User Tag List

Pagina 2 di 12 PrimaPrima 123 ... UltimaUltima
Risultati da 11 a 20 di 111

Discussione: Sacro Cuore di Gesù

  1. #11
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Un Cuore Ti Attende

    (Sacro Cuore di Gesù)

    Città del Vaticano, 21 Dicembre 1966

    Vogliamo realizzare nel mondo la giustizia, la pace, l'unione fraterna di tutti gli uomini, dopo tante speranze e delusioni?

    Solo la riscoperta dell'Amore può compiere il miracolo; intendiamo quell'Amore di cui Giovanni evangelista scrisse: «Dio è Amore! E noi abbiamo creduto all'Amore!» (I Lettera 4, 16).

    Ecco perché queste pagine ci porgono la visione del Sacro Cuore di Gesù, che il Padre ci ha donato come pegno del suo Amore
    .

    PIA OPERA SALESIANA del S. Cuore - BOLOGNA

    BOLOGNA, 10 Dicembre 1966

    Figlioli diletti,

    imprimetevi nella mente queste brevi pagine, offerte alla vostra riflessione da un veterano della devozione al Sacro Cuore di Gesù.

    Molti coltivano l'amore della scienza, pochi la scienza dell'Amore.

    Mi convinco sempre più che bisogna parlare agli uomini di Dio Salvatore.

    Vi amo tutti col Cuore di Cristo!

    ********

    I PARTE

    ASPETTO STORICO


    Nel Concilio Ecumenico Vaticano Il la Chiesa mostra il suo cuore di madre sempre pronta a dare la vita della grazia e della fede a tutti gli uomini. Questa disponibilità di carità materna la Chiesa l'attinge dalla pienezza di amore del Verbo Incarnato, suo fondatore.

    GUARDERANNO A COLUI CHE HANNO TRAFITTO

    Sul Calvario, dopo l'ultimo grido, Gesù aveva reclinato il capo, nell'abbandono completo della morte. Aveva dato tutto, ma non aveva ancora svelato tutto. Si avanzò uno dei soldati, e con un colpo di lancia gli aperse il petto e subito ne uscì sangue ed acqua (Gv. 19, 34).

    L'Evangelista S. Giovanni contempla quel corpo trafitto, nel commosso silenzio del tramonto, e una acuta sensazione di mistero gli scende nell'anima: Ricordava le parole che Dio aveva fatto pronunciare al profeta Zaccaria:

    «Effonderò uno spirito di pietà e di implorazione sopra il mio popolo!

    «Guarderanno a Colui che hanno trafitto, e piangeranno su di Lui come si piange un Figlio unico; si farà per Lui amaro cordoglio quale si fa per un primogenito!» (12, 10).

    Dieci giorni dopo quel Venerdì Santo, nel fascino di Gesù risorto, Giovanni parla ancora di quel petto ferito. E questa volta la fede vi scorge orizzonti sconfinati, tanto che l'incredulo Tommaso, cadendo in ginocchio esclama: «Signore mio e Dio mio».

    AI PIEDI DELLA CROCE

    Tutta la tradizione cristiana sosterà ai piedi della Croce dalla quale pende Gesù col petto aperto, e cercherà di penetrare in quella sanguinante squarciatura sulla quale tanto insiste l'Apostolo.

    Sarà proprio questa amorosa attenzione che guiderà le anime alla scoperta del «Cuore amante di Gesù».

    Nei primi secoli della Chiesa la devozione al Sacro Cuore non è ben distinta dal culto delle sacratissime Piaghe di Gesù, e specialmente da quello tributato alla ferita del Costato. Soltanto gradualmente venne fatto oggetto di culto speciale il Cuore; come immagine dell'Amore umano e divino del Verbo Incarnato.

    Pio XII nell'Enciclica sul Cuore di Gesù «Haurietis aquas» dice: «E’ nostra persuasione che il culto tributato all'amore di Dio e di Gesù Cristo verso il genere umano, attraverso il simbolo augusto del Cuore trafitto del Redentore, non sia mai stata assente dalla pietà dei fedeli, benchè abbia avuto la sua chiara manifestazione e la sua mirabile propagazione nella Chiesa in tempi da noi non molto lontani, soprattutto dopo che il Signore stesso si degnò di scegliere alcune anime predilette, alle quali svelò i secreti divini di questo culto e di essi le fece messaggere, dopo averle ricolmate di grazie speciali».

    LE ANIME MISTICHE

    Il desiderio di vita interiore portò anime elette a penetrare oltre la piaga del Petto di Gesù, fino a scoprire il Cuore, trafitto d'amore.

    Entrate in questo «Santuario interiore», tali anime s'accorsero d'aver scoperto non una manifestazione dell'amore di Cristo, ma la sua sorgente e il suo centro.

    Il Padre Andrea Tessarolo S.C.J., storico della devozione e della teologia del Sacro Cuore, afferma che, con tutta probabilità Giovanni di Ravenna, vescovo di Fècamp in Francia, morto nel 1078, fu il primo ad associare queste due idee: «Cuore ferito e Amore redentore, In modo da vedere proprio nel Cuore di Gesù il simbolo di tutto il suo Amore».

    Così dopo di lui sorge uno stuolo di anime che gravitano attorno al Cuore di Gesù. Nel Medio Evo S. Bernardo di Chiaravalle, Guglielmo di Saint-Thierry, Riccardo di S. Vitore, S. Francesco d'Assisi, e più tardi S. Matilde, S. Geltrude, S. Antonio di Padova, S. Bonaventura; poi ancora il Ven. Giovanni Taulero, il B. Enrico Susone e S. Bernardino da Siena, i quali parlano del Cuore di Cristo come del rifugio, del ricovero offerto al povero cuore degli uomini.

    Santa Lutgarda, S. Angela da Foligno, Margherita da Cortona, S. Caterina da Siena insistono sulle necesità di studiare il Cuore del Signore per conformare la propria vita a quella del Maestro divino.

    Dal secolo XVI, la devozione al Sacro Cuore corre quale fiume sotterraneo a fecondare la spiritualità cattolica, e affiora nel Ven. Lodovico Blosio, in S. Ignazio di Loiola, S. Pietro Canisio, S. Francesco Borgia, nel Ven. Luigi da Granata, in S. Teresa d'Avila e Sant'Alfonso Maria de' Liguori, spingendoli alle vette della perfezione.

    S. Francesco di Sales che ci ha lasciato alte orme in esempi immortali di vita ed in opere mirabili, fra le quali: «L'Introduzione alla vita devota» e «Il trattato dell'amore di Dio», nutriva una tenera devozione al Cuore di Cristo, cui volle consacrare l'Istituto della Visitazione che aveva fondato. Alle Figlie inculcava l'amore al Cuore di Gesù e la generosa corrispondenza alla sua immensa carità; parlava in termini che già preannunciavano il grande apostolo S. Giovanni Eudes.

    L'ARALDO DEL SACRO CUORE

    San Giovanni Eudes nato a Rye il 14 novembre 1601 fu davvero l'Araldo del Sacro Cuore di Gesù. «Con una lenta penetrazione, un approfondimento della sua fede, una illuminazione interiore, dice Daniel Rops, egli arriva a vedere chiaramente nel cuore di carne del Dio fatto Uomo il simbolo dell'Amore increato dell'Onnipotente per la sua Creatura».

    Tutti i grandi misteri del cristianesimo: LA CREAZIONE, l'INcARNAZIONE, LA REDENZIONE li scopre nel Cuore del Cristo, persino il Mistero Eucaristico.Con questa folgorante intuizione S. Giovanni Eudes compone un mirabile Ufficio del Sacro Cuore nel 1670; trent'anni prima aveva istituito nella sua Congregazione la festa del Cuore Purissimo di Maria.

    Nel Breve ponteficio per la sua Beatificazione si legge questo altissimo riconoscimento: «Ardente di un amore singolare verso i Cuori di Gesù e di Maria, ebbe per primo, e non fu senza una speciale ispirazione divina, l'idea di un culto pubblico in loro onore. Si deve dunque considerarlo come il Padre di questo dolce culto, come il Dottore per i suoi scritti, come l'Apostolo per la sua infaticabile opera di diffusione».

    Si può dire che con S. Giovanni Eudes il cuore umano compia il massimo sforzo per incontrarsi col Cuore divino; infatti la grande Epifania del Sacro Cuore ebbe luogo a Paray-le-Monial con le rivelazioni a S. Margherita Maria Alacoque, mentre il Santo si preparava a festeggiarLo in cielo.

    P. Adolfo l'Arco S.D.B. (p. 52 del suo aureo lavoro « Il Sacro Cuore ti chiama per nome» ed. SEI) dice: Il Cuore di Gesù discende, mentre l'anima del Santo ascende».

    LA MESSAGGERA

    Fra tutti i promotori di questa nobilissima devozione viene subito dopo - scrive Pio XII - S. Margherita Maria Alacoque, poiché al suo zelo, illuminato e sostenuto da quello del suo direttore spirituale, il B. Claudio De la Colombière S.J., si deve indubbiamente se questo culto così diffuso raggiunse lo sviluppo che desta l'ammirazione dei fedeli cristiani, e rivestì le caratteristiche di «OMAGGIO D'AMORE E DI RIPARAZIONE», che lo distinguono da tutte le altre forme di pietà cristiana».

    Sì, questa devozione, di carattere squisitamente teologico, come l'aveva impostata S. Giovanni Eudes, non sarebbe uscita dai «circoli limitati di alcuni Terz'Ordlni del Sacro Cuore», se poco dopo una semplice Visitandina di Paray-le-Monial; non fosse stata favorita di grazie singolari: Cristo le apparve, le parlò e ordinò a lei «abisso d'indegnità e d'ignoranza», di diffondere la fiamma della sua carità.

    Il Cuore di Cristo «cinto da una corona di spine, sormontato da una croce» doveva essere esposto alla venerazione dei cristiani, come «l'ultimo sforzo del suo amore per la salvezza del mondo».

    LE APPARIZIONI

    Furono quattro: dal 1673 al 1675. Tutta la chiesa cattolica mediterà lungo i secoli la struggente dichiarazione di Gesù all'umile suora: «Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini!».

    Ma non subito.

    L'epoca si mostrò ostinatamente incredula a quella rivelazione.

    La Veggente fu dapprima considerata come esaltata dalle sue Superiore. Padre De la Colombière, che proclamava le visioni «autentiche», fu trasferito. Padre Croiset, professore a Lione, che aveva adottato l'insegnamento della Santa, fu esonerato e mandato altrove, e il suo libro sul Sacro Cuore fu posto all'Indice.

    Tanto si diffidava dei mistici e di tutto ciò che si riferiva al «puro amore».

    Margherita Maria Alacoque, senza aver cessato di ripetere che Cristo l'aveva incaricata di una missione, e che il Cuore adorabile doveva regnare sul mondo, morì il 17 settembre 1690 a quarantatre anni di età, senza potere vedere il trionfo di quel culto, al quale aveva consacrato la vita.

    OPPOSIZIONI

    Tutti i rigoristi si erano coalizzati contro questa devozione; i Giansenisti soprattutto, perché essi conoscevano solo la giustizia di un Dio inaccessibile e volevano che le anime vivessero nel freddo timore della divina Maestà.

    Le ostilità culminarono nel conciliabolo di Pistoia che voleva bandire dall'Italia e dalla Chiesa la devozione al Sacro Cuore. Pio VI intervenne, deplorando l'atteggiamento sia del vescovo, Scipione Ricci, che dei suoi seguaci (1791).

    Le polemiche giansenistiche avevano ormai portato la Santa Sede da una posizione di riserbo a un atteggiamento di difesa. Arizi il 25 agosto 1856 il Papa Pio IX accolse con gioia la richiesta dell'episcopato francese di estendere la festa del Sacro Cuore alla Chiesa universale.

    Con questo Decreto, da devozione privata, diventa atmosfera di vita, festa liturgica, espressione di culto, ormai definitiva.

    TRIONFO DELLA NUOVA DEVOZIONE

    Questa è la conclusione dei solenni interventi di Leone XIII, di Pio XI e di Pio XII.

    Leone XIII dedica al grande culto l'altezza del suo ingegno, l'ardore della sua pietà.

    Approva le Litanie del Sacro Cuore, sintesi incomparabile di cristologia, e promulga il 25 maggio 1899 la prima Enciclica sul Cuore di Gesù, «Annum Sacrum», con la quale annuncia al mondo la sua decisione di consacrare tutto il genere umano al Cuore di Cristo Redentore che, per diritto di nascita e di conquista, è RE non solo dei fedeli ma anche di tutti coloro che ancora non hanno la fortuna di vivere sotto il suo dolce impero di grazia.

    Il Grande Pontefice, persuaso che tale consacrazione aprirebbe un era nuova alla Chiesa, chiama la devozione al Sacro Cuore:

    «Vessillo di carità e di pace, pegno di sicura vittoria contro i nemici».

    Mentre si destava in tutta la Chiesa e nel popolo di Dio un'ardente entusiasmo, il santo Vegliardo, volle nella sua Roma una Basilica al Sacro Cuore e ne affidò la costruzione all'apostolo dei tempi nuovi, Don Giovanni Bosco.

    Il santo dei giovani, con la tenacia prodigiosa propria dei Santi, in breve tempo innalzò presso la Stazione Termini un nuovo Tempio sormontato dalla statua del Sacro Cuore, che, dall'alto benedice quanti toccano il suolo della città eterna, ove siede il rappresentante del Supremo Amore.

    E i Figli sull'esempio del Padre ne diffusero e ne diffondono la devozione dedicando al Cuore di Gesù asili, scuole ed istituti; divulgandone il culto ed erigendo in Suo onore altari e santuari monumentali, come il Tempio Nazionale Espiatorio Spagnolo «TIBIDABO» in Barcellona, e il Tempio Santuario del SACRO CUORE in Bologna.

    LA NOVELLA PRIMAVERA

    Nel giardino della Chiesa, ecco allora un sorgere e fiorire di sodalizi, istituti e congregazioni che si fregiano del titolo del Sacro Cuore. Ne accenno alcuni:

    La B. TERESA VERZERI, (1801-1852) diede avvio alla sua istituzione ponendola sotto l'egida del Cuore divino denominandola: Congregazione delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù.

    Il Ven. Mons. DANIELE COMBONI, (1831-1881) missionario in Africa prima e Vicario Apostolico poi, pone la sua Congregazione sotto la protezione del Cuore divino e volle che i suoi membri si chiamassero Figli del Sacro Cuore di Gesù.

    Il Ven. LEONE GIOVANNI DEHON, (1843-1925) fondò la Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore il cui fine è la speciale devozione al Sacro Cuore di Gesù in spirito di amore e di riparazione, la diffusione di questa spiritualità riparatrice, l'apostolato missionario e sociale.

    Sue queste incisive massime: «Tre sono le vie che possono condurre a Dio:
    La via del timore.
    La via della speranza.
    La via della carità.
    Ma la via certa è quella del Cuore di Gesù».

    Con animo aperto alla fiducia diceva:

    «Com'è possibile che il mondo resista all'amore di Dio se i suoi ambasciatori ne saranno intimamente convinti e si lascieranno conquistare e guidare dall'amore di Gesù Cristo? Infiammati da Lui infiammeranno il mondo».

    Per illuminare le menti ed educare i cuori alla conoscenza del grande mistero d'amore che racchiude il Cuore del Redentore fondò anche la rivista: «IL REGNO DEL SACRO CUORE».

    Il P. MARIO VENTURINI, (1886-1957) fondava in Trento la Congregazione Sacerdotale dei Figli del Cuore di Gesù.

    Dietro ispirazione del Ven. Prof. Giuseppe Toniolo, per opera di P. Agostino dr. Gemelli o.f.m. che ne fu il primo rettore, sorgeva in Milano all'ombra della basilica di S. Ambrogio (25 dicembre 1920) l'Università Cattolica del Sacro Cuore.

    L'IMPULSO DEI SOMMI PONTEFICI

    Pio X Santo, il Papa dell'Eucaristia, promosse la Consacrazione delle famiglie al S. Cuore, ne compose la formula, e accordò preziose indulgenze a coloro che praticano il mese di giugno.

    BENEDETTO XV, Il Papa della Pace, emanò tre Documenti Pontifici per diffondere ancor più il culto del Sacro Cuore, ed elevò all'onore degli altari, canonizzandola, la B. Margherita Maria Alacoque, alla quale eresse pure un altare nella Basilica Vaticana.

    Pìo XI, il Papa della Conciliazione, il 5 maggio 1926 con l'Enciclica «Miserentissimus Redemptor», si ricollega al magistero di Leone XIII, e indica i fondamenti e la finalità della devozione verso il Sacro Cuore, soprattutto insistendo sulla riparazione all'Amore offeso.

    Per la festa del Sacro Cuore fece preparare i nuovi testi liturgici e vi aggiunse la formula di Riparazione, da recitarsi in tutte le chiese del mondo cattolico.

    Lo stesso Pontefice (l'11 dicembre 1925) aveva istituito la Festa della Regalità di Cristo.

    Pìo XII, il Pastore angelico, ha lasciato orma incancellabile nei solchi fecondi della Teologia; ci diede molti documenti circa il Sacro Cuore; il principale è la Lettera Enciclica «Haurietis aquas» del 15 maggio 1956, nella quale espone ampiamente la natura, l'oggetto e la legittimità di tale culto.

    ll Sac. Adolfo l'Arco S.D.B., nel suo libro citato e tanto avvincente, così definisce l'«Haurietis aquas»:

    « Il Papa Angelico spicca il volo dal vertice delle conquiste passate per spaziare su nuovi orizzonti; armonizza in mirabile sintesi la verità della Sacra Scrittura, la luce della Tradizione, la bellezza della Liturgia, la magnificenza del Magistero, la sinfonia della Teologia, la nobiltà della Mistica».

    GIOVANNI XXIII, il Papa buono, non tralasciava occasione d'invitare tutto il Popolo di Dio all'esercizio della vita e della pietà cristiana sotto l'egida del Sacro Cuore.

    «Gesù è amore!

    Che vi è di più dolce di una devozione fervida? L'amore è il substrato di ciò che Cristo ha annunciato al mondo. E' il precetto dell'amore che distingue la rivelazione cristiana dagli insegnamenti di tutte le altre religioni.

    Nell'amore è la soluzione di tutte le questioni sociali, di tutti i contrasti politici...».

    PAOLO VI, il Pellegrino apostolico, oggi illumina del suo genio le vie sempre nuove e feconde dell'Amore di Cristo.

  2. #12
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    II PARTE

    ASPETTO DOGMATICO


    «Il culto del S. Cuore dev'essere da tutti considerato come una nobile e degna forma di quell'autentica pietà, che oggi, soprattutto in virtù delle prescrizioni del Concilio Vaticano Il, è vivamente richiesta verso Cristo Gesù, re e centro di tutti i cuori, «capo del corpo che è la Chiesa..., il principio, il primogenito dei redivivi, affinché in tutto abbia il primato (Col. 1, 18)».

    (Paolo VI, Lett. ai Sup. Gen. di Ordini, 25 maggio 1965).

    SINTESI DELLA DOTTRINA

    La Dottrina della Chiesa sul Sacro Cuore di Gesù si può sinteticamente esporre cosi:

    1) Si onora il Cuore di carne ma in quanto unito nella natura umana di Cristo alla sua divinità.

    Il fondamento teologico di questo culto è l'adorazione dell'umanità in Cristo.

    In Cristo vi è una persona, quella divina del Verbo, e due nature, la divina e l'umana; l'unica e medesima adorazione, dovuta alla Persona divina, è da attribuirsi a ciò che sussiste in essa e per essa.

    L'onore infatti si riferisce al tutto, cioè alla Persona, anche quando è attribuito ad una parte. Per questo motivo l'umanità di Cristo, non per se stessa, nè considerata separatamente, ma in quanto unita al Verbo divino, è degna di un vero culto di adorazione. Ciò vale per tutt'intero corpo di Gesù Cristo. Il suo Cuore, quindi, considerato unito alla Persona divina, è degno di adorazione.

    2) Il Cuore di carne è considerato come naturale simbolo ed espressa immagine dell'amore del Verbo Incarnato e Redentore; simbolo che non nega la realtà del Cuore di carne, ma si fonda in esso e simultaneamente con esso viene adorato l'Amore, divino e umano, spirituale e sensibile, di Gesù.

    Ogni culto ha per oggetto ultimo e completo Gesù, ma le diverse devozioni hanno un oggetto prossimo, proprio e specifico. Nel culto del Sacro Cuore, questo oggetto è il suo Cuore fisico in quanto è simbolo del suo Amore. Dunque, non il solo cuore, né il solo amore, ma il Cuore fisico quale simbolo dell'amore.

    I due aspetti sono sempre uniti: amore e cuore.

    3) L'oggetto di culto è il Cuore, figura concreta non solo dell'amore ma di tutta la vita di Gesù: dei suoi affetti e delle sue gioie, dei suoi dolori e dei suoi sacrifici, delle sue virtù e dei suoi meriti.

    Questa devozione è superiore a tutte le altre, perché sintetizza tutta la vita di Cristo nell'amore, il quale è la causa di tutta l'Incarnazione redentrice.

    4) L'amore di Cristo è considerato in quanto non corrisposto, cioè in quanto ripagato con ingratitudine.

    La riparazione è una parte essenziale in questo culto: riparazione considerata non soltanto come debito di giustizia per i peccati, ma anche quale debito di amore.

    5) Il Cuore di Gesù, espressione e simbolo dell'amore umano, spirituale e sensibile, e dell'amore divino di Gesù verso l'umanità, ci richiama pure l'amore infinito della SS.ma Trinità.

    Nell'oggetto del culto all'adorabile Cuore di Gesù entra anche l'amore delle Persone divine verso l'umanità.

    Pio XII ha voluto porre in evidenza «il nesso intimo» che intercorre tra la forma di devozione da tributarsi al Cuore del Redentore e il culto che gli uomini sono tenuti a rendere all'amore che Egli e le altre Persone della Trinità SS.ma nutrono all'intero genere umano.

    Il nesso consiste in questo che l'amore di Gesù è l'amore divino, comune nelle tre Persone divine. Si può affermare che l'amore del Padre e dello Spirito Santo verso il genere umano è almeno oggetto indiretto e implicito del culto al Sacro Cuore di Gesù, per la reale identità tra amore del Verbo per noi e l'amore del Padre e dello Spirito Santo verso di noi.

    S. Tommaso (S. Theol. III, q. 48, a 5) Osserva: «LA CARITÀ DELLE TRE PERSONE STA AL PRINCIPIO E ALLE ORIGINI DEL MISTERO DELL'UMANA REDENZIONE, IN QUANTO, INFLUENDO ESSA POTENTEMENTE SULLA VOLONTÀ DI CRISTO, E RIDONDANDO QUINDI NEL SUO CUORE, GLI ISPIRÒ UN IDENTICO AMORE, CHE LO INDUSSE A DARE GENEROSAMENTE IL SUO SANGUE, AFFINCHÈ CI RISCATTASSE DALLA SERVITÙ DEL PECCATO».

    E’ IL PIU' GRANDE MISTERO D'AMORE

    Cuore e amore sono sempre visti in relazione di mutua dipendenza. Il cuore richiama l'amore, e l'amore è reso sensibile e presente nel cuore.

    Grande cosa è il cuore umano, perché nobile è la realtà che rappresenta e il tesoro che racchiude. Ma infinitamente maggiore è il Cuore di Gesù, «nel quale abita tutta la pienezza della divinità, ed è il Re e il Centro di tutti i cuori...».

    Trascendente realtà che pensata, sentita e vissuta trasfigura, a poco a poco, la nostra esistenza, infondendole slanci generosi nelle umili, monotone ma necessarie occupazioni d'ogni giorno.

    LOGICA CONCLUSIONE

    Istruiti dai sacri testi e dai simboli della fede, noi possiamo col Pastore angelico, infallibile maestro, contemplare e venerare

    con ogni sicurezza nel Cuore del divin Saivatore: «L'immagine eloquente della sua Carità, Il documento dell'avvenuta nostra Redenzione, la mistica scala per salire all'amplesso di Dio Salvatore Nostro».

    «SI... NELLE PAROLE, NEGLI ATTI, NEGLI INSEGNAMENTI, NEI MIRACOLI E SPECIALMENTE NELLE OPERE CHE LUMINOSAMENTE TESTIMONIANO IL SUO AMORE PER NOI - COME LA ISTITUZIONE DELL'EUCARISTIA, LA SUA DOLOROSA PASSIONE E MORTE, LA DONAZIONE DELLA SUA SANTISSIMA MADRE, LA FONDAZIONE DELLA CHIESA E LA MISSIONE DELLO SPIRITO SANTO - Noì DOBBIAMO AMMIRARE ALTRETTANTE TESTIMONIANZE DEL SUO PERFETTISSIMO AMORE SENSIBILE E SPIRITUALE, UMANO E DIVINO, E MEDITARE I BATTITI DEL SUO CUORE, CON I QUALI EGLI SEMBRÒ CHE MISURASSE GLI ATTIMI DI TEMPO DEL SUO PELLEGRINAGGIO TERRENO, FINO AL SUPREMO ISTANTE IN CUI CHINÒ IL CAPO E RESE LO SPIRITO».

    Fu allora che il palpito del suo Cuore si arrestò, come sospeso fino all'istante della Resurrezione gloriosa. Unitasi nuovamente l'anima del Redentore al suo corpo glorificato, il Cuore riprese il suo battito regolare, e da quell'istante non ha cessato, nè cesserà di manifestare con ritmo calmo ed imperturbabile quell'amore che vincola il Figlio al Padre celeste e all'intera comunità ecclesiale, di cui è il mistico Capo.

    TEOLOGIA E PIETA'

    Illuminati dalla Dottrina della Chiesa, ascoltiamo ora S. Paolo, quando con sublime accento implora per i fedeli di Efeso» quella conoscenza della carità di Cristo che supera qualunque scienza». (Efes. 3, 19).

    Non esiste intelletto creato che sia capace di comprendere, di penetrare ed esaurire, «l'immensità di un Amore trascendente», come non vi è cristiano che possa disinteressarsi di «una cognizione che gli è indispensabile», nella misura delle possibilità umane, avvalorate dal Lume divino, per essere messo a parte di tutti i doni di Dio nella presente vita e nella futura.

    Ora la devozione al Cuore di Gesù, bene intesa e bene vissuta, ci aiuta proprio in questo, perché è: LA NOSTRA ATTENZIONE, LA NOSTRA ACCETTAZIONE, LA NOSTRA RISPOSTA ALL'AMORE DI GESÙ PER NOI... ci fa entrare nelle regioni luminose «della scienza della Carità» di cui il Cuore di Gesù condensa tutti i tesori; ci aiuta ad accogliere e far vivere nei nostri cuori Cristo, mediante una fede sempre più chiara e operante.

    Quando sotto le irradiazioni del Cuore divino, noi ci sentiamo bene stabiliti e saldi nella carità, le ragioni del mistero ci vengono svelate, e l'abisso dell'Amore apparisce nelle sue sconfinate dimensioni di larghezza e di lunghezza, di altezza e di profondità.

    Nell'istante in cui il nostro cuore viene investito della fiamma del Divino amore, la volontà riprende forza e sorge il desiderio di corrispondere all'Amore mediante la Consacrazione, la Riparazione, l'Apostolato.

    CONSACRAZIONE

    All'amore infinito del Sacro Cuore, la risposta più adeguata ed espressiva è la Consacrazione.

    Consacrare vuoi dire rendere sacra una cosa o una persona a Dio, adoperandola completamente ed esclusivamente per Lui.

    Noi, in certo modo, siamo già sacri, perché siamo di Dio e gli apparteniamo per creazione, conservazione, redenzione e destinazione finale.

    Ma per le conseguenze che il peccato ha portato e porta in noi, per la contaminazione a cui siamo esposti con i sensi, spesso per audace e perversa ribellione, noi ci sottraiamo al dominio di Dio e profaniamo la nostra appartenenza sacra a Lui.

    La Consacrazione ci aiuta a superare questi ostacoli, a ripristinare questa proprietà divina.

    COME COMPRENDERE IL SUO VALORE

    Per comprendere bene il valore e la bellezza della nostra Consacrazione, è necessario vederla nella luce dell'offerta e della Consacrazione che avviene nella Santa Messa.

    La nostra Consacrazione al Sacro Cuore di Gesù, come la Consacrazione del pane e del vino nella Santa Messa, è opera nostra in quanto è offerta, ed è opera di Dio in quanto è accettata e gradita. Noi possiamo offrirci, ma la nostra Consacrazione non si realizza che all'atto in cui Dio accetta la nostra offerta.

    E’ in questa accettazione divina, che la nostra offerta diviene degna di Dio, perché, assumendo questa offerta, Egli la trasferisce in sua proprietà, la impreziosisce con i meriti infiniti del suo sacrificio, la trasforma rendendola degna di Lui.

    E’ come l'olocausto dell'Antica alleanza; la vittima sacrificata veniva collocata sull'altare perché il fuoco la consumasse. Così noi ci poniamo nel Cuore di Gesù per essere compenetrati e consumati dal suo fuoco divino, in modo che viva in noi il suo medesimo spirito e tutta la nostra vita sia come la sua: un dono, una offerta d'amore.

    MERITI

    Uno dei meriti e dei frutti più cospicui della devozione al Sacro Cuore è precisamente di aver diffusa l'idea e la pratica della Consacrazione.

    Moltissime anime si sono consacrate e trovarono la via certa e rapida del fervore e della perfezione.

