"Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo, ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi.”
Sono queste le ultime parole scritte da Ettore Majorana prima di salire a bordo del traghetto che da Napoli, quel 25 marzo del 1938, avrebbe solcato il Tirreno, diretto a Palermo.
La notte e il mare sono dunque il teatro scelto per la propria scomparsa da uno dei fisici più geniali del 900. Scomparsa che però non avverrà. Non quella notte. Non su quella nave. E questa è solo l'ultima delle contraddizioni di un’intera vita segnata dal genio, dalla complessità e dalla sofferenza: Ettore Majorana sparisce in "un giorno di marzo", in circostanze incomprensibili. E le più incredibili ipotesi su ciò che è successo dopo quel giorno di marzo, da allora, non fanno che rincorrersi.
Ettore Majorana nasce a Catania il 5 agosto del 1906. La sua infanzia è da letteratura: genio precoce in una famiglia di scienziati e accademici. A 5 anni sbalordisce parenti e amici con calcoli matematici complessi. A 7 anni è già un affermato campione di scacchi. Gli anni della scuola – dalle elementari in poi studia a Roma - sono per lui una passeggiata trionfale. Nel 1923, a 17 anni, si iscrive a Ingegneria e subito diventa punto di riferimento per i suoi compagni di corso.
Negli stessi anni, dalla Normale di Pisa esce un giovane molto promettente: il suo nome è Enrico Fermi. Per lui viene creata appositamente una cattedra di Fisica Teorica all’Università di Roma. E' il primo passo verso quel periodo eccezionale che vivrà la scienza italiana. Saranno gli anni dei "Ragazzi di Via Panisperna", gli anni delle ricerche che permetteranno di capire come sono fatti gli atomi, che spiegheranno quale sia la struttura della materia.
Fermi è un leader, adorato da tutta la comunità scientifica come un Maestro. Ed è lui a volere Majorana nel suo gruppo di ricerca. L'incontro tra i due è la collisione tra due mondi diversi. Se Fermi scientificamente è l'immagine della solidità, della certezza e dell’entusiasmo, Majorana è il suo esatto opposto: ombroso, schivo, contraddittorio. Legge Shakespeare, Schopenauer e adora Pirandello.
E il suo genio matematico è indiscutibile. E' in grado di superare Fermi in gare di matematica e, soprattutto, di elaborare teorie fisiche nuove e rivoluzionarie. Spesso però le sue intuizioni le scrive su pacchetti vuoti di sigarette, mentre viaggia in tram per raggiungere l'Università. Ma all'arrivo in Istituto, i pacchetti finiscono puntualmente nei rifiuti, tra la disperazione di Fermi e colleghi che lo incitano, invece, a pubblicare i suoi risultati. "Roba da bambini", sentenzia invece Majorana, che cestina, ad esempio, una teoria che pochi mesi dopo verrà invece pubblicata da Heisenberg e cambierà il modo di vedere e di parlare di fisica teorica.
Fermi dirà di lui: "Ci sono scienziati di secondo rango e quelli di primo rango, che danno contributi fondamentali alla scienza. Poi ci sono figure eccezionali, che in un secolo appaiono una o due volte, come Galileo o Newton. Ettore Majorana è una di queste." Solo una piccola parte del pensiero di Majorana sarà pubblicata. Il resto sono intuizioni e visioni che non vorrà condividere con la comunità scientifica. Comunità dalla quale Majorana inizia anzi a prendere le distanze. Un mondo al quale sente di non appartenere pienamente.
Tutto ruota intorno a un viaggio. E' il 1933, e Ettore Majorana si dirige a Lipsia, in una delle più prestigiose scuole di matematica della Germania nazista. In questo viaggio incontrerà Werner Heisenberg e Nils Bohr, i più prestigiosi fisici dell'epoca. Da Lipsia Majorana scrive numerose lettere.
"Mi hanno accolto cordialmente, sono in ottimi rapporti con tutti. Il mio tedesco migliora a vista d'occhio. Il clima è un po’ più freddo che a Roma ma senza vento. Nevica dolcemente. L'Istituto di Fisica è posto in posizione ridente, tra il cimitero e il manicomio".
E ancora: "Lipsia non offre al forestiero un numero eccezionale di meraviglie, ma la sua popolazione gentile e ospitale lascia cadere a una a una in chi le osserva le tante prevenzioni diffuse nel mondo sul conto dei tedeschi".
Majorana è tenuto in grande considerazione da tutti gli scienziati che incontra e vive un momento di gloria assoluta al quale cerca di sottrarsi come può. Nelle sue righe traspare la sottile sensazione che la propaganda nazista in qualche strano modo riesca ad ingannarlo: è il caso di una caustica lettera sulla questione ebraica, che Majorana invia all'amico ebreo e futuro premio Nobel, Emilio Segré.
Al suo ritorno a Roma Majorana è sempre più cupo, taciturno e assente. Nei quattro anni che seguono la sua solitudine diventa radicale, i medici diagnosticano un esaurimento nervoso, e lui non fa altro che studiare, ma a via Panisperna non si presenta quasi più. Come racconta Edoardo Amaldi: "Nel 1936 non usciva che raramente di casa, cosicché i capelli gli erano cresciuti in modo anormale; in quel periodo qualcuno dei suoi amici gli mandò, nonostante le sue proteste, un barbiere a casa".
