva, e Giovanni
    Paolo II non può essere Papa, tale conclusione
    s’impone all’intelligenza di tutti i fedeli
    che sono capaci di coglierla. Essi vi aderiscono
    con certezza, e devono uniformare la
    loro condotta a questa verità. Non è necessario,
    per far ciò, che la Chiesa si sia esplicitamente
    pronunciata, come non è necessario un
    intervento del magistero per concludere che
    piove ed è quindi opportuno munirsi di ombrello.
    A questa conclusione (Giovanni Paolo
    II non è – formalmente – Papa) i fedeli non
    aderiscono però ancora come a una verità di
    fede, poiché la Chiesa non l’ha ancora definita
    come tale; chi rifiuta questa conclusione
    non è, per il fatto stesso, un eretico che si pone
    fuori dalla Chiesa (cf Lucien, op. cit., pp.
    119-121). Tuttavia, negando questa conclusione
    teologica, ed affermando che Giovanni
    Paolo II è Papa, si rischia di dover negare
    qualche verità di fede (sia accettando il suo
    insegnamento, che è in contrario in molti punti,
    al magistero della Chiesa; sia col rifiutarlo,
    attribuendo quindi l’errore al Papa e alla
    Chiesa). Risulta in effetti illegittima la posizione
    della Fraternità San Pio X e della TC, la
    quale oppone un giudizio privato (sul Vaticano
    II, sul nuovo messale, sul nuovo codice di
    diritto canonico, sulle canonizzazioni proclamate
    da Giovanni Paolo II, sul suo magistero,
    ecc.) a quello che, secondo loro, è pur sempre
    il Magistero della Chiesa o la sua disciplina:
    preferire il proprio giudizio a quello della
    Chiesa, è l’atteggiamento proprio all’eretico.
    Neppure nel caso concreto il “giudizio privato”:
    “Giovanni Paolo II non è Papa”, ci
    pone in una situazione dalle “gravissime
    conseguenze”, come paventa la TC. In effetti,
    il giudizio della Chiesa al riguardo resta
    sempre possibile.
    La TC non è contraria al fatto che un
    semplice fedele possa, e persino debba, formulare
    dei “giudizi privati” su materie di
    per se difficilissime: “naturalmente – scrive –
    il rifiuto degli altri elementi dottrinali (quale
    l’ecumenismo, la libertà religiosa, il Novus
    Ordo…) da parte di ogni ‘tradizionalista’ si
    colloca in modo completamente diverso rispetto
    al rifiuto dell’autorità dei pontefici
    contemporanei, in quanto egli realmente può
    in tali casi constatare l’incompatibilità tra un
    insegnamento conciliare e il suo contrario
    espresso nel magistero dogmatico perenne
    della Chiesa e quindi l’impossibilità di aderirvi”
    (pp. 38-39); la Fraternità ne conclude,
    nella vita morale, che è ad esempio peccaminoso
    assistere alla nuova messa, anche
    quando non vi sono altre messe alle quali assistere,
    in un giorno di precetto… Eppure, la
    stessa TC esclude che si possa affermare che
    non è possibile che la Chiesa (quindi un legittimo
    Papa) abbia potuto darci del veleno
    (ovvero una dottrina e una liturgia nocivi),
    anche se questa impossibilità è insegnata dal
    Concilio Vaticano I (DS 3075) ed è evidente
    a ogni fedele! Perché? Cerchiamo di capire
    assieme gli argomenti della TC…
    In genere, la nostra Tesi inventerebbe
    una terza soluzione che non esiste tra il giudizio
    puramente privato, “pronunciato da un
    soggetto senza autorità, privo di effetti giuridici
    e normativi” e un “giudizio canonico,
    cioè per se stesso pubblico, con effetti giuridici,
    pronunciato dall’autorità competente”.
    “In sintesi – conclude la TC riassumendo il
    nostro “errore” – la Tesi di Cassiciacum pretende
    in qualche modo dimostrare che da un
    giudizio che si proclama non giuridico scaturiscono
    effetti de facto giuridici, aventi valore
    normativo per la condotta di tutti i fedeli”
    (p. 37, nota 12). Ora, la TC non si accorge
    che ci rimprovera esattamente quello che
    essa stessa fa: come abbiamo ricordato, per
    la Fraternità è lecito e doveroso passare da
    un giudizio privato (“la nuova messa è cattiva”)
    ad una vera norma “per la condotta di
    tutti i fedeli” (“non è lecito assistere alla
    nuova messa”). Questa inesistente terza posizione
    tra il giudizio privato che non può
    obbligare le coscienze ed il giudizio pubblico
    e canonico della Chiesa per la Fraternità esiste
    eccome… ma non quando potrebbe contraddire
    le proprie posizioni! Rispondiamo
    quindi: il “giudizio privato” è privo di effetti
    giuridici, concedo; è privo di effetti normativi
    per la coscienza dei fedeli, lo nego. Se una
    persona scoprisse di non essere validamente
    coniugata, ad esempio, sarebbe tenuta a
    comportarsi da non coniugata quanto alla
    32
    norma morale, e da coniugata quanto al fatto
    giuridico. Si tratta di due realtà diverse.
    Insiste la TC: il caso della legittimità di
    un Papa, e in genere di “un dato storico e
    contingente sul quale la Chiesa come tale non
    si è ancora espressa” (p. 39), non è assimilabile
    a quello di un insegnamento già definito
    dalla Chiesa (come ad es. la dottrina sulla libertà
    religiosa, già condannata dalla Chiesa).
    Potremmo obbiettare che sulla nuova
    Messa la Chiesa come tale non si è ancora
    espressa, eppure a ragione la Fraternità dà
    un giudizio (privato) negativo che comporta
    una norma per le coscienze (non vi si può
    assistere)…
    Il caso della legittimità di un’‘autorità’
    ecclesiastica non è essenzialmente diverso:
    vi possono essere dei criteri oggettivi, e non
    solo soggettivi, che ci possono condurre alla
    conclusione certa della legittimità o illegittimità
    di tale prelato. In conseguenza, il clero
    e il popolo hanno il dovere di rompere la comunione
    ecclesiastica con lui, come fece il
    clero ed il popolo di Costantinopoli col suo
    Patriarca Nestorio prima che quest’ultimo
    fosse condannato al Concilio d’Efeso, al
    quale partecipò proprio perché non ancora
    canonicamente deposto. Ma la TC obbietta
    che il caso del Papa è diverso. E la nostra
    Tesi cadrebbe nel soggettivismo da tre punti
    di vista: nell’affermare che tale persona non
    è Papa prima del giudizio della Chiesa;
    nell’affermare un domani che tale persona
    potrebbe essere nuovamente Papa senza che
    esista un’autorità che lo possa confermare;
    nel giudicare la Prima Sede, che non può essere
    giudicata da nessuno.
    Contro queste affermazioni, abbiamo
    quanto già detto dal Cardinal Albani, citato
    dal Bouix: “il Papa eretico, se torna a resipiscenza
    prima della sentenza declaratoria [di
    eresia], recupera ipso facto il pontificato, senza
    una nuova elezione dei Cardinali…”
    (Tractatus de Papa, t. I, p. 548). Secondo quest’autore,
    quindi, il Papa eretico pertinace
    cesserebbe di essere Papa già prima di una
    sentenza della Chiesa (contro quanto sostiene
    la TC) e potrebbe recuperare questa stessa
    autorità prima di una sentenza della Chiesa
    (sempre contro quanto sostiene la TC).
    Questo non esclude che – anche dal punto di
    vista della Tesi di Cassiciacum – ci possano e
    ci debbano essere degli interventi dell’autorità
    della Chiesa. La Tesi infatti postula l’intervento
    del Concilio generale imperfetto per
    dichiarare che il ‘papa materialiter’ cessa anche
    materialmente di occupare la Sede. Secondo
    la TC ciò sarebbe impossibile, perché
    sarebbe impossibile per dei cardinali e vescovi
    anch’essi solo materialiter, (ri)trovare la
    giurisdizione. Rispondiamo che se ciò è possibile
    nel caso del Papa, è ancora più possibile
    in quello dell’episcopato; che in ogni caso
    detta giurisdizione può venire da Dio, come
    nell’ipotesi avanzata da P. Zapelena per il
    frangente del Concilio di Costanza. E ancora,
    sia nel caso del Papa che in quello dell’episcopato,
    i criteri sono tutt’altro che soggettivi:
    poiché l’ostacolo alla ricezione dell’Autorità
    è l’adesione al Vaticano II e alle sue riforme,
    è necessario e sufficiente, affinché sia ritrovata
    l’autorità, che sia pubblicamente condannato
    il Vaticano II e dichiarate nulle le sue
    riforme, il che può essere facilmente e incontrovertibilmente
    constatato da tutti.
    La Prima Sede non può essere giudicata,
    ricorda la TC, ed è ben vero. Per cui i teologi
    hanno interpretato i testi del Decreto di
    Graziano, di Innocenzo III, dei teologi medioevali
    che affermano che la Prima Sede
    può essere giudicata (solo) in caso di eresia,
    in questo senso: “per il fatto che il Papa eretico
    possa essere giudicato dal Concilio non
    ne segue che il Papa possa essere sottomesso
    al Concilio; poiché, divenuto eretico, ormai
    non è già più Papa” (Card. Albani, in Bouix,
    p. 547) (88). Quindi, di fatto, è possibile un
    giudizio del “Papa eretico” (e a maggior ragione
    dell’eretico eletto ‘papa’).
    33
    Riassumendo: affermare che Giovanni
    Paolo II non è Papa formalmente è una conclusione
    teologica fondata su una premessa
    di fede (l’infallibilità del magistero ordinario
    universale, ad esempio) e la constatata contraddizione
    tra il Vaticano II e l’insegnamento
    della Chiesa (contraddizione ammessa
    da Mons. Lefebvre).
    Tale giudizio è solo privato: può essere
    norma certa di comportamento, ma non ha
    valore giuridico: Giovanni Paolo II è ancora
    ‘papa’ materialmente.
    Giovanni Paolo II può venire a resipiscenza,
    condannare il Vaticano II, e divenire
    formalmente Papa: è dottrina insegnata anche
    da autori del passato, come il Cardinale
    Albani, e la cosa è constatabile con evidenza
    da tutti, senza nessuna necessità di ricorrere
    al giudizio privato dei “guerardiani”.
    Allo stesso modo sarebbe a tutti possibile
    constatare la condanna pubblica del Vaticano
    II da parte di vescovi materialiter che
    avrebbero ipso facto, tolto l’ostacolo, l’autorità
    nella Chiesa. Da chi? – chiede la TC. Da
    Cristo che la concede a chi ha i titoli alla giurisdizione
    (titoli dati dal ‘papa’ materialiter).
    Notiamo tra l’altro come – in concreto –
    sedevacantisti di ogni tendenza, sostenitori
    di Mons. Lefebvre o dell’abbé de Nantes sarebbero
    tutti d’accordo, almeno nei fatti, in
    questa felice eventualità, riconoscendo e
    prestando obbedienza al Sommo Pontefice
    che condannerà come di dovere il Vaticano
    II e ne dichiarerà nulle le riforme. Auspichiamo
    tutti di poter presto vedere questo
    miracolo morale, impossibile agli uomini,
    ma non a Dio, che toglierebbe di mezzo lo
    scisma di fatto che si è introdotto tra di noi.
    QUINTA PARTE, nella quale si accenna
    a delle obiezioni secondarie, di ordine
    pratico più che teorico
    La risposta di Sodalitium alle obiezioni
    della TC potrebbe dirsi (finalmente!) conclusa,
    se non fosse che a degli argomenti dottrinali,
    tutti riconducibili alla questione dell’indefettibilità
    della Chiesa, la TC aggiunge degli
    argomenti di ordine pratico, che di per se
    nulla hanno a che vedere con la questione dibattuta
    (la Sede vacante). Essi sono: la difficoltà
    della questione per i fedeli (“una questione
    di difficile approccio”, pp. 42-43), le
    consacrazioni episcopali compiute da Mons.