    Altre anime avrebbero potuto farlo; si arrestarono timorose, quasi spaventate dalle rinunce che immaginavano di doversi imporre, e dalle sofferenze straordinarie che credevano di doversi attendere dal Signore.

    Esse confondevano la Consacrazione «col voto di vittima» e pensavano alla vita straordinaria di alcuni Santi.

    IDEE CHIARE

    La Consacrazione è un impegno serio, molto serio, ma non impossibile, e nemmeno difficile. Nella sua sostanza, esso rientra nelle esigenze dell'autentica vita cristiana.

    Gesù ha detto: «Chi vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e ml segna». (Mc. 8, 34).

    Il Signore non si accontenta di parole, di formule; Egli vuole degli atti che impegnino tutto il nostro essere e la vita intera, poiché non ci ha amati a parole, ma con i fatti.

    E’ quindi naturale che domandi dei sacrifici alla nostra pigrizia, delle rinuncie al nostro ripetuto tentativo di sottrarci al suo dominio, alla nostra sconcertante facilità di profanare in noi e negli altri l'eccelsa dignità di figli di Dio.

    Se la nostra Consacrazione scaturisce veramente dalla nostra capacità e dal proposito di amare Dio, la vita cristiana diventa più coerente e più facile; non è un peso, ma dà le ali all'anima.

    Nessuno timore, nè spavento deve trattenerci dal fare seriamente la Consacrazione all'adorabile Cuore di Gesù. Al contrario dovremmo sentirci incoraggiati e sollecitati a farla dalla prospettiva di tutto il bene che produce e di tutta la gioia che porta alla nostra vita.

    FECONDA LA NOSTRA VITA CRISTIANA

    E’ delizioso meditare i salutari effetti che la Consacrazione produce nelle anime e la soddisfazione che dà al Sacro Cuore.

    Essa tende veramente a realizzare il desiderio ardente di Gesù: «Rimanete nel mio Amore». (Gv. 15, 9) e a tradurre in atto il suo comandamento: «Siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro che è nel cieli». (Mt. 5, 48).

    Nel suo carattere religioso e ascetico, P. Paolo Moro S.C.J. la considera «Come una rinnovazione battesimale» in quanto ridesta la nostra Fede, la nostra Speranza, la nostra Carità, apertamente professata e gioiosamente vissuta; «Come un'applicazione della Cresima» nella sua presa di posizione, cosciente e generosa, di fronte alle nostre responsabilità sociali nel Corpo Mistico; «Come un complemento dell'Eucaristia», che è il dono di Dio all'uomo, ed essa è il dono dell'uomo a Dio; nella S. Comunione è Dio che viene a noi, nella Consacrazione siamo noi che ritorniamo a Dio in una unione intera e profonda; «Come un preludio all'ultima Unzione», perché prepara alla suprema offerta l'anima, anticipa il testamento spirituale, garantisce una santa morte, secondo le promesse del suo Cuore.

    ORGANICITA' DI ATTI

    Per la sua importanza e per le sue conseguenze, la Consacrazione al Cuore di Gesù deve essere un atto:

    «Preparato e maturato, nella sua piena comprensione;

    «Inteso come vero dono dl noi stessi al Sacro Cuore;

    «Vissuto in una dipendenza d'amore e in una uniformità dl pensiero, dl affetti, dl volontà» (P. Paolo Moro S.C.J.).

    E’ bene, per questo atto, scegliere un giorno solenne, o un Primo Venerdì del mese, premettendovi una novena o almeno un triduo di meditazioni e di preghiere. Giunto il giorno stabilito, dopo la Santa Comunione, si fa la Consacrazione con una formula composta da se stessi o copiata di propria mano. Potrà servire questa, semplice e completa, composta e recitata da S. Margherita Maria Alacoque:

    «Io... dono e consacro al Sacro Cuore dl Gesù la mia persona, la mia vita, le mie azioni, pene e sofferenze, per non più servirmi di alcuna parte del mio essere se non per amarLo, onorarLo e glorificarLo.

    «E mia volontà irrevocabile dl essere tutta sua e di fare tutto per amor suo, rinunciando con tutto il cuore a quanto «potrebbe recarGli dispiacere».

    La Consacrazione perché diventi un nuo vo modo di vivere, con una spiritualità ad alta tensione, conviene rinnovarla spesso.

    REALIZZAZIONE FECONDA

    Il modo più pratico per compiere e vivere la Consacrazione è quello proposto dall'Apostolato della Preghiera, che consiste nel fare ogni mattino l'offerta della giornata al Cuore di Gesù, secondo le intenzioni per le quali Egli s'immola continuamente sui nostri altari; oltre a dare valore apostolico a tutta la nostra vita, esso attua in forma facile e semplice il programma della Consacrazione, che costituisce la parte più importante della vera devozione al Sacro Cuore di Gesù.

    La Consacrazione di cui parliamo, si estende anche alle famiglie, alle istituzioni e al mondo intero, quale protesta contro l'empietà.

    AMORE CHE RIPARA

    Al dovere della Consacrazione, in cui primeggia l'intento di ricambiare l'amore di Dio, se ne aggiunge un'altro: quello di risarcire qualsiasi oltraggio allo stesso Amore increato, sia per dimenticanza, sia per trascuratezza, sia per malizia. Questo dovere è chiamato comunemente col nome di: Riparazione.

    Pio XI nella sua celebre Enciclica «Miserentissimus Redemptor», tratta esplicitamente e profondamente della Riparazione e dice che un duplice motivo ci spinge a riparare: motivo di Giustizia: affinché l'offesa fatta a Dio con i nostri peccati sia espiata e l'ordine da essa turbato sia ristabilito con la penitenza; motivo di amore, per soffrire insieme a Cristo paziente e saziato di obbrobrii.

    Il peccato non è solo violazione della Legge Santa del Signore, ma ingiuria diretta e personale a Dio stesso; è disprezzo del suo amore.

    IL PECCATO

    Il peccato sia originale sia quello attuale, ha una certa infinità, perché offesa della Maestà divina e rovina del piano perfetto della creazione e della elevazione soprannaturale; per questo non poteva avere adeguata riparazione da nessuna persona creata. Solo un Uomo-Dio la poteva dare. E Gesù Cristo, Uomo-Dio, venne in mezzo a noi, si unì alla nostra umanità, si caricò dei nostri peccati, Lui innocentissimo, e compì la nostra Redenzione con una Riparazione sovrabbondante.

    Se è mirabile il fatto della nostra riabilitazione, è ammirevole anche il modo con cui Dio ci riabilita.

    Iddio non ci vuole estranei all'opera della nostra riconciliazione, ognuno deve cooperare alla propria ed altrui salvezza.

    Sul Calvario, a nome di tutti e per tutti, Gesù offre il suo sacrificio di riparazione in-finita, nel quale Sacerdote e Vittima principale è sempre Lui, Gesù; ma non è Gesù solo, staccato dall'umanità, bensi il Cristo fatto peccato per la nostra salute, come dice S. Paolo (Il Cor. 5, 21), cioè il Cristo innocente e noi peccatori, Egli il Capo e noi le membra; così sull'altare, con Lui!

    RIPARAZIONE

    Gli uomini, caduti per loro colpa e redenti senza alcun merito, guardando a Gesù, possono affermare: L'opera della nostra riparazione è un fatto ormai compiuto sulla Croce, per opera di Colui che, divenuto no stro fratello, offrendo se stesso, presenta in olocausto di propiziazione tutta l'umanità al Padre.

    Questo è il primo atto del dramma della nostra riabilitazione, la così detta Redenzione «oggettiva».

    Come diverrà ora «Redenzione soggettiva», cioè applicata alle singole anime?

    La Riparazione compiuta da Gesù Cristo, di per sé ha dato all'uomo «il diritto e la facile possibilità di appropriarsene i salutari effetti davanti al Padre: il diritto, la potestà di divenire figli di Dio».

    Occorre che diventi nostra.

    Ognuno di noi deve stabilire un «contatto personale» con Cristo e l'opera sua: come fra il tralcio e la vite.

    Dobbiamo divenire «Cristo», sacrificatori e vittime come Lui e con Lui, partecipando alla sua funzione sacerdotale e sacrificale.

    Cristo ci ha meritato la Redenzione divenendo qualche cosa di noi, così noi dobbiamo applicarci questa riparazione, cioè redimerci, divenendo qualche cosa di Lui, incorporandoci in Lui, per mezzo della fede e dei sacramenti.

    La Riparazione ci apre un immenso panorama, in cui vediamo potenziata e sublimata la nostra vita, il nostro amore, il nostro dolore.

    MOTIVI DI GIUSTIZIA E DI AMORE

    Oltre alla Riparazione la devozione al Sacro Cuore ha funzione Consolatrice. Pio XI nella Enciclica citata dice: «Il fatto che Gesù domanda la consolazione invece d'im porla, non toglie niente alla sua obbligatorietà. Non vuole Egli forse anche il nostro amore? Eppure, nulla di più doveroso: è il massimo dei comandamenti. Allo stesso modo possiamo armonizzare l'apparente contrasto fra l'obbligo universale della Riparazione e di Consolazione, e il suo carattere di eccezione. Questa è proposta a tutti, ma non è di tutti. Però tutti possono e devono consolare Gesù, come ognuno può e deve tendere all'amore perfetto di Dio: la santità».

    Le sofferenze che i devoti del Cuore di Gesù possono alleviare sono:

    1) Le sofferenze del passato: LA PASSIONE.

    2) Le sofferenze del presente: LA PASSIONE DEL CORPO MISTICO.

    1) Consolare Gesù per le sofferenze Indicibili della Passione... Ma Gesù, glorioso in cielo, può soffrire? E come possiamo noi consolare sofferenze di un passato lontano?

    Pio XI risponde: «L'amore indietreggia nel tempo e considera presente quello che già fu, cioè i dolori di Gesù, mentre li pativa per questi nostri peccati attuali che Egli vedeva presenti e che oppressero il suo Cuore nel Giardino degli Ulivi».

    2) Consolare Gesù per le sofferenze del presente.

    «Il Cristo sarà in agonia sino alla fine del mondo», scrisse il Pascal, intendendo il Cristo mistico, cioè la Chiesa.

    Pio XI a prosiposito dice: «La Passione espiatrice di Gesù si rinnova e, in certo qual modo, si completa nel suo Corpo Mistico; con pieno diritto dunque, Cristo ancora sofferente desidera averci compagni della sua espiazione. Anzi il desiderio di Lui deve essere per noi un dovere inseparabile, quali Sue membra».

    CONSOLANTE MOVIMENTO

    Per descrivere questa nostra età, possiamo ricorrere al detto dell'Apostolo Paolo: «Dove abbondò il delitto, sovrabbondò la grazia!» (Romani 5, 20).

    Pio XI nella citata Enciclica ci offre un sottile ragguaglio: «Cresciuta di molto la perversità degli uomini, meravigliosamente va pure aumentando, per favore dello Spirito Santo, il numero dei fedeli, che con animo volenteroso si sforzano di dare soddisfazione al divin Cuore per tutte le ingiurie recateGli, anzi non temono di offrire se stessi a Cristo come vittime».

    Il Papa della Riparazione indica alcuni mezzi di penitenza e di riparazione, oltre le pratiche ormai classiche della devozione al Sacro Cuore - Primo Venerdì del mese, Ora Santa, Comunione e Messa riparatrice - ed esorta i fedeli ad astenersi dagli spettacoli, dai divertimenti anche leciti; le persone agiate facciano in ispirito di austerità cristiana qualche riduzione volontaria sul tenore di vita e diano in elemosina il frutto della loro mortificazione, perché tale carità è un eccellente mezzo per soddisfare la giustizia divina e di attirare misericordia.

    I poveri e tutti coloro che sono duramente provati offrano con ugual spirito di penitenza, con maggior rassegnazione, le privazioni che impongono le difficoltà dei tempi e la loro condizione sociale.

    Con una generosità più grande ancora, si elevino fino alla sublimità della Croce, e ricordino che, se il lavoro è uno dei valori più propiziatori e meritori di questa vita, è stato soltanto il sacrificio di Gesù Cristo che ha salvato l'uomo.

  3. #13
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    III PARTE

    ASPETTO ASCETICO


    «E' assolutamente necessario che i fedeli rendano l'omaggio del culto con pratiche di pietà private e pubblici ossequi al quel Cuore dalla cui pienezza tutti abbiamo ricevuto, e da Lui apprendano la maniera perfetta di ordinare la loro vita, affinchè questa risponda pienamente alle esigenze dei nostri tempi».

    (Paolo VI, Lett. ai Sup. Gen. di Ordini, 25 maggio 1965).

    PRINCIPALI PRATICHE DELLA DEVOZIONE

    1) La festa del Sacratissimo Cuore, che di anno in anno ci raduna ai piedi del tabernacolo per riparare tutti i sacrilegi e tutte le colpe;

    2) La Messa e Comunione Riparatrice, nelle quali, strettamente uniti a Gesù, possiamo offrire a Dio lo stesso Grande Riparatore;

    3) L'Ora Santa, che ci fa provare le mortali tristezze del Cuore di Gesù oppresso dalla visione dei peccati e dei dolori che doveva subire per espiarli;

    4) L'Adorazione Eucaristica, fervido colloquio con Gesù, prigioniero d'amore nei nostri tabernacoli;

    5) Il Primo Venerdì dì ogni mese, che ravviva la nostra pietà riparatrice;

    6) Il Mese di Giugno: dal Cuore di Maria a quello di Gesù;

    7) L'immagine del Sacro Cuore, collocata in posto d'onore nella famiglia;

    8) La Consacrazione al Sacro Cuore delle persone, delle parrocchie, delle nazioni, del genere umano;

    9) L'Apostolato della Preghiera, che converte in supplicazione riparatrice tutta la vita.

    ILLUSTRAZIONI DELLE MAGGIORI PRATICHE

    La festa del Sacro Cuore è sorta dalla volontà esplicita di Gesù, apparso a S. Maria Margherita Alacoque col Cuore fiammante d'amore, ripagato con ingratitudine dai peccatori e con indifferenza dai fedeli.

    Egli domandò un giorno speciale dedicato a ricordare il suo immenso amore oltraggiato, a cui offrire riparazione con una Comunione e un'Ammenda onorevole. Gesù stesso nel chiederla, ne ha determinato la data, l'importanza ed il significato.

    Per capirlo bisogna considerare il posto eminente che la festa del Sacro Cuore tiene nell'anno liturgico.

    Gesù ha chiesto pure che venisse consacrato al suo Cuore il Venerdì dopo l'ottava del Corpus Domini. Cosi venne istituita la solennità che è coronamento di tutte le feste che celebrano il mistero cristiano.

    La Comunione Riparatrice vuole l'unione allamore. L’unione dell'amore di Gesù e del nostro si realizza nella Comunione. Essa è il soave abbraccio che Gesù dà all'anima e che essa restituisce a Gesù. Per questo Egli l'ha chiesta insistentemente a S. Margherita Maria; l'ha chiesta per la festa consacrata al suo Cuore, per i Primi Venerdì del mese, che dovrebbero essere come delle rinnovate feste mensili del Sacro Cuore.

    Gli anni in cui visse la Santa videro l'empio zelo dei giansenisti, che con pretesti di falsa pietà allontanavano le anime dalla Comunione Eucaristica.

    Gesù se ne lamentò profondamente con S. Margherita Maria e durante l'esposizione del SS.mo Sacramento, manifestandole il suo amabilissimo Cuore, le disse: «Ti chiedo di supplire, per quanto sta in te, alla ingratitudine degli uomini, che, quanto maggiori benefici ricevano da me, tanto più si dimostrano freddi e mi respingono. Sii attenta alla mia voce e a quanto ti chiedo per disporti ad attuare i miei disegni: Anzitutto mi riceverai nel SS. mo Sacramento Eucaristico quante più volte lo permette l'ubbidienza, per quanto tu venga umiliata e mortificata... ».

    La Santa accolse l'invito divino, non solo ma si sforzò di fare spesso la 5. Comunione, raccomandandola agli altri.

    “Beate le anime, diceva, che si comunicano spesso; esse offrono al Cuore divino il piacere che Egli brama. Gesù non si lascia mai vincere in generosità, apre tutti i tesori del suo amore a quelli che così lo consolano”.

    Gesù, inoltre, le domandò una speciale intenzione di riparazione: «Ti ordino di far la Comunione al Primo Venerdì del mese, per soddisfare, per mezzo dei meriti del mio Cuore, alla Divina giustizia, offrendo-mi all'Eterno Padre in riparazione delle colpe che si commettano».

    Un venerdì, dopo la S. Comunione ebbe a dirle:

    “ieni, o figliola, nel mio Cuore che ti ho mostrato, e ripara col tuo ardore tutte le ingiurie che ho ricevuto da tanti cuori tiepidi e Ingrati che mi disonorano e mi disconoscono nel SS.mo Sacramento”.

    DIFFERENZE E COICIDENZE CON IL CULTO DEL SS. SACRAMENTO

    C'è una distinzione tra il culto verso il Sacro Cuore e il culto del SS.mo Sacramento ell'Eucaristia; distinzione nell'oggetto, nel motivo e nel fine.

    L'oggetto materiale prossimo nel culto dell'Eucaristia è il Corpo di Gesù, vivente sotto le specie eucaristiche. Nel culto del Sacro Cuore invece l'oggetto materiale prossimo è il Cuore di Cristo in quanto simbolo di amore.

    Motivo del primo è la dignità del Corpo reale di Gesu, unito ipostaticamente al Verbo; motivo secondo è l'amore di Gesù incorrisposto. Fine del culto al SS.mo Sacramento è l'adorazione e la gratitudine verso Gesù; nel culto del Sacro Cuore il fine èl'Amore e la Riparazione.

    Se ci sono queste differenze, vi sono pure delle felici coincidenze « Tutti e due, dice Pio XII, pongono davanti agli occhi un medesimo Signore infinitamente amante:

    l'una onorando il suo amore sotto il simbolo naturale del suo Cuore, l'altra adorando quel Cuore e quel Sangue dove questo amore si dà interamente. Tutte e due godono il privilegio di far vibrare le fibre più sensibili dell'anima, di esaltare i medesimi sentimenti, muovendo da una stessa identica carità».

    LA COMUNIONE SPIRITUALE

    «Provo tanta gioia quando un'anima mi desidera». Sono parole di nostro Signore, che manifestano il suo gradimento per la Comunione Spirituale che consiste in un ardente desiderio di ricevere Gesù e supplisce alla Comunione sacramentale quando ne siamo impediti.

    Possiamo farla molte volte al giorno, in ogni luogo, in qualunque situazione. S. Margherita Maria Alacoque la praticò con fervore e la raccomandò come omaggio desiderato e richiesto dal Sacro Cuore.

    Alle Novizie del suo convento, quando fu loro maestra diceva: «Dovete fare tante e tante Comunioni di desiderio per fare ammenda al Cuore di Gesù e chiederGli perdono di tutte le Comunioni fatte male da noi e dai cattivi cristiani».

    Il 16 maggio 1690 così scriveva la Santa al rev Padre Croiset: «Offrirei per voi tutte le Comunioni, ma qui ci si comunica solo due volte la settimana ed i Primi Venerdì del mese. Non posso fare altro secondo le sue intenzioni, perché fuori di quei giorni mi comunico solamente per mezzo dell'amore e del desiderio, e con questo anelito e con questo mezzo Egli si unisce a .me, ~n modo incomprensibile».

    LA S. MESSA IN ONORE DEL S. CUORE

    Il Sacrificio della Santa Messa è dono infinito del Cuore di Gesù ed insieme il sommo e perfetto atto di Culto.

    Nella S. Messa noi siamo effettivamente sacerdoti e vittime con Gesù.

    S. Margherita Maria ripetutamente affermava: «Il Cuore divino vuole che si celebri la 5. Messa in suo onore, specialmente in riparazione delle offese che riceve nel Sacramento dell'Eucaristia».

    Il 17 gennaio 1688 scriveva alla Madre D. Saumaise: «Come era vostro desiderio, mi sono rivolta al Sacro Cuore per... La mia domanda al principio mi parve respinta, ma alla fine sentii queste parole:

    «TI PROMETTO CHE NON RITRARRÒ MAI LA MIA MISERICORDIA DALLA SUA ANIMA, SE EGLI CORRISPONDERÀ ALLA GRAZIA; SI RIVOLGA AL MIO CUORE E IN OGNI PRIMO VENERDÌ DEL MESE FACCIA CELEBRARE O ASCOLTI UNA MESSA PER METTERSI SOTTO LA MIA PROTEZIONE».

    L'ORA SANTA

    L'Ora Santa è una praticà caratteristica del culto del Sacro Cuore; Gesù stesso la suggerì nella terza apparizione a S. Margherita Maria, e ne dettò le modalità:

    «Tutte le notti dal giovedì al venerdì ti farò partecipe della tristezza mortale che io provai nel Giardino degli Ulivi... per unirti a me nell'umile orazione che presentai allora al Padre mio; ti leverai tra le undici e la mezzanotte e starai prostrata in adorazione per un'ora con me, chiedendo misericordia per i peccatori, per addolcire l'amarezza che sentivo per l'abbandono degli Apostoli...».

    Chi non potesse farla di notte e per un'ora intera, vi supplisca in altra ora o per un tempo più breve. Quello che più conta in questa pratica, è il suo spirito proprio, cioè un'ora di intimità con l'Agonizzante divino, rivivendo l'ansietà del suo animo in quel Giardino di strazi, l'angoscia per la morte di croce, l'orrore e la ripugnanza dei peccatori, la delusione per la indifferenza dei buoni e la misconoscenza dei cattivi, il desiderio vivo di salvare i fratelli e lo zelo ardente di glorificare il Padre.

    La Santa discepola del Sacro Cuore assicura che coloro che faranno Ora Santa riceveranno grandi grazie dal Signore; essa infatti ottenne speciali favori proprio durante quell'Ora di intimità con Gesù Agonizzante.

    LA PRATICA DEL PRIMO VENERDI'

    Questa pratica è nota a tutti i buoni cristiani. E’ nata dalla GRANDE PROMESSA fatta dal Sacro Cuore di concedere a tutti quelli che si comunicheranno, per nove mesi consecutivi, la grazia della penitenza finale, la salvezza della propria anima.

    Questa pratica è diffusa in tutto il mondo, trasformando ogni Primo Venerdì del mese in una «piccola Pasqua».

    ANIME ZELANTI

    Dopo l'attività dei precursori e dei fondatori, sorsero molte associazioni che si specificano e si differenziano per fini particolari e per pratiche a cui di preferenza si orientano nella devozione al Sacro Cuore.

    Merita rilievo l'Apostolato della Preghiera. Questa associazione, ideata dal Padre Saverio Gautrelt S J. il 13 dicembre 1844, ebbe il primo nucleo tra gli aspiranti al sacerdozio.

    Gli Statuti della nuova associazione dicevano:

    «L'amore e la devozione al Sacro Cuore sono distintivi comuni a tutti gli iscritti, poichè, sebbene la devozione al Cuore di Gesù non costituisca il fine dell'Apostolato della Preghiera, ne è però il coefficiente diretto perché muove i singoli iscritti a darsi con maggior ardore alla pratica dell'orazione, rende più efficace la preghiera fatta in unione con questo Cuore divino, e perché ha lo stesso scopo dell'Apostolato, cioè promuovere la gloria di Dio».

    Questo Apostolato, pervaso dallo spirito della devozione al Sacro Cuore, ha fatto suo il messaggio affidato a S. Margherita.

  4. #14
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    IV PARTE

    ASPETTO MISTICO


    «Essendo il SS. Cuore di Gesù, fornace ardente di carità, simbolo ed espressiva immagine di quell'eterno amore col quale «Dio ha tanto amato gli uomini...» (Gv. 3, 16) il culto del S. Cuore contribuisce a far sì che le ricchezze dell'amore divino siano profondamente meditate e comprese perché i fedeli ne possano trarre forze sempre più vigorose per conformare decisamente la propria vita al Vangelo».

    (Paolo VI, Lett. Ap. «Investigabiles divitias Christi»)

    LE SOLENNI PROMESSE DEL SACRO CUORE

    1) Darò ai miei devoti tutte le grazie necessarie al loro stato.

    2) Metterò e conserverò la pace nelle loro famiglie.

    3) Li consolerò in tutte le loro pene.

    4) Sarò loro rifugio in vita e particolarmente in morte.

    5) Spargerò le più abbondanti benedizioni sopra tutte le loro imprese.

    6) I peccatori troveranno nel mio Cuore la sorgente e l'oceano della misericordia.

    7) Le anime tiepide diventeranno fervorose.

    8) Le anime fervorose saliranno presto a grande perfezione.

    9) Benedirò i luoghi dove sarà esposta e venerata l'immagine del mio Cuore.

    10) Ai sacerdoti darò il dono di commuovere i cuori più induriti.

    11) Le persone che propagheranno questa mia devozione avranno il loro nome scritto nel mio Cuore e non ne sarà cancellato.

    12) A tutti quelli che per nove mesi consecutivi sì comunicheranno il Primo Venerdì di ogni mese, lo prometto, nell'infinita misericordia del mio Cuore, la Grazia della penitenza finale; essi non morranno in mia disgrazia, ma riceveranno iSacramenti, perché il mio Cuore sarà loro asilo sicuro in quel momento estremo».

    «Queste Promesse sono una rivelazione dell'amore di Gesù e hanno lo scopo di guidare le menti a conoscere intimamente Cristo e di indurre i cuori ad amarLo ardentemente e generosamente imitarLo». (P. Gautrelt S.J.).

    Nella lettera 141 che S. Margherita Maria Alacoque indirizzò al suo Direttore Spirituale, le Promesse vengono distinte in tre classi: ai semplici fedeli, alle anime religiose e ai zelatori della devozione del Sacro Cuore.

    SPIEGAZIONE DELLE PROMESSE

    Con la I: «Darò al miei devoti tutte le grazie necessarie al loro stato» Gesù ci assicura della sua infinita munificenza (tutte le grazie) per compiere esattamente il dovere nostro in ogni momento, secondo la nostra vocazione speciale.

    La Il, la III, la IV e la V sono le Promesse per la vita terrena; considerate nel loro insieme danno l'immagine di una vita tranquilla e felice, vigilata e benedetta da una particolare predilezione del Cielo. Certo non mancheranno le prove; ma «Dio non turba mai le gioie dei suoi figli se non per prepararne una più certa e più grande». «Gesù, diceva la Santa, ci dà il suo Amore, che vale più di tutti gli altri doni».

    La VI, la VII e la VIII sono Promesse per la vita spirituale e «costituiscono, afferma. P. E. Agostini, il gruppo centrale, il più importante è il più consolante, perché mirano al bene supremo della vita nostra».

    Gesù incoraggia chi esita, risolleva chi cade, dà lo slancio ai buoni, apre ai fervorosi gli orizzonti delle più ardite ascensioni dello spirito. La IX Promessa è essenzialmente sociale, e P. Paolo Moro ne dà la seguente interpretazione. «Gesù vuole l'esposizione del suo adorabile Cuore, perché essa parla efficacemente a tutto l'uomo, attira lo sguardo fissandolo su di una immagine eloquente ed espressiva, ridesta nella memoria il ricordo di tante promesse e di tanta bontà, spinge la volontà a ricambiare l'amore con una vita più cristiana.

    Questa IX Promessa ha inoltre lo scopo di promuovere quel pubblico tributo di onore al quale Gesù ha diritto come Redentore dell'umanità, e quindi di riparare tutti gli atti con i quali è violato questo diritto.

    Le condizioni per assicurarsi tale benedizione sono due:

    1) Esporre l'immagine in luogo pubblico. Questo atto è importante, perché significa:

    A) Aperta professione di fede contro il dilagante ateismo e contro il rispetto umano;

    B) Condanna implicita di chi profanasse quei luoghi con peccati.

    C) Tacito invito ad innalzare lo sguardo a «QUEL CUORE CHE HA TANTO AMATO GLI UOMINI...».

    2) Venerare e onorare l'immagine. Il culto reso all'immagine è relativo, cioè l'atto di adorazione passa dall'immagine sensibile alla persona del Verbo, raffigurato nel simbolo della sua realtà più profonda: L'AMORE.

    La X e la XI Promessa costituiscono un energico richiamo all'apostolato, a prendere il proprio posto e assumere la propria responsabilità di fronte alla Chiesa e alla società.

    I Sacerdoti sull'altare, nel confessionale, sul pulpito, in patria e in terra di missione, ovunque sono strumenti della grazia, gli ambasciatori del perdono, i mediatori tra cielo e terra. Con loro, chiunque può esserlo; con la parola, con l'esempio, con la preghiera e col sacrificio; tutti possiamo essere banditori del Vangelo, messaggeri del S. Cuore.

    Oggetto delle Promesse fin'ora sono stati tutti quelli che si sarebbero rivolti al Sacro Cuore: sacerdoti, religiosi, buoni fedeli e persino i peccatori. Ma ricolmare di grazie un peccatore ribelle e ostinato, sia pur per mezzo di anime sante, è come voler illuminare chi tiene ostinatamente gli occhi chiusi.

    Il Cuore di Gesù si rivolge anche a questi, che sono i più infelici, i più esposti alla rovina eterna, e lo fa tramite i suoi ministri, ai quali dona quella virtù che vince ogni resistenza.

    La XI Promessa è un atto generoso di gratitudine divina. Gesù si sente quasi debitore verso i suoi zelatori e la sua regale bontà trascende ogni merito umano.

    Finalmente, la XII Promessa: è la più commovente: per le parole solenni ed affermative usate da Gesù; per la universalità che abbraccia tutte le anime; per la facilità che la rende possibile ad ogni ceto di persone; per la grazia Immensa che assicura: «LA SALVEZZA ETERNA».

