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  1. #1
    SENATORE di POL
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    Predefinito Il Rilancio dell'Economia della Vecchia Europa

    da www.iltempo.it

    " Tremonti illustra la riforma italiana delle pensioni
    Ue, oggi all'Ecofin il piano di rilancio per l'economia europea
    Da conciliare: la proposta della Commissione europea, quella avanzata dalla presidenza italiana e quella piu' recente franco-tedesca

    Pensioni, Maroni: ''Nessun emendamento da Udc e' buona cosa''



    Lussemburgo, 7 ott. (Adnkronos/Aki) - Sara' il piano per la crescita economica dell'Europa il piatto forte del Consiglio dei ministri economici e finanziari (Ecofin) che si apre oggi a Lussemburgo. Non mancheranno tuttavia spigolature tutte italiane, a cominciare dall'illustrazione della riforma delle pensioni da parte del ministro dell'Economia Giulio Tremonti.
    La riunione di oggi si apre con un tema propositivo in vista del Consiglio europeo del 16 ottobre: proseguire la discussione sulla messa a punto di un piano d'azione comune per la crescita in Europa, conciliando la proposta iniziale lanciata dalla Commissione europea, e quella avanzata dalla presidenza italiana, alla quale si aggiunge quella piu' recente franco-tedesca. I ministri delle Finanze di Germania e Francia, Hans Eichel e Francis Mer, intendono rilanciare con forza la loro proposta (ufficialmente ''integrativa'' di quella italiana, ma secondo molti in realta' ''correttiva''), che punta a inserire piu' spazio per la ricerca e lo sviluppo, giudicando troppo orientata sul ''cemento'' quella italiana. Gia' lo scorso 4 settembre a Dresda Francia e Germania hanno proposto l'avvio di circa 100 progetti finalizzati alla creazione di infrastrutture materiali e immateriali, ricerca e sviluppo, nuove tecnologie.
    I tre piani sul tavolo hanno elementi di somiglianza, ma anche caratteristiche che li differenziano notevolmente, a partire dall'entita' dei finanziamenti previsti. Tremonti per il suo Action Plan in infrastrutture prevede una spesa compresa tra 35 e 70 milioni di euro da qui al 2010, con cofinanziamenti pubblico-privato. Perno di tutto e' la Banca europea di investimento (Bei), che dovrebbe assicurare i prestiti piu' cospicui. Molti dei dettagli del Piano sono da definire, anche se sono state indicate grandi opere infrastrutturali prioritarie per l'Italia, come l'avvio dei lavori per il ponte sullo stretto di Messina o del corridoio Lione-Torino-Trieste.
    La Commissione europea gia' dalla scorsa primavera ha presentato un Piano piu' a lungo termine, con 29 progetti (tra infrastrutture materiali e immateriali) da realizzare entro il 2020, per un totale di 220 miliardi di euro.
    Francia e Germania, dal canto loro, invocano ''meno cemento e piu' teste'', puntando a progetti come il digitale nel settore radio-televisivo, il rilancio dell'Internet a banda larga, o il rafforzamento del sistema satellitare europeo Galileo. Non mancano tuttavia, anche interessi interni, come dimostra la proposta di finanziare opere infrastrutturali come il collegamento ferroviario Parigi-Francoforte via Strasburgo, l'ampliamento dell'aeroporto Berlino-Brandeburgo o l'alta velocita' ferroviaria dell'area di Monaco di Baviera.
    In programma per il pranzo dei ministri, al di fuori dell'ordine del giorno ufficiale del Consiglio, e' la presentazione da parte di Tremonti ai colleghi europei della riforma delle pensioni varata dal governo Berlusconi. Una riforma che deve mostrare come anche l'Italia si stia muovendo nella direzione di riforme strutturali importanti. In parte il tema e' stato affrontato gia' ieri sera durante la riunione dell'Eurogruppo, dedicato in massima parte ai conti pubblici dei 12 paesi dell'area dell'Euro. ''Tutti i paesi - ha affermato il francese Mer - si stanno muovendo nella direzione giusta, quella delle riforme strutturali''.
    Tra gli altri punti all'ordine del giorno, la proposta di direttiva sul mercato degli strumenti finanziari e altre questioni, come la tassazione applicabile alle societa' controllate e alle sussidiarie. Ieri sera l'eurogruppo ha dedicato abbondante spazio al deficit francese, Mer ha ribadito ancora una volta la necessita' di rilanciare la crescita in Europa. Il commissario agli affari monetari Pedro Solbes ha invece espresso nuove critiche nei confronti di Parigi: ''La finanziaria francese - ha detto - e' migliore di quanto ci aspettassimo ma non e' ancora sufficiente''.
    Una cosa appare certa: a parte la proposta, comunicata gia' ieri sera, di introdurre in data da definire la nuova banconota da un euro al posto o a fianco alle monete e forse quella sugli strumenti finanziari, da questo Ecofin non si attendono decisioni concrete. Tutto e' rinviato al prossimo consiglio dei ministri economici e finanziari che avra' luogo a inizio novembre. Un Ecofin, per altro, che avra' luogo dopo l'importante Consiglio europeo del 16 e 17 ottobre a Bruxelles.
    "