    Pellegrinaggio romano della tradizione: anno 1973
    Ngo-Dinh-Thuc (“l’azione di Mons. Ngo-
    Dinh-Tuch”, pp. 43-48), la presunta sterilità
    del sedevacantismo (“i frutti del sedevacantismo”,
    pp. 48-49). De singulis, pauca.
    Una questione di difficile approccio?
    Per la TC la questione (“la sede apostolica
    è vacante?”) è di difficile approccio; il fedele
    non può e non è tenuto ad esaminarla,
    e se alcuni fedeli credono al sedevacantismo,
    lo fanno piuttosto per la fiducia in chi
    lo incarna o cerca di spiegarlo. Perciò, i sacerdoti
    sedevacantisti imporrebbero ai fedeli
    un peso importabile, come fecero i farisei,
    e privano i fedeli della Messa “una cum”…
    A questa obiezione rispondo ricordando
    come l’obbedienza al Papa legittimo non è
    cosa di poco conto, ma da essa dipende la
    salvezza eterna delle anime (Cf ad esempio
    Bonifacio VIII, DS 875); anche il fedele più
    semplice capisce che non può salvarsi se disobbedisce
    al Papa. D’altro lato, anche un
    semplice fedele può capire che un ‘papa’ che
    elogia Lutero, prega al muro del pianto, visita
    le sinagoghe e le moschee, bacia il corano,
    offre i sacrifici agli dèi, fa adorare la statua
    di Budda sull’altare di Assisi, si fa iniziare ai
    culti induisti ecc. NON può essere il “dolce
    Cristo in terra”, il suo rappresentante visibile.
    Gli stessi atti di “pentimento” per il passato
    della Chiesa offrono anche ai più semplici
    la possibilità di osservare una contraddizione
    impossibile in colui che dovrebbe essere
    infallibilmente assistito. La TC ritiene
    che i fedeli possono e debbono concludere
    al fatto che un Concilio Ecumenico ha errato
    in materie difficili quali la libertà religiosa,
    o la costituzione della Chiesa, e possono
    cogliere nel rito della Messa comunemente
    accettata un’opposizione al Concilio di
    Trento! E poi non ammette che lo stesso fedele
    possa concludere che un Papa che si è
    sbagliato nel promulgare un Concilio e un
    rito della Messa non sia infallibile… e quindi
    non sia neppure il Papa!
    La TC pensa dimostrare il suo asserto
    quando oppone uno scritto di Mons. Sanborn
    (che sostiene la necessità dello studio
    della metafisica aristotelico-tomista per capire
    la nostra Tesi) ed uno dell’abbé Belmont
    (il quale spiega che la nostra posizione
    fa parte dell’esercizio quotidiano della Fede).
    La contraddizione non esiste. Il catechismo
    che studiano i bambini che si preparano
    34
    alla prima comunione e la Somma Teologica
    di san Tommaso insegnano le stesse verità,
    che sono esposte però in modo adattato
    all’età e alla capacità di chi studia. Per capire
    appieno una tesi teologica come la nostra
    occorre della scienza teologica; ma l’essenziale
    di questa tesi (è impossibile che sia Papa
    colui che insegna quotidianamente l’errore)
    è alla portata di tutti i fedeli. Né l’abbé
    Belmont vuol dire che l’esercizio quotidiano
    della fede consista nella fede cieca dell’ignorante;
    ricorda però a chi lo dimentica che
    tutti i fedeli hanno l’abito sovrannaturale
    della fede che li rende capaci di cogliere le
    realtà sovrannaturali.
    I sacerdoti “sedevacantisti” sono convinti
    che la legittimità di un Papa è “una questione
    di fede”, ma non impongono per questo
    le loro conclusioni a chi non sa coglierle e
    capirne l’intima coerenza, lasciando la cosa
    al giudizio di Dio; l’atteggiamento farisaico
    esiste solo nella mente dell’autore dell’articolo
    della TC. Il quale dovrebbe ricordarsi
    che la Fraternità stessa insegna che non si
    deve assistere alle messe celebrate secondo
    il nuovo rito, e persino alle messe secondo il
    rito di san Pio V se sono celebrate con l’Indulto
    (e questo, vista la posizione della Fraternità,
    non lo capiamo proprio) nonché alle
    messe dei sedevacantisti, e persino a quelle
    di sacerdoti che la pensano come loro ma
    che non hanno ricevuto da loro “giurisdizione”
    (come nel caso del parroco di Riddes,
    Epiney, e del suo collaboratore l’abbé Grenon)
    (89)… Chi è che “priva colpevolmente e
    inutilmente alcune anime della possibilità di
    assistere alla Santa Messa…” (p. 43)?
    Mons. Thuc non è l’Uomo della Provvidenza…
    per fortuna!
    La TC dedica ben 6 pagine alla figura di
    Mons. Thuc e alle consacrazioni episcopali
    da lui compiute (90); se il numero speciale
    della TC fosse un compito in classe barrerei
    queste pagine in rosso scrivendo a grossi caratteri:
    “fuori tema”.
    La TC infatti si propone di dimostrare che
    Giovanni Paolo II è Papa, o perlomeno che
    non si possa dimostrare che non lo è; la questione
    delle consacrazioni episcopali è allora
    un tema del tutto estraneo al soggetto. Vi sono
    sedevacantisti che si oppongono radicalmente
    alla possibilità di consacrazioni episcopali
    anche durante la Sede vacante; tutti i di-
    scepoli di Mons. Lefebvre sono invece favorevoli
    alle consacrazioni senza mandato romano
    (gli sfavorevoli hanno abbandonato anche
    il lefebvrismo). Non vedo pertanto come
    questo tema, che divide in maniera trasversale,
    sedevacantisti e non sedevacantisti, sia attinente
    alla questione discussa.
    Eppure, in realtà, un aggancio col tema
    c’è, ma non è quello che voleva manifestare
    la TC. Essa accusa Mons. Thuc di non essere
    “l’uomo della provvidenza” o “un punto di
    riferimento”, a causa degli indubbi errori da
    lui commessi. L’accusa è rivelatrice. La TC
    sembra avere bisogno di un “Uomo della
    Provvidenza”, di “un punto di riferimento”,
    al di là di quei punti di riferimento oggettivi
    che Dio ci ha dato (Cristo, la Chiesa, il magistero,
    il Papa). La TC, che ci ha accusato
    di soggettivismo, di tendenza carismatica, di
    seguire senza capire i capi del sedevacantismo
    per la fiducia che portiamo loro (e nulla
    di ciò è vero) dimostra invece come la sua
    posizione sia in realtà dipendente dalla fiducia
    cieca che essa accorda a un uomo, seppur
    di grande qualità: Mons. Lefebvre e,
    nella pratica, nei suoi attuali eredi (dotati indubbiamente
    di minori qualità). È questo il
    vero, il grande, l’unico argomento che convince
    i membri della Fraternità ed i suoi fedeli:
    l’autorità di Mons. Lefebvre, l’ “Uomo
    della Provvidenza”; che se Mons. Lefebvre
    avesse dichiarato la vacanza della Sede (come
    fu più volte sul punto di fare) i veri lefebvriani
    che fino allora avevano dichiarato:
    “Giovanni Paolo II è Papa” avrebbero gridato:
    “Giovanni Paolo II non è Papa” (il fatto,
    comico di per se, avvenne realmente a
    Ecône, dopo la predica “sedevacantista” di
    Mons. Lefebvre nella Pasqua del 1986).
    35
    Quanto a noi, non conosciamo “uomini
    della Provvidenza” o “punti di riferimento”
    al di fuori di quelli datici da Cristo: la sua
    Chiesa, il papato, l’episcopato. Pensiamo
    che la Provvidenza si sia servita di Mons.
    Thuc, come di Mons. Lefebvre o di Mons.
    de Castro Mayer… ai quali riconosciamo
    qualità e difetti (91). Quanto alle canonizzazioni,
    le lasciamo al Papa, credendo – al contrario
    dei sacerdoti della Fraternità – alla
    sua infallibilità in materia.
    “I frutti del sedevacantismo” secondo la
    TC: sterilità, livore, veleno… (pp. 48-49).
    Naturalmente, la TC è del tutto immune da
    queste colpe…
    Ultimo argomento della TC: la presunta
    “sterilità” del sedevacantismo. “Li riconoscerete
    dai loro frutti”, dice il Vangelo, e
    “non manca chi pensa di poter argomentare
    contro il sedevacantismo semplicemente constatandone
    la sterilità” (TC, p. 48). L’autore
    dell’articolo butta la pietra e nasconde la
    mano, perché, riguardo a quest’argomento,
    “ci contentiamo di segnalarlo senza prenderci
    il lusso di applicarlo noi stessi” (ibidem).
    Un pochino però lo applica lo stesso: “vi è
    tuttavia nel sedevacantismo un fattore costante
    di sterilità che non dipende dalle intenzioni
    buone o cattive, quanto piuttosto dalla situazione
    oggettiva in cui viene a trovarsi: su
    questo pericolo pensiamo di poterci esprimere”.
    Ed ecco il “pericolo” come lo vede la
    TC: il sedevacantista “medio” (?) “non ha
    più un vero interesse a combattere per il
    trionfo della verità in una Chiesa che di fatto
    non può considerare sua a nessun titolo”.
    Rassicuriamo subito la TC: il trionfo della
    verità nella Chiesa ci interessa sopra ogni
    cosa, tanto è vero che sia i sedevacantisti
    stretti (P. Barbara, a quei tempi) sia i guérardiani
    hanno contattato i ‘vescovi’ conciliari
    per spingerli a rivedere il Vaticano II;
    diciamo piuttosto che “il trionfo della verità
    nella Chiesa” non si ottiene con delle trattative
    che hanno come fine un compromesso
    che è tutto a discapito della verità.
    Insiste la TC nello spiegare la nostra sterilità:
    “è giocoforza che alla lunga il sedevacantismo
    riversi il proprio livore e il proprio veleno
    non più sul modernismo in quanto tale”
    bensì sulla Fraternità San Pio X: “in questo
    emerge certamente una sterilità cronica” (p.
    49). Certo, scriviamo spesso sugli errori della
    Mons. Bernard Fellay, attuale superiore
    della Fraternità San Pio X
    Fraternità, i quali purtroppo non concernono
    tanto direttamente il riconoscimento di Giovanni
    Paolo II, quanto delle verità cattoliche
    (infallibilità del magistero, obbedienza alle
    legittime autorità, impossibilità di creare dei
    Tribunali ecclesiatici paralleli a quelli del Papa,
    o di negare l’infallibilità delle Canonizzazioni
    ecc.). Tuttavia, per parlare solo di Sodalitium,
    la questione “Fraternità” è una fra le
    tante: abbiamo scritto articoli, fatto conferenze
    e pubblicato libri sulle encicliche di Giovanni
    Paolo II, su Giovanni XXIII e la storia
    del Concilio, sui rapporti tra Chiesa e stato,
    sulla questione ebraica, la Massoneria, lo
    gnosticismo, sull’attualità politica o la filosofia
    tomista, e poi sulla vita spirituale, ecc. Sulla
    vita cristiana vertono praticamente tutte le
    Omelie domenicali; ad essa consacriamo le
    fatiche del ministero, l’Apostolato della preghiera,
    la Crociata eucaristica, la scuola cattolica
    (presso le suore di Cristo Re), gli esercizi
    spirituali… Il ritratto che la TC fa del sacerdote
    e del fedele cosiddetto “sedevacantista”
    non è un ritratto ma una caricatura.