    La perseveranza finale è il problema dei problemi. Per essa hanno trepidato i Santi:

    «Con timore e tremore operate la vostra salute», dice S. Pietro; e S. Paolo: «Chi sta in piedi cerchi dì non cadere» - «Castigo il mio corpo e lo riduco in servitù, affinché dopo aver predicato agli altri, non abbia a diventare reprobo io stesso» (1 Corinti 10, 27).

  5. #15
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    V PARTE

    ASPETTO MARIOLOGICO


    «La Madre di Gesù, come in cielo, glorificata ormai nel corpo e nell'anima, è immagine e inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell'età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante Popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione ....». (Lumen Gentium cap. V).

    IL CUORE IMMACOLATO DI MARIA

    Dopo di aver contemplato l'immenso amore del Cuore Sacratissimo di Gesù Redentore, viene spontaneo il desiderio di dare uno sguardo al Cuore Immacolato di Maria Santissima che, come dice Dante, è: «LA FACCIA CHE A CRISTO PIÙ SI ASSOMIGLIA».

    La Sacra Congregazione dei Riti, nel Decreto con cui estese a tutta la Chiesa la festa del Cuore Immacolato di Maria, dice: «Con questo culto la Chiesa rende al Cuore Immacolato di Maria l'onore che Le è dovuto, dato che, sotto il simbolo del cuore, essa venera la sua eminente santità e, specialmente, il suo ardente amore per Iddio, per Il Figlio Gesù, e Il suo amore materno per gli uomini, redenti dal Sangue Preziosissimo dì un Dio».

    Il nostro culto non si ferma al cuore, ma va alla persona amata della Figlia primogenita del Padre, alla Sposa fedele dello Spirito Santo, alla Madre del Verbo Incarnato e alla Madre di tutti i redenti dal Sangue di Cristo, che è il sangue suo.

    E poiché il cuore è il simbolo dell'amore non soltanto, ma anche dei sentimenti, delle intenzioni, delle virtù di una persona, la devozione al Cuore Immacolato di Maria onora tutta la sua persona, la sua intima vita di Immacolata, di Piena dl Grazia, di Madre di Dio, di Corredentrice.

    Mostrandoci il suo Cuore, come fece a Fatima, Maria chiede che onoriamo i grandi tesori che esso rappresenta e, come volesse con quel simbolo dare unità ai suoi eccelsi privilegi, alle sue grandezze e virtù, ci assicura che quanto vi è di più bello, di grazia, di santo in Lei, tutto va veduto nella luce del suo Amore.

    MOTIVI DI DEVOZIONE

    1) Divenne la Madre di Dio.

    Capolavoro di Dio, vagheggiata dalla eternità, piena di grazia fin dal suo Concepimento, raggiunse tale grado e pienezza di perfezione e di somma carità verso Dio, che Lo attirò a sé e Lo costrinse amorosamente a scender nel suo seno per farsi Uomo.

    Dio si fece suo Figlio, al suo «FIAT», atto liberalissimo della sua volontà, docile alla grazia, infiammata d'amore, palpitante nel Cuore Verginale.

    2) E divenuta la Madre degli uomini.

    Ha cooperato a generarci alla vita della grazia e di gloria, avendoci procurato il Redentore, e avendo preso parte intimamente al Sacrificio, con cui si è compiuta la nostra Redenzione.

    Sul Calvario si immedesimo con la Vittima, offerta in un unico sacrificio.

    L'amore immenso verso Dio e verso gli uomini, di cui era pieno il suo Cuore purissimo, la spinse al grande consenso.

    3) E’ la Mediatrice dl tutte le grazie.

    L'amore, che ha indotto Maria a cooperare col suo Figlio alla nostra Redenzione, la tiene ora occupata in Cielo in nostro favore perché ci salviamo e ci facciamo santi.

    «Con tutta verità e proprietà, dice Leo ne XIII nella sua Enciclica "Octavo mense", è lecito affermare che dell'immenso tesoro di ogni grazia recatici da Cristo... niente assolutamente viene a noi comunicato se non per mezzo di Maria».

    IL SUO CUORE IMMACOLATO CI RICORDA TUTTA L'OPERA DI AMORE CHE MARIA HA COMPIUTO E COMPIE PER NOI.

    LE APPARIZIONI DI FATIMA

    Maria affermò espressamente: E volontà di Dio che si stabilisca nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato per la conversione dei peccatori». Nello stesso tempo ha precisato chiaramente la forma di tale devozione chiedendo:

    1) La Consacrazione del mondo.

    2) La Comunione riparatrice al primo sabato del mese.

    3) La pratica dei primi cinque sabati del mese consecutivi.

    4) La recita del S. Rosario.

    5) La pratica dei fioretti.

    6) Il culto della sua immagine.

    In occasione del venticinquesimo anniversario delle apparizioni, Pio XII, in un radiomessaggio al popolo portoghese, CONSACRÒ AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA LA CHIESA E IL MONDO.

    La storica allocuzione terminava con questa ispirata preghiera, che può concludere nel migliore dei modi quanto è contenuto in questo libretto:

    «Come la Chiesa e il genere umano furono consacrati al Cuore del Vostro Gesù, perché, riponendo in Lui ogni speranza, Egli fosse per loro SEGNO E PEGNO DI «VITTORIA E DI SALVEZZA, così parimenti da oggi siamo in perpetuo consacrati anche a Voi ed al vostro Cuore Immacolato, o Madre nostra e Regina del mondo, affinché il Vostro amore e patrocinio affrettino il trionfo del Regno di Dio e tutte le genti, pacificate tra loro e con Dio, Vi proclamino beata, e con Voi intonino da una estremità al«l'altra della terra l'eterno "MAGNIFICAT" di gloria, di amore, di riconoscenza al «Cuore di Gesù, nel quale solo possiamo trovare la VERITÀ, la VITA e la PACE».

    LA MADRE DEL MARTIRE CROCIFISSO

    Maria ha di nuovo Gesù tra le braccia, diventa così un ostensorio sul mondo.

    Maria contempla il suo Gesù. L'ha dato agli uomini bello, vigoroso, pieno di fascino, ed ora...

    Su quel corpo c'è scritto un grande mistero: l'incontro di un amore infinito e di una iniquità schiacciante.

    Maria presenta il corpo di Gesù al Padre.

    La Vittima.

    Il prezzo della redenzione.

    Maria presenta Gesù a noi.

    Ci fa vedere l'opera nostra.

    Non c'è peccato che non sia scritto su quel corpo.

    E ci chiede di non peccare più.

    Ci mostra il rifugio nelle sue piaghe.

    Ci invita ad una illimitata fiducia

    nel Primo, Sommo ed Eterno Amore.

    (Per gentile concessione dell'Autore e del Direttore del «Messaggero del Sacro Cuore» mensile ufficiale dell'A. d. P.)

  6. #16
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    MISERENTISSIMUS REDEMPTOR

    ENCICLICA DEL PAPA PIO XI
    SULLA RIPARAZIONE AL SACRO CUORE

    AI VENERABILI NOSTRI FRATELLI PATRIARCHI, PRIMATI,
    ARCIVESCOVI ED AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
    NELLA PACE ED IN COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA.

    Venerabili Fratelli, salute e apostolica benedizione.


    INTRODUZIONE

    Il Redentore divino presente alla sua Chiesa sempre...


    1. - Il nostro misericordiosissimo Redentore, dopo aver compiuto sul legno della croce la salvezza del genere umano, prima di ascendere da questo mondo al Padre, nell'intento di sollevare gli apostoli e i discepoli dalla loro afflizione, disse: Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,30).

    Parole assai gradite e fonte di ogni speranza e di ogni sicurezza, che vengon da sé alla Nostra mente, Venerabili Fratelli, quando da questa, per chiamarla così, più alta specola, osserviamo la società umana afflitta da tanti mali e miserie, non che la Chiesa fatta oggetto, senza intermittenza, di attacchi e di insidie.

    Questa divina promessa, che sollevò gli animi abbattuti degli apostoli e così rianimati li accese e li infervorò di zelo per andare a spargere su tutta la terra il seme della dottrina evangelica, ha anche sostenuto in seguito la Chiesa, fino a farla prevalere sulle potenze degli inferi.

    ...ma in modo speciale nei tempi più critici

    2. - Sempre il Signore Gesù Cristo ha assistito la sua Chiesa, ma più potente è stato il suo aiuto e più efficace la sua protezione quando la Chiesa s'è trovata in pericoli e sciagure più gravi. Fu allora che nella sua divina sapienza, che "si estende da un confine all'altro con forza e governa con bontà eccellente ogni cosa" (Sap 8,1), offrì i rimedi più adatti alle esigenze dei tempi e delle circostanze.

    E non "si è accorciata la mano del Signore" (Is 59,1) in tempi a noi più vicini, come quando penetrò e largamente si diffuse l'errore che faceva temere che negli animi degli uomini, allontanati dall'amore e dalla familiarità con Dio, venissero a inaridirsi le fonti della vita cristiana.

    Argomento dell'Enciclica: la riparazione

    3. - C'è nel popolo cristiano chi ignora o non si cura di quel che l'amatissimo Gesù ha lamentato nelle sue apparizioni a Margherita Maria Alacoque e quel che ha indicato di aspettare e volere dagli uomini, in vista del loro stesso vantaggio.

    Perciò vogliamo, Venerabili Fratelli, trattenerci alquanto con voi a parlare di quella giusta riparazione che abbiamo il dovere di compiere verso il Cuore Sacratissimo di Gesù, affinché ciascuno di voi procuri diligentemente di insegnare ed esortare il proprio gregge a mettere in pratica quel che abbiamo in animo di esporvi.

    LA RIVELAZIONE DEL CUORE DI GESÙ PER I NOSTRI TEMPI

    Nel S. Cuore rivelate le ricchezze della bontà divina


    4. - Fra le testimonianze della benignità infinita del nostro Redentore, emerge in maniera particolare il fatto che mentre nei cristiani s'andava raffreddando l'amore verso Dio, è stata proposta la stessa carità divina ad essere onorata con speciale culto, e sono state chiaramente rivelate le ricchezze di questa bontà divina per mezzo di quella forma di devozione con cui si onora il Cuore Sacratissimo di Gesù, "nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza" (Col 2,3).

    Il Cuore di Gesù vessillo di pace e di amore

    5. - Infatti, come un tempo al genere umano che usciva dall'arca di Noè, Dio volle far risplendere "l'arcobaleno che appare sulle nubi" (Gn 2,14, in segno di alleanza e d'amicizia, così negli agitatissimi tempi più recenti, quando serpeggiava l'eresia giansenista -la più insidiosa fra tutte, nemica dell'amore e della pietà verso Dio- che predicava un Dio non da amarsi come padre ma da temersi come giudice implacabile, il benignissimo Gesù mostrò agli uomini il suo Cuore Sacratissimo, quasi vessillo spiegato di pace e di amore preannunziando certa vittoria nella battaglia..

    Nel Cuore di Gesù tutte le nostre speranze

    6. - Perciò, molto a proposito, il nostro predecessore di f.m., Leone XIII, nella sua Lettera Enciclica "Annum Sacrum" osservando la meravigliosa opportunità del culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, non dubitò di affermare: "Quando la Chiesa nascente era oppressa dal giogo dei Cesari, apparve in cielo al giovine imperatore una croce, auspice e in pari tempo autrice della splendida vittoria che seguì immediatamente. Ecco che oggi si offre ai nostri sguardi un altro consolantissimo e divinissimo segno: il Cuore Sacratissimo di Gesù, sormontato dalla croce, rilucente di splendidissimo candore tra le fiamme. In esso sono da collocarsi tutte le speranze, da esso è da implorare ed attendere la salvezza dell'umanità".

    Il Cuore di Gesù compendio della religione

    7. - Ed è giusto, Venerabili Fratelli. Infatti, in quel felicissimo segno e in quella forma di devozione che ne deriva, non è forse contenuto il compendio dell'intera religione e quindi la norma d'una vita più perfetta, dal momento che essa costituisce la via più spedita per condurre le menti a conoscere profondamente Cristo Signore e il mezzo più efficace per muovere gli uomini ad amarlo più intensamente e a imitarlo più fedelmente?

    Nessuna meraviglia, dunque, che i nostri predecessori abbiano sempre difeso questa ottima forma di culto dalle accuse dei denigratori e l'abbiano esaltata con grandi lodi e propagata con grande impegno, secondo le esigenze dei tempi e delle circostanze.

    Provvidenziale l'incremento di questa devozione

    8. - Ed è per ispirazione divina che la devozione dei fedeli verso il Cuore Sacratissimo di Gesù è andata crescendo di giorno in giorno, sono sorte pie Associazioni per promuovere il culto al divin Cuore, come pure la pratica, oggi largamente diffusa, di fare la Comunione ogni primo venerdì del mese, secondo il desiderio espresso da Gesù stesso.

    LA CONSACRAZIONE AL CUORE Dl GESÙ

    Significato della consacrazione


    9. - Tra gli atti che sono propri del culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, emerge -ed è da rammentarsi- la consacrazione, con la quale offriamo al Cuore divino di Gesù noi e tutte le nostre cose, riferendole all'eterna carità di Dio, da cui le abbiamo ricevute.

    E fu lo stesso Salvatore, il quale, mosso dal suo immenso amore per noi più che dal diritto che ne aveva, manifestò alla innocentissima discepola del suo Cuore, Margherita Maria quanto bramasse che tale ossequio di devozione gli venisse tributato dagli uomini. E lei per prima, insieme al suo padre spirituale Claudio de la Colombière, fece questa Consacrazione. Col tempo l'esempio fu seguito da singole persone, da famiglie private e associazioni, e poi anche da autorità civili, città e nazioni.

    La consacrazione argine contro l'empietà dilagante

    10. - In passato, e anche nel nostro tempo, per l'azione cospiratrice di uomini empi, s'è giunti a negare la sovranità di Cristo Signore e a dichiarare apertamente guerra alla Chiesa con la promulgazione di leggi e mozioni popolari contrarie al diritto divino e naturale, fino al grido di intere masse: "Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi" (Lc 19,14). Ma dalla consacrazione, di cui abbiamo parlato, erompeva e faceva vivo contrasto la voce unanime dei devoti de] S. Cuore, intesa a rivendicarne la gloria e affermare i suoi diritti: a Bisogna che Cristo regni" (1 Cor 15,25), "Venga il tuo regno"! Di qui il gioioso avvenimento della consacrazione al Cuore Sacratissimo di Gesù di tutto il genere umano - che per diritto nativo appartiene a Cristo, nel quale si ricapitolano tutte le cose (Cf Ef 1,10) - che all'inizio di questo secolo, tra il plauso di tutto il mondo cristiano, fu compiuta dal nostro predecessore Leone XIII di f.m.

    Consacrazione riaffermata con la festa di Cristo Re

    11. - Queste felici e confortanti iniziative, Noi stessi, come dicemmo nella nostra Enciclica "Quas primas" abbiamo condotto, per grazia di Dio, a pieno compimento, quando aderendo agli insistenti desideri e voti di moltissimi Vescovi e fedeli, al termine dell'anno giubilare, abbiamo istituito la Festa di Cristo Re dell'universo, da celebrarsi solennemente da tutto il mondo cristiano.

    Con questo atto non solo mettemmo in luce la suprema autorità che Cristo ha su tutte le cose, nella società sia civile che domestica e sui singoli uomini, ma pregustammo pure la gioia di quell'auspicatissimo giorno in cui il mondo intero, liberamente e coscientemente, si sottometterà al dominio soavissimo di Cristo Re.

    Perciò ordinammo pure che in occasione di tale festa, ogni anno si rinnovasse questa consacrazione. nell'intento di raccoglierne più sicuramente e più copiosamente il frutto, e stringere nel Cuore del Re dei re e Sovrano dei dominatori, tutti i popoli, in cristiana carità e comunione di pace.

    LA RIPARAZIONE

    Alla consacrazione segue la riparazione


    12. - A questi ossequi, e in particolare a quello della consacrazione - tanto fruttuosa in sé e che è stata come riconfermata con la solennità di Cristo Re - conviene che se ne aggiunga un altro, del quale, Venerabili Fratelli, vogliamo parlarvi alquanto più diffusamente: del dovere, cioè, della giusta soddisfazione o riparazione al Cuore Sacratissimo di Gesù.

    Nella consacrazione s'intende, principalmente, ricambiare l'amore del Creatore con l'amore della creatura; ma quando questo amore increato è stato trascurato per dimenticanza o oltraggiato con l'offesa, segue naturalmente il dovere di risarcire le ingiurie qualunque sia il modo con cui sono state recate.

    È quel dovere che comunemente chiamiamo "riparazione".

    Richiesta dalla giustizia e dall'amore

    13. - Sono le medesime ragioni che ci spingono sia alla consacrazione che alla riparazione. Vero è però che al dovere della riparazione e dell'espiazione siamo tenuti per un titolo più forte di giustizia e di amore. Di giustizia, perché dobbiamo espiare l'offesa recata a Dio con le nostre colpe e ristabilire con la penitenza l'ordine violato; di amore al fine di patire insieme con Cristo sofferente e "saturato di obbrobri" e recargli, per quanto può la nostra debolezza, qualche conforto.

    Siamo, infatti, peccatori e gravati di molte colpe; dobbiamo perciò rendere onore al nostro Dio non solo con quel culto che è diretto sia ad adorare, con i dovuti ossequi, la sua Maestà infinita, sia a riconoscere, mediante la preghiera, il suo supremo dominio e a lodare, con azioni di grazie, la sua infinita generosità; ma è necessario inoltre che offriamo anche a Dio giusto vindice, soddisfazioni per i nostri "innumerevoli peccati, offese e negligenze".

    Per questo, alla consacrazione per mezzo della quale ci offriamo a Dio e diventiamo a lui sacri - con quella santità e stabilità che è propria della consacrazione, come insegna l'Angelico (2-2, q. 81, a. 8, c.) - si deve aggiungere l'espiazione al fine di estinguere totalmente le colpe, affinché l'infinita santità e giustizia di Dio non abbia a rigettare la nostra proterva indegnità e rifiuti, anzi che gradire, il nostro dono.

    Dovere che grava su tutto il genere umano

    14. - Questo dovere di espiazione grava su tutto il genere umano, giacché, come insegna la fede cristiana, dopo la funesta caduta di Adamo, l'umanità, macchiata della colpa ereditaria, soggetta alle passioni e in stato di grave depravazione, avrebbe dovuto finire nell'eterna rovina.

    Non ammettono questo stato di cose i superbi sapienti del nostro tempo, i quali, seguendo il vecchio errore di Pelagio, rivendicano alla natura umana una bontà congenita, che di suo interno impulso spingerebbe a perfezione sempre maggiore.

    Ma queste false invenzioni della superbia umana sono respinte dall'Apostolo che ammonisce che a eravamo per natura meritevoli d'ira" (Ef 2,3). E di fatti, fin dagli inizi, gli uomini, hanno riconosciuto in qualche modo il debito che avevano d'una comune espiazione e mossi da naturale istinto si adoperarono a placare Dio anche con pubblici sacrifici.

    La riparazione adeguata fu offerta dal Redentore

    15. - Nessuna potenza creata però era sufficiente ad espiare le colpe degli uomini, se il Figlio di Dio non avesse assunto la natura umana per redimerla.

    È ciò che lo stesso Salvatore degli uomini annunziò per bocca del Salmista: "Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco io vengo" (Eb 10,5-7).

    E realmente "Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; è stato trafitto per i nostri delitti" (Is 53,4-5). a Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce" (1 Pt 2,24), "annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce" (Col 2,14), "perché non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia" (1 Pt 2,24).

    È richiesta però anche la nostra riparazione

    16. - È vero che la copiosa redenzione di Cristo ci ha abbondantemente perdonato tutti i peccati (Cf Col 2,13), tuttavia, in forza di quella mirabile disposizione della divina Sapienza per cui si deve completare nella nostra carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo, che è la Chiesa (Cf Col 1, 24), noi possiamo, anzi dobbiamo aggiungere le nostre lodi e soddisfazioni alle lodi e soddisfazioni che "Cristo tributò in nome dei peccatori".

    ... che ha valore per l'unione al sacrificio di Cristo

    17. - Si deve però sempre tenere a mente che tutto il valore espiatorio dipende dall'unico sacrificio cruento di Cristo, che senza intermittenza si rinnova nei nostri altari. Infatti "una sola e identica è la vittima, il medesimo è l'offerente che un tempo si offrì sulla croce e che ora si offre mediante il ministero dei sacerdoti; differente è solo il modo di offrire" (Conc. Trid. Sess. XXII, c. 2).

    A questo augustissimo sacrificio Eucaristico, perciò, si deve unire l'immolazione sia dei ministri che dei fedeli, in modo che anch'essi si dimostrino a ostie viventi, sante e gradite a Dio" (Rm 12,1).

    Anzi S. Cipriano non dubita di affermare che "non si celebra il sacrificio di Cristo con la conveniente santificazione, se alla passione di Cristo non corrisponde la nostra offerta e il nostro sacrificio" (Ep. 63, n. 381).

    Perciò ci ammonisce l'Apostolo che "portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù" (2 Cor 4,10), e sepolti con Cristo e completamente uniti a lui con una morte simile alla sua (Cf Rm 6,4-5), non solo crocifiggiamo la nostra carne con le sue passioni e i suoi desideri (Cf Gal 5,24) a fuggendo alla corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza" (2 Pt 1,4), ma anche che "la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo" (2 Cor 4,10) e resi partecipi del suo sacerdozio eterno, offriamo "doni e sacrifici per i peccati" (Eb 5,1).

    Tutti i cristiani partecipi del sacerdozio di Cristo...

    18. - Partecipi di questo misterioso sacerdozio e dell'ufficio di offrire soddisfazioni e sacrifici, non sono soltanto quelle persone delle quali il nostro Pontefice Cristo Gesù si serve come ministri per offrire l'oblazione pura al Nome divino, dall'oriente all'occidente in ogni luogo (Cf Ml 1,11), ma tutti i cristiani - chiamati a ragione dal Principe degli Apostoli "stirpe eletta, il sacerdozio regale" (1 Pt 2,9) - devono offrire per i peccati propri e per quelli di tutto il genere umano (Cf Eb 5,2), a un di presso come ogni sacerdote e pontefice "scelto fra gli uomini viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio" (Eb 5,1).

    E quanto più perfettamente la nostra oblazione e il nostro sacrificio saranno conformi al sacrificio del Signore -cosa che si compie immolando il nostro amor proprio e le nostre passioni e crocifiggendo la carne con quel genere di crocifissione di cui parla l' Apostolo- tanto più copiosi saranno i frutti di propiziazione e di espiazione che raccoglieremo per noi per gli altri.

    ...e per l'unione in Cristo si aiutano a vicenda

    19. - C'è, infatti, un mirabile legame dei fedeli con Cristo, simile a quello che vige tra il capo e le membra del corpo. Parimenti, per quella misteriosa comunione dei Santi, che professiamo per fede cattolica, sia gli uomini singoli che i popoli, non solo sono uniti fra loro, ma anche con Colui "che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura secondo l'energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità" (Ef 4,15-16). Che è quel che lo stesso Mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù, vicino a morire, domandò al Padre: "Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità" (Gv 17,23).

    LA RIPARAZIONE NEL CULTO AL CUORE Dl GESÙ

    La riparazione nell'intenzione di Gesù


    20. - La consacrazione esprime e rende stabile l'unione con Cristo; l'espiazione inizia questa unione con la purificazione dalle colpe, la perfeziona partecipando alle sofferenze di Cristo e la porta all'ultimo culmine offrendo sacrifici per i fratelli.

    Tale appunto fu l'intenzione che il misericordioso Signore Gesù ci volle far conoscere nel mostrare il suo Cuore con le insegne della passione e le fiamme indicanti l'amore, che cioè riconoscendo noi da una parte l'infinita malizia del peccato e dall'altra ammirando l'infinita carità del Redentore, detestassimo più vivamente il peccato e rispondessimo con maggior ardore al suo amore.

    Preminenza della riparazione nel culto al S. Cuore

    21. - Lo spirito di espiazione e di riparazione ha avuto sempre la prima e principale parte nel culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, e tale spirito è senza dubbio il più conforme all'origine, all'indole, all'efficacia e alle pratiche proprie di questa devozione, come appare dalla storia, dalla prassi, dalla liturgia e dagli atti dei Sommi Pontefici.

    Infatti, nel manifestarsi a Margherita Maria, Gesù, mentre proclamava l'immensità del suo amore, al tempo stesso, in atteggiamento di addolorato, si lamentò dei molti e gravi oltraggi che gli venivano recati dagli uomini ingrati, e pronunziò queste parole che dovrebbero rimanere sempre scolpite nelle anime pie e mai dimenticate: "Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini e li ha ricolmati di ogni genere di benefici, e che in cambio del suo amore infinito non solo non ha avuto alcuna gratitudine, ma, al contrario, dimenticanza, indifferenza, oltraggi, e questi recati, a volte, anche da coloro che sono tenuti per dovere, a rispondere con uno speciale amore".

    Atti di riparazione richiesti da Gesù stesso

    22. - In riparazione di tali colpe, tra le molte altre cose, raccomandò questi atti, a Lui graditissimi; che cioè i fedeli, con l'intenzione di riparare si accostassero alla S. Comunione - chiamata perciò "Comunione riparatrice" - e compissero atti e preghiere di riparazione per un'ora intera, che per questo viene giustamente chiamata "Ora santa".

    Tali pratiche la Chiesa non solo le ha approvate ma le ha anche arricchite di favori spirituali.

    Come si può consolare il Cuore di Gesù glorioso

    23. - Ma, se Cristo regna ora glorioso in cielo, come può venir consolato da questi nostri atti di riparazione? "Dà un'anima amante, e comprenderà ciò che dico", rispondiamo con le parole di S. Agostino (Sul Vang. di Giovanni, tr XXVI, 4) che qui vengono a proposito.

    Infatti, un'anima ardente di amor di Dio, guardando il passato vede e contempla Gesù affaticato per il bene dell'umanità, addolorato e sottoposto alle prove più dure; lo vede "per noi uomini e per la nostra salvezza" oppresso da tristezza, angoscia, quasi annientato dagli obbrobri, "schiacciato per le nostre iniquità" (Is 53,5) e che con le sue piaghe ci guarisce. Queste cose le anime pie le meditano con maggiore aderenza alla realtà per il fatto che i peccati e i delitti, in qualsiasi tempo siano stati commessi, costituiscono la causa per cui il Figlio di Dio fu dato a morte, e anche al presente cagionerebbero a Cristo la morte accompagnata dai medesimi dolori ed angosce, dal momento che ogni peccato rinnova in qualche modo la passione del Signore: "Per loro conto crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all'infamia" (Eb 6,6).

    Pertanto, se a motivo dei nostri peccati che sarebbero stati commessi nel futuro, ma che furono previsti allora, l'anima di Cristo divenne triste fino alla morte, non vi può esser dubbio che abbia provato anche qualche conforto già da allora a motivo della nostra riparazione anch'essa prevista, quando "gli apparve un angelo dal cielo" (Lc 22,43) per consolare il suo Cuore oppresso dalla tristezza e dall'angoscia.

    Sicché, anche ora, in modo mirabile ma vero, noi possiamo e dobbiamo consolare quel Cuore Sacratissimo che viene continuamente ferito dai peccati degli uomini ingrati. Ed è Cristo stesso, come si legge nella Liturgia, che si duole per bocca del Salmista dell'abbandono dei suoi amici: "L'insulto ha spezzato il mio cuore e vengo meno. Ho atteso compassione, ma invano, consolatori, ma non ne ho trovati" (Sal 68,21).

    Si consola Gesù anche nelle sue membra sofferenti

    24. - A ciò s'aggiunga che la passione espiatrice di Cristo si rinnova e in certo modo continua e si completa nel suo corpo mistico, che è la Chiesa.

    Infatti, per servirci ancora delle parole di S. Agostino, "Cristo patì tutto quello che doveva patire; ormai nulla più manca al numero dei patimenti. Dunque i patimenti sono completi, ma nel capo; rimanevano ancora le sofferenze di Cristo da compiersi nel corpo" (In Sal 86).

    Che è quel che il Signore Gesù stesso ha voluto dichiarare quando, parlando a Saulo "sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli" (At 9,1), disse: "Io sono Gesù, che tu perseguiti" (At 9,5).

    Con ciò significò chiaramente che le persecuzioni mosse alla Chiesa, andavano a colpire e affliggere lo stesso capo della Chiesa.

    Giusto, dunque, che Cristo, sofferente ancora adesso nel suo corpo mistico, voglia averci compagni della sua espiazione, cosa che richiede la stessa nostra unione con Lui, perché essendo noi "corpo di Cristo e sue membra" (1 Cor 12,27), ciò che soffre il capo bisogna che con lui soffrano anche le membra (Cf 1 Cor 12,26).

    LA RIPARAZIONE RICHIESTA PER I NOSTRI TEMPI

    Offensiva attuale contro Dio e la cristianità


    25. - Quanto sia urgente, specialmente in questo nostro tempo, l'espiazione o riparazione appare manifesto, come abbiamo detto all'inizio, a chiunque osservi con gli occhi e la mente questo mondo che giace sotto il potere del maligno" (1 Gv 5,19).

    Da ogni parte giunge a Noi il grido di popoli afflitti, dove capi e governanti sono, nel vero senso, insorti e congiurano insieme contro il Signore e contro la sua Chiesa (Cf Sal 2,2).

