Mi è arrivata la triste notizia che nella notte tra il 10 e l'11 ottobre è morto a Bolzano il filosofo e scienziato della mente Paolo Bozzi.

Così lo ricorda sul Manifesto Maurizio Ferraris.

IL GADDA DELLA FILOSOFIA ITALIANA
Maurizio Ferraris

IL GADDA DELLA FILOSOFIA ITALIANA
Maurizio Ferraris

“Le mani, qui davanti sul ripiano del banco sono mente? Bisogna stiracchiare
molto il significato della parola. Ma del resto, una retta è un tipo
particolare di curva —benché nulla abbia che richiami l’idea del ricurvo;
del resto le mie mani si muovono obbedendo alla mia volontà, direttamente
come i miei pensieri, le fantasie e altri scampoli della mia volontà. Il
banco può essere mente anche se non ubbidisce un cazzo, basta estendere i
bordi della parola; eccolo che è mente anche lui.” Così scriveva Paolo
Bozzi, ricordando e contestando una lezione di filosofia teoretica sentita
cinquant’anni fa, il cui assunto, tutto neoidealista, è che nulla esiste
fuori del pensiero.
Bozzi è morto a Bolzano nella notte tra il 10 e l’11 ottobre. Era stato a
lungo professore di psicologia, prima a Padova, poi a Trento (dove fu
rettore), infine a Trieste, ed era noto anche fuori della cerchia degli
specialisti per il suo libro Fisica ingenua, uscito da Garzanti nel 1990,
che si aggiungeva a libri più tecnici, ma sempre chiari e magnificamente
scritti, come Unità, identità, causalità (1970), Fenomenologia sperimentale
(1989) e Vedere come (1998). Come psicologo, era l’ultimo erede della
tradizione che, da Alexius Meinong, attraverso Benussi e Musatti, giungeva a
lui per il tramite di Gaetano Kanizsa, che era stato suo maestro a Trieste.
Era nato nel 1930 a Gorizia, nella stessa casa di Carlo Rubbia, e c’è una
qualche ironia nel fatto che un Nobel della fisica e il teorico della fisica
ingenua, cioè della descrizione del nostro mondo percettivo, abbiano giocato
assieme. Anche relativamente singolare è il fatto che fosse un grande
prosatore, se si deve credere a tutto ciò che si legge sulla inettitudine
stilistica dei professori. E ancor più strano, a pensarci, che fosse un
violinista, manco fossimo nell’Austria-Ungheria dell’Ottocento.
La cosa più bizzarra, però (secondo gli standard correnti) è che uno
psicologo si impegni a contestare garbatamente ma implacabilmente dei dogmi
filosofici. E che lo faccia non appellandosi a evidenze neuroscientifiche,
ma con osservazioni di una semplicità imbarazzante tipo, per l’appunto,
domandarsi come sia possibile, se tutto è mente, che il banco non risponda
alla nostra volontà. Qui Bozzi ha ripetuto il gesto di George Edward Moore
che, sentendo dai suoi professori che il mondo esterno non esiste, mostrava
due mani, e chiedeva se qualcuno osasse dubitare della loro esistenza. Gesti
di questa semplicità suppongono una grande raffinatezza, e soprattutto una
grande onestà intellettuale. Il tavolo davanti a me non è mente, qualunque
cosa si voglia pensare, e l’esperienza sensibile non è l’estrema propaggine
della nostra attività intellettuale.
Fisica ingenua è apparentemente una raccolta di errori: il mondo della
nostra esperienza percettiva non è quello della fisica di Galileo e di
Newton, ma quello della fisica di Aristotele. Ora, che interesse può avere
una constatazione di questo genere? Niente meno che dimostrare come il mondo
della scienza non è uguale a quello dell’esperienza, e che, rivelate le
caratteristiche del primo, non necessariamente avremo detto qualcosa di vero
sul secondo.
Si obietterà che nessuno ha mai preteso il contrario, ma non è così. Un
pezzo intero, e nobile, della filosofia, da Cartesio a una buona parte del
Novecento (passando attraverso Kant e Hegel, Nietzsche e Heidegger), ha
condiviso l’assunto tanto impegnativo quanto azzardato secondo cui i sensi
sono inaffidabili e il mondo dell’esperienza è instabile se non è fissato
dalla scienza e dai suoi schemi concettuali. Così, bisogna dubitare del
mondo che abbiamo a portata di mano, e credere allo Spirito, alla Storia, e
magari anche alla Monotriade. Muovendo proprio dalla certezza sensibile, la
vittima preferita della filosofia, Bozzi ha combattuto la sua lotta
filosofica a favore di una rifondazione dell’esperienza, una lotta che può
apparire impari solo se si concepisce la filosofia come una battaglia tra
ombre e teorie, e non anche tra osservazioni minute ed esatte, tratte
dall’inesauribile sfera della percezione. Giocando da outsider e con altri
materiali, ha toccato il nocciolo della questione. L’anomalia non è così
grande: un ingegnere, Carlo Emilio Gadda, ha rinnovato la letteratura
italiana del Novecento. Uno psicologo, Paolo Bozzi, ne ha ringiovanita la
filosofia.