    “Infine, nelle file del sedevacantismo, non
    manca chi spera di vedere (…) una capitolazione
    generale della Fraternità San Pio X, e
    quindi si sforza, da decenni, per dimostrarne
    l’imminenza” (p. 49). Gli sforzi non sono
    stati molto difficili, tanto più che l’imminenza
    della capitolazione ci era confermata
    spesso dai sacerdoti stessi della Fraternità
    (che magari scrivono sulla TC) ed era persino
    denunciata da un Vescovo della Fraternità
    come un “tradimento”. In realtà, non ci
    auguriamo questa “capitolazione generale”
    come non ci auguriamo che la Fraternità resti
    com’è, sempre più tendente a diventare
    (lo ha detto l’abbé Simoulin, superiore del
    Distretto italiano) una “piccola Chiesa”. Noi
    ci auguriamo che la Fraternità prenda fino
    in fondo la posizione cattolica contro il modernismo.
    Mons. Guérard des Lauriers disse
    e scrisse sempre che, in questo caso, avrebbe
    rinunciato ad esercitare il suo episcopato in
    quanto Mons. Lefebvre avrebbe finalmente
    compiuto pienamente il suo dovere. La speranza
    di Mons. Guérard des Lauriers fu delusa:
    ci auguriamo di poter un giorno combattere
    fianco a fianco coi sacerdoti della
    Fraternità san Pio X quando professeranno
    integralmente la dottrina cattolica, e ci auguriamo
    pure, ancor di più, che questo lieto
    evento si realizzi anche per tutti gli altri sacerdoti
    cattolici che erroneamente seguono
    il Concilio, affinché, abbandonate le sue funeste
    illusioni, riprendano la via interrotta
    trent’anni fa, per la gloria di Dio e la salvezza
    delle anime. Converta il Signore anche i
    popoli che, nei secoli passati, si sono separati
    con l’eresia e lo scisma dalla Sua Chiesa, e
    si faccia un solo Ovile sotto un solo Pastore!
    Preghiamo:
    “Dio onnipotente ed eterno, che tutti salvi
    e non vuoi che alcuno perisca, degnati guardare
    le anime ingannate dalle astuzie del demonio,
    affinché, rinunciando a tutte le perversità
    dell’eresia, i loro cuori traviati si ravvedano
    e ritornino all’unità della tua verità”
    (Orazione del Venerdì Santo).
    “O Dio, che correggi gli erranti, riunisci i
    dispersi e gli uniti tali conservi, effondi la grazia
    della tua unione sul popolo cristiano, affinché
    allontanata ogni divisione, stretto al vero
    pastore della tua Chiesa, ti possa degnamente
    servire” (Orazione per togliere lo Scisma).
    “Ti supplichiamo umilmente o Signore,
    affinché la tua immensa pietà conceda alla
    Sacrosanta Romana Chiesa un Pontefice il
    quale, e ti sia sempre gradito per il santo zelo
    verso di noi e sia sempre degno di riverenza
    presso il tuo popolo per il suo salutare governo
    a gloria del Tuo nome” (Orazione per
    l’elezione del Sommo Pontefice)
    “Ut in inimicos sanctae Ecclesiae humiliare
    digneris, Te rogamus, audi nos” (litanie
    dei Santi).
    Note
    1) La Tradizione Cattolica (ad es. a p. 10) per dimostrare
    l’assoluta opposizione tra il sedevacantismo
    stretto e la Tesi di Cassiciacum, cita volentieri i miei articoli
    contro il sedevacantismo stretto, ove scrivo ad
    esempio: “i sedevacantisti stretti si precludono ogni ri-
    Giovanni Paolo II a colloquio con il rabbino Di Segni
    sposta coerente con la fede o col buon senso a proposito
    dell’indefettibilità della Chiesa”. Non rinnego quanto ho
    qui affermato. Devo però aggiungere che tale contraddizione
    con l’indefettibilità della Chiesa si manifesta soprattutto
    (e sempre più) nel polemizzare con la Tesi.
    Vediamo invece negli scritti di un pioniere del sedevacantismo
    come Padre Saenz una posizione ben più vicina
    alla Tesi (cf la nota 19 di questo articolo). Anche
    L’Union pour la Fidelité (società diretta da Padre Barbara
    dal 1980 al 1987 e strettamente sedevacantista)
    esponeva in modo accettabile il problema dell’indefettibilità
    e dell’apostolicità ammettendo che esistono ancora
    “dei vescovi realmente cattolici, benché mancanti
    nell’esercizio della confessione della fede, e apparentemente
    integrati in questa nuova chiesa [del Vaticano II]”
    (Union pour la fidélité, La situation actuelle de l’Eglise
    et le devoir des catholiques, Ed. Forts dans la Foi,
    Tours, 1981, p. 149 e, in genere, pp. 131-150). Naturalmente,
    questa posizione pienamente sedevacantista
    quanto al ‘papa’, ma che ammetteva in alcuni vescovi
    quanto negava a Giovanni Paolo II, andava involontariamente
    nel senso della Tesi ufficialmente aborrita, il
    che era sottolineato ironicamente nei Cahiers de Cassiciacum
    (n. 6, maggio 1981, pp. 123-124: Dernière heure:
    Le R.P. Barbara a [enfin] compris). Lo stesso abbé
    Grossin, gran nemico della Tesi, ha dovuto senza volere
    ammetterne dei principi fondamentali, come risulterà
    da un altro articolo in questo stesso numero di Sodalitium.
    2) UGO BELLOCCHI, Tutte le encicliche e i principali
    documenti pontifici emanati dal 1740, Vol. IV, Pio IX,
    Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1995,
    pp. 463-464.
    3) Ibidem, pp. 380-383.
    4) “Non posso ammettere che, nella Fraternità, ci si
    rifiuti di pregare per il Santo Padre [vale a dire nominare
    Giovanni Paolo II, in quanto Papa, nel canone della
    Messa] e quindi di riconoscere che c’è un papa” (conferenza
    spirituale a Ecône del 3 maggio 1979; citato in B.
    TISSIER DE MALLERAIS, Marcel Lefebvre. Une vie, Clovis,
    2002, p. 536). Dal 1982 un giuramento deve essere
    sottoscritto da tutti gli ordinandi della Fraternità, nel
    quale essi riconoscono Giovanni Paolo II come Papa.
    Chi accetta però di mantenere segreto il proprio sedevacantismo,
    anche omettendo di nominare Giovanni
    Paolo II nel canone, è però tollerato nella Fraternità.
    5) In un documento del 29 maggio 1980 inviato da
    Mons. Lefebvre a tre sacerdoti statunitensi della Fraternità
    San Pio X, affinché fosse da loro sottoscritto, si
    legge: “Ciò che il vostro Superiore e Vescovo si aspetta
    da voi: che diate come risposta a quanti vi chiedessero
    ciò che si deve pensare del papa: la pratica e l’attitudine
    della Fraternità fin dalle sue origini. E non che diate
    pubblicamente una posizione, verbalmente o per scritto,
    contraria all’attitudine della Fraternità, sia a proposito
    del papa che dell’invalidità ex se del Novus Ordo. Più
    chiaramente: sulla questione del papa, la pratica (practice)
    della Fraternità è di decidere in favore della validità,
    col beneficio del dubbio; sulla questione del Novus Ordo:
    la politica (policy) della Fraternità non decide se esso
    è, per la sua stessa natura, ex se, invalido. Tuttavia, la
    Fraternità riconosce che la soluzione definitiva di queste
    questioni deve necessariamente spettare al Magistero della
    Chiesa nel futuro, quando sarà restaurata la normalità”.
    Il testo fu firmato da Mons. Lefebvre e dai tre sacerdoti
    (Ecône, point final. Numero 10 – nuova serie –
    della rivista Forts dans la Foi, maggio 1982, p. 68).
    37
    6) BERNARD TISSIER DE MALLERAIS, Marcel Lefebvre,
    une vie, Clovis, Etampes, 2002.
    7) Se posso dare un contributo ad una futura nuova
    edizione della biografia di Mons. Lefebvre, mi permetto
    di ricordare gli avvenimenti del 1981, nei quali fui direttamente
    coinvolto. Don Piero Cantoni, professore a
    Ecône, insegnò durante le sue lezioni che le leggi universali
    della Chiesa erano garantite dall’infallibilità, e
    che pertanto era impossibile che la nuova messa (in
    quanto legge universale della Chiesa) fosse cattiva in se
    stessa, e che ci si dovesse astenere dall’assistervi [pur
    mantenendo una preferenza per la Messa di San Pio V].
    Tutti i professori di Ecône, con alla testa il direttore,
    l’abbé Tissier, sostennero don Cantoni, con l’unica eccezione
    dell’abbé Williamson (attualmente uno dei
    quattro Vescovi). I seminaristi furono tutti interrogati
    dal direttore al riguardo; quelli italiani, in genere solidali
    con don Cantoni, furono promossi agli Ordini (per
    molti si trattava dell’ordinazione al suddiaconato), anche
    coloro che dichiararono tranquillamente che durante
    le vacanze assistevano alla nuova messa. Unico escluso
    dall’ordinazione al suddiaconato, il sottoscritto, che
    considerava illecita, invece, l’assistenza alla nuova messa.
    Col rientro di Mons. Lefebvre in seminario, proprio
    nel mese di giugno, le cose cambiarono. Il Vescovo prese
    definitivamente posizione contro l’assistenza alla
    nuova messa. A don Cantoni permise di conservare le
    sue opinioni, purché non le insegnasse più durante le
    lezioni, altrimenti, disse, “dovrei chiudere il seminario”
    fondato sulla Messa tradizionale. Nessuna risposta soddisfacente
    fu data alla tesi di don Cantoni (e della Chiesa)
    sull’infallibilità pratica delle leggi universali ecclesiastiche.
    Nell’estate don Cantoni, seguito da quasi tutti
    i seminaristi italiani, lasciò la Fraternità San Pio X e fu
    incardinato nella diocesi di Massa. In ottobre, al rientro
    dalle vacanze, il sottoscritto fu ordinato suddiacono. È
    triste constatare che don Cantoni, trattato in quell’occasione
    da apostata, non abbia fatto altro che sostenere
    quanto “prudenzialmente” sosteneva la Fraternità fino
    al 1975, e che nel 1981 era evidentemente diventato
    “imprudente” sostenere…
    8) Il testo in questione, redatto da don Francesco
    Ricossa, è attualmente riprodotto in tutte le edizioni
    del messale per i fedeli, ristampato a cura della Fraternità
    San Pio X in Italia.
    9) In caso di accordo con Giovanni Paolo II, infatti,
    i seguaci di Mons. Lefebvre torneranno necessariamente
    alle posizioni del 1969-75. Quelli di Mons. de Castro
    Mayer, al seguito di Mons. Rifan, di già assistono anche
    alla nuova messa.
    10) La frase continua così: “evitando il più possibile
    un periodare ed un frasario eminentemente tecnici ed accademici,
    che spesso hanno avuto l’effetto di rendere
    inaccessibili queste tematiche a chi, malgrado ciò, si è visto
    costretto a compiere scelte circa questo delicato problema
    o comunque a confrontarsi con esso”. Anche
    questo intento dell’autore è però andato fallito. I lettori
    della Tradizione Cattolica troveranno nel dossier “un
    periodare ed un frasario” magari non “eminentemente
    tecnici” (ovvero teologici) ma non per questo meno
    “inaccessibili” ai più. Non poteva ad esempio l’autore,
    amante della semplicità, evitare i termini greci come
    “aporia” (p. 38 e passim) o “meiosi” (p. 36)?
    11) La Tradizione Cattolica allude alla presunta necessità,
    da parte dei sedevacantisti, di “fare appello (…)
    alla posizione sostenuta attualmente dalla Fraternità San
    Pio X” (p. 60). L’Autore intende parlare del fatto che
    per l’abbé Lucien il rifiuto dei “tradizionalisti” di accettare
    l’insegnamento di Paolo VI e Giovanni Paolo II e
    di considerarli nei fatti regola prossima della nostra fede
    infirmerebbe il principio del riconoscimento di questi
    pontefici da parte di tutta la Chiesa.