    Vediamo in quelle regioni calpestato ogni diritto divino e umano. I templi demoliti e distrutti, i religiosi e le sacre vergini cacciati dalle loro case, insultati, tormentati, affamati, imprigionati; strappati dal grembo della madre Chiesa schiere di fanciulli e fanciulle, spinti a negare e a bestemmiare Cristo e a commettere i peggiori crimini di lussuria; il popolo cristiano gravemente minacciato e oppresso, e in continuo pericolo di apostatare dalla fede o andare incontro a morte anche la più atroce.

    Cose tanto tristi, che con tali avvenimenti sembra si preannunzi e si anticipi fin da ora "l'inizio dei dolori", quali apporterà "l'uomo iniquo che s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto" (2 Ts 2,4).

    Deficienze tra i cristiani

    26. - Ma è ancor più doloroso il fatto, Venerabili Fratelli, che tra gli stessi cristiani, lavati col sangue dell'Agnello immacolato nel battesimo e arricchiti della sua grazia, ce ne siano tanti, appartenenti ad ogni classe, i quali ignorando in maniera incredibile le verità divine e infetti da false dottrine, vivono una vita viziosa, lontana dalla casa del Padre; una vita che non è illuminata dalla vera fede, non confortata dalla speranza nella futura beatitudine, non sostenuta né ravvivata dall'ardore della carità, sicché sembra davvero che costoro siano nelle tenebre e nell'ombra di morte.

    Inoltre, va sempre più crescendo tra i fedeli la noncuranza della disciplina ecclesiastica e delle antiche istituzioni, da cui è sorretta tutta la vita cristiana, regolata la società domestica e difesa la santità del matrimonio.

    Trascurata affatto è poi o deformata da troppe delicatezze e lusinghe l'educazione dei fanciulli e perfino tolta alla Chiesa la facoltà di educare cristianamente la gioventù.

    Il pudore cristiano purtroppo dimenticato nel modo di vivere e di vestire, specialmente nelle donne. Insaziabile la cupidigia dei beni transitori, gli interessi civili predominanti, sfrenata la ricerca del favore popolare rifiutata la legittima autorità, disprezzata la parola di Dio, per cui la fede stessa vacilla o è messa in grave pericolo. Al complesso di questi mali si aggiunge l'ignavia e l'infingardaggine di coloro che, a somiglianza degli apostoli addormentati o fuggitivi, mal fermi nella fede, abbandonano Cristo oppresso dai dolori e circondato dai satelliti di Satana. E c'è anche la perfidia di coloro che seguendo l'esempio di Giuda traditore, con sacrilega temerarietà si accostano all'altare o passano al campo nemico.

    E così, anche senza volerlo, si presenta alla mente il pensiero che si stiano avvicinando i tempi predetti dal Signore: a Per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà" (Mt 24,12).

    Ci sono però anche confortanti reazioni

    27. - Riflettendo su queste cose i buoni fedeli, infiammati d'amore per Cristo sofferente, non potranno fare a meno di dedicarsi ad espiare con maggiore impegno le proprie colpe e quelle commesse da altri, risarcire l'onore di Cristo e promuovere la salvezza delle anime.

    E possiamo davvero descrivere la nostra età adattando in qualche modo il detto dell'Apostolo: "Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia" (Rm 5,20).

    Infatti, è vero che è cresciuta di molto la perversità degli uomini, ma è anche vero che va meravigliosamente aumentando, per impulso dello Spirito Santo, il numero dei fedeli dell'uno e dell'altro sesso, i quali con animo volenteroso si adoperano a dare soddisfazione al divin Cuore per tante ingiurie che gli si recano e giungono anche ad offrire a Cristo le loro stesse persone come vittime.

    Certo che chi riflette con spirito di amore a quanto abbiamo fin qui rammentato e l'imprime, per così dire, nell'intimo del cuore, arriverà non solo ad aborrire il peccato come il sommo dei mali e a fuggirlo, ma anche ad abbandonarsi totalmente alla volontà di Dio e risarcire l'onore leso della divina Maestà con la preghiera assidua, le volontarie penitenze e col sopportare pazientemente le eventuali calamità, fino a vivere tutta la vita in spirito di riparazione.

    E così che sono sorte molte famiglie religiose di uomini e di donne, le quali, con ambito servizio, si propongono di fare in qualche modo, giorno e notte, le veci dell'Angelo che conforta Gesù nell'orto.

    Di qui pure le pie associazioni di uomini, approvate dalla Sede Apostolica e arricchite di indulgenze, che si assumono il compito dell'espiazione con opportuni esercizi di pietà e atti di virtù.

    Di qui, infine, per non parlare di altre, quelle pratiche religiose e solenni attestazioni d'amore, introdotte allo scopo di riparare l'onore divino violato, usate frequentemente non solo da singoli fedeli ma anche da parrocchie, diocesi e città.

    Atto di riparazione da farsi nella festa del S. Cuore

    28. - Ebbene, Venerabili Fratelli, come la pratica della consacrazione, cominciata da umili inizi e poi largamente diffusasi, ha raggiunto lo splendore desiderato con la nostra conferma, così grandemente bramiamo che la pratica di questa espiazione o riparazione, già da tempo santamente introdotta e propagata, abbia con la nostra apostolica autorità il più fermo suggello e diventi più solenne e universale nel mondo cattolico.

    Stabiliamo perciò e ordiniamo che tutti gli anni, nella festa del Cuore Sacratissimo di Gesù - che in questa occasione abbiamo disposto che sia elevata al grado di doppio di prima classe con ottava - in tutte le Chiese del mondo si reciti solennemente, con la formula di cui uniamo esemplare in questa Lettera, la preghiera espiatrice o ammenda onorevole, com'è chiamata, per esprimere con essa il pentimento delle nostre colpe e risarcire i diritti violati di Cristo sommo Re e Signore amatissimo.

    Frutti che si sperano

    29. - Non dubitiamo, Venerabili Fratelli, che da questa pratica santamente rinnovata ed estesa a tutta la Chiesa, molti e segnalati siano i beni che ne verranno non solo alle singole persone, ma anche alla società religiosa, civile e domestica.

    Lo stesso Redentore nostro, infatti, ha promesso a Margherita Maria che "avrebbe colmato con l'abbondanza delle sue grazie celesti tutti coloro che avessero reso questo onore al suo Cuore".

    I peccatori "volgendo lo sguardo a colui che hanno trafitto" (Gv 19,37) e commossi dai gemiti e dalle lacrime di tutta la Chiesa, pentiti per le ingiurie recate al Sommo Re, "rientreranno in se stessi" (Cf Is 46,8), perché non avvenga che ostinandosi nei loro peccati, quando vedranno "venire sulle nubi del cielo" (Mt 26,64) colui che trafissero, troppo tardi e inutilmente piangano su di Lui (Cf Ap 1,7). I giusti diventeranno più giusti e più santi (Cf Ap 22,11 ) e si consacreranno con rinnovato fervore al servizio del loro Re che vedono tanto disprezzato e combattuto e oggetto di tante e così gravi ingiurie. Soprattutto s'infiammeranno di zelo per la salvezza delle anime, nel meditare il lamento della vittima divina: "Quale vantaggio dal mio sangue" (Sal 29,10), e nel riflettere al gaudio che avrà quel Sacratissimo Cuore "per un peccatore convertito" (Lc 15,7).

    Ma quel che principalmente desideriamo e speriamo è che la giustizia divina, la quale per dieci giusti avrebbe usato misericordia e perdonato a Sodoma, molto più voglia perdonare a tutto il genere umano, in vista delle suppliche e delle riparazioni che dappertutto innalza la comunità dei fedeli, insieme con Cristo Mediatore e Capo.

    Sia propizia Maria Riparatrice

    30. - Sia propizia a questi nostri voti e a queste nostre disposizioni la benignissima Vergine Madre di Dio, la quale col dare alla luce il nostro Redentore, col nutrirlo e offrirlo come vittima sulla croce, per la mirabile unione con Cristo e per sua grazia del tutto singolare, è divenuta anch'essa Riparatrice e come tale è piamente invocata.

    Noi confidiamo nella sua intercessione presso Cristo, il quale pur essendo il solo "Mediatore fra Dio e gli uomini" (1 Tm 2,5) volle associarsi la Madre come avvocata dei peccatori, dispensatrice e mediatrice di grazia.

    L'apostolica benedizione

    31. - Auspice dei divini favori e in testimonianza della paterna nostra benevolenza, a Voi, Venerabili Fratelli, e all'intero gregge affidato alle vostre cure, impartiamo di cuore l'apostolica benedizione.

    Dato a Roma presso S. Pietro, il giorno 8 del mese di maggio dell'anno 1928, settimo del nostro Pontificato.

    Pio Papa XI

    ---------------------------------------------------------------------------

    ATTO DI RIPARAZIONE AL CUORE SACRATISSIMO Dl GESÙ

    Prostrati dinanzi al tuo altare, noi intendiamo riparare con particolari attestazioni di onore una così indegna freddezza e le ingiurie con le quali da ogni parte viene ferito dagli uomini il tuo amatissimo Cuore.

    Gesù dolcissimo: il tuo amore immenso per gli uomini viene purtroppo, con tanta ingratitudine, ripagato di oblio, di trascuratezza, di disprezzo.

    Memori però che pure noi altre volte ci macchiammo di tanta ingratitudine, ne sentiamo vivissimo dolore e imploriamo la tua misericordia.

    Desideriamo riparare con volontaria espiazione non solo i peccati commessi da noi, ma anche quelli di coloro che, errando lontano dalla via della salvezza, ricusano di seguire Te come pastore e guida, ostinandosi nella loro infedeltà, o, calpestando le promesse del Battesimo, hanno scosso il soavissimo giogo della tua legge.

    E mentre intendiamo espiare il cumulo di sì deplorevoli delitti, ci proponiamo di ripararli ciascuno in particolare:

    l'immodestia e le brutture della vita e dell'abbigliamento;

    le insidie tese alle anime innocenti dalla corruzione dei costumi; la profanazione dei giorni festivi; le ingiurie scagliate contro di Te e i tuoi Santi;

    gli insulti rivolti al tuo Vicario e l'ordine sacerdotale; le negligenze e gli orribili sacrilegi con i quali è profanato lo stesso Sacramento dell'amore divino

    e in fine le colpe pubbliche delle nazioni che osteggiano i diritti e il magistero della Chiesa da Te fondata.

    Intanto come riparazione dell'onore divino conculcato, Ti presentiamo quella soddisfazione che Tu stesso offristi un giorno sulla croce al Padre e che ogni giorno si rinnova sugli altari: Te l'offriamo accompagnata con le espiazioni della Vergine Madre, di tutti i Santi e delle anime pie.

    Promettiamo con tutto il cuore di voler riparare, per quanto potremo, con l'aiuto della tua grazia, i peccati commessi da noi e dagli altri e l'indifferenza verso sì grande amore, con la fermezza della fede, la santità della vita, l'osservanza perfetta della legge evangelica e specialmente della carità.

    Inoltre d'impedire, con tutte le forze, le ingiurie contro di Te e attrarre quanti più potremo, a seguire e imitare Te.

    Accogli, te ne preghiamo, o benignissimo Gesù, per intercessione della B.V. Maria Riparatrice, questo volontario ossequio di riparazione, e conservaci nella fedele obbedienza a Te e nel tuo servizio fino alla morte, col dono della perseveranza, così che possiamo un giorno pervenire a quella patria, dove Tu col Padre e con lo Spirito Santo vivi e regni, Dio, per tutti i secoli dei secoli.

    Amen.

  7. #17
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    CARITATE CHRISTI COMPULSI

    ENCICLICA DEL PAPA PIO XI
    SUL SACRO CUORE

    AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, PRIMATI,
    ARCIVESCOVI, VESCOVI ED AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
    NELLA PACE ED IN COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA.

    Venerabili Fratelli, salute e apostolica benedizione.


    Sulle preghiere ed espiazioni da offrire al Sacratissimo Cuore di Gesù nella presente stretta dell'umanità.

    La carità di Cristo Ci spinse ad invitare, con l'Enciclica "Nova impendet" del 2 ottobre dell'anno scorso, tutti i figli della Chiesa Cattolica, anzi tutti gli uomini di cuore, a stringersi in una santa crociata di amore e di soccorso, onde alleviare alquanto le terribili conseguenze della crisi economica in cui si dibatte il genere umano. E veramente con mirabile e concorde slancio risposero al nostro appello la generosità ed operosità di tutti. Ma il disagio è andato crescendo, il numero dei disoccupati in quasi tutte le regioni è salito, e di ciò profittano i partiti sovversivi per la loro propaganda; onde l'ordine pubblico è sempre più minacciato e il pericolo del terrore o dell'anarchia incombe sempre più gravemente sulla società. In tale stato di cose la stessa carità di Cristo Ci stimola a rivolgerCi di nuovo a voi, Venerabili Fratelli, ai vostri fedeli, a tutto il mondo per esortare tutti ad unirsi ed opporsi con tutte le forze ai mali che opprimono l'intera umanità e a quelli ancora peggiori che la minacciano.

    Se riandiamo con la mente la lunga e dolorosa serie di mali che, triste retaggio del peccato, hanno segnato all'uomo decaduto le tappe del pellegrinaggio terreno, dal diluvio in poi difficilmente c'incontriamo in un disagio spirituale e materiale così profondo, così universale, come quello che ora attraversiamo: anche i più grandi flagelli, che pure lasciarono tracce indelebili nella vita e nella memoria dei popoli, si abbattevano ora sopra una nazione, ora sopra l'altra. Ora invece l'umanità intera è così tenacemente stretta dalla crisi finanziaria ed economica, che quanto più si dimena, tanto più insolubili ne sembrano i lacci; non vi è popolo, non vi è Stato, non società o famiglia, che in un modo o in un altro, direttamente o indirettamente, più o meno, non ne senta il contraccolpo. Coloro stessi, assai pochi di numero, che sembrano avere nelle loro mani insieme con le ricchezze più ingenti le sorti del mondo; quegli stessi pochissimi uomini, che con le loro speculazioni sono stati e sono in gran parte la causa di tanto male, ne sono essi stessi ben sovente le prime e più clamorose vittime, trascinando seco nell'abisso le fortune di innumerevoli altri; verificandosi in modo terribile e per tutto il mondo quello che lo Spirito Santo aveva già proclamato per i singoli peccatori: "Per quelle cose per le quali uno pecca, per le medesime è tormentato" (Sap. XI, 17).

    Lagrimevole condizione di cose, Venerabili Fratelli, che fa gemere il Nostro cuore paterno e Ci fa sentire sempre più intimamente il bisogno di imitare secondo la Nostra pochezza il sublime sentimento del Cuore SS. di Gesù: "Ho compassione di questo popolo" (Marc. VIII, 2). Ma ancor più lagrimevole è la radice da cui pullula questa condizione di cose: poiché, se è sempre vero quello che afferma lo Spirito Santo per bocca di San Paolo: "Radice di tutti i mali è la cupidigia" (I Tim. VI, 10), molto più ciò vale nel caso presente.

    E non è forse quella cupidigia dei beni terreni, che il Poeta pagano chiamava già con giusto sdegno "l'esecranda fame dell'oro" (Virgilio, Eneide, 111, 57); non è forse quel sordido egoismo, che troppo spesso presiede alle mutue relazioni individuali e sociali; non è insomma la cupidigia, qualunque ne sia la specie e la forma, quella che ha trascinato il mondo all'estremo che tutti vediamo e tutti deploriamo? Dalla cupidigia, infatti, proviene la mutua diffidenza che inaridisce ogni commercio umano; dalla cupidigia, l'esosa invidia che fa considerare come proprio danno ogni vantaggio altrui; dalla cupidigia, il gretto individualismo che tutto ordina e subordina al proprio vantaggio senza badare agli altri, anzi conculcando crudelmente ogni diritto altrui. Di qui il disordine e lo squilibrio ingiusto, per cui si vedono le ricchezze delle nazioni accumulate nelle mani di pochissimi privati che regolano a loro capriccio il mercato mondiale, con danno immenso delle masse, come abbiamo esposto l'anno scorso nella Nostra Lettera Enciclica "Quadragesimo anno".

    Se questo stesso egoismo - abusando del legittimo amor di patria e spingendo all'esagerazione quel sentimento di giusto nazionalismo, che il retto ordine della carità cristiana non solo non disapprova, ma regolando santifica e vivifica - si insinua nelle relazioni tra popolo e popolo, non vi è eccesso che non sembri giustificato; e ciò che tra individui sarebbe da tutti giudicato riprovevole, viene considerato ormai come lecito e degno d'encomio se si compie in nome di tale esagerato nazionalismo. Invece della grande legge dell'amore e della fraternità umana, che tutte le genti e tutti i popoli abbraccia e stringe in una sola famiglia con un solo Padre che sta nei Cieli, subentra l'odio che spinge tutti alla rovina. Nella vita pubblica si calpestano i sacri principi che erano la guida di ogni convivere sociale, vengono manomessi solidi fondamenti del diritto e della fedeltà su cui lo Stato dovrebbe basarsi, sono violate e chiuse le sorgenti di quelle antiche tradizioni che nella fede di Dio e nella fedeltà della Sua legge vedevano le basi più sicure del vero progresso dei popoli.

    Approfittando di tanto disagio economico e di tanto disordine morale i nemici di ogni ordine sociale - si chiamino essi comunisti, o altro ne sia il nome - ed è questo il male più tremendo dei nostri tempi, audacemente si adoperano a rompere ogni freno, a spezzare ogni vincolo di legge divina o umana, ad ingaggiare apertamente e in segreto la lotta più accanita contro la Religione, contro Dio stesso, svolgendo il diabolico programma di schiantare dal cuore di tutti, perfino dei bambini, ogni sentimento religioso, poiché sanno molto bene che, tolta dal cuore dell'umanità la fede in Dio, essi potranno fare tutto quello che vorranno. E così vediamo oggi ciò che mai si vide nella storia, spiegate cioè al vento senza ritegno le sataniche bandiere della guerra contro Dio e contro la Religione in mezzo a tutti i popoli e in tutte le parti della terra.

    Non mancarono mai gli empi, non mancarono mai neppure i negatori di Dio; ma erano relativamente pochi, singoli e singolari e non osavano o non credevano opportuno di svelare troppo apertamente il loro empio pensiero, come pare voglia insinuare lo stesso ispirato Cantore dei Salmi quando esclama: "Disse lo stolto in cuor suo: Dio non c'è " (Psal. LIII, 1). L'empio, l'ateo, uno fra la moltitudine, nega Dio, suo Creatore, ma nel segreto del suo cuore. Oggi invece l'ateismo ha già pervaso larghe masse di popolo; con le sue organizzazioni si insinua anche nelle scuole popolari, si manifesta nei teatri, e per diffondersi si vale di proprie pellicole cinematografiche, del grammofono, della radio; con tipografie proprie stampa opuscoli in tutte le lingue; promuove speciali esposizioni, pubblici cortei; ha costituito propri partiti politici, proprie formazioni economiche e militari. Questo ateismo organizzato e militante lavora instancabilmente per mezzo dei suoi agitatori con conferenze e illustrazioni, con tutti i mezzi di propaganda occulta e manifesta in tutte le classi, in tutte le strade, in ogni sala, dando a questa nefasta operosità l'appoggio morale delle proprie Università e stringendo gli incauti tra i vincoli potenti della sua forza organizzatrice. Al vedere tanta operosità posta al servizio di una causa cosi iniqua, Ci viene davvero spontaneo alla mente e al labbro il mesto lamento di Cristo: "I figli di questo secolo sono nel loro genere più avveduti dei figli della Luce" (Luc. XVI, 8).

    I duci poi di questa campagna di ateismo, traendo partito dalla crisi economica attuale, con dialettica infernale cercano la causa di questa universale miseria. La Santa Croce del Signore, simbolo di umiltà e povertà, viene posta insieme con i simboli del moderno imperialismo, come se la Religione fosse alleata con quelle forze tenebrose che producono tanti mali in mezzo agli uomini. così tentano, e non senza effetto, di congiungere la guerra contro Dio con la lotta per il pane quotidiano, con la brama di possedere un terreno proprio, di avere salari convenienti, abitazioni decorose, una condizione di vita insomma che convenga all'uomo. I più legittimi e necessari desideri come gli istinti più brutali, tutto serve al loro programma antireligioso; come se l'ordine divino stesse in contraddizione col bene dell'umanità e non ne fosse, al contrario, l'unica sicura tutela; come se le forze umane con i mezzi della moderna tecnica potessero combattere le forze divine per introdurre un nuovo e migliore ordinamento di cose.

    Orbene, tanti milioni di uomini, credendo di lottare per l'esistenza, si aggrappano purtroppo a tali teorie con un totale capovolgimento della verità, e schiamazzano contro la Religione. Né questi assalti sono solamente diretti contro la Religione cattolica, ma contro quanti riconoscono ancora Dio come Creatore del Cielo e della terra e come assoluto Signore di tutte le cose. E le società segrete che sono sempre pronte ad appoggiare la lotta contro Dio e contro la Chiesa, da qualunque parte venga, non mancano di rinfocolare sempre più questo odio insano, che non può dare né la pace né la felicità a veruna classe sociale, ma condurrà certamente tutte le nazioni alla rovina.

    Così questa nuova forma di ateismo, mentre scatena i più violenti istinti dell'uomo, con cinica impudenza proclama che non ci sarà né pace né benessere sulla terra finché non sia sradicato fino all'ultimo avanzo di Religione e non sia soppresso l'ultimo suo rappresentante. Come se con ciò potesse venir soffocato il mirabile concerto nel quale la creatura canta la gloria del Creatore (Cfr. Psal. XVIII, 2).

    Sappiamo molto bene, Venerabili Fratelli, che vani sono tutti questi sforzi, e che nell'ora da Lui stabilita "si leverà Iddio e si disperderanno i suoi nemici" (Psal. LXVIII, l); sappiamo che "non prevarranno le porte dell'inferno" (Matth. XVI, 18); sappiamo che il nostro Divin Redentore, come fu di Lui predetto, "con la verga della sua bocca percuoterà la terra e col soffio delle sue labbra darà morte all'empio" (Is. XI, 4) e terribile soprattutto sarà per quegl'infelici l'ora in cui cadranno "nelle mani di Dio vivo" (Hebr. X, 31). E questa fiducia inconcussa nel finale trionfo di Dio e della Chiesa Ci viene, per l'infinita bontà del Signore, ogni giorno confermata dalla vista consolante dello slancio generoso di innumerevoli anime verso Dio in tutte le parti del mondo e in tutte le classi sociali. E' davvero un soffio potente dello Spirito Santo quello che ora passa su tutta la terra, attirando specialmente le anime giovanili ai più alti ideali cristiani, elevandole al di sopra di ogni rispetto umano, rendendole pronte ad ogni anche più eroico sacrificio; un soffio divino, che scuote tutte le anime anche loro malgrado, e fa sentire un interno travaglio, una vera sete di Dio anche a quelle che non osano confessarla. Anche il Nostro invito ai laici di partecipare all'apostolato gerarchico nelle file dell'Azione Cattolica è stato dappertutto docilmente e generosamente accolto; va crescendo continuamente nelle città e nelle campagne il numero di coloro che con tutte le forze si adoprano alla propaganda dei principi cristiani e alla loro attuazione pratica anche nella vita pubblica, mentre essi stessi si studiano di confermare le loro parole con gli esempi della loro vita intemerata.

    Ma nondimeno, davanti a tanta empietà, a tanta rovina di tutte le più sante tradizioni, a tanta strage di anime immortali, a tanta offesa della Divina Maestà non possiamo, Venerabili Fratelli, non effondere tutto l'acerbo dolore che ne proviamo; non possiamo non alzare la Nostra voce e con tutta l'energia del petto apostolico prendere le difese dei conculcati diritti di Dio e dei più sacri sentimenti del cuore umano che Dio ha in assoluto bisogno. Tanto più che queste falangi invase dallo spirito diabolico non si contentano di schiamazzare, ma uniscono tutte le loro forze per eseguire quanto prima i loro nefasti disegni. Guai all'umanità, se Dio, sì vilipeso dalle Sue creature, lasciasse nella Sua giustizia libero corso a questa fiumana devastatrice e si servisse di essa come di flagello per castigare il mondo!

    E' dunque necessario, Venerabili Fratelli, che instancabilmente "ci poniamo di contro qual muro per la casa d'Israele" (Ezech. XIII, 5), unendo anche noi tutte le forze nostre in un'unica e solida fronte compatta contro le malvagie falangi, nemiche di Dio non meno che del genere umano. Difatti in questa lotta si discute veramente il problema fondamentale dell'universo e si tratta la più importante decisione proposta alla libertà umana: per Iddio o contro Dio, è questa di nuovo la scelta che deve decidere le sorti di tutta l'umanità; nella politica, nella finanza, nella moralità, nelle scienze, nelle arti, nello Stato, nella società civile e domestica, in Oriente, in Occidente, dappertutto si affaccia questo problema come decisivo per le conseguenze che ne derivano. Sicché gli stessi rappresentanti di una concezione del tutto materialistica del mondo vedono sempre ricomparirsi davanti la questione dell'esistenza di Dio che credevano già soppressa per sempre e sono sempre costretti a riprenderne la discussione. Noi quindi scongiuriamo nel Signore tanto i singoli che le nazioni a voler deporre, davanti a tali problemi e in tempi di sì accanite lotte vitali per l'umanità, quel gretto individualismo e basso egoismo che accieca anche le menti più perspicaci e fa inaridire ogni anche più nobile iniziativa, per poco che questa esca dai limiti del ristrettissimo cerchio di piccoli e particolari interessi: si uniscano tutti anche con gravi sacrifici per salvare se stessi e l'intera umanità. In tale unione di animi e di forze devono naturalmente essere i primi quelli che si gloriano del nome cristiano memori della gloriosa tradizione dei tempi apostolici, quando "la moltitudine dei credenti formava un sol cuore e un'anima sola" (Act. IV, 32); ma vi concorrano lealmente e cordialmente anche tutti gli altri che ancora ammettono un Dio e Lo adorano per allontanare dall'umanità il grande pericolo che minaccia tutti. Difatti il credere in Dio è il fondamento incrollabile di ogni ordinamento sociale e di ogni responsabilità sulla terra: e perciò tutti quelli che non vogliono l'anarchia e il terrore, devono energicamente adoperarsi perché i nemici della Religione non raggiungano lo scopo da loro così apertamente proclamato.

    Sappiamo, Venerabili Fratelli, che in questa lotta per la difesa della Religione si devono usare anche tutti i legittimi mezzi umani che sono in nostra mano. Perciò Noi, seguendo le orme luminose del Nostro Predecessore Leone XIII di s. m., con la Nostra Enciclica "Quadragesimo anno" abbiamo con tanta energia propugnato una più equa ripartizione dei beni della terra e abbiamo indicato i mezzi più efficaci che dovrebbero ridonare la sanità e la forza all'ammalato corpo sociale e ridare la tranquillità e la pace ai suoi membri addolorati. Poiché l'irresistibile aspirazione a raggiungere una conveniente felicità anche sulla terra è posta nel cuore dell'uomo dal Creatore di tutte le cose, e il Cristianesimo ha sempre riconosciuto e promosso con ogni impegno i giusti sforzi della vera cultura e del sano progresso per il perfezionamento e lo sviluppo dell'umanità.

    Ma di fronte a questo odio satanico contro la Religione, che ricorda il "mistero d'iniquità" di cui parla San Paolo (II Thess. 11, 7), i soli mezzi umani e le provvidenze degli uomini non bastano e Noi crederemmo, Venerabili Fratelli, di venir meno al Nostro Apostolico Ministero se non volessimo additare all'umanità quei meravigliosi misteri di luce, che soli nascondono in sé la forza di soggiogare le scatenate potenze delle tenebre. Quando il Signore, scendendo dagli splendori del Tabor, risanò il giovinetto malmenato dal demonio, che i discepoli non avevano potuto guarire, all'umile loro domanda: "Per qual motivo non lo abbiamo potuto scacciar noi?", rispose con le memorande parole: "Questo genere non si scaccia se non per orazione e digiuno" (Matth. XVII, 18-20). Ci pare, Venerabili Fratelli, che queste divine parole si devono appunto applicare ai mali dei nostri tempi, che solo per mezzo della preghiera e della penitenza possono essere scongiurati.

    Memori dunque della nostra condizione di esseri essenzialmente limitati e assolutamente dipendenti dall'Essere Supremo, ricorriamo innanzi tutto alla preghiera. Sappiamo per fede quanta sia la potenza dell'umile, confidente, perseverante preghiera: a nessuna altra pia opera furono mai annesse dall'Onnipotente Signore così ampie, così universali, così solenni promesse come alla preghiera: "Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto: ché chiunque chiede, riceve: chi cerca trova: e a chi picchia, sarà aperto" (Matth. VII, 7-8). "In verità, in verità vi dico: quanto domanderete al Padre in nome mio, ve lo concederà" (Ioan. XVI, 23).

    E quale oggetto più degno della nostra preghiera e più corrispondente alla persona adorabile di Colui che è l'unico "Mediatore tra Dio e gli uomini, uomo Cristo Gesù" (I Tim. 11, 5), che l'implorare la conservazione in terra della fede nel solo Dio vivo e vero? Una tale preghiera porta già in sé una parte del suo esaudimento: poiché dove un uomo prega, là egli si unisce con Dio, e per cosi dire mantiene già sulla terra l'idea di Dio. L'uomo che prega con la sua stessa umile posizione, professa davanti al mondo la sua fede nel Creatore e Signore di tutte le cose: unendosi poi con gli altri in preghiera comune, con ciò solo riconosce che non solamente l'individuo, ma anche la umana società ha un supremo Signore assoluto sopra di sé.