    Saluti liberali

  2. #2
    SENATORE di POL
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    da www.ilfoglio.it

    " Il pil sale e l’Italia si divide
    Europa da zerovirgola, il male è comune ma chi piange mente
    Crescita italiana dello 0,4 per cento nel 2003, in Francia la metà, un quarto in Germania. Il peso del supereuro
    --------------------------------------------------------------------------------
    Roma. Ieri l’Istat ha diramato la prima stima della crescita del pil italiano nel quarto trimestre del 2003 e del dato complessivo dello scorso anno. Subito l’ormai consueta rissa statistica è ripresa in grande stile. Che cosa dicono i dati Istat? Intanto, che nel 2003 il pil italiano è aumentato dello 0,4 per cento. Quattro volte la percentuale tedesca, visto che la Germania è inchiodata a un 2003 in cui il suo pil è aumentato a malapena dello 0,1 per cento. Il doppio della crescita francese, visto che il pil rilevato dall’Insee nel 2003 è aumentato solo dello 0,2 per cento. Per Francia e Germania, visti gli andamenti dei primi due trimestri 2003 che portavano un segno negativo, è già un miracolo aver evitato la stagnazione piena o la recessione che sino a settembre sembrava probabile. Questo quadro continentale tossicchiante non va richiamato per farsi belli e gonfiare i muscoli vantando di aver saputo far di meglio. Serve semplicemente a dare la giusta dimensione a una crescita tanto stentata: ma purtroppo comune, appunto, all’intera area più significativa dell’Eurozona. La struttura degli scambi commerciali nell’euroarea è tale che quando la Germania tiene per così a lungo il freno innestato e la Francia stenta, l’Italia è tra chi ne subisce le maggiori conseguenze. E alla luce di questo, il nostro zero virgola un po’ più alto di quello franco-tedesco, e con un maggior numero di posti di lavoro creati in percentuale, va considerata una performance che poteva obiettivamente anche essere peggiore. Che si tratti di una comune tendenza eurocontinentale è confermato dai dati che Eurostat ha ieri diffuso. Nel 2003 Eurolandia è cresciuta dello 0,3 per cento, rispetto allo 0,9 del 2002. Il problema, piuttosto, sta nella tendenza che l’ultimo trimestre 2003 esprime per l’Italia. E’ inutile nascondere che lo striminzito più 0,1 per cento del pil registrato in Italia ha deluso le attese. La Francia sembra in più netta ripresa, con il suo più 0,5 per cento. L’affaticata Germania a sua volta registra un più 0,2 per cento. La produzione industriale italiana è andata male a dicembre, con un meno 0,2 per cento, e l’andamento è negativo per tutti i raggruppamenti industriali a eccezione di quelli di consumo durevoli, aumentati dell’1,7 per cento. Si tratta di dati sui quali pesa la crisi dovuta all’esplodere degli scandali finanziari, come testimoniato dal picco negativo che negli ultimi due mesi ha registrato l’indice di fiducia Isae rispetto agli analoghi indicatori rilevati in Francia e Germania, orientati a maggior ottimismo. I settori delle pelli e delle calzature, prodotti chimici e fibre sintetiche sono passati da una fase di precedente stabilità alla contrazione, gomma e materie plastiche da una fase prima espansiva a una stabile. La campagna martellante sull’impoverimento dei ceti medi contribuisce di suo alla compressione delle aspettative di consumo, e inizia a pesare anche negli indici di acquisto delle imprese. Finti stracci e falsi neopoveri Che cosa significa tutto questo per il prossimo futuro? Lasciando da parte i toni contrapposti della battaglia politica ormai elettorale, tutti i centri di previsione italiana concordano per un 2004 e 2005 in accelerazione. Ma i dati di ieri hanno leggermente raffreddato l’ottimismo. Rispetto all’1,9 per cento di crescita indicato per il 2004 dal governo, e ieri confermato da diversi suoi esponenti sia pur senza spencolarsi sulla cifra, i più prudenti come Nomisma pensano a un pil 2004 in crescita intorno all’1,2 per cento, a un 2005 intorno al 2,2. Il problema al quale nessuno è in grado di dare la vera risposta è una misura congrua e credibile di quanto peserà il supereuro su ciò che resta il traino della nostra crescita: non dimentichiamolo mai, non trainata dai consumi interni ma dalle esportazioni, visto che purtroppo restiamo un paese che tende a risparmiare troppo – anche se sa di scandalo dirlo – e con una struttura del credito tradizionalmente poco volta a finanziare consumi “all’anglosassone”. Con un euro che ieri ha sfondato la quota di 1,29 sul dollaro, e ulteriormente previsto in caduta per effetto delle recenti prese di posizione di Alan Greenspan, l’Italia potrebbe nei prossimi mesi crescere meno di quanto invece farebbero Germania e Francia. Tecnicalità. C’è da giurare invece che in campagna elettorale si continuerà a convincere gli italiani che stanno peggio degli altri europei, quando invece il male delle rigidità è comune. E a dipingere il paese come agli stracci. Cosa che è falsa, ed è grave che si passi per berlusconiani nel dirlo.
    "