    12) Una breve biografia in francese di Padre Joaquin
    Saenz y Arriaga è stata pubblicata dall’abbé V.M.
    Zins nella sua rivista Sub tuum praesidium (n. 74, avril
    2003, pp. 21-57).
    13) MAURICE PINAY, Complot contra la Iglesia, traduccion
    espanola del dr. Luis Gonzales, ed. Mundo libre,
    Mexico, 1968, pubblicato con l’imprimatur del 18
    aprile 1968 dell’arcivescovo di Hermosillo, Juan Navarrete.
    Il libro fu stampato in italiano a Roma (31 agosto
    1962) e distribuito a tutti i Padri Conciliari nell’ottobre.
    L’edizione austriaca è del 20 gennaio 1963, quella venezuelana
    del 15 dicembre 1963, quelle messicane del
    1968 e 1969 (mi servirò dell’edizione del 1969). Il libro
    fu preparato nei 14 mesi precedenti. Il libro di Maurice
    Pinay (si tratta di uno pseudonimo) è stato presentato
    al pubblico italiano anche su Sodalitium, n. 37, aprilemaggio
    1994, pp. 33-45: Il complotto giudaico-massonico
    contro la Chiesa Romana; questo articolo corrisponde
    al cap. XX del libro di DON NITOGLIA Per padre il
    diavolo. Un’introduzione al problema ebraico secondo
    la tradizione cattolica, SEB, Milano, 2002.
    14) Joaquin Sanz Arringa, El antisemitismo y el
    Concilio Ecumenico. Y que es el progresismo, La hoja
    de roble, Messico (sine loco et data, ma dopo la apertura
    della seconda sessione del Concilio); LÉON DE PONCINS,
    Il problema dei giudei in Concilio, Tipografia
    Operaia Romana, Roma. In Inghilterra, presso The
    Britons, Londra (dopo la terza sessione); L’azione giudeo-
    massonica al Concilio (inviato a tutti i Vescovi, cf
    Fesquet, p. 504, 29 settembre 1964);
    15) Le journal du Concile, tenu par Henri Fesquet,
    envoyé spécial du journal le Monde, edito da ROBERT
    38
    MOREL, LE JAS PAR FORCALQUIER, 1966, p. 988. Oltre a
    Le Monde (17-18 ottobre, pp. 1 e 8; 19 ottobre; 20 ottobre;
    21 ottobre) la notizia fu diffusa da Laurentin nel
    Figaro (16-17 ottobre; 21 ottobre), La Croix (21 ottobre),
    Il Messaggero e La Stampa del 15 ottobre. La monumentale
    Storia del Concilio Vaticano II diretta da
    GIUSEPPE ALBERIGO (Peeters/Il Mulino, 2001, vol. V, p.
    226) parla del fatto (“i vescovi disposti a votare la dichiarazione
    vengono definiti eretici ed il concilio privo
    di alcun potere nel mutare l’attitudine antisemita del magistero
    della Chiesa”) e segnala in nota che il testo del
    documento è reperibile nel fondo Moeller, 2546. Il testo
    contro Nostra aetate risulta sottoscritto da 31 movimenti
    cattolici di Francia, Stati Uniti, Messico, Spagna, Argentina,
    Italia, Portogallo, Cile, Austria, Brasile, Germania,
    Ecuador, Venezuela e Giordania. Il valore di
    queste sottoscrizioni è però tutto da valutare, poiché tra
    esse figura anche la rivista francese Itinéraires, che protestò
    con veemenza, negando la veridicità del suo appoggio,
    ed ipotizzando addirittura una “provocazione”
    dei progressisti per far dichiarare “scismatici” i tradizionalisti”
    (cfr Jean Madiran, Un schisme pour décembre,
    in Itinéraires, n. 95, gennaio-agosto 1965, interessante
    per il contesto e la posizione di Madiran sul Concilio;
    Jean Madiran, Mesures de sécurités e Analyse d’une
    provocation, in Itinéraires, n. 98, dicembre 1965, pp. 1-
    32). Quando Madiran parla di un falso attribuendolo ai
    progressisti si sbaglia; l’origine dello scritto è – come gli
    opuscoli precedenti – messicana.
    16) ALBERIGO, op. cit., pp. 224-226 (secondo il quale
    le critiche non riguardavano particolarmente il n. 4
    sugli ebrei); Fesquet, op. cit., pp. 980-981. Il documento
    (lettera dei tre Padri Conciliari e testo critico a Nostra
    aetate a nome del Coetus internationalis Patrum si trova
    nel fondo Carraro, 39). Non riesco a capire perché non
    fu pubblicato da Mons. Lefebvre in J’accuse le Concile
    (Ed. St Gabriel, Martigny, 1976), contenente i suoi interventi
    al Vaticano II, e non se ne faccia menzione da
    parte di Mons. Tissier nella biografia di Mons. Lefebvre.
    Provoca altresì stupore il poco spazio dato dalla critica
    al Concilio alla dottrina del cap. 4 di Nostra aetate.
    17) TISSIER, op. cit., pp. 332-334.
    18) Nell’ultima votazione del 15 ottobre i non placet
    furono 250.
    19) Scrive La Tradizione cattolica a proposito di
    padre Saenz: “il fatto che il gesuita messicano – peraltro
    conosciuto per la capacità di scrivere un libro in poche
    settimane – nell’opera ‘La Nueva Iglesia Montiniana’, di
    poco precedente a ‘Sede vacante’, non assuma posizioni
    sedevacantiste, induce definitivamente a far risalire al
    1973 la sua presa di posizione pubblica. Ancora per la
    cronaca, ‘La nueva Iglesia montiniana’ conobbe due edizioni:
    una prima nel 1971 presso ‘The Christian Book
    Club of America, in California, ed una seconda nel 1972
    presso Editores Asociados, Mexico D.F.” (p. 29). Rispondiamo
    alla T.C.: Padre Saenz dottore in filosofia e
    teologia, faceva parte del gruppo che editò il libro
    “Complotto contro la Chiesa”. Il suo “sedevacantismo”
    fu quindi “preventivo”! Di più. Nel 1969, presso l’abbé
    de Nantes, fa parte del gruppo “sedevacantista”. Inoltre
    nel libro ‘La Nueva Iglesia Montiniana’ del 15 agosto
    1971 afferma che Paolo VI non è Papa (contrariamente
    a quanto sostiene la Tradizione Cattolica) da pag. 322 a
    pag. 326 e da pag. 422 a pag. 430. E ancora: il 9 gennaio
    1972, nell’“Assemblea dei difensori della tradizione”,
    tenutasi a Roma, sostenne che Paolo VI era ebreo
    (stesso caso dell’antipapa Anacleto II; cf Antonio Rius
    Mons Carli, vescovo di Segni, durante il Concilio si
    oppose ai documenti conciliari
    Facius, Excomulgado, pp. 136-137). Il 25 gennaio 1972
    pubblica: Porqué me excomulgaron? Cisma o Fé. In
    questo libro (pp. 253-254) scrive, commentando una lettera
    a Paolo VI di un certo abbé Rayssiguier: “Questa
    situazione gravissima, che ormai nessuno nega, pone,
    come espressi nel mio libro ‘La Nueva Iglesia Montiniana’,
    un problema teologico e pratico di grandissima trascendenza:
    Giovanni Battista Montini è un vero Papa?
    Ho già esposto le diverse opinioni che, tra i sacerdoti e i
    laici profondamente preoccupati per questa autodemolizione
    della Chiesa, il cui principale responsabile è senza
    dubbio Paolo VI, sono state pubblicate nelle diverse parti
    del mondo. L’autore di questa lettera aderisce espressamente
    all’opinione dell’abbé Georges de Nantes, di
    Padre Barbara e di molti altri insigni autori i quali, malgrado
    le deviazioni del pontefice che essi denunciano, su
    dei punti che riguardano la fede e la morale, continuano
    tuttavia a pensare che Giovanni B. Montini sia un vero e
    legittimo Papa, pur essendo un Papa sviato ed eretico.
    Io, ciononostante, penso il contrario: è un Papa de jure,
    ma non de facto. Vale a dire: conformemente al diritto, è
    un Papa, ma davanti a Dio non è Papa. La sua elezione,
    apparentemente legale, fu viziata alla radice. È questa la
    mia opinione teologica”. Opinione fondata però sulla
    Fede: “in caso contrario dovremmo ammettere delle
    conseguenze inspiegabili” che metterebbero in dubbio
    le parole espresse da Cristo nel Tu es Petrus. Questa
    posizione (Papa de jure ma non de facto, così simile al
    materialiter/formaliter di padre Guérard des Lauriers)
    verrà ripresa nel libro Sede vacante del marzo 1973 (p.
    23). L’abbé Zins (op. cit., p. 42) cita un altro passo di
    Sede vacante (p. 118) nel quale P. Saenz opera una distinzione:
    “Possiamo pensare con fondamento, ed è così
    che penso, che prima di questa dichiarazione formale,
    gli atti di per se invalidi di un Papa che davanti a Dio
    non è o non è più Papa, avendo cessato di essere membro
    della Chiesa, conservano tuttavia il loro valore giuridico
    in ciò che c’è di legittimo, a causa del principio generale
    del diritto: ‘in errore communi supplet Ecclesia’,
    in caso di errore comune, la Chiesa supplisce”. Non penso
    che sia applicabile il principio “Ecclesia supplet” (l’
    “Ecclesia” è il Papa), ma in ogni caso si vede come anche
    P. Saenz ammetteva un certo qual valore giuridico
    a degli atti di colui che non era (più) Papa, prima della
    dichiarazione formale del Concilio imperfetto. La Tesi
    di Cassiciacum limita questo caso alla sola provvisione
    delle Sedi, indispensabile per la sussistenza della Chiesa
    e di per se indipendente dal potere di giurisdizione (i
    sedevacantisti simpliciter attuali dovrebbero quindi capire
    gli argomenti della Tesi al riguardo, invece di condannarli
    con tanta vivacità!).
    20) FRERE FRANÇOIS DE MARIE DES ANGES, Pour
    l’Eglise. Quarante ans de Contre-Réforme catholique.
    Tomo III (1969-1978) Contre la dérive schismatique,
    Ed. Contre-Réforme Catholique, Saint-Parres-lès-Vaudes,
    1996, pp. 10-15, 110ss. L’abbé Coache dà la sua
    versione dei fatti in Les batailles du Combat de la Foi,
    Chiré, 1993, pp. 77-81.
    21) CARLOS A. DISANDRO, Iglesia y pontificato.
    Una breve quaestio teologica, Hosteria volante, La Plata,
    1988 (riedizione dell’opuscolo del 2 maggio 1969).
    22) “Fin dal 1967, l’abbé de Nantes s’inquietò nel
    vedere alcuni tradizionalisti, certo isolati, mettere in dubbio
    l’autorità e la legittimità di Paolo VI; il dott. Hugo
    Kellner, negli Stati Uniti, ad esempio, lo dichiarava decaduto,
    de facto, dal Sommo Pontificato” (François de
    Marie des Anges, op. cit., p.107). Quest’informazione è
    39
    stata confermata dallo scrittore Patrick H. Omlor in
    una sua lettera del 5 aprile 2003 a don Anthony Cekada,
    il quale ci ha informato della lettera del dott. Kellner
    al Cardinale Browne sull’illegittimità del Paolo VI
    e del Concilio Vaticano II (pagine 6-8 della lettera).