    Quale spettacolo non è mai per il cielo e per la terra la Chiesa che prega! Da secoli ininterrottamente, da una mezzanotte all'altra si ripete sulla terra la divina salmodia dei canti ispirati; non c'è ora del giorno che non sia santificata dalla sua liturgia speciale; non c'è un periodo grande o piccolo della vita che non abbia un posto nel ringraziamento, nella lode, nella orazione, nella riparazione della preghiera comune del Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Cosi la preghiera stessa assicura la presenza di Dio tra gli uomini, come lo promise il Divin Redentore: "Dove sono due o tre persone congregate nel nome mio ci sono io in mezzo ad esse" (Matth. XVIII, 20).

    La preghiera poi toglierà di mezzo appunto la causa stessa delle odierne difficoltà, da Noi sopra accennate, cioè l'insaziabile cupidigia dei beni terreni. L'uomo che prega guarda in alto, ai beni cioè del Cielo che egli medita e desidera; tutto il suo essere si immerge nella contemplazione del mirabile ordine posto da Dio, che non conosce la smania dei successi e non si perde in futili gare di sempre maggiore velocità e così quasi da sé si ristabilirà quell'equilibrio tra il lavoro e il riposo che con grave danno della vita fisica, economica e morale, manca del tutto all'odierna società. Se coloro che per la soverchia produzione industriale sono caduti nella disoccupazione e nella povertà, volessero dare il tempo conveniente alla preghiera, il lavoro e la produzione rientrerebbero ben presto entro i limiti ragionevoli, e la lotta che ora divide l'umanità in due grandi campi di combattimento per gli interessi passeggeri resterebbe assorbita nella nobile pacifica lotta per l'acquisto dei beni Celesti ed eterni.

    In tal modo si aprirebbe la via anche alla tanto sospirata pace, come bellamente accenna San Paolo là dove congiunge appunto il precetto della preghiera con i santi desideri della pace e della salute di tutti gli uomini: "Raccomando adunque prima di tutto che si facciano suppliche, orazioni, voti, ringraziamenti fra tutti gli uomini: per i re e per tutti i costituiti in posto sublime, affinché meniamo vita quieta e tranquilla con tutta pietà ed onestà. Poiché questo è ben fatto e grato nel cospetto del Salvatore Dio nostro, il quale vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino al conoscimento della verità" (I Tim. 11, 1-4). Per tutti gli uomini si implori la pace, ma specialmente per quelli che nell'umana società hanno le gravi responsabilità del governo: come potrebbero essi dare la pace ai loro popoli, se non l'hanno essi in se stessi? Ed è precisamente la preghiera quella che, secondo l'Apostolo, deve apportare il dono della pace: la preghiera che si rivolge al Padre Celeste che è Padre di tutti gli uomini; la preghiera, che è l'espressione comune dei sentimenti di famiglia, di quella grande famiglia che si estende al di là dei confini di qualunque paese e di qualunque continente.

    Uomini che in ogni nazione pregano lo stesso Dio per la pace sulla terra non possono essere insieme i portatori della discordia tra i popoli; uomini che si rivolgono nella preghiera alla Divina Maestà, non possono fomentare quell'imperialismo nazionalistico che di ciascun popolo fa il proprio Dio; uomini che guardano al "Dio della pace e della carità" (II Cor. XIII, 11), che a Lui si rivolgono per mezzo di Cristo, che è "nostra pace" (Eph. 11, 14), non si daranno posa finché finalmente la pace che il mondo non può dare, discenda dal Datore di ogni bene sopra "gli uomini di buona volontà" (Luc. 11, 14).

    "Pace a voi" (Ioan. XX, 19, 26) fu il saluto pasquale del Signore ai Suoi Apostoli e primi discepoli; e questo benedetto saluto da quei primi tempi sino a noi non è mai venuto meno nella sacra Liturgia della Chiesa, ed oggi più che mai esso deve confortare e risollevare gli esulcerati ed oppressi cuori umani.

    Ma alla preghiera bisogna aggiungere anche la penitenza, lo spirito di penitenza, e la pratica della penitenza cristiana. così ci insegna il Divin Maestro, la cui prima predicazione fu appunto la penitenza: "Cominciò Gesù a predicare e a dire: Fate penitenza" (Matth. IV, 17). Così c'insegna pure tutta la tradizione cristiana, tutta la storia della Chiesa: nelle grandi calamità, nelle grandi tribolazioni della Cristianità, quando era più urgente la necessità dell'aiuto di Dio, i fedeli, o spontaneamente o più spesso dietro l'esempio e le esortazioni dei sacri Pastori, hanno sempre posto mano a tutte le validissime armi della vita spirituale: l'orazione e la penitenza. Per quel sacro istinto da cui quasi inconsapevolmente si lascia guidare il popolo cristiano, quando non è traviato dai seminatori di zizzania, e che non è poi altro se non quel "senso di Cristo" (1 Cor. 11, 16) di cui parla l'Apostolo, i fedeli hanno sempre sentito subito in tali casi il bisogno di purificare le loro anime dal peccato con la contrizione, e di placare la Divina Giustizia anche con esterne opere di penitenza.

    Sappiamo bensì e con voi, Venerabili Fratelli, deploriamo che ai nostri giorni l'idea e il nome di espiazione e di penitenza hanno presso molti perduto in gran parte la virtù di suscitare quegli slanci di cuore e quegli eroismi di sacrificio che in altri tempi sapevano infondere presentandosi agli occhi degli uomini di fede come sigillati da un carattere divino ad imitazione di Cristo e dei Santi Suoi: né mancano alcuni che vorrebbero mettere da parte le mortificazioni esterne come cose di tempi passati; senza parlare poi del moderno "uomo autonomo" che disprezza la penitenza come espressione di indole servile. Ed è ovvio difatti che quanto più si affievolisce la fede in Dio, tanto più si confonda e svanisca l'idea di un peccato originale e di una primitiva ribellione dell'uomo contro Dio, e quindi ancor più si perda il concetto della necessità della penitenza e della espiazione.

    Ma noi invece, o Venerabili Fratelli, dobbiamo per obbligo dell'ufficio pastorale tenere in alto questi nomi e questi concetti e conservarli nel loro vero significato, nella loro genuina nobiltà e ancor più nella loro pratica e necessaria applicazione alla vita cristiana.

    A questo Ci spinge la stessa difesa di Dio e della Religione, che stiamo propugnando, poiché la penitenza è di natura sua un riconoscimento e ristabilimento dell'ordine morale nel mondo che si fonda nella legge eterna, cioè nel Dio vivente. Chi dà soddisfazione a Dio per il peccato riconosce con ciò stesso la santità dei supremi principi della moralità, la loro interna forza di obbligazione, la necessità di una sanzione contro la violazione. Ed è certo uno dei più pericolosi errori dell'età nostra l'aver preteso di separare la moralità dalla Religione, togliendo cosi ogni solida base a qualunque legislazione. Questo errore intellettuale poteva forse passare inosservato ed apparire meno pericoloso quando si limitava a pochi, e la fede in Dio era ancora un patrimonio comune dell'umanità e tacitamente si presupponeva anche da quelli che più non ne facevano aperta professione. Ma oggi, quando l'ateismo si diffonde nelle masse popolari, le conseguenze pratiche di quell'errore diventano terribilmente tangibili ed entrano nel mondo delle tristissime realtà. Invece delle leggi morali, che svaniscono insieme con la perdita della fede in Dio, si impone la forza violenta che conculca ogni diritto. L'antica fede e correttezza nell'agire e nel mutuo commercio tanto decantata perfino dai rètori e poeti del paganesimo, ora cede il posto a speculazioni senza coscienza tanto nei propri come negli affari altrui. E difatti come può sostenersi un contratto qualsiasi e quale valore può avere un trattato, dove manchi ogni garanzia di coscienza? E come si può parlare di garanzia, di coscienza, dove è venuta meno ogni fede in Dio, ogni timor di Dio? Tolta questa base, ogni legge morale cade con essa e non vi è più nessun rimedio che possa impedire la graduale ma inevitabile rovina dei popoli, delle famiglie, dello Stato, della stessa umana civiltà.

    La penitenza dunque è come un'arma salutare posta in mano dei prodi soldati di Cristo, che vogliono combattere per la difesa e il ristabilimento dell'ordine morale dell'universo. E' un'arma che si porta proprio alla radice di tutti i mali, alla concupiscenza cioè delle materiali ricchezze e dei dissoluti piaceri della vita. Per mezzo di volontari sacrifici, per mezzo di rinunce pratiche, anche dolorose, per mezzo delle varie opere di penitenza, il cristiano generoso soggioga le basse passioni che tendono a trascinarlo alla violazione dell'ordine morale. Ma se lo zelo della divina legge e la carità fraterna sono in lui tanto grandi quanto devono esserlo, allora non solo si dà all'esercizio della penitenza per sé e per i suoi peccati ma si addossa anche l'espiazione dei peccati altrui ad imitazione dei Santi che spesso eroicamente si facevano vittime di riparazione per i peccati di intere generazioni, anzi ad imitazione del Redentore Divino, che si è fatto "Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo" (Ioan. 1, 29).

    Non c'è forse, o Venerabili Fratelli, in questo spirito di penitenza anche un dolce mistero di pace? "Non c'è pace per gli empi" (Is. XLVIII, 22), dice lo Spirito Santo, perché vivono in continua lotta ed opposizione con l'ordine stabilito dalla natura e dal Creatore di essa. Solamente quando questo ordine venga ristabilito, quando tutti i popoli fedelmente e spontaneamente lo riconoscano e lo professino, quando le interne condizioni dei popoli e le esterne relazioni con le altre nazioni si fondino sopra questa base, allora soltanto sarà possibile una pace stabile sopra la terra. Ma non basteranno a creare quest'atmosfera di pace duratura né i trattati di pace, né i patti più solenni, né i convegni e, le conferenze internazionali, né gli sforzi anche nobili e disinteressati di qualunque uomo di Stato, se prima non siano riconosciuti i sacri diritti della legge naturale e divina. Nessun dirigente della economia pubblica, nessuna forza organizzatrice potrà mai condurre le condizioni sociali a pacifica soluzione, se prima nel campo stesso dell'economia non trionfi la legge morale basata in Dio e nella coscienza. Questo è il valore fondamentale di ogni valore tanto nella vita politica quanto in quella economica delle nazioni; questa è la valuta più sicura, tenuta ben salda la quale, anche tutte le altre saranno stabili, essendo garantite dall'immutabile ed eterna legge di Dio.

    Ed anche ai singoli uomini la penitenza è fondamento e apportatrice di vera pace, distaccandoli dai beni terrestri e caduchi, sollevandoli ai beni eterni, donando loro anche in mezzo alle privazioni ed alle avversità una pace che il mondo con tutte le sue ricchezze e piaceri non può dare. Uno dei cantici più sereni e giulivi che mai si siano uditi in questa valle di lacrime non è forse il celebre "Cantico del sole" di San Francesco? Ebbene, chi lo compose, chi lo scrisse, chi lo cantò era uno dei più grandi penitenti: il Poverello d'Assisi, che non possedeva assolutamente nulla sulla terra e portava nel suo corpo estenuato le dolorose Stimmate del suo Signore Crocifisso.

    La preghiera dunque e la penitenza sono i due potenti spiriti che in questo tempo ci sono dati da Dio perché riconduciamo a Lui la smarrita umanità che vagola qua e là senza guida: sono gli spiriti che devono dissipare e riparare la prima e principale causa di ogni ribellione e di ogni rivoluzione, la ribellione cioè dell'uomo contro Dio. Ma i popoli stessi sono chiamati a decidersi ad una scelta definitiva: o essi si affidano a questi benevoli e benefici spiriti e si convertono, umili e pentiti, al loro Signore e Padre delle misericordie, oppure abbandonano se stessi e il poco che ancora resta di felicità sulla terra in balia del nemico di Dio, cioè allo spirito di vendetta e di distruzione.

    Non Ci resta quindi altro che invitare questo povero mondo che ha sparso tanto sangue, che ha aperto tanti sepolcri, che ha distrutto tante opere, che ha privato di pane e di lavoro tanti uomini, non Ci resta, diciamo, che invitarlo con le tenere parole della sacra Liturgia: "Convertiti al Signore Dio tuo!".

    E quale più opportuna occasione possiamo Noi indicarvi, o Venerabili Fratelli, per tale unione di preghiere e di riparazione, se non la prossima Festa del Sacro Cuore di Gesù? Lo spirito proprio di tale solennità, come abbiamo quattro anni or sono ampiamente dimostrato nella Nostra Lettera Enciclica "Miserentissimus", è appunto spirito di amorosa riparazione, e perciò abbiamo voluto che in tal giorno ogni anno in perpetuo si faccia, in tutte le chiese dell'orbe, pubblico atto di ammenda per tante offese che feriscono quel Cuore divino.

    Sia dunque quest'anno la Festa del Sacro Cuore per tutta la Chiesa una santa gara di riparazione e di impetrazione. Accorrano numerosi i fedeli alla Mensa eucaristica, accorrano ai piedi degli altari ad adorare il Salvatore del mondo sotto i veli del Sacramento, che voi, Venerabili Fratelli, procurerete sia in tal giorno solennemente esposto in tutte le chiese; effondano in quel Cuore misericordioso, che tutte ha conosciute le pene del cuore umano, la piena del loro dolore, la fermezza della loro fede, la fiducia della loro speranza, l'ardore della loro carità. Lo preghino, interponendo anche il potente patrocinio di Maria Santissima Mediatrice di tutte le grazie, per sé e per le loro famiglie; per la loro patria e per la Chiesa; Lo preghino per il Vicario di Cristo in terra e per gli altri Pastori, che con Lui dividono il formidabile peso del governo spirituale delle anime; Lo preghino per i fratelli credenti, per i fratelli erranti, per gli increduli, per gli infedeli; e finalmente per gli stessi nemici di Dio e della Chiesa, affinché si convertano.

    E questo spirito di preghiera e di riparazione si mantenga poi intensamente vivo ed operoso in tutti i fedeli anche per l'intera Ottava, del qual privilegio liturgico Noi abbiamo voluto fosse insignita; durante quei giorni si facciano, nel modo che ciascuno di voi, Venerabili Fratelli, secondo le circostanze locali crederà opportuno di prescrivere o suggerire, pubbliche preghiere ed altri devoti esercizi di pietà alle intenzioni da Noi brevemente toccate qui sopra, "al fine di ottenere misericordia e trovare grazia per opportuno sovvenimento" (Hebr. IV, 16).

    Sia quella davvero per tutto il popolo cristiano una Ottava di riparazione e di santa mestizia; siano giorni di mortificazione e di preghiera. Si astengano i fedeli dagli spettacoli e dai divertimenti anche leciti; i più agiati sottraggano anche volontariamente in spirito di cristiana austerità qualche cosa dalla sia pure moderata misura del consueto metodo di vita, largheggiando piuttosto con i poveri il frutto di tale sottrazione, essendo anche l'elemosina un ottimo mezzo per soddisfare alla divina Giustizia e attirare le divine misericordie. E i poveri, e tutti coloro che in questo tempo sono sotto la dura prova dello scarso lavoro e dello scarso pane, offrano con eguale spirito di penitenza, con maggiore rassegnazione le privazioni loro imposte dai tempi difficili e dalla condizione sociale che la Divina Provvidenza, con imperscrutabile ma pur sempre amoroso disegno, ha loro assegnato: accettino con animo umile e confidente dalla mano di Dio gli effetti della povertà, resi più duri dalle strettezze in cui si dibatte attualmente l'umanità, si elevino più generosamente fino alla divina sublimità della Croce di Cristo ripensando che, se il lavoro è tra i maggiori valori della vita, è però stato l'amore di un Dio paziente quello che ha salvato il mondo: si confortino nella certezza che i loro sacrifici e le loro pene cristianamente sopportate concorreranno efficacemente ad affrettare l'ora della misericordia e della pace.

    Il Cuore divino di Gesù non potrà non commuoversi alle preghiere ed ai sacrifici della Sua Chiesa, e finirà col dire alla Sua Sposa che geme ai Suoi piedi sotto il peso di tante pene e di tanti mali: "Grande è la tua Fede; ti sia fatto come tu desideri" (Matth. XV, 28).

    Con questa fiducia, avvalorata dal ricordo della Croce, sacro segno e prezioso strumento della nostra santa redenzione, di cui oggi celebriamo la gloriosa Invenzione, a voi, Venerabili Fratelli, al vostro clero e popolo, a tutto l'orbe cattolico impartiamo con paterno affetto l'Apostolica Benedizione.

    Dato a Roma, presso San Pietro, nella festa dell'Invenzione della Santa Croce, 3 maggio dell'anno 1932, XI del Nostro Pontificato.

  8. #18
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    ANNUM SACRUM

    ENCICLICA DEL PAPA LEONE XIII
    SULLA CONSACRAZIONE AL SACRO CUORE

    AI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI DEL MONDO CATTOLICO IN GRAZIA E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA.

    Venerabili Fratelli, salute e apostolica benedizione.


    Con nostra lettera apostolica abbiamo recentemente promulgato, come ben sapete, l’anno santo, che, secondo la tradizione, dovrà essere tra poco celebrato in quest’alma città di Roma. Oggi, nella speranza e nell’intenzione di rendere più santa questa grande solennità religiosa, proponiamo e raccomandiamo un altro atto veramente solenne. E abbiamo tutte le ragioni, se esso sarà compiuto da tutti con sincerità di cuore e con unanime e spontanea volontà, di attenderci frutti straordinari e duraturi a vantaggio della religione cristiana e di tutto il genere umano.

    Più volte, sull’esempio dei nostri predecessori Innocenze XII, Benedetto XIII, Clemente XIII, Pio VI, Pio VII, Pio IX, ci siamo adoperati di promuovere e di mettere in sempre più viva luce quella eccellentissima forma di religiosa pietà, che è il culto del sacratissimo Cuore di Gesù. Tale era lo scopo principale del nostro decreto del 28 giugno 1889, col quale abbiamo innalzato a rito di prima classe la festa del sacro Cuore. Ora però pensiamo a una forma di ancor più splendido omaggio, che sia come il culmine e il coronamento di tutti gli onori, che sono stati tributati finora a questo Cuore sacratissimo e abbiamo fiducia che sia di sommo gradimento al nostro redentore Gesù Cristo. La cosa, in verità, non è nuova. Venticinque anni fa infatti, all’approssimarsi del II centenario diretto a commemorare la missione che la beata Margherita Maria Alacoque aveva ricevuto dall’alto, di propagare il culto del divin Cuore, da ogni parte, non solo da privati, ma anche da vescovi, pervennero numerose lettere a Pio IX, con le quali si chiedeva che si degnasse di consacrare il genere umano all’augustissimo Cuore di Gesù. Si preferì, in quelle circostanze, rimandare la cosa per una decisione più matura; nel frattempo si dava facoltà alle città, che lo desideravano, di consacrarsi con la formula prescritta. Sopraggiunti ora nuovi motivi, giudichiamo maturo il tempo di realizzare quel progetto.

    Questa universale e solenne testimonianza di onore e di pietà è pienamente dovuta a Gesù Cristo proprio perché re e signore di tutte le cose. La sua autorità infatti non si estende solo ai popoli che professano la fede cattolica e a coloro che, validamente battezzati, appartengono di diritto alla chiesa (anche se errori dottrinali li tengono lontani da essa o dissensi hanno infranto i vincoli della carità), ma abbraccia anche tutti coloro che sono privi della fede cristiana. Ecco perché tutta l’umanità è realmente sotto il potere di Gesù Cristo. Infatti colui che è il Figlio unigenito del Padre e ha in comune con lui la stessa natura, "irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza" (Eb 1,3), ha necessariamente tutto in comune con il Padre e quindi il pieno potere su tutte le cose. Questa è la ragione perché il Figlio di Dio, per bocca del profeta, può affermare: "Sono stato costituito sovrano su Sion, suo monte santo. Il Signore mi ha detto: Tu sei mio Figlio; io oggi ti ho generato. Chiedi a me e ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra" (Sal 2,6-8). Con queste parole egli dichiara di aver ricevuto da Dio il potere non solo su tutta la chiesa, raffigurata in Sion, ma anche su tutto il resto della terra, fin dove si estendono i suoi confini. Il fondamento poi di questo potere universale è chiaramente espresso in quelle parole: "Tu sei mio Figlio". Per il fatto stesso di essere il figlio del re di tutte le cose, è anche erede del suo potere universale. Per questo il salmista continua con le parole: "Ti darò in possesso le genti". Simili a queste sono le parole dell’apostolo Paolo: "L’ha costituito erede di tutte le cose" (Eb 1,2).

    Si deve tener presente soprattutto ciò che Gesù Cristo, non attraverso i suoi apostoli e profeti, ma con le stesse sue parole ha affermato del suo potere. Al governatore romano che gli chiedeva: "Dunque tu sei re", egli, senza esitazione, rispose: "Tu lo dici; io sono re" (Gv 18,37). La vastità poi del suo potere e l’ampiezza senza limiti del suo regno sono chiaramente confermate dalle parole rivolte agli apostoli: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra" (Mt 28,18). Se a Cristo è stato concesso ogni potere, ne segue necessariamente che il suo dominio deve essere sovrano, assoluto, non soggetto ad alcuno, tanto che non ne può esistere un altro ne uguale ne simile. E siccome questo potere gli è stato dato e in cielo e in terra, devono stare a lui soggetti il cielo e la terra. Di fatto egli esercitò questo suo proprio e individuale diritto quando ordinò agli apostoli di predicare la sua dottrina, di radunare, per mezzo del battesimo, tutti gli uomini nell’unico corpo della chiesa, e di imporre delle leggi, alle quali nessuno può sottrarsi senza mettere in pericolo la propria salvezza eterna.

    E non è tutto. Cristo non ha il potere di comandare soltanto per diritto di nascita, essendo il Figlio unigenito di Dio, ma anche per diritto acquisito. Egli infatti ci ha liberato "dal potere delle tenebre" (Col 1,13) e "ha dato se stesso in riscatto per tutti" (1Tm 2,6). E perciò per lui non soltanto i cattolici e quanti hanno ricevuto il battesimo, ma anche tutti e singoli gli uomini sono diventati "un popolo che egli si è conquistato" (1Pt 2,9). A questo proposito sant’Agostino osserva giustamente: "Volete sapere che cosa ha comprato? Fate attenzione a ciò che ha dato e capirete che cosa ha comprato. Il sangue di Cristo: ecco il prezzo. Che cosa può valere tanto? Che cosa se non il mondo intero? Per tutto ha dato tutto".

    San Tommaso, trattando della questione, indica perché e come gli infedeli sono soggetti al potere e alla giurisdizione di Gesù Cristo. Posto infatti il quesito se il suo potere di giudice si estenda o no a tutti gli uomini, risponde che, siccome "il potere di giudice è una conseguenza del potere regale", si deve concludere che "quanto alla potestà, tutto è soggetto a Gesù Cristo. anche se non tutto gli è soggetto quanto all’esercizio del suo potere". Questa potestà e questo dominio sugli uomini lo esercita per mezzo della verità, della giustizia, ma soprattutto per mezzo della carità.

    Tuttavia Gesù, per sua bontà, a questo suo duplice titolo di potere e di dominio, permette che noi aggiungiamo, da parte nostra, il titolo di una volontaria consacrazione. Gesù Cristo, come Dio e Redentore, è senza dubbio in pieno e perfetto possesso di tutto ciò che esiste, mentre noi siamo tanto poveri e indigenti da non aver nulla da potergli offrire come cosa veramente nostra. Tuttavia, nella sua infinita bontà e amore, non solo non ricusa che gli offriamo e consacriamo ciò che è suo, come se fosse bene nostro, ma anzi lo desidera e lo domanda: "Figlio, dammi il tuo cuore" (Pro 23,26). Possiamo dunque con la nostra buona volontà e le buone disposizioni dell’animo fare a lui un dono gradito. Consacrandoci infatti a lui, non solo riconosciamo e accettiamo apertamente e con gioia il suo dominio, ma coi fatti affermiamo che, se quel che offriamo fosse veramente nostro, glielo offriremmo lo stesso di tutto cuore. In più lo preghiamo che non gli dispiaccia di ricevere da noi ciò che, in realtà, è pienamente suo. Così va inteso l’atto di cui parliamo e questa è la portata delle nostre parole.

    Poiché il sacro Cuore è il simbolo e l’immagine trasparente dell’infinita carità di Gesù Cristo, che ci sprona a rendergli amore per amore, è quanto mai conveniente consacrarsi al suo augustissimo Cuore, che non significa altro che donarsi e unirsi a Gesù Cristo. Ogni atto di onore, di omaggio e di pietà infatti tributati al divin Cuore, in realtà è rivolto allo stesso Cristo.

    Sollecitiamo pertanto ed esortiamo tutti coloro che conoscono e amano il divin Cuore a compiere spontaneamente questo atto di consacrazione. Inoltre desideriamo vivamente che esso si compia da tutti nel medesimo giorno, affinchè i sentimenti di tante migliaia di cuori, che fanno la stessa offerta, salgano tutti, nello stesso tempo, al trono di Dio.

    Ma come potremo dimenticare quella stragrande moltitudine di persone, per le quali non è ancora brillata la luce della verità cristiana? Noi teniamo il posto di colui che è venuto a salvare ciò che era perduto e diede il suo sangue per la salvezza di tutti gli uomini. Ecco perché la nostra sollecitudine è continuamente rivolta a coloro che giacciono ancora nell’ombra di morte e mandiamo dovunque missionari di Cristo per istruirli e condurli alla vera vita. Ora, commossi per la loro sorte, li raccomandiamo vivamente al sacratissimo Cuore di Gesù e, per quanto sta in noi, a lui li consacriamo.

    In tal modo questa consacrazione che esortiamo a compiere, potrà giovare a tutti. Con questo atto, infatti, coloro che già conoscono e amano Gesù Cristo, sperimenteranno facilmente un aumento di fede e di amore. Coloro che, pur conoscendo Cristo trascurano l’osservanza della sua legge e dei suoi precetti, avranno modo di attingere da quel divin Cuore la fiamma dell’amore. Per coloro infine che sono più degli altri infelici, perché avvolti ancora nelle tenebre del paganesimo, chiederemo tutti insieme l’aiuto del cielo, affinchè Gesù Cristo, che li tiene già soggetti "quanto al potere", li possa anche avere sottomessi "quanto all’esercizio di tale potere". E preghiamo anche che ciò si compia non solo nel mondo futuro, "quando egli eseguirà pienamente su tutti la sua volontà, salvando gli uni e castigando gli altri", ma anche in questa vita terrena con il dono della fede e della santificazione, in modo che, con la pratica di queste virtù, possano onorare debitamente Dio e tendere così alla felicità del cielo.

    Tale consacrazione ci fa anche sperare per i popoli un’era migliore; può infatti stabilire o rinsaldare quei vincoli, che, per legge di natura, uniscono le nazioni a Dio.

    In questi ultimi tempi si è fatto di tutto per innalzare un muro di divisione tra la chiesa e la società civile. Nelle costituzioni e nel governo degli stati, non si tiene in alcun conto l’autorità del diritto sacro e divino, nell’intento di escludere ogni influsso della religione nella convivenza civile. In tal modo si intende strappare la fede in Cristo e, se fosse possibile, bandire lo stesso Dio dalla terra. Con tanta orgogliosa tracotanza di animi, c’è forse da meravigliarsi che gran parte dell’umanità sia stata travolta da tale disordine e sia in preda a tanto grave turbamento da non lasciare vivere più nessuno senza timori e pericoli? Non c’è dubbio che, con il disprezzo della religione, vengono scalzate le più solide basi dell’incolumità pubblica. Giusto e meritato castigo di Dio ai ribelli che, abbandonati alle loro passioni e schiavi delle loro stesse cupidigie, finiscono vittime del loro stesso libertinaggio.

    Di qui scaturisce quella colluvie di mali, che da tempo ci minacciano e ci spingono con forza a ricercare l’aiuto in colui che solo ha la forza di allontanarli. E chi potrà essere questi se non Gesù Cristo, l’unigenito Figlio di Dio? "Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati" (At 4,12). A lui si deve ricorrere, che è "la via, la verità e la vita" (Gv 14,6). Si è andati fuori strada? bisogna ritornare sulla giusta via. Le tenebre hanno oscurato le menti? è necessario dissiparle con lo splendore della verità. La morte ha trionfato? bisogna attaccarsi alla vita.
    Solo così potremo sanare tante ferite. Solo allora il diritto potrà riacquistare l’autentica autorità; solo così tornerà a risplendere la pace, cadranno le spade e sfuggiranno di mano le armi. Ma ciò avverrà solo se tutti gli uomini riconosceranno liberamente il potere di Cristo e a lui si sottometteranno; e ogni lingua proclamerà "che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre" (Fil 2,11).

    Quando la chiesa nascente si trovava oppressa dal giogo dei Cesari, a un giovane imperatore apparve in cielo una croce auspice e nello stesso tempo autrice della splendida vittoria che immediatamente seguì. Ecco che oggi si offre ai nostri sguardi un altro divinissimo e augurale segno: il Cuore sacratissimo di Gesù, sormontato dalla croce e splendente, tra le fiamme, di vivissima luce. In lui sono da collocare tutte le nostre speranze; da lui dobbiamo implorare e attendere la salvezza.

    Infine non vogliamo passare sotto silenzio un motivo, questa volta personale, ma giusto e importante, che ci ha spinto a questa consacrazione: l’averci Dio, autore di tutti i beni, scampato non molto tempo addietro da pericolosa infermità. Questo sommo onore al Cuore sacratissimo di Gesù, da noi promosso, vogliamo che rimanga memoria e pubblico segno di gratitudine di tanto beneficio.