    Saluti liberali

  3. #3
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    In origine postato da Pieffebi
    .... Quattro volte la percentuale tedesca, visto che la Germania è inchiodata a un 2003 in cui il suo pil è aumentato a malapena dello 0,1 per cento. Il doppio della crescita francese, visto che il pil rilevato dall’Insee nel 2003 è aumentato solo dello 0,2 per cento...
    Per onestà (o se è chiedere troppo, almeno per completezza di informazione) avrebbe anche dovuto accennare all'inflazione e al debito pubblico di Germania e Francia. Capisco che non gli conveniva perchè gli avrebbe mandato a puttane tutto il ragionamento, ma un minimo di verità ogni tanto non guasterebbe.....

    POLLISTI!!!!!

  4. #4
    Padania libera dai padioti
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    Sarebbe stata una considerazione che rafforzava la posizione del tuo paese.

    Un paese con un grosso debito pubblico che cresce più degli altri o perchè fa investimenti pubblici massicci oppure riesce a crescere nonostante la sottrazione di risorse per gli investimenti produttivi.

    Ma sto Tremonti i miracoli li fa davvero


  5. #5
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    dal sito di IDEAZIONE

    " I venticinque Stati Uniti d’Europa
    di Angela Regina Punzi

    Ci siamo quasi. I dieci paesi dell’Europa centrale e orientale (Peco) e del Mediterraneo dovranno pazientare ancora un altro po’ prima di diventare membri ufficiali dell’Unione Europea. Molto si è detto sul loro ingresso: si parla di un allargamento senza precedenti non solo per il numero di paesi interessati, ma soprattutto perché i futuri Stati membri – ad eccezione di Malta e Cipro – vivono da quindici anni un faticoso processo di transizione dall’economia pianificata all’economia di mercato. Un lungo ed impegnativo processo di transizione che ha portato alla creazione di nuovi assetti istituzionali e giuridici, un periodo durante il quale questi Stati si sono aperti al commercio e ai flussi di capitali internazionali, dove molto si è fatto per riorganizzare le strutture produttive. Si è irrobustito il settore bancario e si è avviata la creazione di mercati finanziari; il commercio estero è stato orientato soprattutto verso gli attuali Stati dell’Unione così da poter attrarre cospicui investimenti diretti esteri. La data dell’investitura è vicina – primo maggio 2004 – giorno in cui i nuovi Stati membri parteciperanno all’Unione economica e monetaria solo in qualità di “paesi con deroga”, ovvero non adotteranno ancora l’euro, ma saranno impegnati ad aderire alla moneta unica in una fase successiva.