    23) Debbo questa informazione al Prof. Lauth stesso
    (colloquio telefonico del 9 aprile 2003). Su di lui, cf
    TISSIER, op. cit., p. 476; Un combat pour l’Eglise. La
    Fraternité Saint Pie X (1970-1995), a cura di B. Tissier
    de Mallerais, Fraternité Saint-Pie-X, Menzingen, 1997,
    pp. 8 e 99; R. Lauth, Die verstoßene Kirche, Christian
    Jerrentrup Verlag, München, 2003, 2 volumi.
    24) Anche in Italia, come lo dimostra la pubblicazione
    delle Lettere dell’abbé Georges de Nantes da parte
    dell’editore Volpe nel 1969. Nella prefazione di Hilarius
    si legge: “un Papa eretico, o addirittura miscredente,
    che attenti alla purezza della dottrina rivelata, ipso facto
    decade dalla sua funzione primaziale”.
    25) Segnaliamo però alla Tradizione cattolica che
    questo stesso argomento sarà addotto dall’abbé de
    Nantes (e recentemente da Dom Gérard O.S.B.) per
    accettare la legittimità del nuovo messale (cfr FRERE
    FRANÇOIS, op. cit., vol. III, pp. 59 ss, e CRC, n. 30, marzo
    1970, pp. 92 ss). Bisogna saper essere coerenti!
    26) È questo il punto debole dell’argomentazione
    dell’abbé de Nantes. Minimizzando il magistero infallibile,
    pensava e pensa che gli atti conciliari non siano, in
    linea di principio, garantiti dall’infallibilità; potrebbero
    quindi essere – nel contempo – erronei, e sottoscritti da
    un legittimo Papa. È la stessa posizione della Fraternità
    San Pio X: influenza della scuola d’Action Française?
    27) FRERE FRANÇOIS, op. cit., p. 109.
    28) CRC, n. 89, febbraio 1975, Frappe à la Tête.
    29) FRERE FRANÇOIS, op. cit., pp. 396-397.
    30) FRERE FRANÇOIS, op. cit., vol. II, pp. 345-350.
    31) FRERE FRANÇOIS, op. cit., pp. 400-410.
    32) Il testo, in portoghese, è del 1970. Fu stampato
    in traduzione francese nel 1975 dalla Diffusion de la
    Pensée française col titolo: La nouvelle messe de Paul
    VI. Qu’en penser?. La vendita al pubblico francese fu
    però ritardata a lungo su domanda della TFP.
    33) Questi nuovi studi – notò a suo tempo P. Vinson
    – li dobbiamo alla penna di P. Guérard des Lauriers…
    34) Précisions théologiques sur quelques questions
    actuellement controversées, editoriale del N. 137 di
    Itinéraires, novembre 1969, pp. 1-17.
    35) La polemica al proposito tra Mons. Lefebvre (e
    la Fraternità) [che negavano che Mons. Lefebvre avesse
    sottoscritto Dignitatis humanae e Gaudium et spes] e
    Padre de Blignières e l’abbé de Nantes (che pubblicavano
    i documenti che provavano il contrario) è riportata
    fedelmente da FRERE FRANÇOIS, op. cit., vol. III, p.
    391, nota 1.
    36) L’attitudine di Mons. Lefebvre in quel periodo
    è descritta nel II tomo del libro già citato di FRERE
    FRANÇOIS DE MARIE DES ANGES (p. 138, 146, 149-150;
    160-161, 212-214, 291-292, 335-336). In privato, il giudizio
    di Mons. Lefebvre su Paolo VI era ben diverso da
    quello che dava in pubblico…
    37) ALEXANDRE MONCRIFF, Le combattant de la
    Foi, in Fideliter, n. 102, nov.-dic. 1994, pp. 69-70.
    38) “Mons. Lefebvre ci incoraggiava, un po’ da lontano;
    addirittura ci riempì di speranza: ‘Avremo la sottoscrizione
    di 600 Vescovi!’ Ahimè, non ci fu neppure lui”
    (prefazione di Mons. Guérard des Lauriers alla riedizione
    del Breve esame critico, edizioni Sainte Jeanne
    d’Arc, Villegenon, 1983, p. 6).
    39) Jean Madiran pubblicò su Itinéraires (n. 139,
    gennaio 1970, pp. 19-25) una sua “lettera a un vescovo”
    [Mons. Lefebvre] del 28 novembre 1969. Eccone alcuni
    stralci: “Mi dite che numerosi vescovi del mondo intero
    si rendono conto della situazione: benissimo, ma dove
    sono? Vi ricordate forse, Monsignore, che in altre circostanze
    e fino alla questione del catechismo inclusivamente,
    ho direttamente e indirettamente raccomandato a degli
    ecclesiastici (...) di star tranquilli: di non scoprirsi cioè
    inutilmente con delle dichiarazioni pubbliche, di non offrirsi
    da se stessi senza necessità a una persecuzione (…)
    Torno sulla questione per sottolineare (…) l’opinione diversa
    che ho sulla Messa. Più che un parere è un appello:
    un appello urgente, una richiesta di soccorso; non per
    me, ma per il popolo cristiano. Per la messa, bisogna
    che dei vescovi parlino pubblicamente. Non chiedo loro
    evidentemente di attaccare la persona di [Paolo VI]:
    che mettano questa persona tra parentesi, ma che si levino
    contro l’atto dell’ORDO MISSAE e contro la dottrina
    che implica (o che a volte enuncia) questo atto incredibile.
    Fino ad ora, un solo prete francese, l’abbé de
    Nantes, e nel mondo intero due cardinali solamente hanno
    parlato apertamente [sottoscrivendo il Breve esame,
    composto da Padre Guérard, n.d.a.]. La lunga nota data
    da un ‘gruppo di teologi’ ne LA PENSEE CATHOLIQUE
    è di un contenuto utilissimo: ma resta anonima
    [anch’essa era del P. Guérard, n.d.a.]. Per la messa abbiamo
    bisogno di testimoni che dicano il loro nome e
    mettano sulla bilancia la loro persona e se necessario la
    loro vita. Che parlino! (…) Non si tratta neppure di
    prendere l’iniziativa: il Cardinal Ottaviani è andato
    avanti, non resta che seguirlo e non lasciarlo solo (…)”.
    40) I primi a rispondere all’appello di Madiran su
    Itinérarires furono Padre Calmel O.P. (nello stesso numero
    139 nel quale veniva pubblicato l’appello a Mons.
    Lefebvre), l’abbé Dulac (n. 140, febbraio 1970, p. 31) e
    Padre Guérard des Lauriers O.P. (n. 142, aprile 1970,
    pp. 48-50), manifestandosi come l’autore del Breve esame
    e dell’articolo pubblicato dalla Pensée catholique.
    Le tre dichiarazioni furono ripubblicate nel numero
    speciale di Itinéraires sulla Messa del settembre-ottobre
    1970 (n. 146). Padre Calmel parlò. Padre Guérard
    parlò. L’abbé Dulac parlò. Mons. Lefebvre non parlò.
    41) MGR MARCEL LEFEBVRE, Un évêque parle, Dominique
    Martin Morin, Jarzé, 1974. L’edizione italiana
    (ed. Rusconi, Milano) è del 1975. Sfogliando il libro ci
    si accorgerà che tra i “discorsi ed allocuzioni” di Mons.
    Lefebvre per il 1969 non vi è una sola allusione al problema
    della nuova messa… Un Vescovo… non parla.
    42) Cfr COACHE, op. cit., capitolo XIV. Scrive
    l’abbé Coache: “Ma nel 1975 non ci fu una Marcia romana.
    Essa era stata prevista, avevamo iniziato ad organizzarla,
    quando il movimento tradizionalista CREDO,
    con Michel de Saint Pierre, annunciò la messa in cantiere
    di un gran Pellegrinaggio a Roma per quell’anno
    1975, sotto la presidenza di S.E. Mons. Lefebvre; non
    potevamo far altro che scomparire e cedere il posto” (p.
    210) [In realtà, si sarebbe potuto protestare, come fece
    P. Vinson su Simple lettre]. Mons. Tissier spiega – in
    parte – cosa accadde: dopo la soppressione della Fraternità
    da parte del Vescovo di Friburgo (6 maggio 1975)
    “la replica di Mons. Lefebvre è triplice: il magnifico pellegrinaggio
    a Roma organizzato dall’associazione Credo
    per la Pentecoste di quell’Anno Santo presieduto da
    Mons. Lefebvre con tutto il suo seminario, mostrando
    così il suo attaccamento alla Roma di sempre; poi una
    lettera di sottomissione al successore di Pietro, scritta ad
    40
    Albano il 31 maggio, comportante una supplica per la
    revisione del suo processo; e infine un ricorso al tribunale
    della Segnatura apostolica contro la decisione di
    Mons. Mamie, depositato il 5 giugno” (p. 509).
    43) cfr COACHE, op. cit., capitolo X. La Maison Lacordaire
    di Flavigny fu acquistata nel 1971: vi si riunirono
    l’abbé Coache, Padre Barbara e Padre Guérard des
    Lauriers (p. 129). Nel 1973 fu acquistato anche il piccolo
    seminario di Flavigny, per destinarlo al medesimo
    uso. Mons. Tissier scrive che l’iniziativa fallì, ma non dice
    il perché (op. cit., p. 502, n. 5). Lo sappiamo però da
    una lettera, datata 21 febbraio 1974, dell’abbé Coache a
    P. Barbara nella quale manifesta il suo scoramento, a
    causa del rifiuto di Mons. Lefebvre di appoggiare l’iniziativa:
    “Malgrado le sue buone e affettuose parole, è
    chiaro che Mons. Lefebvre rifiuta di collaborare per la
    questione del seminario. (…) Quando gli ho chiesto di
    segnalare nel suo piccolo bollettino la nostra fondazione
    e la collaborazione che aveva detto dovervi portare, ha
    rifiutato! (…) Ha una grande fifa, d’un lato della reazione
    dei Vescovi, d’altro lato che gli altri tradizionalisti lo
    accusino di ‘identificarsi’ col ‘Combat de la Foi’” (Ecône
    point final, n. 10/1982 di Forts dans la Foi, p. 11, n. 8. In
    seguito (1986), Mons. Lefebvre chiederà all’abbé Coache
    la cessione della Maison Lacordaire a Flavigny per
    stabilirvi i primi anni del suo seminario. L’abbé Coache
    è il caso (non l’unico) di un “sedevacantista” (in privato)
    sempre fedele a Mons. Lefebvre.
    44) La Fraternità San Pio X ha sempre sostenuto
    che tale decreto di soppressione era canonicamente invalido,
    tanto che Mons. Lefebvre fece ricorso – invano
    – alla Segnatura Apostolica. Mons. Tissier, nella biografia
    di Mons. Lefebvre, ammette ora coraggiosamente
    per la prima volta che il decreto di soppressione era canonicamente
    valido (op. cit., pp. 508-509).
    45) Lettera di Mons. Lefebvre a Paolo VI del 22 giugno
    1976, cfr FRERE FRANÇOIS, op. cit., vol. III, p. 424.
    46) “Questa Chiesa conciliare è una Chiesa scismatica,
    perché rompe con la Chiesa cattolica di sempre”
    (“Qualche riflessione a proposito della sospensione a
    divinis”, 29 luglio 1976, cfr TISSIER, op. cit., p. 514).
    47) “Il concilio, voltando le spalle alla Tradizione e
    rompendo con la Chiesa del passato, è scismatico. (…)
    Se ci è certo che la fede insegnata dalla Chiesa per venti
    secoli non può contenere errori, abbiamo molto meno la
    certezza assoluta che il papa sia veramente papa. L’eresia,
    lo scisma, la scomunica ipso facto, l’invalidità
    dell’elezione, sono altrettante cause che, eventualmente,
    possono fare che un papa non lo sia mai stato o non lo
    sia più. In questo caso, evidentemente molto eccezionale,
    la Chiesa si troverebbe in una situazione simile a quella
    che conosce dopo il decesso di un Sommo Pontefice.