    Ordiniamo perciò che, nei giorni 9, 10 e 11 del prossimo mese di giugno, nella chiesa principale di ogni città o paese, alla recita delle altre preghiere si aggiungano ogni giorno anche litanie del sacro Cuore da noi approvate. Nell’ultimo giorno poi si reciti, venerabili fratelli, la formula di consacrazione, che vi mandiamo con la presente lettera.

    Come pegno di favori divini e testimonianza della nostra benevolenza, a voi, al clero e al popolo affidato alle vostre cure, impartiamo di cuore, nel Signore, l’apostolica benedizione.

    Roma, presso San Pietro, il 25 maggio 1899, anno XXII del nostro pontificato

    Formula di consacrazione da recitarsi al sacratissimo Cuore di Gesù

    O Gesù dolcissimo, o redentore del genere umano, riguardate a noi umilmente prostesi dinanzi al vostro altare.
    Noi siamo vostri, e vostri vogliamo essere; e per poter vivere a voi più strettamente congiunti, ecco che ognuno di noi oggi si consacra al vostro sacratissimo Cuore.
    Molti purtroppo non vi conobbero mai; molti, disprezzando i vostri comandamenti, vi ripudiarono.
    O benignissimo Gesù, abbiate misericordia e degli uni e degli altri; e tutti quanti attirate al vostro Cuore santissimo.
    O Signore, siate il re non solo dei fedeli che non si allontanarono mai da voi, ma anche di quei figli prodighi che vi abbandonarono; fate che questi quanto prima ritornino alla casa paterna, per non morire di miseria e di fame.
    Siate il re di coloro che vivono nell’inganno dell’errore o per discordia da voi separati: richiamateli al porto della verità e all’unità della fede, affinchè in breve si faccia un solo ovile sotto un solo pastore.
    Siate il re finalmente di tutti quelli che sono avvolti nelle superstizioni del gentilesimo, e non ricusate di trarli dalle tenebre al lume e al regno di Dio.
    Largite, o Signore, incolumità e libertà sicura alla vostra chiesa, largite a tutti i popoli la tranquillità dell’ordine: fate che da un capo all’altro della terra risuoni quest’unica voce: sia lode a quel Cuore divino da cui venne la nostra salute; a lui si canti gloria e onore nei secoli.
    Così sia.

  9. #19
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    HAURIETIS AQUAS

    ENCICLICA DEL PAPA LEONE XIII
    SUL CULTO AL SACRO CUORE

    AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI ED ALTRI ORDINARI LOCALI IN PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA.

    Venerabili Fratelli, salute e apostolica benedizione.


    Introduzione

    MIRABILE SVILUPPO DEL CULTO AL SS. CUORE DI GESÙ NEI TEMPI MODERNI


    "Voi attingerete con gaudio le acque dalle fonti del Salvatore" (Is 12,3). Queste parole, con le quali il profeta Isaia simbolicamente preannunciava le molteplici e abbondanti benedizioni di Dio, che l'èra cristiana avrebbe apportato, spontanee ritornano alla nostra mente, allorché diamo uno sguardo ai cento anni che sono trascorsi da quando il nostro predecessore di i.m. Pio IX, ben lieto di assecondare i voti del mondo cattolico, si compiaceva di estendere e rendere obbligatoria per la chiesa intera la festa del cuore sacratissimo di Gesù.
    Innumerevoli infatti sono le grazie celesti che il culto tributato al cuore sacratissimo di Gesù ha trasfuso alle anime dei fedeli, purificandoli, confortandoli con superbe consolazioni, e incitandoli ad acquistare ogni virtù. Noi pertanto, memori della sapientissima sentenza dell'apostolo san Giacomo: "Ogni donazione buona e ogni dono perfetto viene dall'alto e scende dal Padre dei lumi" (Gc 1,17), a buon diritto possiamo scorgere in questo culto, divenuto ormai universale e ogni giorno sempre più fervoroso, il dono che il Verbo incarnato, nostro salvatore divino e unico mediatore di grazia e di verità tra il Padre celeste e il genere umano, ha fatto alla chiesa, sua mistica sposa, in questi ultimi secoli della sua travagliata storia. Grazie a questo dono d'inestimabile valore, la chiesa può agevolmente manifestare l'ardente carità che essa nutre verso il suo divin Fondatore, e corrispondere in più larga misura all'invito che l'evangelista san Giovanni riferisce come pronunziato da Gesù Cristo stesso: "Nell'ultimo gran giorno della festa, Gesù, levatosi in piedi, diceva ad alta voce: Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura, dal ventre di lui sgorgheranno torrenti d'acqua viva. Ciò egli disse dello Spirito che dovevano ricevere i credenti in lui" (Gv 7,37-39). Agli uditori di Gesù non fu certamente difficile cogliere in quelle sue parole, che contenevano la promessa di una sorgente di "acqua viva" che sarebbe scaturita dal suo seno, una chiara allusione ai vaticini con i quali i profeti Isaia, Ezechiele e Zaccaria, predicevano l'avvento del regno messianico, come pure alla tipica pietra che, percossa dalla verga di Mosè, versò mirabilmente acqua (cf. Is 12,3; Ez 47,1-12; Zc 13,1; Es 17,1-7; Nm 20,7-13; 1Cor 10,4; Ap 7,17; 22,1).
    La carità divina ha in realtà la sua principale sorgente nello Spirito Santo, che è l'amore personale sia del Padre sia del Figlio in seno all'augustissima Trinità. Ben a ragione quindi l'Apostolo, quasi facendo eco alle parole di Gesù Cristo attribuisce allo Spirito d'amore l'effusione della carità nell'animo dei credenti: "La carità di Dio si è riversata nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci fu dato" (Rm 5,5).
    Questo strettissimo nesso, che secondo le parole della s. Scrittura intercorre tra la carità che deve ardere nei cuori dei cristiani e lo Spirito Santo che è amore per essenza, ci manifesta in modo mirabile, venerabili fratelli, l'intima natura stessa di quel culto che è da tributarsi al cuore sacratissimo di Gesù. Se è vero, infatti, che questo culto considerato nella sua propria essenza, è un atto eccellentissimo della virtù di religione, in quanto richiede la assoluta e incondizionata sottomissione e consacrazione da parte nostra all'amore del Redentore divino, di cui è indice e simbolo, quanto mai espressivo, il suo cuore trafitto; è vero parimenti, e in un senso ancora più profondo, che tale culto comporta la risposta dell'amore nostro all'amore divino. Poiché soltanto per effetto della carità si ottiene la piena e perfetta sottomissione dello spirito umano al dominio del supremo Signore, allorché cioè gli affetti nel nostro cuore in tal modo aderiscono alla divina volontà da formare con essa quasi una cosa sola, secondo che è scritto: "Chi aderisce al Signore forma un solo spirito con lui" (1Cor 6,17).

    I. FONDAMENTI E PREFIGURAZIONI DEL CULTO AL S. CUORE DI GESÙ NELL'AT

    1. Incomprensione della vera natura del culto al cuore di Gesù da parte di alcuni cristiani


    Ma mentre la chiesa ha sempre tenuto in alta stima il culto al cuore sacratissimo di Gesù, così da favorirne in ogni modo il sorgere e il propagarsi in mezzo al popolo cristiano, non mancando altresì di difenderlo apertamente contro le accuse di cosiddetto naturalismo e sentimentalismo, è da lamentare che non uguale stima e onore, sia nei tempi passati, sia ai nostri giorni, questo nobilissimo culto goda presso alcuni cristiani e talvolta anche presso alcuni di coloro che pur si dicono animati da sincero zelo per gli interessi della religione cattolica e per la propria santificazione.
    "Se tu conoscessi il dono di Dio" (Gv 4,10). Ecco, venerabili fratelli, il paterno monito che noi, chiamati per divina disposizione ad essere custodi del tesoro di fede e di pietà, che il divin Redentore ha affidato alla sua chiesa, rivolgiamo, con piena coscienza del nostro dovere, a tutti quei nostri figli i quali, nonostante che il culto al cuore sacratissimo di Gesù, trionfando degli errori e della indifferenza degli uomini, abbia pervaso il mistico corpo del Salvatore, nutrono ancora dei pregiudizi a riguardo e giungono persino a ritenerlo meno rispondente, per non dire dannoso alle necessità più urgenti della chiesa e dell'umanità nell'ora presente. Taluni, infatti, confondendo o equiparando l'indole primaria di questo culto con le varie forme di devozione che la chiesa approva e favorisce, ma non prescrive, lo stimano quasi come alcunché di superfluo che ciascuno può praticare o no a suo arbitrio; altri poi stimano che questo culto sia oneroso e di nessuno o ben modesto vantaggio, specialmente per i militanti del regno di Dio, preoccupati soprattutto di consacrare il meglio delle loro energie spirituali, dei loro mezzi e del loro tempo alla difesa e alla propagazione della verità cattolica, alla diffusione della dottrina sociale cristiana e all'incremento di quelle pratiche e opere di religione, che giudicano molto più necessarie per i tempi nostri, vi sono inoltre alcuni, i quali anziché riconoscere in questo culto un mezzo efficacissimo per l'opera di rinnovamento e di progresso dei costumi cristiani, sia degli individui sia delle famiglie, vi vedono una forma di devozione pervasa piuttosto di sentimento che di nobili pensieri ed affetti, e perciò più confacente alle donne che adatto a uomini colti.
    Vi sono infine altri, i quali, ritenendo questo culto come troppo vincolato agli atti di penitenza, di riparazione e di quelle virtù che chiamano piuttosto "passive", perché prive di appariscenti frutti esteriori, lo giudicano meno idoneo a rinvigorire la spiritualità moderna cui incombe il dovere dell'azione aperta e indefessa per il trionfo della fede cattolica e la strenua difesa dei costumi cristiani, in mezzo a una società inquinata di indifferentismo religioso, incurante di ogni norma discriminatrice del vero dal falso nel pensiero e nell'azione, ligia ai principi del materialismo ateo e del laicismo.

    2. Stima e benemerenze dei sommi pontefici per il culto al Cuore di Gesù

    Chi non vede, venerabili fratelli, lo stridente contrasto tra simili opinioni e le pubbliche attestazioni di stima per il culto al sacratissimo Cuore di Gesù, professato dai nostri predecessori su questa cattedra di verità? Chi osa giudicare inutile o meno adatta per l'epoca nostra quella devozione che il nostro predecessore di i.m. Leone XIII non esitò a definire: "pratica religiosa encomiabilissima"; e nella quale non dubitò di additare il rimedio a quegli stessi mali, che anche oggi, e indubbiamente in un modo più vasto ed acuto, travagliano i singoli e l'intera società? "Questa devozione, che a tutti consigliamo, asseriva egli, sarà a tutti di giovamento". E inoltre, aggiungeva questi ammonimenti ed esortazioni, che ben si addicono anche al culto verso il cuore sacratissimo di Gesù: "Di fronte alla minaccia di gravi sciagure, che già da molto sovrasta, è urgente che si ricorra, per scongiurarle, all'aiuto di colui che soltanto ha la potenza per allontanarle. E chi altri potrà essere costui se non Gesù Cristo, l'unigenito di Dio? "Poiché non c'è sotto il cielo alcun altro nome dato agli uomini dal quale possiamo aspettarci d'essere salvati" (At 4,12). A lui dunque si deve ricorrere, che è via, verità e vita" (Enc. Annum sacrum (25 maii 1899): Acta Leonis 19 (1900), pp. 71, 77-78).
    Né meno degno di encomio e giovevole per fomentare la pietà cristiana riconosceva essere questo culto il nostro immediato predecessore di f.m. Pio XI, il quale in una enciclica scriveva: "Non sono forse racchiusi in tal forma di devozione il compendio di tutta la religione cattolica e quindi la norma della vita più perfetta, costituendo essa la via più spedita per giungere alla conoscenza profonda di Cristo signore e il mezzo più efficace per piegare gli animi ad amarlo più intensamente e a imitarlo più fedelmente?" (Enc. iserentissimus Redemptor (8 maii 1928): AAS 20 (1928), p. 167).A noi poi, non certamente meno dei nostri predecessori, questa sublime verità è apparsa evidente e degna di approvazione; e allorché iniziammo il nostro pontificato, nel contemplare il felice e quasi trionfale incremento dei culto al cuore sacratissimo di Gesù in mezzo al popolo cristiano, sentimmo il nostro animo ricolmo di gioia degli innumerevoli frutti di salvezza che ne erano derivati a tutta la chiesa; e questi nostri sentimenti ci compiacemmo di manifestare già nella prima nostra lettera enciclica (cf. Enc. Summi pontificatus, 20 oct. 1939: AAS 31 (1939), p. 415). I quali frutti in questi anni del nostro pontificato pieni di calamità e di angustie, ma anche ricolmi di ineffabili consolazioni, non sono andati diminuendo né per numero né per qualità né per bellezza, ma piuttosto aumentando. Infatti, varie sono state le opere felicemente iniziate allo scopo di favorire l'incremento sempre maggiore di questo stesso culto e sommamente rispondente ai bisogni dei nostri tempi: associazioni cioè di cultura, di pietà e di beneficenza; pubblicazioni di carattere storico, ascetico e mistico, pertinenti a tale scopo; pie pratiche espiatorie; e soprattutto degne di menzione le manifestazioni di ardentissima pietà promosse dall'Associazione dell'apostolato della preghiera, al cui zelo si deve principalmente se famiglie, istituti e talvolta anche nazioni intere si sono consacrate al cuore sacratissimo di Gesù; per le quali manifestazioni di culto non di rado, o mediante lettere o per mezzo di discorsi o servendoci di radiomessaggi, abbiamo espressa la nostra paterna compiacenza (cf. AAS 32 (1940), p. 276; 35 (1943), pp. 170; 37 (1945), pp. 263-264; 40 (1948), pp. 501; 41 (1949), pp. 331.).
    Pertanto nel veder tanta abbondanza di acque salutari, cioè l'effusione celestiale di amore superno, che, scaturendo dal sacro cuore del nostro Redentore, non senza l'ispirazione del divino Spirito, si è riversata su innumerevoli figli della chiesa cattolica, non possiamo astenerci, venerabili fratelli, dal rivolgervi un paterno invito affinché vi uniate a noi nello sciogliere un inno di somma lode e di fervidissime azioni di grazie a Dio largitore di ogni bene, esclamando con l'apostolo: "A lui che può far tutto, molto più di quel che noi domandiamo o pensiamo secondo la virtù che opera in noi, a lui sia la gloria nella chiesa, in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli. Amen" (Ef 3,20-21). Ma, dopo aver reso all'Altissimo le dovute grazie, noi desideriamo con questa lettera enciclica esortare voi e tutti gli amatissimi figli della chiesa a una più attenta considerazione di quei principi dottrinali contenuti nella sacra Scrittura, nei santi padri e nei teologi, sui quali, quasi su solidi fondamenti, poggia il culto al cuore sacratissimo di Gesù. Siamo infatti pienamente persuasi che soltanto quando, al lume della divina rivelazione, avremo penetrato più a fondo l'intima ed essenziale natura di questo culto, saremo in grado di convenientemente e perfettamente apprezzarne l'incomparabile eccellenza e l'inesauribile fecondità in ogni sorta di celesti grazie, e in tal modo trarre dalla pia meditazione e contemplazione da esso derivate, motivo per una degna celebrazione del primo centenario della estensione della festa del cuore sacratissimo di Gesù alla chiesa universale.
    Allo scopo, dunque, di offrire alle menti dei fedeli salutari riflessioni, alimentati dalle quali essi possano più facilmente comprendere la vera natura di questo culto e ricavarne più copiosi frutti, noi ci soffermeremo anzitutto sulle pagine del Vecchio e del Nuovo Testamento che rivelano e propongono l'infinita carità di Dio per il genere umano, la cui sublime grandezza mai potremo sufficientemente scrutare; poi accenneremo al commento che ce ne hanno lasciato i padri e i dottori della chiesa; finalmente procureremo di porre in evidenza il nesso intimo che intercorre tra la forma di devozione da tributarsi al cuore del Redentore divino e il culto che gli uomini sono tenuti a rendere all'amore che egli e le altre persone della santissima Trinità nutrono verso tutti gli uomini. Stimiamo infatti che, una volta contemplati alla luce della sacra Scrittura e della tradizione i fondamenti e gli elementi costitutivi di questa nobilissima forma di pietà, riuscirà più agevole ai cristiani di attingere "con gaudio dalle fonti del Salvatore" (Is 12,3); apprezzare cioè tutta l'importanza che il culto al cuore sacratissimo di Gesù ha assunto nella liturgia della chiesa, nella sua vita interna ed esterna, e anche nelle sue opere; in tal modo sarà più facile ad essi raccogliere quei frutti spirituali che segnino un rinnovamento salutare nei loro costumi, secondo i voti dei pastori del gregge di Cristo.

    3. L'amore di Dio, motivo dominante del culto al s. Cuore nell'Antico Testamento

    Se vogliamo comprendere in primo luogo il valore racchiuso in alcuni testi del Vecchio e del Nuovo Testamento in ordine a questo culto, occorre tener ben presente il motivo del culto di latria che la chiesa tributa al cuore del Redentore divino. Orbene, come voi ben sapete, venerabili fratelli, tale motivo è duplice. L'uno, cioè che è comune anche alle altre sacrosante membra del corpo di Gesù Cristo, si fonda sul principio che il suo cuore, essendo una parte nobilissima dell'umana natura, è unito ipostaticamente alla persona del Verbo di Dio; pertanto esso è meritevole dell'unico e identico culto di adorazione con cui la chiesa onora la persona dello stesso Figlio di Dio incarnato. Si tratta di una verità di fede cattolica, essendo stata solennemente definita nei concili ecumenici di Efeso e nel secondo di Costantinopoli (CONC. EPHES., can. 8: MANSI, Sacrorum conciliorum amplissima collectio, IV, 1083 C; CONC. CONST. 11, can. 9: ibid., IX, 382 E). L'altro motivo, che appartiene in modo speciale al cuore del divin Redentore, e che perciò conferisce al medesimo un titolo tutto proprio a ricevere il culto di latria, risulta dal fatto che il suo cuore, più di ogni altro membro dei suo corpo, è l'indice naturale, ovvero il simbolo della sua immensa carità per il genere umano."È insita nel Sacro Cuore, come osserva il nostro predecessore Leone XIII di i.m., la qualità di simbolo e di espressiva immagine dell'infinita carità di Gesù Cristo, che ci stimola a ricambiarlo con il nostro amore" (cf. Enc. Annum sacrum: Acta Leonis 19(1900), p. 76).
    È fuor di dubbio che nei libri sacri non si hanno mai sicuri indizi di un culto di speciale venerazione e di amore, tributato al cuore fisico del Verbo incarnato in quanto simbolo della sua accesissima carità. Ma questo fatto, se è doveroso apertamente riconoscerlo, non ci deve recare meraviglia, né in alcun modo indurci a dubitare che la carità, la quale è la ragione principale di questo culto, tanto nel Vecchio come nel Nuovo Testamento, non sia esaltata e inculcata con immagini, da commuovere potentemente gli animi. Queste immagini, poiché sono contenute nei libri sacri che preannunziavano la venuta del Figlio di Dio fatto uomo, possono considerarsi come un presagio di quello che doveva essere il più nobile simbolo e indice dell'amore divino, cioè del cuore sacratissimo e adorabile del Redentore divino.
    Per quanto riguarda lo scopo del nostro argomento, non crediamo necessario addurre molte testimonianze dei libri dei Vecchio Testamento, nei quali sono contenute le divine verità divinamente rivelate, ma stimiamo sia sufficiente far rilevare che l'alleanza stipulata tra Dio e il popolo eletto e sancita con vittime pacifiche - le cui leggi fondamentali scolpite su due tavole furono promulgate da Mosè (cf. Es 34,27-28) e interpretate dai profeti - fu un patto, oltre che fondato sui vincoli di supremo dominio da parte di Dio e di doverosa obbedienza da parte dell'uomo, consolidato e vivificato anche dai più nobili motivi dell'amore. Infatti, anche per il popolo d'Israele la ragione suprema della sua obbedienza a Dio doveva essere non tanto il timore dei divini castighi che i tuoni e le folgori lampeggianti e sprigionantisi dalla vetta del Sinai incutevano negli animi, quanto piuttosto il doveroso amore verso Dio: "Ascolta, Israele; il Signore Dio nostro è il solo Signore. Amerai il Signore Iddio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze. Queste parole, che io oggi ti bandisco, staranno nel tuo cuore" (Dt 6,4-6).
    Non ci deve pertanto meravigliare se Mosè e i profeti del popolo eletto che a buon diritto l'angelico Dottore chiama "i maggiori" (Summa theol., I-II, q. 2, a. 7: ed. Leon., t. VIII, 1895, p. 34), ben comprendendo che il fondamento di tutta la legge era riposto in questo comandamento dell'amore, hanno descritto tutti i rapporti esistenti tra Dio e la sua nazione, ricorrendo a similitudini tratte dal reciproco amore tra padre e figlio o dall'amore dei coniugi, piuttosto che rappresentarli con immagini severe ispirate al supremo dominio di Dio o alla dovuta e timorosa servitù di noi tutti. Così, ad esempio, Mosè stesso, nel celeberrimo suo cantico di liberazione del suo popolo dalla schiavitù d'Egitto, volendo significare che essa era avvenuta per opera di Dio, ricorre a queste espressioni e immagini che riempiono l'animo di commozione: "Com'aquila che addestra al volo i suoi piccoli e vola sovr'essi, stese le sue ali (il Signore), sollevò Israele, e lo portò sulle sue spalle" (Dt 32,11). Ma forse nessun altro tra i profeti meglio di Osea, manifesta e descrive con accenti veementi l'amore mai venuto meno di Dio verso il suo popolo. Nel linguaggio infatti di questo eccellentissimo tra i profeti minori per profondità di concetti e concisione di espressione, Dio manifesta verso il popolo eletto un amore tale, cioè giusto e santamente sollecito, qual è appunto l'amore di un padre misericordioso e amorevole, o di uno sposo, il cui onore è conculcato. t un amore, che, lungi dal raffreddarsi o venir meno alla vista di mostruose infedeltà e di ignobili tradimenti, prende si da essi motivo per infliggere ai colpevoli i meritati castighi: non già per ripudiarli e abbandonarli a se stessi, ma soltanto allo scopo di vedere la sposa, resasi estranea e infedele, e i figli ingrati, pentirsi, purificarsi e tornare a unirsi a lui con rinnovati e più solidi vincoli di amore. "Quando era fanciullo Israele, io l'amai e dall'Egitto ho chiamato il figlio mio. ... lo ho fatto da balia a Efraim; li ho portati in braccio, ma non compresero la cura che io avevo di loro. Li ho attirati a me con vincoli propri degli uomini, coi vincoli della carità. ... lo sanerò le loro piaghe, li amerò spontaneamente, perché la mia collera si è da loro allontanata. Sarò come rugiada; Israele fiorirà come giglio e getterà le sue radici come le piante del Libano" (Os 11,1.3-4; 14,5-6).
    Accenti simili risuonano sulle labbra del profeta Isaia, quando, impersonando gli opposti sentimenti di Dio e del popolo eletto, esce in queste espressioni: "Sion ha detto: "Il Signore mi ha abbandonato, il Signore si è scordato di me!" Potrà forse una donna dimenticare il suo bambino, sì da non sentire più compassione per il figlio delle sue viscere? E se pur questa lo potrà dimenticare, io non mi dimenticherò mai di te!" (Is 49,14-15). Né meno commoventi sono le espressioni con le quali l'autore del Cantico dei cantici, servendosi del simbolismo dell'amore coniugale, dipinge con vividi colori i legami di vicendevole amore, che uniscono fra loro Dio e la nazione da lui prediletta: "Come un giglio fra le spine, così l'amica mia tra le fanciulle!... Io sono del mio diletto e il mio diletto è per me, egli che pascola tra i gigli. ... Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo sul tuo braccio, perché forte come la morte è l'amore, inesorabile come gli inferi la gelosia: le sue vampe sono vampe di fuoco e di fiamma" (Ct 2,2; 6,2; 8,6).
    Tuttavia questo tenerissimo, indulgente e paziente amore di Dio, che, pur sdegnandosi per le ripetute infedeltà del popolo di Israele, mai giunse a ripudiarlo definitivamente, benché siasi manifestato come veemente e sublime, non fu in sostanza che preludio di quella ardentissima carità che il Redentore promesso avrebbe riversato dal suo amantissimo cuore su tutti, e che sarebbe dovuta divenire il modello del nostro amore e il fondamento della nuova Alleanza. Infatti, solo colui che è l'Unigenito del Padre e il Verbo fatto carne, "pieno di grazia e di verità" (Gv 1,14), essendosi avvicinato agli uomini oppressi da innumerevoli peccati e miserie, poté far scaturire dalla sua umana natura, unita ipostaticamente alla sua divina persona, "una sorgente di acqua viva", che irrigasse copiosamente l'arida terra dell'umanità e la trasformasse in giardino fiorente e fruttifero. t nel profeta Geremia che si ha un lontano presagio di questo stupendo prodigio, che sarebbe stato l'effetto del misericordiosissimo e eterno amore di Dio: "D'un amore eterno ti ho amato e perciò ti ho tirato a me pieno di compassione. ... Ecco che verranno giorni, dice il Signore, e io stringerò con la casa di Israele e con la casa di Giuda una nuova alleanza. ... Questa sarà l'alleanza che avrò stretta con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: lo metterò la mia legge nel loro intimo e la scriverò nel loro cuore, e sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo ... ; perché farò grazia alle loro iniquità e del loro peccato non mi ricorderò più" (Ger 31,3; 31,33-34).

    II. LEGITTIMITA DEL CULTO AL CUORE DI GESÙ SECONDO IL NT E LA TRADIZIONE

    1. L'amore di Dio nel mistero dell'incarnazione redentiva secondo il Vangelo


    Ma soltanto dai Vangeli veniamo a conoscere con perfetta chiarezza che la nuova alleanza stipulata tra Dio e l'umanità - di cui si era avuta la prefigurazione simbolica nell'alleanza sancita tra Dio e il popolo d'Israele per mezzo di Mosè e il preannunzio nel vaticinio di Geremia - è quella stessa che è stata attuata mediante l'opera conciliatrice di grazia del Verbo incarnato. Questa alleanza è da stimarsi incomparabilmente più nobile e più solida, perché a differenza della precedente, non è stata sancita nel sangue di capri e di vitelli, ma nel sangue sacrosanto di colui che quelli stessi pacifici e irrazionali animali avevano prefigurato come "l'Agnello che toglie il peccato del mondo" (cf. Gv 1,29; Eb 9,18-28; 10,1-17). Ebbene, l'alleanza messianica, più ancora che l'antica, si manifesta chiaramente come un patto non ispirato da sentimenti di servitù e di timore, ma da quella amicizia che deve regnare nelle relazioni tra padre e figlio, essendo essa alimentata e consolidata da una più munifica elargizione di grazia divina e di verità, conforme alla sentenza dell'evangelista san Giovanni: "Dalla pienezza di lui tutti abbiamo ricevuto, grazia su grazia. Perché la legge è stata data da Mosè; la grazia e la verità sono venute da Gesù Cristo" (Gv 1,16-17).
    Introdotti con le parole del "discepolo che Gesù amava e che durante la cena posò il capo sul petto di lui" (Gv 21,23), nel mistero stesso dell'infinita carità del Verbo incarnato, sembra essere cosa degna e giusta, equa e salutare che noi ci soffermiamo alquanto, venerabili fratelli, nella contemplazione di così soave mistero, affinché, illuminati dalla luce che su di esso riflettono le pagine del Vangelo, possiamo anche noi esperimentare il felice adempimento del voto che l'Apostolo formulava scrivendo agli Efesini: "Cristo dimori nei vostri cuori per mezzo della fede, e voi, radicati e fortificati in amore, siate resi capaci di comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza e la lunghezza e l'altezza e la profondità, e intendere questo amore di Cristo che sorpassa ogni scienza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio" (Ef 3,17-19).
    Il mistero della divina redenzione è primariamente e naturalmente un mistero d'amore: un mistero, cioè, di amore giusto da parte di Cristo verso il Padre celeste, cui il sacrificio della croce, offerto con animo amante e obbediente, presenta una soddisfazione sovrabbondante e infinita per le colpe del genere umano: "Cristo soffrendo per carità e obbedienza, offri a Dio qualche cosa di maggior valore, che non esigesse la compensazione per tutte le offese fatte a Dio dal genere umano". E inoltre mistero di amore misericordioso dell'augusta Trinità e del Redentore divino verso l'intera umanità, poiché essendo questa del tutto incapace di offrire a Dio una soddisfazione degna per i propri delitti (Summa theol., III, q. 48, a. 2: ed. Leon., t. XI, 1903, p. 464. Cf. Enc. Miserentissimus Redemptor: AAS 20 (1928), p. 170), Cristo, mediante le inscrutabili ricchezze di meriti che si acquistò con l'effusione del suo preziosissimo sangue, poté ristabilire quel patto di amicizia tra Dio e gli uomini che era stato una prima volta violato nel paradiso terrestre per la miserevole caduta di Adamo e poi innumerevoli volte per l'infedeltà del popolo eletto. Pertanto il divin Redentore - come legittimo e perfetto mediatore nostro - avendo, sotto lo stimolo di un'accesissima carità per noi, conciliati perfettamente i doveri e gli impegni del genere umano con i diritti di Dio, è stato indubbiamente l'autore di quella meravigliosa conciliazione tra la divina giustizia e la divina misericordia che costituisce l'assoluta trascendenza dei mistero della nostra salvezza, così sapientemente espressa dall'angelico dottore in queste parole: "Giova osservare che la liberazione dell'uomo mediante la passione di Cristo fu conveniente sia alla sua misericordia che alla sua giustizia. Alla giustizia anzitutto perché con la sua passione Cristo soddisfece per la colpa del genere umano: e quindi per la giustizia di Cristo l'uomo fu liberato. Alla misericordia, poi, perché non essendo l'uomo in grado di soddisfare per il peccato di tutta l'umana natura, Dio gli donò un riparatore nella persona del Figlio suo. E questo fu segno di più abbondante misericordia che se egli avesse perdonato i nostri peccati senza esigere alcuna soddisfazione. Perciò sta scritto: "Dio ricco di misericordia, per il grande amore che ci portava, pur essendo noi morti, ci risuscitò in Cristo" (Ef 2,4)"( Summa theol., III, q. 46, a. 1 ad 3: ed. Leon., t. XI, 1903, p. 436).

