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Discussione: Abu chi?

  1. #1
    I amar prestar aen
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    Predefinito Abu chi?

    Tratto dal Foglio di oggi.

    Crisi di governo e di al Fatah. E’ sempre più chiaro: il problema è Arafat

    Dopo Abu Mazen, anche Abu Ala lascia
    o vuole lasciare. Durato meno
    di un governo balneare italiano (ma
    senza elezioni anticipate a seguire) il
    nuovo governo palestinese nasce morto.
    Tre giorni dopo il giuramento il premier
    vuole dimettersi dopo un duro
    scontro con Yasser Arafat sulla solita
    questione sicurezza. Non ci sono scuse
    che tengano: Israele questa volta proprio
    non c’entra, c’entra piuttosto il feroce
    confronto interno ad al Fatah, storico
    partito del rais. Il problema è
    quello di sempre: la road map richiede
    che i palestinesi affrontino il terrorismo.
    I palestinesi finora non hanno fatto
    la loro parte, a causa dell’ostruzionismo
    di Arafat. Lo aveva detto Abu Mazen,
    lo fa capire ora Abu Ala.
    Ad Arafat non era andato bene Mahmoud
    Dahlan, ministro dell’Interno del
    governo Abu Mazen, ad Arafat non va
    bene Nasser Yussef, ministro dell’Interno
    nel governo Abu Ala, ad Arafat
    non andrà bene niente che non sia il
    suo esclusivo controllo dei servizi di sicurezza,
    ovvero la loro neutralizzazione
    nella lotta contro il terrorismo. Sbaglia
    dunque chi dice che il fallimento
    di Abu Mazen fosse dovuto al rifiuto
    israeliano di fare concessioni. La crisi
    lampo del governo Abu Ala lo dimostra:
    il premier vuole andarsene perché
    nemmeno Yussef, un tempo fedele
    ad Arafat, va bene al rais. Il motivo è
    semplice: Yussef aveva dichiarato già
    nel ’96 di avere le mani legate sul tema
    terrorismo. Non è una questione di
    mancanza di mezzi, ma di un ordine diretto
    “dall’alto” che imponeva ai servizi
    palestinesi di non intervenire. La capacità
    c’era allora e rimane oggi, nonostante
    tre anni di Intifada. Ma allora
    come oggi manca la volontà politica di
    Arafat, che ancora una volta mette i bastoni
    tra le ruote del suo primo ministro.
    Sbaglia anche chi continua con
    ostinazione a sostenere Arafat come
    leader legittimo dei palestinesi. Il rais
    continua a essere l’ostacolo principale
    a ogni speranza di sbloccare l’impasse
    tra Israele e palestinesi. Sbaglia chi, di
    conseguenza, si ostina a condannare
    Israele per le azioni di risposta al terrorismo,
    quando il problema di fondo
    non è il governo di Gerusalemme ma
    l’incapacità dei palestinesi di cambiare
    corso. Arroccato tra i ruderi della
    Mouqata, Arafat ha vinto un altro
    round contro chi lo voleva estromettere.
    La causa palestinese invece ha perso
    ancora una volta. Continuerà a perdere
    finché le sue chance saranno legate
    al destino dell’anziano rais.

    Cordiali Saluti
    E voi tutti, o Celesti, ah! concedete,
    Che di me degno un dì questo mio figlio
    Sia spendor della patria, e de Troiani
    Forte e possente regnator. Deh! fate
    Che il veggendo tornar dalla battaglia
    Dell'armi onusto de' nemici uccisi,
    Dica talun: NON FU SI' FORTE IL PADRE:
    E il cor materno nell'udirlo esulti.

  2. #2
    I amar prestar aen
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    Predefinito Il padrone delle Al-Aqsa affonda il secondo premier

    Dal Riformista di oggi.