    Poiché infine un problema grave si pone alla coscienza e
    alla fede di tutti i cattolici dall’inizio del pontificato di
    Paolo VI. Come può un papa, vero successore di Pietro,
    garantito dall’assistenza dello Spirito Santo, presiedere
    alla distruzione della Chiesa, la più profonda ed estesa
    della storia, nello spazio di così poco tempo, come nessun
    eresiarca è mai riuscito a fare? A questa domanda
    bisognerà pur rispondere un giorno” (Dichiarazione di
    Mons. Lefebvre al Figaro del 4 agosto 1976, riprodotta
    in Monde et vie, n. 264, del 27 agosto 1976; cf TISSIER,
    op. cit., pp. 514-515; FRERE FRANÇOIS, op. cit., vol. III,
    p. 433, nota 4).
    48) Cf ZINS, op. cit., pp. 53-57.
    49) Forts dans la Foi, n. 49, pp. 11 ss.
    50) Cf TISSIER, p. 530; FRERE FRANÇOIS, vol. III, p.
    434-436; Mgr LEFEBVRE, Le coup de maître de Satan,
    éd. Saint-Gabriel, 1977, p. 42 ss.
    51) La decisione fu dovuta a un attacco di padre
    Barbara contro una certa Eliane Gaille, la “veggente di
    Friburgo”, alla quale erano devoti i laici che circondavano
    Mons. Lefebvre a Ecône.
    52) Per le circostanze del fatto, cfr Sodalitium, n.
    18, pp. 11-13, DON GIUSEPPE MURRO, Vita di Mons.
    Guérard des Lauriers.
    53) Su Cor Unum n. 4, p. 3 la Dichiarazione di
    Mons. Lefebvre viene preceduta da una “nota preliminare”
    che ne spiega il contesto. Essa rinvia a una conferenza
    del 16 gennaio 1979: “essa concerneva specialmente
    la questione del Papa” e “rispondeva a quanti mi
    rimproveravano di essermi recato a Roma per essere interrogato
    dalla Sacra Congregazione per la [Dottrina
    della] Fede”. La presa di posizione sul sedevacantismo
    è stata causata pertanto dalle trattative iniziate con
    Giovanni Paolo II nel 1979, e dalla reazione negativa di
    padre Guérard des Lauriers e altri.
    54) Sull’illegittimità di Paolo VI “ho un dubbio serio,
    e non una evidenza assoluta” (Mons. Lefebvre a Padre
    Guérard, lettera dell’inizio del 1979, cf Sodalitium,
    n. 18, p. 12).
    55) Scrive La Tradizione cattolica: “Infatti questo
    passaggio [Mt 28, 20] ha molto imbarazzato Padre Guérard
    des Lauriers e tuttora chi ne segue la Tesi. La risposta
    di Padre Guérard è stata piuttosto sconcertante…
    un’esegesi allucinante” (p. 24). Scriveva don Cantoni: “È
    evidente che Matteo XXVIII, 20 presenta una grave difficoltà
    per la tesi in questione. Questo è confermato
    dall’esegesi che P. Guérard si vede costretto, benché esitante,
    a tentare”. Padre Guérard ha ricordato opportunamente
    che “la tesi di Cassiciacum non è certo fondata sul
    versetto la cui esegesi è discussa” (Cahiers de Cassiciacum,
    n. 6, maggio 1981, p. 112). Ha poi ricordato a don
    Cantoni: “In realtà, se lo stato di crisi nel quale si trova la
    Chiesa comporta che Matteo XXVIII, 20 ‘presenti – come
    l’osserva don Cantoni – una grave difficoltà’, questa
    grave difficoltà non concerne solo la tesi di Cassiciacum;
    poiché essa è incomparabilmente più grave se si sostiene
    l’attitudine incoerente della Fraternità fondata da Mons.
    Lefebvre. Se è molto lodevole in effetti prendere in considerazione
    ciò che deve accadere alla fine del mondo, è
    molto più urgente esaminare come si applica il versetto in
    questione a ciò che accade adesso. Se don Cantoni sostiene
    incondizionatamente l’esegesi E1, ci deve spiegare
    com’è compatibile con questa esegesi il suo comportamento
    attuale. In effetti, chiunque disobbedisce all’‘autorità’
    adesso, quando professa di riconoscerla come se fosse
    l’Autorità, afferma in atto, ipso facto, che Cristo non è
    con l’Autorità adesso come lo era al tempo di Pio XII, o
    di Pio XI, o di ‘prima’. La differenza, che va fino all’op-
    41
    posizione, tra i due comportamenti pratici, quello di
    adesso e quello di prima, nei confronti di una Autorità
    che si suppone essere sempre la stessa, come affermano
    don Cantoni e tutto ‘Ecône’, questa differenza esige di assegnare
    un’altra differenza, che va fino all’opposizione,
    tra i due rapporti che la pretesa stessa Autorità ha con
    Cristo, e cioè: il rapporto di ‘adesso’ e quello di ‘prima’.
    Che don Cantoni si degni di dirci qual è questa differenza.
    Finché se ne astiene, questa astensione costituisce, per
    la pseudo-dottrina soggiacente al comportamento di Ecône,
    ‘una grave [e persino gravissima] difficoltà’; al punto
    che don Cantoni si distrugge da se; con la sua esegesi
    condanna la sua pseudo-dottrina come erronea” (p. 112).
    Maggio 1981… due mesi dopo don Cantoni dava paradossalmente
    ragione a Padre Guérard des Lauriers abbandonando
    la Fraternità San Pio X per farsi incardinare
    nella diocesi di Massa: nuova messa, comunione in
    mano, concilio Vaticano II ecc. All’altro “don” che come
    il don Cantoni di allora brandisce “contro gli ‘altri’
    Matteo XXVII, 20” mentre calpesta “nei fatti ciò che grida
    ad alta voce” [Giovanni Paolo II è Papa] chiediamo
    la stessa coerenza ed onestà che ebbe don Cantoni nel
    1981 (tra l’altro oggi sarebbe trattato molto meglio di
    come non lo fu allora don Piero…!). Il Cardinal Dario
    Castrillon Hoyos vi aspetta a braccia aperte, per applicarvi,
    al momento opportuno, la “Cura-Bisig”.
    56) Da questa citazione vediamo come La Tradizione
    cattolica presenta un concetto incompleto di indefettibilità,
    limitandola alla pura “continuità nel tempo”
    della Chiesa gerarchica e visibile. Una Chiesa che si limita
    a durare nel tempo nella sua struttura gerarchica,
    ma che altera sostanzialmente la dottrina rivelata (come
    la chiesa bizantina, ad esempio) non è la vera Chiesa
    di Cristo, e non è indefettibile.
    57) Ora, se esaminiamo attentamente la dottrina
    conciliare e post-conciliare da un lato, e quella della
    Fraternità San Pio X dall’altra, vediamo come le loro
    posizioni si avvicinano a quelle condannate di Pistoia:
    per i modernisti, è la Chiesa del passato che avrebbe
    “offuscato il volto di Cristo” (i figli della Chiesa, tra i
    quali dei Santi,“ne hanno deturpato il volto, impedendole
    di riflettere pienamente l’immagine del suo Signore
    Crocifisso” Giovanni Paolo II, Tertio Millennio, n. 35,
    cf Sodalitium, 41, p. 16), ragione per cui Giovanni Paolo
    II si vede costretto a chiedere perdono per le mancanze
    di quella Chiesa; per i lefebvriani è la Chiesa di oggi
    (rappresentata da Paolo VI e Giovanni Paolo II, e dai
    vescovi in comunione con loro) che avrebbe tradito la
    Tradizione.
    Come possiamo dedurre da quanto detto, l’indefettibilità
    della Chiesa dimostra la falsità del modernismo
    e la falsità del lefebvrismo, non certo la falsità del sedevacantismo,
    almeno nella posizione della Tesi di Cassiciacum
    (vedi nota 1 su sedevacantismo stretto e indefettibilità),
    come dimostrerò meglio rispondendo alle
    obiezioni.
    58) T. ZAPELENA S.J., De Ecclesia Christi, pars
    apologetica, Roma, Università Gregoriana, 1955, p. 317:
    Ecclesia in textu evangelico exhibetur et praedicatur perpetua
    propter primatum”.
    59) B. LUCIEN, La situation actuelle de l’autorité
    dans l’Eglise, Bruxelles, 1985, pp. 7-8.
    60) B. LUCIEN, op. cit., p. 117.
    61) Almeno fino ad ora. In effetti, in caso di un accordo
    con Giovanni Paolo II simile a quello sottoscritto
    dai Vescovi Rangel e Rifan dell’Amministrazione Apostolica
    San Giovanni Maria Vianney di Campos (Brasi-
    Giovanni
    Paolo II
    le), si può facilmente prevedere che anche la posizione
    della Fraternità San Pio X sul Concilio e sulla Messa
    (come quella dei brasiliani, e di coloro che sono sotto la
    Commissione Ecclesia Dei), muterà essenzialmente.
    62) Alle pagine 24-25. Dire che dal Concilio Vaticano
    II la “gerarchia cattolica” non insegna più rassicura
    il lettore; non si tratterebbe di rifiutare un insegnamento,
    ma di constatare la sua inesistenza, pur gridando
    ad alta voce che permane la gerarchia con tutti i carismi
    (inutilizzati) di infallibilità. Di fatto la situazione è
    ben diversa: Giovanni Paolo II e i vescovi in comunione
    con lui insegnano quasi quotidianamente, ma il loro insegnamento
    è rifiutato dai “tradizionalisti”.
    63) “La conclusione che si vorrebbe imporci non
    può coesistere con l’indefettibilità della Chiesa. In effetti,
    l’assenza di autorità di cui si parla è tale che comporta
    una sospensione, per un certo tempo, dei poteri di giurisdizione
    e di magistero nella Chiesa. Durante un certo
    tempo la Chiesa non sarebbe più retta secondo la forma
    prevista da Cristo, vale a dire che la Chiesa avrebbe perso
    uno dei suoi costitutivi essenziali, per cui essa avrebbe
    – semplicemente – cessato di esistere” (DON PIERO CANTONI,
    Reflexions a propos d’une thèse recente sur la situation
    actuelle de l’Eglise, pro manuscripto, maggiogiugno
    1980, p. 9)
    64) “Se si considera la Chiesa come Corpo Mistico,
    Gesù resta con essa ancor oggi mantenendo viva la testimonianza
    della Fede e la santificazione mediante degli
    autentici sacramenti, come pure l’Oblazione del vero Sacrificio.
    È ciò che prova l’esistenza di quelli che vengono
    chiamati ‘tradizionalisti’” (B. LUCIEN, La situation actuelle
    de l’autorité dans l’Eglise, Bruxelles, 1985, p. 102).
    Mons. Guérard fa notare che Mt XXVIII, 20 “concerne
    espressamente la missione intimata agli Undici a parità”,
    com’è proprio del potere d’ordine, nel quale tutti i Vescovi
    hanno i medesimi poteri del Vescovo di Roma (cf
    Consacrer des évêques? Supplemento a Sous la
    bannière, n. 3, gennaio-febbraio 1986, pp. 2 e 6): infatti
    in questo versetto l’assistenza è promessa a tutti gli
    apostoli, e non al solo Pietro.
    65) ZAPELENA, op. cit., pp. 315-316.
    66) Scrive ancora Zapelena: “…la Chiesa, nel testo
    evangelico, è mostrata e detta perenne a causa del primato.
    Quindi, lo stesso primato dev’essere perpetuo. Nota
    che con questo argomento si dimostra non tanto la necessità
    di una successione in genere, ma di una successione
    nella forma monarchica. Infatti, il primato di Pietro
    come fu istituito da Cristo implica un supremo potere di
    giurisdizione al quale è sottomesso tutto il corpo ecclesiale
    ed episcopale. Ora, tale potere sarebbe sovvertito
    nell’ipotesi di una successione collegiale. In effetti, Pietro,
    mediante il primato, è costituito principio di unità e
    di fermezza sia del corpo ecclesiastico che del corpo episcopale
    (…) Denz. 1821” op. cit., pp. 317-318.