    2. Triplice amore del Redentore per il genere umano: sensibile, spirituale e divino

    Ma, affinché possiamo veramente, per quanto è consentito a uomini mortali, "comprendere con tutti i santi, qual sia la larghezza e la lunghezza e l'altezza e la profondità" (Ef 3,18) dell'arcana carità del Verbo incarnato verso il suo celeste Padre e verso gli uomini macchiati di tante colpe, occorre tener ben presente che il suo amore non fu unicamente spirituale, come si addice a Dio, poiché "Dio è spirito" (Gv 4,24). Indubbiamente d'indole puramente spirituale fu l'amore nutrito da Dio per i nostri progenitori e per il popolo ebraico; perciò le espressioni di amore umano, sia coniugale sia paterno, che si leggono nei salmi, negli scritti dei profeti e nel Cantico dei cantici, sono indizi e simboli di una dilezione verissima ma del tutto spirituale, con la quale Dio amava il genere umano; al contrario, l'amore che spira dal Vangelo, dalle Lettere degli apostoli e dalle pagine dell'Apocalisse, dov'è descritto altresi l'amore del cuore di Gesù Cristo, non comprende solo la carità divina, ma si estende ai sentimenti dell'affetto umano. Per chiunque fa professione di fede cattolica, è questa una verità inconcussa. Il Verbo di Dio, infatti, non ha assunto un corpo illusorio e fittizio, come già nel primo secolo dell'èra cristiana osarono affermare alcuni eretici, attirandosi la condanna dell'apostolo san Giovanni con queste severissime parole: "Poiché sono usciti per il mondo molti seduttori, i quali non confessano che Gesù Cristo sia venuto nella carne: questi è il seduttore, è l'anticristo" (2Gv 7); ma realmente egli ha unito alla sua divina Persona una natura umana individua, integra e perfetta, concepita nel seno purissimo di Maria Vergine per virtù dello Spirito Santo (cf. Lc 1,35). Niente dunque mancò alla natura umana, assunta dal Verbo di Dio; in verità egli la possedette senza alcuna dimi nuzione, senza alcuna alterazione, tanto nei suoi elementi costitutivi spirituali quanto in quelli corporali, vale a dire: dotata di intelligenza e di volontà e delle altre facoltà conoscitive interne ed esterne; dotata parimenti delle potenze affettive e sensitive e di tutte le loro naturali passioni. È questo l'insegnamento della chiesa cattolica, sanzionato e solennemente confermato dai romani pontefici e dai concili ecumenici: "Integro nelle sue proprietà, integro nelle nostre" (S. LEO MAGNUS, Epist. dogrn. "Lectis dilectionis tuae" ad Flavianum, Const. Patr., 13 iun. 449: PL 54, 763; COD 78/20-21). "Perfetto nella divinità e perfetto nell'unianità" (CONC. CHALCED. (a. 451): MANSI, VII, 115 B; COD 86/18-19). "Tutto Dio (s'è fatto) uomo, e tutto l'uomo (sussiste in) Dio" (S. GELASIUS, Tract. III: "Necessarium" De duabus naturis in Christo: A. THIEL, Epist. rom. pont. a s. Hilaro usque ad Pelagium II, p. 532).
    Non essendovi alcun dubbio che Gesù Cristo abbia posseduto un vero corpo umano, dotato di tutti i sentimenti che gli sono propri, tra i quali ha chiaramente il primato l'amore, è altresì verissimo che egli fu provvisto di un cuore fisico in tutto simile al nostro, non essendo possibile che la vita umana, priva di questo eccellentissimo membro dei corpo, abbia la sua connaturale attività affettiva. Pertanto il cuore di Gesù Cristo, unito ipostaticamente alla persona divina del Verbo, dovette indubbiamente palpitare d'amore e di ogni altro affetto sensibile; questi sentimenti però erano talmente conformi e consoni alla volontà umana ricolma di carità divina, e con lo stesso amore infinito che il Figlio ha in comune con il Padre e lo Spirito Santo, che mai tra questi tre amori si interpose alcunché di contrario e di discorde (Summa theol., III, q. 15, a. 4; q. 18, a. 6: ed. Leon., t. XI, 1903, pp. 189 et 237).
    Tuttavia il fatto che il Verbo di Dio abbia assunto una natura umana vera e perfetta, e si sia plasmato e modellato un cuore di carne che, non meno del nostro, fosse capace di soffrire e di essere trafitto, questo fatto, diciamo, se non è posto e considerato nella luce che emana non solo dall'unione ipostatica e sostanziale, ma anche dall'umana redenzione, che è per cosi dire il complemento di quella, potrebbe ad alcuni apparire "scandalo" e "stoltezza", come infatti tale sembrò "Cristo crocifisso" ai giudei e ai gentili (cf. 1Cor 1,23). Orbene, i documenti autentici della fede, perfettamente concordi con le divine Scritture, ci assicurano che il Figlio unigenito di Dio ha assunto la natura umana passibile e mortale in vista principalmente del sacrificio cruento della croce, che egli desiderava offrire allo scopo di compiere l'opera dell'umana salute. t questo del resto l'insegnamento espresso dell'Apostolo delle genti: "Poiché e chi santifica e i santificati provengono tutti da uno, è per questo che non ha scrupolo a chiamarli fratelli dicendo: "Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli". E ancora: "Eccomi io e i figliuoli che Dio mi ha dato". Poiché dunque i figliuoli partecipano del sangue e della carne, anch'egli ne ebbe ugualmente parte. ... Ne deriva che egli in tutto doveva essere fatto simile ai suoi fratelli, per diventare misericordioso e fedele sacerdote nelle cose divine, affinché fossero espiate le colpe del popolo. Proprio per il fatto di essere stato lui provato e avere sofferto, per questo può venire in aiuto a quelli che sono nella prova" (Eb 2,11-14.17-18).

    3. La testimonianza dei santi padri in favore degli affetti sensibili del Verbo incarnato

    I santi padri, veridici testimoni della divina rivelazione, compresero molto bene, dietro il chiaro insegnamento dell'apostolo Paolo, che il mistero dell'amore divino è in pari tempo il fondamento e il culmine sia dell'incarnazione, sia della redenzione. Infatti nei loro scritti sono frequenti e luminosi i passi nei quali si legge che lo scopo per cui Gesù Cristo assunse una natura umana integra e un corpo caduco e fragile come il nostro, fu appunto quello di provvedere alla nostra salvezza e di manifestare a noi nel modo più evidente il suo amore infinito, compreso quello sensibile.
    S. Giustino, quasi facendo eco alle parole dell'Apostolo, scrive: "Noi adoriamo e amiamo il Verbo nato dall'ingenito e ineffabile Dio. Egli in verità si è fatto uomo per noi affinché, resosi partecipe delle nostre umane affezioni, recasse ad esse il rimedio" (Apol. 11, 13: PG 6, 465.). S. Basilio poi, il primo dei tre padri cappàdoci, afferma decisamente che gli affetti sensibili di Cristo furono a un tempo veri e santi: "Benché sia a tutti noto che il Signore ha assunto gli affetti naturali per confermare la realtà dell'incarnazione, vera e non fittizia; tuttavia egli respinse da sé gli affetti disordinati che inquinano la purezza della nostra vita, perché li ritenne indegni della sua incontaminata divinità" (Epist. 261, 3: PG 32, 972.). Anche per s. Giovanni Crisostomo, il più illustre decoro della chiesa antiochena, le emozioni sensibili cui andò soggetto il Redentore divino cooperarono mirabilmente a comprovare che egli aveva assunto una natura umana integra sotto ogni aspetto: "Infatti se egli non fosse stato della nostra natura, non avrebbe pianto per ben due volte" (In Ioann., hom. 63, 2: PG 59, 350.). Fra i padri latini meritano di essere ricordati coloro che la chiesa onora oggi tra i principali suoi dottori. Così s. Ambrogio vede nell'unione ipostatica la sorgente naturale degli affetti e commozioni sensibili cui andò soggetto il Verbo di Dio fatto uomo: "Pertanto, poiché egli assunse l'anima, ne assunse parimenti le passioni; in quanto Dio infatti, com'egli era, non avrebbe potuto né turbarsi né morire" (De fide ad Gratianum, 11, 7, 56: PL 16, 594.). Anche s. Girolamo dall'esistenza3. La testimonianza dei santi padri in favore degli affetti sensibili del Verbo incarnato
    I santi padri, veridici testimoni della divina rivelazione, compresero molto bene, dietro il chiaro insegnamento dell'apostolo Paolo, che il mistero dell'amore divino è in pari tempo il fondamento e il culmine sia dell'incarnazione, sia della redenzione. Infatti nei loro scritti sono frequenti e luminosi i passi nei quali si legge che lo scopo per cui Gesù Cristo assunse una natura umana integra e un corpo caduco e fragile come il nostro, fu appunto quello di provvedere alla nostra salvezza e di manifestare a noi nel modo più evidente il suo amore infinito, compreso quello sensibile.
    S. Giustino, quasi facendo eco alle parole dell'Apostolo, scrive: "Noi adoriamo e amiamo il Verbo nato dall'ingenito e ineffabile Dio. Egli in verità si è fatto uomo per noi affinché, resosi partecipe delle nostre umane affezioni, recasse ad esse il rimedio" (Apol. 11, 13: PG 6, 465.). S. Basilio poi, il primo dei tre padri cappàdoci, afferma decisamente che gli affetti sensibili di Cristo furono a un tempo veri e santi: "Benché sia a tutti noto che il Signore ha assunto gli affetti naturali per confermare la realtà dell'incarnazione, vera e non fittizia; tuttavia egli respinse da sé gli affetti disordinati che inquinano la purezza della nostra vita, perché li ritenne indegni della sua incontaminata divinità" (Epist. 261, 3: PG 32, 972.). Anche per s. Giovanni Crisostomo, il più illustre decoro della chiesa antiochena, le emozioni sensibili cui andò soggetto il Redentore divino cooperarono mirabilmente a comprovare che egli aveva assunto una natura umana integra sotto ogni aspetto: "Infatti se egli non fosse stato della nostra natura, non avrebbe pianto per ben due volte" (In Ioann., hom. 63, 2: PG 59, 350.). Fra i padri latini meritano di essere ricordati coloro che la chiesa onora oggi tra i principali suoi dottori. Così s. Ambrogio vede nell'unione ipostatica la sorgente naturale degli affetti e commozioni sensibili cui andò soggetto il Verbo di Dio fatto uomo: "Pertanto, poiché egli assunse l'anima, ne assunse parimenti le passioni; in quanto Dio infatti, com'egli era, non avrebbe potuto né turbarsi né morire" (De fide ad Gratianum, 11, 7, 56: PL 16, 594). Anche s. Girolamo dall'esistenza in Cristo di quelle affezioni sensibili trae l'argomento più persuasivo per asserire che egli aveva realmente assunta l'umana natura: Il Signore nostro, per manifestare che aveva veramente unita alla sua persona la natura dell'uomo, soggiacque veramente alla tristezza (cf. Super Matth. 26, 37: PL 26, 205). Sant'Agostino poi in modo particolare rileva l'intimo nesso che esiste tra le affezioni sensibili del Verbo incarnato e il fine dell'umana redenzione: "Ora il Signore Gesù assunse questi sentimenti della fragile natura umana, come la carne stessa che fa parte della inferma natura dell'uomo e la morte dell'umana carne, non spinto dal bisogno della sua condizione (divina), ma stimolato dalla sua libera volontà di usarci misericordia; allo scopo cioè di offrire in se stesso, al suo corpo che è la chiesa, di cui si degnò farsi capo, vale a dire, alle sue membra che sono i suoi santi e i suoi fedeli, il modello da imitare. In modo che se ad alcuno di loro, sotto l'assalto delle umane tentazioni, accadesse di rattristarsi e soffrire, non per questo stimasse di essersi sottratto all'influsso della sua grazia; e comprendesse che tali afflizioni non sono peccati, ma solo indizi dell'umana passibilità. Così il suo mistico corpo, simile a un coro di voci che s'accorda a quella di chi dà l'intonazione, avrebbe imparato dal suo proprio capo" (Enarr. in Ps. 87, 3: PL 37, 1111). Più concisamente, ma non meno efficacemente, manifestano la dottrina della chiesa i seguenti testi di san Giovanni Damasceno: "Certamente Dio mi ha assunto tutto, e tutto si è unito a tutto, affinché recasse la salvezza a tutto l'uomo. Poiché altrimenti non avrebbe potuto essere sanato, ciò che non fosse stato assunto" (De fide orth. 111, 6: PG 94, 1006). "Cristo, dunque, assunse tutto, per tutto santificare" (De fide orth., 111, 20: PG 94, 1081).

    4. Simbolismo naturale del cuore di Gesù affermato velatamente nella s. Scrittura e nei santi padri

    Bisogna tuttavia riconoscere che né gli autori sacri, né i padri della chiesa, sia nei testi riferiti sia in molti altri simili, che non abbiamo riportato, pur affermando chiaramente che Gesù Cristo fosse dotato di affezioni, che commovevano il suo animo, e pur mettendo in stretto rapporto l'assunzione dell'umana natura con lo scopo della nostra eterna salvezza prefissosi da Cristo, mai pongono in esplicito rilievo il nesso esistente tra gli affetti e il cuore fisico del Salvatore, così da indicare in esso espressamente il simbolo del suo amore infinito. Ma, se gli evangelisti e gli altri sacri scrittori non ci rivelano direttamente gli affetti vari che nel ritmo pulsante del cuore del Redentore nostro, non meno vivo e sensibile dei nostro, dovettero indubbiamente produrre le passioni del suo animo e il ridondante amore della sua duplice volontà, divina e umana, essi mettono però in evidenza l'amore e tutti gli altri sentimenti con esso connessi, cioè il desiderio, la letizia, la tristezza, il timore, l'ira, secondo che si manifestavano attraverso il suo sguardo, le parole, i gesti. E certamente il volto del nostro Salvatore adorabile fu certamente indice e quasi specchio fedelissimo di quelle affezioni, che, commovendo in vari modi il suo animo, a somiglianza di onde che si ripercuotono sulle opposte rive, raggiungevano il suo cuore santissimo e ne eccitavano i battiti. In verità, anche a proposito di Cristo, vale quanto l'angelico Dottore, ammaestrato dalla comune esperienza, osserva in materia di psicologia umana e dei fenomeni a essa connessi: "Il turbamento dell'ira raggiunge anche le membra esterne; e soprattutto si fa notare in quelle membra, nelle quali più apertamente si riflette l'influsso del cuore, come negli occhi, nel volto e nella lingua" (Summa theol., I-II, q. 48, a. 4: ed. Leon., t. VI, 1891, p. 306).
    A buon diritto, dunque, il cuore del Verbo incarnato è considerato come il principale indice e simbolo di quel triplice amore, col quale il divino Redentore ha amato e continuamente ama l'eterno Padre e l'umanità. Esso, cioè, è anzitutto il simbolo di quell'amore divino, che egli ha comune con il Padre e con lo Spirito Santo, ma che soltanto in lui, perché Verbo fatto carne, si manifesta a noi attraverso il fragile e caduco corpo umano, "poiché in esso abita corporalmente tutta la pienezza della divinità" (Col 2,9). Inoltre, il cuore di Cristo è il simbolo di quell'ardentissima carità che, infusa nella sua anima, costituisce la preziosa dote della sua volontà umana e i cui atti sono illuminati e diretti da una duplice perfettissima scienza, la beata e l'infusa (cf. Summa theol., III, q. 9, aa. 1-3: ed. Leon., t. XI, 1903, p. 142). Finalmente - e ciò in modo ancor più diretto e naturale - il cuore di Gesù è il simbolo del suo amore sensibile, giacché il corpo di Gesù Cristo, plasmato nel seno castissimo della Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo, supera in perfezione e quindi in capacità percettiva ogni altro organismo umano (cf. Summa theol, III, q. 33, a. 2 ad 3; q. 46, a. 6: ed. Leon., t. XI, 1903, pp. 342 et 433).
    Edotti allora dai sacri testi e dagli autentici documenti della fede cattolica sulla perfetta consonanza e armonia regnante nell'anima santissima di Gesù Cristo, e sull'aver egli manifestamente diretto al fine della nostra Redenzione il triplice amore, noi possiamo con ogni sicurezza contemplare e venerare nel cuore del divin Redentore l'immagine eloquente della sua carità e il documento dell'avvenuta nostra redenzione, come pure quasi la mistica scala per salire all'amplesso di "Dio Salvatore nostro" (Tt 3,4). Perciò nelle sue parole, negli atti, negli insegnamenti, nei miracoli e specialmente nelle opere che più luminosamente testimoniano il suo amore per noi - come l'istituzione della divina Eucaristia, la sua dolorosa passione e morte, la donazione della sua santissima Madre, la fondazione della chiesa, la missione dello Spirito sugli apostoli e su tutti i credenti - in tutte queste opere, ripetiamo, noi dobbiamo ammirare altrettante testimonianze del suo triplice amore; e meditare con animo pieno d'amore i battiti del suo cuore, con i quali sembrò che egli misurasse gli attimi di tempo dei suo pellegrinaggio terreno, fino al supremo istante, in cui, come ci attestano gli evangelisti, "dopo aver di nuovo gridato con gran voce, disse: t compiuto. E chinato il capo, rese lo spirito" (Mt 27,50; Gv 19,30). Allora il battito del suo cuore si arrestò, e il suo amore sensibile rimase come sospeso fino all'istante della risurrezione gloriosa. Unitasi quindi nuovamente l'anima del Redentore vittorioso della morte al suo corpo glorificato, il cuore suo sacratissimo riprese il suo battito regolare e da allora non ha mai cessato né cesserà di significare con ritmo ormai divenuto per sempre calmo e imperturbabile, il triplice amore che vincola il Figlio di Dio al suo celeste Padre e all'intera comunità umana, di cui è, con pieno diritto, il mistico Capo.

    III. PARTECIPAZIONE ATTIVA E PROFONDA DEL CUORE DI GESÙ ALLA MISSIONE SALVIFICA

    1. Il cuore di Gesù simbolo di perfettissimo amore: sensibile, spirituale umano e divino, durante la vita terrena dei Salvatore


    E ora, venerabili fratelli, per cogliere più abbondanti frutti da queste nostre tanto consolanti riflessioni, indugiamoci alquanto nella contemplazione dell'intima partecipazione avuta dal cuore del Salvatore nostro Gesù Cristo alla sua vita affettiva umana e divina, durante il periodo della sua vita terrena e della partecipazione che esso ha al presente e avrà per tutta l'eternità. Principalmente dalle pagine del Vangelo risplenderà quella luce che inondandoci e fortificandoci, ci metterà in grado di inoltrarci nel santuario di questo cuore divino, dove potremo ammirare con l'Apostolo delle genti "l'immensa ricchezza della grazia [di Dio], nella benignità verso di noi in Gesù Cristo" (Ef 2,7).
    Palpita d'amore il cuore adorabile di Gesù Cristo, all'unisono con il suo amore umano e divino, quando, come ci rivela l'apostolo, non appena la vergine Maria ha pronunziato il suo magnanimo fiat, il Verbo di Dio, "entrando nel mondo, dice: "Tu non hai voluto sacrificio né offerta, ma mi hai preparato un corpo; olocausti per il peccato non gradisti: allora dissi: Ecco io vengo (come all'inizio del libro è scritto di me) per compiere, o Dio, la tua volontà". E per questa volontà noi siamo santificati per l'offerta del corpo di Gesù Cristo (fatta) una volta" (Eb 10,5-7. 10). Palpitava altresì d'amore il cuore del Salvatore, sempre in perfetta armonia con gli affetti della sua volontà umana e con il suo amore divino; quando egli intesseva celestiali colloqui con la sua dolcissima madre, nella casetta di Nazaret, e col suo padre putativo s. Giuseppe cui obbediva prestandosi come fedele collaboratore nel faticoso mestiere dei falegname. Parimenti palpitava di quel triplice amore nelle sue continue peregrinazioni apostoliche; nel compiere gli innumerevoli prodigi di onnipotenza, con i quali o risuscitava i morti, o ridonava la salute a ogni sorta di infermi; nel sopportare le fatiche; nel tollerare il sudore, la fame, la sete; nelle veglie notturne trascorse in preghiera al cospetto dei celeste suo Padre; e finalmente nel pronunziare i discorsi, e nel proporre e spiegare le parabole, specialmente quelle che più ci parlano della sua misericordia, come la parabola della dramma perduta, della pecorella smarrita e del figliol prodigo. E veramente in queste parole e in queste azioni, come osserva s. Gregorio Magno, si è manifestato il cuore di Dio: "Intuisci il cuore di Dio nelle parole di Dio, affinché più ardente possa esperimentare l'attrattiva dei beni eterni" (Registr. epist., lib. IV, ep. 31 ad Theodorum medicum: PL 77, 706).
    Palpitava ancor più d'amore il cuore di Gesù Cristo, quando dalle sue labbra uscivano accenti ispirati a un ardentissimo amore. Così, ad esempio, quando dinanzi allo spettacolo di turbe stanche e affamate esclamava: "Ho compassione di questo popolo" (Mc 8,2); e, nel rimirare la prediletta città di Gerusalemme, accecata dai suoi peccati e perciò votata all'estrema rovina, le rivolgeva questo rimprovero: "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte io pure volli adunare i tuoi figlioli come la gallina raduna i suoi pulcini sotto le ali e tu non hai voluto!" (Mt 23,37). Il suo cuore palpitava ancora di amore verso il Padre e di santo sdegno nel vedere il sacrilego commercio che si faceva nel tempio, a causa del quale rivolse ai profanatori queste severe parole: "Sta scritto: La mia casa sarà chiamata casa di orazione, e voi l'avete ridotta una spelonca di ladri" (Mt 21,13).
    Ma di speciale amore e di timore palpitò il cuore di Gesù nell'imminenza dell'ora della passione, allorché, provando naturale ripugnanza dinanzi al dolore e alla morte ormai incombenti, esclamò: "Padre mio, se è possibile passi da me questo calice!" (Mt 26,39); palpitò poi d'invitto amore e di intensa afflizione quando, al bacio del traditore egli oppose quelle ultime sublimi parole, che suonarono come un ultimo invito rivolto dal misericordiosissimo suo cuore all'amico che con animo empio, fedifrago e sommamente ostinato si accingeva a consegnarlo nelle mani dei carnefici: "Amico, a che sei venuto? Con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo?" (Mt 26,50; Lc 22,48); palpiti invece di tenero amore e di profonda commiserazione furono quelli che commossero il cuore del Salvatore, quando alle pie donne, che ne compiangevano l'immeritata condanna al tremendo supplizio della croce, diresse queste parole: "Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. ... Perché se si tratta così il legno verde, che ne sarà del secco?" (Lc 23,28.31).
    Ma è soprattutto sulla croce che il divin Redentore sente il suo cuore, divenuto quasi torrente impetuoso, ridondare dei sentimenti più vari, cioè di amore ardentissimo, di angoscia, di misericordia, di acceso desiderio, di quiete serena, come ci manifestano apertamente le seguenti sue parole: "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34); "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46); "Ti dico in verità, oggi sarai con me in paradiso" (Lc 23,43); "Ho sete" (Gv 19,28); "Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio" (Lc 23,46).

    2. L'Eucaristia, la Vergine madre, il sacerdozio: doni del cuore amantissimo di Gesù

    E chi potrebbe degnamente descrivere i palpiti del cuore divino del Salvatore, indizi certi del suo infinito amore, nei momenti in cui egli offriva all'umanità i suoi doni più preziosi: se stesso nel sacramento dell'Eucaristia, la sua santissima madre e il sacerdozio?
    Ancor prima di mangiare l'ultima cena con i suoi discepoli, al solo pensiero dell'istituzione del sacramento del suo corpo e del suo sangue, la cui effusione avrebbe sancito la nuova Alleanza, il cuore di Gesù aveva avuto fremiti d'intensa commozione, da lui rivelati agli Apostoli con queste parole: "Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima di patire" (Lc 22,15); ma la sua commozione dovette raggiungere il colmo, allorché "prese del pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: Questo è il mio corpo, dato per voi. Fate questo in memoria di me. Similmente, dopo la cena, diede la coppa dicendo: Questo calice è il nuovo patto nel sangue mio, che sarà sparso per voi" (Lc 22,19-20).
    Si può quindi affermare a buon diritto che la divina Eucaristia, sia come sacramento sia come sacrificio, di cui egli stesso è dispensatore e immolatore, "da dove sorge il sole fin dove tramonta" (Mal 1,11), come pure il sacerdozio sono doni palesi del cuore sacratissimo di Gesù.
    Ma anche Maria, l'alma madre di Dio e madre nostra amantissima, è, come dicemmo, un dono preziosissimo dei cuore sacratissimo di Gesù. Era giusto infatti che colei, che era stata la genitrice del Redentore nostro secondo la carne, e a lui era stata associata nell'opera di rigenerazione dei figli di Eva alla vita della grazia, fosse da Gesù stesso proclamata madre spirituale dell'intera umanità. Ben a ragione quindi scrive di lei sant'Agostino: "Indubbiamente ella è madre delle membra del Salvatore, che siamo noi, poiché con la sua carità ha cooperato affinché avessero la vita nella chiesa i fedeli, che di quel capo sono le membra" (De sancta virginitate, VI: PL 40, 399).
    All'incruento dono di sé, poi, sotto le specie del pane e del vino, il Salvatore nostro Gesù Cristo volle aggiungere, come suprema testimonianza della sua profonda, infinita dilezione, il sacrificio cruento della croce. Così facendo, egli dava l'esempio di quella sublime carità, che aveva indicato ai suoi discepoli come meta finale dell'amore con queste parole: "Nessuno ha un amore più grande di questo, di uno che dia la vita per i suoi amici" (Gv 15,13). Pertanto l'amore di Gesù Cristo Figlio di Dio svela con il sacrificio del Golgota, e nel modo più eloquente, l'amore stesso di Dio: "Da questo abbiamo conosciuto l'amore di Dio, perché egli ha dato la sua vita per noi, e così noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli" (1Gv 3,16). E in realtà il nostro divin Redentore è stato confitto al legno della croce più dal suo amore che dalla violenza dei suoi carnefici; e il suo volontario olocausto è il dono supremo che il suo Cuore ha fatto a ogni singolo uomo, secondo l'incisiva sentenza dell'apostolo: "Il Figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Gal 2,20).

    3. La chiesa e i sacramenti sono doni dei cuore di Gesù

    Non vi può essere dunque alcun dubbio che il cuore sacratissimo di Gesù, compartecipe così intimo della vita del Verbo incarnato, e perciò assunto quasi a strumento congiunto della Divinità, non meno delle altre membra dell'umana natura, nel compimento di tutte le sue opere di grazia e di divina onnipotenza (cf. Summa theol., III, q. 19, a. 1: ed. Leon., t. XI, 1903, p. 329), sia anche divenuto il simbolo legittimo di quella immensa carità, che spinse il Salvatore nostro a celebrare nel sangue il suo mistico matrimonio con la chiesa: "Egli ha accettato la passione, per l'ardente desiderio che aveva di unire a sé la chiesa come sua sposa" (Summa theol., Suppl., q. 42, a. 1 ad 3: ed. Leon., t. XII, 1906, p. 81). La Chiesa quindi, vera ministra del sangue della redenzione, è nata dal cuore trafitto del Redentore; e dal medesimo è parimenti sgorgata in sovrabbondante copia la grazia dei sacramenti, che trasfonde nei figli della chiesa la vita eterna, come ben ci ricorda la sacra liturgia: "Dal cuore trafitto nasce la chiesa a Cristo congiunta. ... Tu, che dal tuo cuore fai sgorgare la grazia" (Hymn, ad Vesp. Festi Ss.mi Cordis Iesu). Di questo simbolismo, non ignoto nemmeno agli antichi padri e scrittori ecclesiastici, il Dottore comune, facendosi loro fedele interprete, scrive: "Dal lato di Cristo sgorgarono l'acqua, simbolo di spirituale abluzione e il sangue, simbolo di redenzione. Perciò il sangue ben si addice al sacramento dell'Eucaristia; l'acqua, invece al sacramento del battesimo, che però mutua la sua virtù purificatrice dalla virtù del sangue di Cristo" (Summa theol., III, q. 66, a. 3 ad 3u': ed. Leon., t. XII, 1906, p. 65). Quanto è stato qui scritto del lato di Cristo, trafitto e aperto dal soldato, deve similmente dirsi del suo cuore, raggiunto dal colpo di lancia, vibrato proprio allo scopo di accertare la morte di Gesù Cristo crocifisso. Pertanto, la ferita del cuore sacratissimo di Gesù, ormai spirato, doveva rimanere nei secoli la vivida immagine di quella spontanea carità, che aveva indotto Dio stesso a dare il suo Unigenito per la redenzione degli uomini, e con la quale Cristo amò noi tutti con amore sì veemente, da offrirsi come vittima di immolazione cruenta sul Calvario: "Cristo amò noi, e diede se stesso per noi, oblazione e sacrificio a Dio, profumo di soave odore" (Ef 5,2).