    Negli ultimi quindici anni, ovvero da quando è iniziato il processo di transizione, la crescita economica della maggior parte dei paesi aderenti ha avuto un andamento abbastanza diverso da quello della Ue. Dopo le recessioni all’inizio del periodo di trasformazione, nei primi anni Novanta, le economie di questi paesi sono cresciute più rapidamente rispetto agli attuali Stati membri. Il Pil pro-capite dei paesi aderenti, espresso in parità di poteri d’acquisto, è infatti salito dal 42 al 49 per cento della media Ue fra il 1993 e il 2002. Non mancano però le differenze tra paesi: i livelli del 2002 oscillano tra il 35 per cento della Lettonia e il 74 per cento di Cipro e della Slovenia. Tenendo conto delle differenze, la chiusura del divario rispetto alla Ue potrà richiedere tempi significativamente diversi a seconda dei paesi. E’ possibile che i più avanzati, quali Cipro e Malta, riescano ad allinearsi alla media europea verso la metà del prossimo decennio. La Repubblica Ceca, invece, dovrebbe conseguire la convergenza del reddito reale intorno al 2020, l’Ungheria, Malta e la Slovacchia fra tre decenni, e i paesi con redditi più bassi verso la metà del secolo. Mentre la convergenza verso la posizione di Portogallo e Grecia – i due paesi Ue con il più basso livello di Pil pro-capite – è già un dato di fatto per Cipro e Slovenia.

    I paesi in ingresso hanno un Pil nominale di circa 440 miliardi di euro contro quasi i 9.200 dell’Unione a 15. Tale asimmetria è il risultato del persistente divario, ancora relativamente ampio, fra i livelli di reddito pro-capite degli Stati membri attuali e futuri. Eppure nel 2003 i Peco sono cresciuti a tassi sostenuti nonostante il difficile contesto internazionale, riuscendo nel contempo a tenere sotto controllo l’inflazione. Restano due principali punti deboli: gli eccessivi disavanzi di bilancio e delle partite correnti. A livello individuale i paesi che nel 2003 hanno registrato gli squilibri fiscali più significativi sono la Repubblica Ceca, l’Ungheria, Malta e la Slovacchia, con un disavanzo pubblico pari a una media ponderata del 6,6% del Pil. Nel 2003 circa la metà dei paesi aderenti aveva tassi di inflazione inferiori alla media europea. Ultimamente c’è stato un significativo processo di contenimento dell’inflazione nella maggior parte dei paesi aderenti. In futuro però si prevede che il proseguimento del processo di liberalizzazione dei prezzi verso livelli compatibili con l’economia di mercato continuerà presumibilmente a produrre pressioni al rialzo sui livelli dei prezzi in diversi paesi.

    I tassi di disoccupazione sono abbastanza elevati, pari in media al 13,6 per cento nel 2003. Esistono tuttavia forti differenze nazionali, con oscillazioni tra il 3,9 per cento di Cipro e il 19,9 per cento della Polonia. In alcuni paesi la crescita economica non è stata accompagnata da un calo della disoccupazione (o lo è stata solo di recente) il che suggerisce come tale fenomeno sia in gran misura di carattere strutturale piuttosto che ciclico. La persistenza degli elevati tassi di disoccupazione inoltre può essere riconducibile alla mancata corrispondenza tra qualifiche richieste e offerte (skills mismatches) e a bassi livelli di mobilità interregionale delle forze lavoro. In generale si può dire che in tali paesi sono stati raggiunti importanti risultati economici: tra cui un’ampia stabilizzazione macroeconomica, progressi nel contenimento dell’inflazione e un continuo e considerevole miglioramento dei fondamentali economici e delle politiche strutturali. L’ingresso nella Ue certo non concluderà il processo di transizione, né eliminerà l’esigenza di proseguire con le riforme. In futuro le politiche macroeconomiche però dovranno essere orientate non solo a preservare i risultati conseguiti durante il processo di convergenza, ma anche a risolvere le difficoltà prodotte principalmente da squilibri esterni e di bilancio.

    17 febbraio 2004

    a.punzi@libero.it
    "


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  6. #6
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