    67) Per tutti i riferimenti, cf Sodalitium, n. 55, p. 25.
    68) LUCIEN, op. cit., pp. 102-103 e n. 132.
    69) Nel suo Tractatus de Papa (Lecoffre, Parigi-
    Lione, tomo I, 1869, pp. 546-550) il canonista gesuita
    Marie-Dominique Bouix (1808-1870) cita abbondantemente
    il De potestate Papae et Concilii del Cardinale
    Gerolamo Albani (1504-1591) creato Cardinale di San
    Giovanni alla Porta Latina da San Pio V nel 1570, e così
    riassume la tesi dell’Albani che ci interessa: “Papa
    factus haereticus, si resipiscat ante sententiam declaratoriam,
    jus Pontificium ipso facto recuperat, absque nova
    Cardinalium electione aliave solemnitate” (“Il Papa eretico,
    se si ravvede prima della sentenza dichiaratoria,
    42
    recupera per il fatto stesso il Pontificato, senza una
    nuova elezione da parte dei Cardinali o una qualunque
    altra solennità giuridica”). Devo la segnalazione del testo
    a Mons. Sanborn, che ringrazio.
    70) La possibilità dell’esistenza di questi elettori, e
    della permanenza materiale delle sedi, è stata ampiamente
    illustrata da LUCIEN (op. cit., cap. X) e SANBORN
    (De papatu materiali, sectio secunda, nn. 15-16)
    71) Questo può essere detto anche per il sedevacantismo
    simpliciter? Si rilegga al proposito la nota 1 di
    questo articolo.
    72) Com’è sotto gli occhi di tutti, e come è stato ripetutamente
    ammesso dallo stesso Paolo VI (e dopo di
    lui da Giovanni Paolo II); cf R. AMERIO, Iota unum,
    Ricciardi, 1985, pp. 7-9.
    73) “La Chiesa ha il diritto di eleggere il papa, e
    quindi il diritto di conoscere con certezza l’eletto. Finché
    persiste il dubbio sull’elezione, e il consenso tacito della
    Chiesa universale non ha portato rimedio ai possibili vizi
    dell’elezione, non c’è papa, papa dubius, papa nullus.
    In effetti, nota Giovanni di San Tommaso, finché
    non è manifesta l’elezione pacifica e certa, l’elezione
    stessa è considerata ancora in corso. E poiché la Chiesa
    ha un pieno diritto non sul papa certamente eletto ma
    sull’elezione stessa, essa può prendere tutte le misure necessarie
    per la sua riuscita. La Chiesa può quindi giudicare
    un papa dubbio. È in questo modo, continua Giovanni
    di San Tommaso, che il Concilio di Costanza giudicò
    i tre papi dubbi di allora, dei quali due furono deposti
    e il terzo rinunciò al pontificato (II-II, qu. 1-7, a. 3,
    nn. 10-11; t. VII, p. 254)” (Cardinal Charles Journet,
    L’Eglise du Verbe incarné, Ed. Saint Augustin, Saint-
    Just-la-Pendue, 1998, excursus VIII: L’élection du pape,
    p. 978).
    74) ZAPELENA, op. cit., pars altera apologetico-dogmatica,
    p. 115. Citato in Sanborn, Il papato materiale,
    pp. 61-63, nota 7 (di Sodalitium).
    75) B. LUCIEN, Jean Madiran et la Thèse de Cassiciacum,
    in Cahiers de Cassiciacum, n. 5, dicembre 1980, pp.
    47-82, in particolare da p. 48 a p. 57 (“I. Il carattere tardivo
    della Tesi”). L’abbé Lucien nega “A) l’inferenza: il
    carattere tardivo della tesi implica la sua improbabilità.
    B) il fatto: la tesi è tardiva. C) il valore dell’argomento
    che lo sostiene: ‘si può pensare che Dio, a proposito della
    Chiesa che ha voluto visibile, abbia permesso un inganno
    così grave, così completo, così durevole…?’ D) la
    realtà del fatto incluso in questo argomento: l’esistenza
    di un inganno lungo e completo” (p. 49).
    76) Direttamente… Infatti, per difendere la legittimità
    di Paolo VI e di Giovanni Paolo II la Fraternità
    San Pio X ha dovuto – e sempre di più col passare del
    tempo – abbracciare delle posizioni che sono più o meno
    apertamente in contrasto con la fede cattolica definita.
    Quanto alla legittimità di un Papa, si tratta di un
    “fatto dogmatico”. Per Marin Sola, essa può essere oggetto
    di fede divina.
    77) Cfr B. LUCIEN, La situation actuelle… op. cit.,
    annexe III, pp. 119-121. Vi si legge ad esempio: “L’assenza
    dell’Autorità divinamente assistita al vertice della Chiesa
    (..) è certa di una certezza che appartiene alla Fede
    (…). In questo caso, non bisognerebbe affermare che
    quanti riconoscono Giovanni Paolo II (e Paolo VI) come
    formalmente Papa non sono membri effettivi della Chiesa,
    vale a dire che si trovano fuori dell’appartenenza visibile
    della Chiesa? (…) Una tale conclusione sarebbe illegittima.
    Non bisogna dimenticare, in effetti, che è il magistero
    vivente ATTUALE, e solo esso, che è divinamente
    istituito per presentare autenticamente tutto ciò che implica
    ATTUALMENTE l’oggetto della Fede. Conseguentemente,
    quanti si oppongono alla nostra presentazione della
    Rivelazione e della dottrina della Chiesa non si oppongono,
    per il fatto stesso, di diritto, necessariamente e formalmente,
    al Magistero stesso della Chiesa (…)”.
    78) B. Lucien, La situation actuelle…, op. cit., Annesso
    I: La légitimité du Pontile Romain, fait, dogmatique,
    pp. 107-111.
    79) Stupisce che la TC citi solo il Billot, quando potrebbe
    dare maggior peso alla propria posizione invocando
    ad esempio l’autorità di un Dottore della Chiesa
    quale sant’Alfonso de’Liguori, come fa il Da Silveira
    (p. 297) in un libro che sembra essere noto alla TC poiché
    lo cita (pp. 55-56). Si direbbe che in realtà la TC abbia
    sotto gli occhi solo lo scritto di Lucien (al quale
    però non fa esplicita allusione), che per l’appunto parla
    della “tesi del cardinal Billot”…
    80) Notiamo come questo “consenso unanime dei
    teologi”, così valorizzato dalla TC, viene invece allegramente
    disprezzato quando riguarda delle tesi sgradite,
    come quella dell’infallibilità del Papa nelle canonizzazioni…
    81) A.X. VIDIGAL DA SILVEIRA, La nouvelle messe
    de Paul VI: qu’en penser?, ed. francese: DPF, Chiré,
    1975, pp. 298-299.
    82) Sul contesto storico della Bolla, cfr Sodalitium,
    n. 36, dicembre 1993-gennaio 1994 (F. RICOSSA, “L’eresia
    ai vertici della Chiesa” (M. Firpo)… nel XVI secolo;
    l’incredibile storia del cardinal Morone)
    83) LUCIEN, La situation…, op. cit., p. 110.
    84) Segnalo altresì che l’argomento addotto dalla
    TC è molto pericoloso. Il consenso dei Vescovi – lo ricordo
    - è stato l’argomento utilizzato dall’abbé de Nantes
    per accettare la legittimità e liceità del Nuovo Messale,
    argomento ripreso più tardi da Dom Gérard. Non
    si vede perché detti Vescovi sarebbero infallibili nel riconoscere
    il Papa, e non lo sarebbero nell’accettare il
    Novus Ordo Missae. Lo stesso argomento vale per l’accettazione,
    moralmente unanime, del Vaticano II. La
    logica dell’anonimo-noto autore della TC lo dovrebbe
    portare ineluttabilmente all’accettazione del Concilio e
    della Nuova Messa.
    85) LUCIEN, La situation…, op. cit., p. 111.
    86) P. Basilio Meramo, membro della Fraternità
    Sacerdotale San Pio X, Consideracion teologica sobre la
    Sede Vacante, Madrid, Epifania 1994: “la formula del
    Papa putativo viene da Mons. de Castro Mayer: fu lui
    stesso che me lo disse nel 1989 nel seminario di La Reja
    quando gli chiesi cosa pensasse sul Papa e la Sede Vacante.
    Mi disse categoricamente: un eretico non può essere
    Papa, e questo Papa è un eretico” (p. 42). Per Mons.
    de Castro Mayer Giovanni Paolo II non era Papa, ma
    Cristo poteva supplire solo per quegli atti del “papa putativo”
    che fossero “in favore del bene comune della
    Chiesa e la salvezza delle anime” (ibidem).
    87) Al punto che, se bisogna credere l’abbé de Nantes,
    Padre Guérard des Lauriers considerava che la conclusione
    “la Sede è vacante” fosse evidente “senza illazione”
    (cioè senza fare un vero e proprio ragionamento), e
    questo proprio nel rispondere all’obiezione dello stesso
    de Nantes fondata sul fatto che la posizione sedevacantista
    era solo un “giudizio privato” Cf Frère François, op.
    cit., vol. III, pp. 110 ss. L’abbé de Nantes è più coerente
    (almeno in teoria) della TC e della Fraternità San Pio X,
    sostenendo che poiché Giovanni Paolo II è ancora Papa,
    bisogna obbedirgli in tutte le questioni disciplinari.
    43
    88) Il pensiero teologico medioevale ha sempre
    ammesso che la Prima Sede (quella papale) non può essere
    giudicata da una qualche autorità, tranne nel caso
    di eresia. I teologi della controriforma hanno cercato di
    spiegare come questa eccezione non era una vera eccezione,
    per cui anche in caso di eresia il Concilio non poteva
    veramente giudicare il Papa. Per i sostenitori della
    tesi secondo la quale il Papa eretico non è ancora deposto,
    ma deve esserlo dal Concilio, i Vescovi non avrebbero
    potere sul Papa nel giudicarlo e ‘deporlo’, ma solo
    sull’unione tra il papato e tale persona (è la tesi di Gaetano).
    S. Roberto Bellarmino, che giudica questa tesi
    insufficiente a garantire il fatto che la Prima Sede non
    può essere giudicata da nessuno, sostiene che il Papa
    eretico è deposto da Dio, e quando il Concilio lo giudica
    non è più Papa. Nel caso poi ipotizzato da Paolo IV
    e San Pio V (eretico eletto al papato) il ‘papa’ in questione
    non sarebbe mai stato tale, e quindi potrebbe benissimo
    essere giudicato dalla Chiesa. Lo stesso ragionamento
    vale per il “papa dubbio” (e lo abbiamo visto
    in una citazione di Giovanni di San Tommaso ripresa
    da Journet): egli può essere giudicato, perché non è Papa.
    Vediamo pertanto come, in ogni caso, l’assioma (in
    se sacrosanto) ricordato dalla TC (“la Prima Sede è giudicata
    da nessuno”) non possa essere utilizzato contro
    l’ipotesi sedevacantista..
    89) Cf Prise de position du district Suisse de la
    Fraternité Saint Pie X sur les évènements de Riddes.