    ROAD MAP. ORMAI NEL CAOS L’AUTORITÀ PALESTINESE
    Tra liti e sputi in faccia anche Abu Ala cade sotto la scure di Arafat

    Ramallah. Fuori due. Quale che sia la versione corretta degli eventi di ieri (a seconda delle fonti: Abu Ala si è dimesso; Abu Ala si è dimesso ma Arafat ha respinto le dimissioni; Abu Ala avrebbe solo espresso l'intenzione di dimettersi), la sostanza non cambia. Anche il secondo tentativo di dar vita a un governo dell'Autorità nazionale palestinese che non sia guidato da Yasser Arafat è fallito. Il dato significativo è che a gettare la spugna è un uomo, Abu Ala, considerato molto più in sintonia col vecchio rais di quanto non lo fosse Abu Mazen. Evidentemente, però, nemmeno la minore distanza è bastata.
    La natura dello scontro tra il premier e il presidente è la medesima che portò al fallimento di Abu Mazen: la gestione reale del potere. E di nuovo, la principale fonte di attrito è stata il ministero dell'Interno (cioè il controllo degli apparati di sicurezza). Nasser Yussef, designato a prendere il posto di Mohammed Dahlan, è stato per anni uno dei uomini di massima fiducia di Arafat. Ma qualcosa tra i due si è rotto. Il primo segnale si era manifestato martedì, quando Yussef - assieme al suo collega della Sanità, Jawad Tibi - si era rifiutato di prestare giuramento nelle mani del presidente. Ieri, poi, la conferma. A dividere i due è la strategia da adottare nei confronti delle Brigate Al-Aqsa, l'ala militare di Fatah (partito di cui fa parte l'intero establishment palestinese). Yussef avrebbe voluto assumerne il controllo, che Arafat viceversa custodisce gelosamente. A quel punto si sarebbe innescata la crisi: Arafat avrebbe chiesto la testa di Yussef (che pure aveva fortemente voluto al posto di Dahlan), e la situazione sarebbe precipitata.
    La rete televisiva francese Lci riferisce a questo proposito di un alterco che - se confermato - evidenzierebbe la profondità della frattura: trovatosi di fronte ad Arafat, Yussef lo avrebbe accusato di aver danneggiato la causa palestinese: «Tutte le rivoluzioni del ventesimo secolo hanno avuto successo salvo quella palestinese - gli avrebbe detto infatti - e la colpa è soltanto tua». Colpito dalla violenza dell'accusa, Arafat avrebbe reagito sputandogli in volto.
    Della nuova crisi può colpire la rapidità con cui si è manifestata - appena trenta giorni dopo le dimissioni di Abu Mazen - ma non la sua sostanza. Yasser Arafat non ha mai digerito l'idea di essere messo in disparte (meno che mai se ciò avviene, come in questo caso, a causa di pressioni esterne), e forte dell'influenza ancora notevole che ha sul parlamento e sulla società palestinese, resiste a ogni trasferimento reale di potere. Non a caso ieri lo scontro era su Dahlan e oggi su Yussef: perché esercitare il potere sulle strutture di polizia, militari e paramilitari è esercitare il potere sulla sola cosa che conti veramente: il braccio di ferro con Israele. Il risultato è chiunque provi a scavarsi un margine di autonomia entra immediatamente in rotta di collisione con l'anziano leader. E che l'Anp sembra condannata a dover scegliere tra un governo fantoccio, controllato a vista da Arafat, e una crisi permanente.
    Non a caso, dall'estero arrivano segnali di allarme. Romano Prodi per esempio, a nome della Ue è parte integrante del Quartetto autore della Road Map, si è detto preoccupato per la perdurante assenza di un governo forte nei territori palestinesi. Laddove l'accento non è più sulla maggiore o minore flessibilità del premier, ma sulla sua concreta possibilità di governare.

    Cordiali Saluti
    E voi tutti, o Celesti, ah! concedete,
    Che di me degno un dì questo mio figlio
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    Forte e possente regnator. Deh! fate
    Che il veggendo tornar dalla battaglia
    Dell'armi onusto de' nemici uccisi,
    Dica talun: NON FU SI' FORTE IL PADRE:
    E il cor materno nell'udirlo esulti.

  3. #3
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    Predefinito

    bisogna che gli europei finalmente prendano atto che e` venuta l`ora di accantonare arafat. certo puo` sembrare inopportuno che questa iniziativa arriva da fuori alla societa` palestinese, ma l`empasse deve essere rotta, anche perche` le mancate decisioni si Arafat si riflettono su due popoli e non solamente sul proprio.

 

 

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