Di quegli anni di studio intenso non esiste praticamente alcun risultato pubblicato. E' per questo motivo che nel 1937 Fermi lo spinge a partecipare al concorso per la cattedra di Fisica Teorica a Napoli, forse nel tentativo di farlo tornare a contribuire attivamente alla scienza. Dopo forti resistenze Majorana, imprevedibilmente, accetta. E vince il concorso.
Napoli è una città in cui le contraddizioni sono vive e presenti. Una città nella quale Majorana passeggia per ore e che probabilmente è in forte corrispondenza con il suo stato d'animo. Le lettere ai familiari diventano sempre più rare e sempre più asciutte. "Ho una stanza discreta su via Depretis, da cui potrò vedere, fra tre mesi, il passaggio di Hitler", scrive Majorana alla madre il 23 febbraio del 1938.
Solo un mese più tardi sparirà. Negli stessi giorni visita la Chiesa del Nuovo Gesù di Napoli e chiede informazioni su come partecipare a esperienze di ritiro religioso. Ma l'ultima cosa che Majorana fa a Napoli, in quei giorni di marzo, è lasciare una notevole quantità di appunti a una sua giovane allieva.
Gli appunti, forse frutto degli anni solitari di studio di Roma e Napoli, spariranno poi in circostanze misteriose. La sua giovane alunna si chiama Gilda Senatore.
Majorana scrive dunque la lettera di addio alla famiglia e ne spedisce un'altra al direttore dell'Istituto di Fisica, Antonio Carrelli, annunciando la sua scomparsa. E la sera del 25 marzo, alle 22.30, si imbarca sul postale Napoli – Palermo.
La mattina seguente, però, dall'hotel Sole di Palermo Majorana scrive, sempre a Carrelli: "Spero ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all'albergo Bologna viaggiando forse con questo stesso foglio. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli."
Da questo momento di Ettore Majorana non si avrà più nessuna notizia. La misteriosa scomparsa lascia però numerosi dubbi. Soprattutto perché, il giorno prima di sparire, Majorana ritira il suo passaporto e i soldi degli stipendi arretrati. Sono in molti, a diverso titolo, a non credere assolutamente all’ipotesi del suicidio.
Leonardo Sciascia sostiene nel suo romanzo-inchiesta che Majorana abbia scelto di abbracciare la vita religiosa presso un ordine certosino che in quegli anni diceva di nascondere "un grande scienziato".
Altri credono alle testimonianze che negli anni '50 lo vorrebbero in Argentina, ingegnere sotto falso nome. Altri ancora lo identificano con Tommaso Lipari, un misterioso clochard di Mazara del Vallo, che viveva per strada ma era in grado di insegnare fisica e matematica ai giovani del paese. In tutte queste ipotesi, il sospetto di fondo è che Ettore Majorana potesse avere intuito gli sviluppi della ricerca scientifica che avrebbero portato alla costruzione della bomba atomica e abbia allora voluto sottrarvisi.
Un'altra pista è invece quella che coinvolge i servizi segreti. Negli anni in cui lo sforzo bellico era teso a progettare armi di distruzione di massa, una mente come quella di Majorana poteva essere decisiva. Molti pensano dunque a un rapimento o a un omicidio se lo scienziato si fosse rifiutato di collaborare.
Non è un caso che sia lo stesso Mussolini a chiedere ufficialmente ai suoi servizi segreti, notizie sulla scomparsa di Majorana. L'ultima ipotesi in ordine di tempo viene dal processo di Norimberga. Negli interrogatori ai nazisti viene sempre nominata un'eminente figura scientifica segreta a capo del Club dell'Uranio, un matematico di Lipsia che sarebbe stato il consigliere personale di Hitler e avrebbe controllato tutta la ricerca scientifica del Reich. Il suo nome in codice era Ingegner K. E secondo alcuni Ingegner Klingsor. Da Klingsor, con un complicato e fantasioso gioco enigmistico si arriverebbe a proprio a Majorana. Di sicuro c'è che la scomparsa – a soli 32 anni - di una delle menti più brillanti del nostro secolo, rimarrà per sempre una perdita inconsolabile.
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Le indagini svolte subito dopo la scomparsa appurarono che Majorana era rimasto a Palermo due giorni e che da lì era partito alla volta di Napoli. Un marinaio testimoniò di averlo visto a poppa dopo Capri, non molto prima dell’attracco al molo di Napoli. L’ipotesi che trovò più credito tra gli amici fu che si fosse buttato in mare, ma il mare non restituì mai le sue spoglie. Dopo molti anni, qualcuno immaginò un rapimento in relazione a ipotetici affari di spionaggio atomico, ma sia Fermi che Amaldi, che lo conoscevano bene, ritennero assurda questa ipotesi. Fermi, anzi, osservò che Majorana, con la sua genialità, se avesse deciso di scomparire o di far scomparire il suo cadavere, ci sarebbe riuscito.