    Riddes è la parrocchia dove sorge il seminario di Ecône;
    il suo parroco, Epiney, collabora da sempre con la
    Fraternità; a causa di questa collaborazione fu, a suo
    tempo, privato della parrocchia. Nell’anno 2001 ha
    accolto un sacerdote uscito dalla Fraternità, l’abbé
    Grenon. Il Superiore del distretto, Pfluger, sostenuto
    dal superiore generale Mons. Fellay (ex parrocchiano
    dell’abbé Epiney), ha dichiarato che l’abbé Grenon,
    non essendo più incardinato nella Fraternità, non può
    celebrare la Messa, e che se la celebra si tratta di
    “una messa illecita che non dà meriti e grazie”. I fedeli
    devono evitare anche la Messa del parroco. Nel suo
    comunicato, il superiore del distretto invoca per la
    Fraternità il potere di giurisdizione, il fatto di essere
    mandata da Cristo, che gli si deva obbedienza (“Chi
    vi ascolta mi ascolta, chi vi disprezza mi disprezza” Lc
    10,16). Lo stesso comunicato, del gennaio 2002, afferma
    che il parroco, incardinato in realtà nella diocesi
    di Sion, sarebbe costretto a essere “sottomesso alle
    sue decisioni [della Fraternità] (vale a dire a quelle
    dell’autorità episcopale)” di Mons. Fellay e non del
    vescovo diocesano. Il comunicato in questione è gravissimo,
    e configura la Fraternità come una vera chiesa
    parallela e scismatica.
    Mons Martin Ngo Din Thuc nel 1962
    90) Benché fuori tema, mi sembra opportuno rispondere
    qualcosa, almeno in una nota, a quanto scritto sulla
    TC a proposito delle consacrazioni senza mandato romano
    operate da Mons. Thuc. La TC pubblica alle pp. 44-45
    una lista non esaustiva delle consacrazioni che hanno come
    origine (a volte ormai lontana) Mons. Thuc, lista che
    include circa 43 nominativi, attribuendo a Mons. Thuc la
    consacrazione diretta di 10 vescovi. Penso al riguardo che
    le consacrazioni attribuibili a Mons. Thuc concernono solo
    tre atti da lui compiuti: la consacrazione del 12 gennaio
    1976 a Palmar de Troya (5 vescovi), quella di Tolone del
    7 maggio 1981 (Mons. Guérard des Lauriers) e quella di
    Tolone del 17 ottobre 1981 (Mons. Zamora e Carmona).
    Bisogna escludere invece quelle supposte e per nulla dimostrate
    di Laborie e Datassen (a torto però designato
    dalla TC, p. 47, come capo dell’Unione delle Petites Eglises);
    Mons. Thuc non ha mai ufficialmente riconosciuto
    dette consacrazioni, che in ogni caso sarebbero state solo
    consacrazioni “su condizione” di persone già consacrate e
    quindi che non hanno ricevuto veramente l’episcopato da
    lui. Se le cose stanno così, dalla lista pubblicata dalla TC
    bisogna sottrarre 21 “vescovi” che in realtà nulla hanno a
    che vedere con Mons. Thuc. Ulteriormente, bisogna sottrarre
    i cinque vescovi del Palmar con la loro dubbia discendenza,
    in quanto nulla hanno a che vedere col sedevacantismo:
    al Palmar, come a Ecône, si credeva alla legittimità
    di Paolo VI (e a convincere Mons. Thuc a recarsi
    al Palmar fu un professore di Ecône, il can. Rivaz). Le
    consacrazioni di Guérard des Lauriers, Zamora e Carmona,
    invece, furono compiute fondandosi sulla vacanza (almeno
    formale) della Sede Apostolica, come dichiarato
    pubblicamente nel 1982, e come Giovanni Paolo II ed il
    Card. Ratzinger hanno perfettamente compreso, unendo
    in atti ufficiali le consacrazioni in oggetto e la dichiarazione
    sulla Sede Vacante.
    91) Sodalitium non nega i difetti di Mons. Thuc, ed
    in parte può condividere il giudizio che ha portato su di
    lui la TC. Tuttavia ricordiamo ai nostri contraddittori la
    parola evangelica sulla trave e la pagliuzza. La TC rimprovera
    a Mons. Thuc, tra l’altro: a) le consacrazioni del
    Palmar de Troya; b) la consacrazione di due “vecchi cattolici”;
    c) il fatto che tra i discendenti di detti vescovi ci
    siano persino degli gnostici; d) la “discontinuità delle posizioni
    di Thuc” e) l’ “eterogeneità dei consacrati”; f) i
    dubbi di alcuni sulla validità delle sue consacrazioni. Rispondiamo:
    medice, cura te ipsum. Vediamo brevemente
    i punti segnalati. A) La consacrazione episcopale al Palmar
    de Troya (con il rito tradizionale, e per la messa tradizionale)
    avvenne ad esempio in un quadro “apparizionista”,
    che non può che screditare la persona di Mons.
    Thuc: come ha potuto prestar fede a dei falsi veggenti?
    Eppure ciò accadde anche a Mons. Lefebvre e persino a
    Mons. de Castro Mayer. Non voglio certo negare la fede
    e la serietà di questi due ottimi prelati, eppure anch’essi
    hanno avuto delle debolezze. Mons. de Castro Mayer, ad
    esempio, seguì per lunghissimi anni il Prof. Plinio Corrêa
    de Oliveira, fondatore della T.F.P., uomo di grande cultura
    e profonda preparazione dottrinale, ma anche idolatrato
    “guru” dei suoi seguaci, in un clima di vera “setta”,
    come lo stesso prelato più tardi denunciò. Mons. Lefebvre,
    benché scettico a proposito di “apparizioni”, non
    mancò di affidarsi a delle veggenti anche per scelte importantissime:
    sull’influenza di Claire Ferchaud, di
    Marthe Robin e delle “apparizioni” di San Damiano
    scrive persino il suo biografo Tissier (pp. 455,433, 479). Il
    gruppo dei fedelissimi vallesani proprietari di Ecône seguiva
    le apparizioni di San Damiano e la veggente di Fri-
    44
    burgo, Eliane Gaille (recentemente, il distretto italiano
    percepisce tra l’altro i fondi provenienti da San Damiano).
    In Italia, la TC e l’autore dell’articolo dovrebbero
    essere perfettamente al corrente di quanto accadde a Rimini,
    dove il priorato della Fraternità fu fondato in accordo
    coi fedeli di “Mamma Elvira”, una falsa veggente
    alla quale Mons. Lefebvre diede però un pieno appoggio.
    In questo caso, si può affermare che il bene compiuto
    dal priorato di Rimini (incluse diverse vocazioni sacerdotali)
    non può venire da Dio perché mamma Elvira non
    era una “Donna della Provvidenza”? L’apparizionismo
    nella Fraternità non riguarda solo le origini: Mons. Fellay,
    superiore generale della Fraternità San Pio X, ha riconosciuto
    nell’opera di una veggente, tale Germaine
    Rossinière (pseudonimo) “un dono del Cielo” e “un tesoro
    di grazia” che ha ufficialmente presentato nel numero
    interno della Fraternità, Cor Unum (supplemento al n.
    60, giugno 1998). Sono alcuni esempi tra i molti che si
    potrebbero citare…
    B) Si accusa Mons. Thuc di contatti con dei “vecchi
    cattolici”; io stesso ho visto a Ecône un vescovo “vecchio
    cattolico” riaccolto nella Chiesa da Mons. Lefebvre
    (come Mons. Thuc ha fatto da parte sua); un sacerdote
    e religioso che aveva abbandonato il ministero (a
    causa dell’Action Française), si era sposato ed era diventato
    sacerdote greco scismatico, per poi tornare allo
    stato laicale, insegnò a Ecône ecc.
    C) Mons. Thuc non è certo responsabile delle consacrazioni
    di alcuni guénoniani, che hanno ricevuto
    l’episcopato (?) da dei vescovi (?) che pretendono di
    aver ricevuto l’episcopato da lui. Mons. Lefebvre invece
    è certamente responsabile dell’ordinazione di più di
    un sacerdote guénoniano (quindi gnostico) da lui direttamente
    ordinati, dopo essere stato messo in guardia,
    prima dell’ordinazione, proprio su questo fatto. Sono
    convinto che Mons. Lefebvre nulla avesse a che vedere
    con queste dottrine; ma certo fu imprudente in queste
    ordinazioni.
    D) Quanto alla “discontinuità delle posizioni di
    Thuc (oscillante tra il sedevacantismo e la riconciliazione
    col Vaticano)” (TC, p. 47) ci si dimentica le oscillazioni
    di Mons. Lefebvre tra un possibile sedevacantismo,
    il tradizionalismo e la riconciliazione col Vaticano:
    al punto che firmò e ritrattò il protocollo d’accordo.
    E) Passiamo “all’eterogeneità dei consacrati” (TC,
    p. 47). Mons. Lefebvre ordinò ottimi sacerdoti e – purtroppo
    – anche sacerdoti scandalosi; in alcuni casi essendo
    al corrente, purtroppo, di difetti morali decisivi
    per non ordinare tali candidati. Non si poteva prevedere
    invece il triste caso di un sacerdote che prima attentò
    alla vita di Giovanni Paolo II, e poi abbandonò il sacerdozio
    (per altri tristi dettagli, si veda la sua autobiografia).
    Se tale povero sacerdote fosse stato ordinato da
    Mons. Thuc, cosa non avrebbero scritto (e peggio ancora
    detto) i sacerdoti della Fraternità? Non vi sarebbe
    stata la prova dell’insania di Mons. Thuc? Purtroppo, il
    Vescovo che ordinò quello sventurato fu Mons. Lefebvre
    (e non gliene faccio una colpa, poiché non poteva
    prevedere il futuro).
    F) Infine, la TC insinua il dubbio sulla salute mentale
    di Mons. Thuc e sulla validità delle sue consacrazioni.
    Il “dubbio fondato” (p. 47) è basato sulle oscillazioni
    di Mons. Thuc, sulla “eterogeneità” delle sue consacrazioni,
    sui dubbi avanzati da terze persone… Abbiamo
    visto che gli stessi addebiti (seppur in modo diverso)
    potrebbero essere mossi anche a Mons. Lefebvre,
    e difatti c’è chi ha negato la validità delle sue ordi-
    45
    nazioni e consacrazioni. Su Sodalitium ho assolutamente
    negato questa tesi inconsistente. La TC dovrebbe negare
    allo stesso modo la tesi inconsistente che vuol dubitare
    della validità delle consacrazioni e ordinazioni di
    Mons. Thuc, non fosse altro per coerenza con quello
    che la Fraternità stessa ha fatto accettando la validità
    del sacerdozio dell’abbé Schaeffer, ordinato da Mons.
    Thuc nel 1981. Quando si tratta di avere un sacerdote
    in più, gli ordini di Mons. Thuc sono validi; quando si
    tratta di dissuadere i fedeli dal ricevere la Cresima da
    un vescovo che ha ricevuto l’episcopato da Mons. Thuc,
    allora tali ordini sono invalidi o dubbi… Dov’è la coerenza
    e la buona fede?
    Per concludere. Non pretendo certo di essere migliore
    degli altri, né che il nostro Istituto sia immune da
    colpe o rimproveri. Non voglio neppure paragonare
    Mons. Lefebvre a Mons. Thuc; è evidente il ruolo preponderante,
    la maggiore importanza del prelato francese;
    tuttavia la Fraternità non può mettere in luce solo
    quanto onora il suo fondatore, e nascondere sistematicamente
    quanto può essere meno onorabile, e potrebbe
    nuocere alla sua figura di “Uomo della Provvidenza”.
    Invitiamo la TC a una maggiore sincerità, oppure a rinunciare
    a fondare le sue argomentazioni su presunte
    santità dei propri membri e presunte o vere indegnità
    dei propri avversari.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  2. #2
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    SE VUOI, CARO WEHRWOLF, SUL NOSTRO FORUM, C'è LA VERSIONE "RIPULITA" DALLE DIDASCALIE, DAI NUMERI DI PAGINA E CON GLI SPAZI AL POSTO GIUSTO. MAGARI, SE VUOI, PUOI SOVRASCRIVERLA A QUELLA CHE HAI POSTATO TU.
    GRAZIE ANCORA PER LA SEGNALAZIONE.

    GUELFO NERO

 

 

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