    4. Il cuore di Gesù simbolo dei suo triplice amore per l'umanità nella vita gloriosa

    Dopo che il Salvatore nostro ascese al cielo e si assise alla destra del Padre nello splendore della sua umanità glorificata, non ha cessato di amare la chiesa, sua sposa, anche con quell'ardentissimo amore che palpita nel suo cuore. Egli, infatti, ascese al cielo recando nelle ferite delle mani, dei piedi e del costato i trofei luminosi della sua triplice vittoria: sul demonio, sul peccato e sulla morte; e recando altresì nel suo cuore, come riposti in un preziosissimo scrigno gli immensi tesori di meriti, frutti di quel medesimo suo triplice trionfo che adesso dispensa in larga copia al genere umano redento. t questa la verità consolante, di cui si fa assertore, l'Apostolo delle genti, quando scrive: "Ascendendo in alto portò via schiava la schiavitù, dette donativi agli uomini… . Colui che discese è lo stesso che ascese sopra tutti i cieli, affinché riempisse tutte le cose" (Ef 4,8.10).

    5. I doni dello Spirito Santo sono anche doni del cuore adorabile di Gesù

    La donazione dello Spirito Santo, fatta ai discepoli, è il primo segno perspicuo della munifica carità del Salvatore dopo la sua trionfale ascensione alla destra del Padre. Infatti, dopo dieci giorni lo Spirito paraclito dato dal Padre discende sugli Apostoli radunati nel cenacolo, secondo quanto Gesù aveva promesso nell'ultima cena: "Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga in eterno con voi" (Gv 14,16). Il quale Spirito paraclito essendo l'amore mutuo personale, con il quale il Padre ama il Figlio e il Figlio il Padre, da ambedue è inviato e sotto il simbolo di lingue di fuoco investe gli animi dei discepoli con l'abbondanza della divina carità e degli altri celesti carismi. Ma questa infusione di suprema carità emana anche dal cuore del Salvatore nostro, "in cui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza" (Col 2,3). Questa carità pertanto è dono a un tempo dei cuore di Gesù e del suo Spirito. A questo comune Spirito del Padre e del Figlio si devono in primo luogo e l'origine della chiesa e la sua mirabile propagazione in mezzo a tutte le genti pagane, prima contagiate dall'idolatria, dall'odio fraterno, dalla corruzione dei costumi e dalla violenza. t la carità divina, dono preziosissimo del cuore di Cristo e del suo Spirito, che ha ispirato agli apostoli e ai martiri la fortezza eroica nel predicare e nel testimoniare la verità del Vangelo, sino all'effusione del sangue; ai dottori della chiesa lo zelo ardente per la chiarificazione e la difesa della fede cattolica; ai confessori la pratica delle più elette virtù e il compimento delle imprese più utili e più ammirabili, proficue alla propria santificazione e alla salute temporale e eterna del prossimo; alle vergini, infine, la rinunzia pronta e gioiosa a tutte le delizie dei sensi allo scopo di consacrarsi unicamente all'amore del celeste Sposo. A questa divina carità, che ridondando dal cuore del Verbo incarnato si riversa per opera dello Spirito Santo negli animi di tutti i credenti, l'apostolo delle genti scioglie quell'inno di vittoria che celebra in pari tempo il trionfo di Gesù Cristo capo e dei membri del suo mistico corpo su quanto ostacola l'instaurazione del regno divino dell'amore fra gli uomini: "Chi ci separerà dall'amore di Cristo? La tribolazione o l'angoscia o la fame o la nudità o il pericolo o la persecuzione o la spada?... Ma in tutte queste cose siamo più che vincitori per opera di colui che ci ha amati. Poiché io sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né virtù, né cose attuali, né future, né fortezza, né altezza, né profondità, né alcun'altra creatura potrà separarci dall'amore di Dio in Cristo Gesù Signor nostro" (Rm 8,35.37-39).

    6. Il culto al cuore di Gesù è il culto della persona dei Verbo incarnato

    Nulla dunque ci vieta di adorare il cuore sacratissimo di Gesù, in quanto è compartecipe e il simbolo naturale e più espressivo di quella inesausta carità, che il divin nostro Redentore nutre tuttora per il genere umano. Esso infatti, benché non sia più soggetto ai turbamenti della vita presente, è sempre vivo e palpitante, e in modo indissolubile è unito alla persona del Verbo di Dio e, in essa e per essa alla divina sua volontà. Perciò, essendo il cuore di Cristo ridondante di amore divino e umano, e ricolmo dei tesori di tutte le grazie, conquistati dal Redentore nostro con i meriti della sua vita, delle sue sofferenze e della sua morte, è senza dubbio la sorgente di quella perenne carità, che il suo spirito diffonde in tutte le membra del suo corpo mistico.
    Nel cuore pertanto del Salvatore nostro vediamo in qualche modo riflessa l'immagine della divina persona dei Verbo, come pure l'immagine della sua duplice natura, l'umana cioè e la divina; e vi possiamo ammirare non soltanto il simbolo, ma anche quasi una sintesi di tutto il mistero della nostra redenzione. Adorando il cuore sacratissimo di Gesù, in esso e per esso noi adoriamo sia l'amore increato del Verbo divino, sia il suo amore umano con tutti gli altri suoi affetti e virtù, poiché e quello e questo spinse il nostro Redentore a immolarsi per noi e per tutta la chiesa sua sposa, conforme alla sentenza dell'Apostolo: "Cristo amò la chiesa e diede se stesso per lei per santificarla purificandola col lavacro dell'acqua mediante la parola di vita, per farsi comparire davanti la sua chiesa tutta gloriosa, affinché sia senza macchia, senza ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata" (Ef 5,25-27).
    Come Cristo ha amato la chiesa, cosi egli l'ama tuttora intensamente con quel triplice amore di cui abbiamo parlato; ed è appunto questo amore che lo stimola a farsi nostro avvocato (cf. 1Gv 2,1), per conciliarci dal Padre grazie e misericordia, "essendo sempre vivo per intercedere in nostro favore" (Eb 7,25). Le preghiere che erompono dal suo inesauribile amore, dirette al Padre, non soffrono alcuna interruzione. Come "nei giorni della sua vita nella carne" (Eb 5,7), così ora che è trionfante nei cieli, egli supplica il Padre celeste con non minore efficacia; ed è a lui che "ha talmente amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16), egli mostra il suo cuore vivo e ferito dall'amore, ben più profondamente che non lo sia stato, ormai esanime, dal colpo di lancia del soldato romano: "Per questo è stato trafitto (il tuo cuore): affinché, attraverso la ferita visibile, vedessimo la ferita invisibile dell'amore" (S. BONAVENTURA, Opusc. X: Vitis mystica, c. III, 5: Opera Omnia, Ad Claras Aquas (Quaracchi) 1898, t. VIII, p. 164; cf. S. THOMAS, Summa theol., III, q. 54, a. 4: ed. Leon., t. XI, 1903, p. 513).
    Non vi può essere dunque alcun dubbio che, supplicato da tanto avvocato e con si veemente amore, il Padre celeste, "che non risparmiò il proprio Figlio ma lo diede per tutti noi" (Rm 8,32), profonderà incessantemente su tutti gli uomini le sue grazie divine.

    IV. NASCITA E PROGRESSIVO SVILUPPO DEL CULTO AL CUORE DI GESÙ

    1. Albori del culto al cuore di Gesù nella devozione alle piaghe sacrosante della passione


    Abbiamo voluto, venerabili fratelli, proporre alla considerazione vostra e del popolo cristiano, per sommi capi, l'intima natura e le perenni ricchezze del culto al cuore sacratissimo di Gesù, richiamandoci alla dottrina della divina rivelazione come alla sua primaria sorgente. Siamo pertanto convinti che queste nostre riflessioni, dettateci dall'insegnamento stesso del Vangelo, abbiano chiaramente mostrato come questo culto si identifichi, in sostanza, col culto all'amore divino e umano del Verbo incarnato e, finalmente, col culto all'amore stesso che anche il Padre e lo Spirito Santo nutrono verso gli uomini peccatori. Poiché, come osserva l'angelico Dottore, la carità dell'augusta Trinità sta al principio e alle origini del mistero dell'umana redenzione, in quanto, influendo essa potentemente sulla volontà di Gesù Cristo, e ridondando abbondantissimamente quindi nel suo cuore adorabile, gli ispirò un identico amore, che l'indusse a dare generosamente il suo sangue, per riscattarci dalla servitù del peccato (cf. Summa theol., III, q. 48, a. 5: ed. Leon., t. XI, 1903, p. 467): "Io devo ancora essere battezzato con un battesimo, e come sono angustiato finché esso non si compia" (Lc 12,50).
    È peraltro nostra persuasione che il culto tributato all'amore di Dio e di Gesù Cristo verso il genere umano, mediante il simbolo augusto del cuore trafitto del Redentore crocifisso, non sia mai stato completamente assente dalla pietà dei fedeli, benché abbia avuto la sua chiara manifestazione e la sua mirabile propagazione nella chiesa in tempi da noi non molto remoti, soprattutto dopo che il Signore stesso si degnò di scegliere alcune anime predilette, cui svelò i segreti divini di questo culto e che egli elesse a messaggere del medesimo, dopo averle ricolmate in gran copia di grazie speciali.
    Sempre, infatti, vi sono state anime sommamente a Dio devote, le quali, ispirandosi agli esempi dell'eccelsa madre di Dio, degli apostoli e di illustri padri della chiesa, hanno tributato all'umanità santissima di Cristo, e in modo speciale alle ferite, aperte nel suo corpo dai tormenti della salutifera passione, il culto di adorazione, di ringraziamento e di amore.
    Del resto, come non riconoscere nelle parole stesse: "Signore mio e Dio mio" (Gv 20,28), pronunziate dall'apostolo Tommaso e rivelatrici della sua improvvisa trasformazione da incredulo in fedele, un'aperta professione di fede, di adorazione e di amore, che dall'umanità piagata del Salvatore si elevava sino alla maestà della divina Persona?
    Se però il cuore trafitto del Redentore dovette sempre esercitare un potente stimolo al culto verso il suo amore infinito per il genere umano, poiché per i cristiani di tutti i tempi hanno valore le parole del profeta Zaccaria, dall'evangelista Giovanni riferite al Crocifisso: "Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto" (Gv 19,37; cf. Ze 12,10), è doveroso tuttavia riconoscere che soltanto gradualmente esso venne fatto oggetto di un culto speciale, come immagine dell'amore umano e divino del Verbo incarnato.

    2. Il culto al s. Cuore nel medioevo e nei secoli seguenti

    Volendo ora soltanto accennare alle tappe gloriose percorse da questo culto nella storia della pietà cristiana, occorre anzitutto ricordare i nomi di alcuni di coloro, che ben si possono considerare come gli antesignani di questa devozione; la quale, in forma privata, ma in modo graduale sempre più vasto, andò diffondendosi in seno agli istituti religiosi. Così, ad esempio, sono benemeriti del sorgere e dell'espandersi del culto al cuore sacratissimo di Gesù san Bonaventura, sant'Alberto Magno, santa Geltrude, santa Caterina da Siena, il beato Enrico Susone, san Pietro Canisio, san Francesco di Sales. A san Giovanni Eudes si deve la composizione del primo ufficio liturgico in onore al cuore sacratissimo di Gesù, la cui festa solenne fu per la prima volta celebrata, col beneplacito di molti vescovi della Francia, il 20 ottobre del 1672. Ma fra tutti i promotori di questa nobilissima devozione merita di essere posta in speciale rilievo santa Margherita Maria Alacoque, poiché al suo zelo, illuminato e coadiuvato da quello del suo direttore spirituale, il beato Claudio de la Colombière, si deve indubbiamente se questo culto, già così diffuso, ha raggiunto lo sviluppo che desta oggi l'ammirazione dei fedeli cristiani e ha rivestito le caratteristiche di omaggio, di amore e di riparazione, che lo distinguono da tutte le altre forme della pietà cristiana. (Cf. Litt. Enc. Miserentissimus Redemptor: AAS 20 (1928), pp. 167-168)
    Basta questo rapido sguardo ai primordi e al graduale sviluppo del culto al cuore sacratissimo di Gesù, per renderci pienamente convinti che il suo mirabile progresso è dovuto anzitutto al fatto che esso fu trovato in tutto conforme all'indole della religione cristiana, che è la religione dell'amore. Tale culto, quindi, non può dirsi originato da rivelazioni private, né si deve pensare che esso sia apparso quasi all'improvviso nella vita della chiesa; ma è scaturito spontaneamente dalla viva fede e dalla fervida pietà, che anime elette nutrivano verso la persona del Redentore e verso quelle sue gloriose ferite che ne testimoniano nel modo più eloquente l'amore immenso dinanzi allo spirito contemplativo dei fedeli. Pertanto, le rivelazioni, di cui fu favorita santa Margherita Maria, non aggiunsero alcuna nuova verità alla dottrina cattolica. Ma la loro importanza consiste nel fatto che il Signore - mostrando il suo cuore sacratissimo - si degnò di attrarre in modo straordinario e singolare le menti degli uomini alla contemplazione e alla venerazione dell'amore misericordiosissimo di Dio per il genere umano. Infatti, mediante una così eccezionale manifestazione, Gesù Cristo espressamente e ripetutamente indicò il suo cuore come un simbolo atto a stimolare gli uomini alla conoscenza e alla stima del suo amore; e insieme lo costituì quasi segno e caparra di misericordia e di grazia per i bisogni spirituali della chiesa nei tempi moderni.

    3. Approvazione pontificia della festa del s. Cuore

    Del resto, una prova evidente che questo culto trae la sua linfa vitale dalle radici stesse del dogma cattolico è resa dall'approvazione della festa liturgica da parte della sede apostolica che ha preceduto quella degli scritti di santa Margherita Maria; in realtà, indipendentemente da ogni rivelazione privata, ma soltanto assecondando i voti dei fedeli, la Sacra Congregazione dei riti, con decreto emanato il 25 gennaio dell'anno 1765, e approvato dal nostro predecessore Clemente XIII il 6 febbraio dello stesso anno, concedeva all'episcopato della Polonia e all'arciconfraternita romana del S. Cuore la facoltà di celebrare la festa liturgica; col quale atto la Santa Sede volle che prendesse nuovo incremento un culto già vigente e florido, il cui scopo era quello di "ravvivare simbolicamente il ricordo dell'amore divino" (cf. A. GARDELLINI, Decreta authentica 1857, t. III, p. 174, n. 4579), che aveva indotto il Salvatore a farsi vittima di espiazione per i peccati degli uomini.
    A questo primo riconoscimento ufficiale, dato sotto forma di privilegio e in forma limitata, un altro ne seguì a distanza quasi di un secolo, di importanza molto maggiore e in forma molto più solenne. Intendiamo parlare del decreto, già sopra menzionato, emanato dalla Sacra Congregazione dei riti il 23 agosto dell'anno 1856, con il quale il nostro predecessore Pio IX, di i.m., accogliendo il voto dei vescovi della Francia e di quasi tutto il mondo cattolico, estendeva alla chiesa intera la festa del cuore sacratissimo di Gesù, e ne prescriveva la degna celebrazione liturgica (cf. Decr. S. C. Rituum, apud N. NILLES, De rationibus festorum Sacratissimi Cordis Iesu et purissimi Cordis Mariae, Innsbruck 1885/5, t. 1, p. 167). Evento, questo, veramente meritevole di essere raccomandato al perenne ricordo dei fedeli, poiché, come ben si fa rilevare nella liturgia stessa di tale festività: "Da quel giorno il culto al cuore sacratissimo di Gesù, simile a un fiume straripante, superati tutti gli ostacoli, si sparse per tutto il mondo cattolico".
    Da quanto siamo venuti esponendo appare evidente, venerabili fratelli, che è nei testi della s. Scrittura, della tradizione e della sacra liturgia, che i fedeli devono studiarsi principalmente di scoprire le sorgenti limpide e profonde del culto al cuore sacratissimo di Gesù, se desiderano penetrarne l'intima natura e trarre dalla pia meditazione intorno ad essa alimento ed incremento del loro religioso fervore. Grazie a questa assidua e altamente luminosa meditazione l'anima fedele non potrà non giungere a quella soave conoscenza della carità di Cristo, nella quale è riposta la pienezza della vita cristiana, come, edotto dalla propria esperienza, insegna l'apostolo quando scrive: "In vista di ciò io piego le ginocchia davanti al Padre del signore nostro Gesù Cristo… perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere dal suo Spirito fortemente corroborati nell'uomo interiore, e faccia sì che Cristo dimori nei vostri cuori per mezzo della fede, e voi, radicati e fortificati nell'amore, siate resi capaci ... di conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni scienza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio" (Ef 3,14.16-19). Di questa universale pienezza di Dio è appunto immagine splendidissima il cuore stesso di Gesù Cristo: pienezza cioè di misericordia, propria della nuova Alleanza, nella quale "apparve la benignità e l'amore per gli uomini del Salvatore nostro Dio" (Tt 3,4), poiché: "Dio non ha mandato il Figlio suo nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui" (Gv 3,17).

    4. Spiritualità e nobiltà del culto al s. Cuore di Gesù

    Fu dunque costante persuasione della chiesa, maestra agli uomini di verità, fin da quando emanò i suoi primi atti ufficiali riguardanti il culto del cuore sacratissimo di Gesù, che gli elementi essenziali di esso, cioè gli atti di amore e di riparazione tributati all'amore infinito di Dio verso gli uomini, lungi dall'essere inquinati di materialismo e di superstizione, costituiscono una forma di pietà, in cui si attua perfettamente il culto quanto mai spirituale e veritiero, preannunziato dal Salvatore stesso nel suo colloquio con la samaritana: "Viene l'ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Tali sono appunto gli adoratori che il Padre domanda. Dio è spirito, e quelli che lo adorano lo devono adorare in spirito e verità" (Gv 4,23-24).
    Non è pertanto giusto dire che la contemplazione del cuore fisico di Gesù impedisce il contatto più intimo con l'amore di Dio e che essa ritarda il progresso dell'anima sulla via che conduce al possesso delle più eccelse virtù. La chiesa respinge senz'altro questo falso misticismo, come per bocca del nostro predecessore Innocenzo XI, di f.m., ha condannato la dottrina di coloro che asserivano: "Non devono (le anime di questa via interiore) compiere atti di amore verso la beata Vergine, i santi o l'umanità di Cristo; poiché, essendo tali oggetti sensibili, anche l'amore che ad essi si porta è sensibile. Nessuna creatura e nemmeno la beata Vergine e i santi, devono albergare nel nostro cuore: poiché solo Dio lo vuole occupare e possedere" (INNOCENTIUS XI, Cost. apost. Coelestis Pastor (19.11.1687): Bullarium Romanum, Romae 1734, t. VIII, 443). Coloro che così pensano sono naturalmente del parere che il simbolismo del cuore di Cristo non si estenda oltre la significazione del suo amore sensibile e che quindi non possa costituire un nuovo fondamento del culto di latria, che è riservato soltanto a ciò che è essenzialmente divino. Ora una simile concezione del valore simbolico delle sacre immagini deve apparire ad ognuno del tutto falsa, perché essa ne coarta a torto il trascendente significato. Diversamente da costoro giudicano e insegnano i teologi cattolici, di cui esprime la comune sentenza s. Tommaso quando scrive: "Alle immagini viene tributato il culto religioso, non secondo la considerazione loro assoluta, in quanto cioè sono delle realtà a sé, ma in quanto sono immagini che ci conducono fino a Dio incarnato. Ora il movimento dell'animo che ha per oggetto l'immagine, in quanto è immagine, non si arresta ad essa, ma tende fino all'oggetto da essa rappresentato. Perciò, per il fatto che alle immagini di Cristo è tributato il culto religioso, non risulta un culto di latria essenzialmente diverso, né una distinta virtù di religione" (Summa theol., II-II, q. 81, a. 3 ad 3; ed. Leon., t. IX, 1897, p. 180). È dunque alla persona stessa del Verbo incarnato che termina il culto relativo tributato alle sue immagini, siano queste le reliquie della passione, o il simulacro che tutte le vince per valore espressivo, cioè il cuore trafitto di Cristo crocifisso.
    Dall'elemento quindi corporeo, che è il cuore di Gesù Cristo, e dal suo naturale simbolismo è per noi legittimo e doveroso ascendere, sorretti dalle ali della fede, non soltanto alla contemplazione del suo amore sensibile, ma ancora più in alto, fino alla considerazione e all'adorazione dei suo altissimo amore infuso; finalmente, con un'ultima dolce e sublime ascesa, elevarci sino alla meditazione e all'adorazione dell'amore divino del Verbo incarnato. Alla luce, infatti, della fede, per la quale crediamo che nella persona di Cristo esiste il connubio tra la natura umana e la divina, la nostra mente è resa idonea a concepire gli strettissimi vincoli che esistono tra l'amore sensibile del cuore fisico di Gesù e il suo duplice amore spirituale, l'umano e il divino. In realtà, questi amori non devono semplicemente considerarsi come coesistenti nell'adorabile persona del divino Redentore, ma anche come tra loro congiunti con vincolo naturale, in quanto all'amore divino sono subordinati l'umano spirituale e sensibile, e questi due ultimi riflettono in sé medesimi la somiglianza analogica del primo. Non si pretende perciò di vedere e di adorare nel cuore di Gesù l'immagine cosiddetta formale, cioè il segno proprio e perfetto del suo amore divino, non essendo possibile che l'intima essenza di questo sia adeguatamente rappresentata da qualsiasi immagine creata; ma il fedele, venerando il cuore di Gesù, adora insieme con la chiesa il simbolo e quasi il vestigio della carità divina, la quale si è spinta fino ad amare anche col cuore del Verbo incarnato il genere umano, contaminato da tante colpe.
    È necessario quindi tenere sempre presente, in questo così importante ma altrettanto delicato argomento, che la verità del simbolismo naturale, in virtù del quale il cuore fisico di Gesù entra in un nuovo rapporto con la persona del Verbo, riposa tutta sulla verità primaria dell'unione ipostatica; intorno a cui non si può nutrire alcun dubbio, se non si vogliono rinnovare gli errori, più volte dalla chiesa condannati, perché contrari all'unità di persona in Cristo, nella distinzione e integrità delle due nature.
    Tale fondamentale verità ci fa comprendere come il cuore di Cristo sia il cuore di una persona divina, cioè del Verbo incarnato, e che pertanto rappresenta l'amore che egli ha avuto ed ha ancora per noi. È proprio per questa ragione che il culto da tributarsi al cuore sacratissimo di Gesù è degno di essere stimato come l'espressione ideale (absolutissima professio) di tutto il cristianesimo. Questa è, infatti, la religione di Gesù, tutta imperniata sull'Uomo-Dio mediatore, cosi che non si può giungere al cuore di Dio se non passando per il cuore di Cristo, conforme a quanto egli ha affermato: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Gv 1416). Ciò presupposto, è facile concludere che il culto al cuore sacratissimo di Gesù non è in sostanza che il culto dell'amore che Dio ha per noi in Gesù, ed è insieme la pratica del nostro amore verso Dio e verso gli altri uomini. In altre parole, tale culto si propone l'amore di Dio come oggetto di adorazione, di azione di grazie e di imitazione; e inoltre considera la perfezione del nostro amore per Dio e per il prossimo come la meta da raggiungere mediante la pratica sempre più generosa del comandamento nuovo, lasciato dal divino Maestro agli Apostoli quasi in sacra eredità, allorché disse loro: "Io vi dò un comandamento nuovo: Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi... Ecco il mio comandamento: Amatevi scambievolmente, come io ho amato voi" (Gv 13,34; 15,12). Comandamento veramente nuovo e proprio di Cristo, poiché, come osserva l'Aquinate: "La differenza tra il Nuovo e il Vecchio Testamento è tutta sommata in una breve parola; come infatti è detto in Geremia: "lo stringerò con la casa di Israele una nuova alleanza" (Ger 31,31). Che poi anche nel Vecchio Testamento si praticasse tale comandamento sotto l'impulso di un timore e di un amore santo, è da attribuirsi al Nuovo Testamento: perciò questo comandamento esisteva già nell'antica legge, non però come sua prerogativa, ma piuttosto come preludio e preparazione della nuova" (Comment. in Evang. S. Ioannis, c. XIII, lect. VII, 3: ed. Parmae, 1860, t. X, p. 541).

    V. AMMONIMENTI ED ESORTAZIONI PER UNA PRATICA PIÙ ILLUMINATA E PIÛ ESTESA DEL CULTO AL CUORE SS. DI GESÙ

    1. Invito a meglio comprendere e attuare le varie forme di devozione al Cuore di Gesù


    Prima di por fine a così belle e consolanti riflessioni sull'autentica natura e singolare eccellenza del culto al cuore sacratissimo di Gesù, noi, pienamente consapevoli dell'ufficio apostolico affidato per la prima volta al beato Pietro, dopo che questi ebbe resa al Salvatore divino una triplice professione di amore, crediamo opportuno rivolgere a voi nuovamente, venerabili fratelli, e per mezzo vostro a quanti stimiamo nostri dilettissimi figli in Cristo, una parola di esortazione, affinché vi studiate di promuovere quest'eccellentissima devozione, dalla quale attendiamo copiosissimi frutti spirituali anche per i nostri tempi.
    In realtà, se gli argomenti, sui quali si fonda il culto tributato al cuore trafitto di Gesù, saranno debitamente ponderati, dovrà ad ognuno apparire manifesto che non si tratta di una qualsiasi pratica di pietà, che sia lecito posporre ad altre o tenere in minor conto, ma di una forma di culto sommamente idoneo al raggiungimento della perfezione cristiana. Poiché, se "la devozione - secondo il suo concetto teologico tradizionale, espresso dall'angelico Dottore - non sembra essere altro che la pronta volontà di dedicarsi a quanto riguarda il servizio di Dio" (Summa theol., II-II, q. 82, a. 1: ed. Leon., t. IX. 1897, p. 187), quale servizio di Dio più obbligatorio e più necessario si può immaginare, e in pari tempo più nobile e dolce, di quello reso al suo amore9 E quale servizio si può inoltre pensare più gradito ed accetto a Dio di quello che consiste nell'omaggio alla carità divina, e che viene reso per amore, dal momento che ogni servizio reso liberamente è, in un certo senso, un dono, e "l'amore costituisce il primo dono, fonte di ogni donazione gratuita"? (Summa theol., I, q. 38, a. 2: ed. Leon.. t. IV, 1888, p. 393) È degna dunque di essere tenuta in grande onore quella forma di culto, grazie alla quale l'uomo è in grado di onorare e amare maggiormente Dio e di consacrarsi più facilmente e prontamente al servizio della divina carità; tanto più, poi, se si tiene presente che il Redentore stesso si è degnato di proporla e di raccomandarla al popolo cristiano, e i sommi pontefici con atti memorandi l'hanno protetta e ricolmata di grandi lodi. Farebbe pertanto cosa temeraria e perniciosa, e offensiva per Dio, chi nutrisse minore stima per un cosi insigne beneficio elargito da Gesù Cristo alla sua chiesa.
    Stando così le cose, non vi può essere alcun dubbio per i fedeli, che, tributando il loro ossequio al cuore sacratissimo del Redentore, essi soddisfino in pari tempo al dovere grandissimo che hanno di servire Dio e di consacrare al loro Creatore e Redentore se stessi e tutta la propria attività, sia interna sia esterna, e in tal modo mettano in pratica il precetto divino: "Ama il Signore Dio tuo, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza" (Mc 12,30; Mt 22,37). Così facendo, i fedeli sono altresì sicuri di non avere come principale motivo della loro consacrazione al servizio divino alcun vantaggio personale corporale o spirituale, temporale o eterno, ma la stessa bontà di Dio, cui procurano di rendere ossequio con atti di amore, di adorazioni e di debite azioni di grazie. Se così non fosse, il culto al cuore sacratissimo di Gesù non risponderebbe più all'indole genuina della religione cristiana, poiché allora l'uomo non avrebbe in tale culto soprattutto di mira l'ossequio da rendere all'amore di Dio; e pertanto dovrebbero essere ritenute come giuste le accuse di eccessivo amore e di troppa sollecitudine di sé medesimi, mosse talvolta a coloro che mal comprendono o meno rettamente praticano una forma di devozione di per sé nobilissima. Si deve perciò ritenere da tutti fermamente che il culto al cuore sacratissimo di Gesù non consiste principalmente in devote pratiche esteriori, né esso deve essere ispirato anzitutto dalla speranza di propri vantaggi, poiché anche questi benefici il Salvatore divino li ha assicurati mediante private promesse, affinché gli uomini fossero spinti a compiere con maggiore fervore i principali doveri della religione cattolica e per ciò stesso provvedessero nel modo migliore al proprio spirituale vantaggio.
    Sproniamo dunque tutti i nostri dilettissimi figli in Cristo a praticare con fervore questa devozione, sia coloro che già sono assuefatti ad attingere le acque salutari che sgorgano dal cuore del Redentore, sia specialmente coloro che, a guisa di spettatori, stanno tuttora osservando con animo curioso ed esitante questo consolante spettacolo. Riflettano essi attentamente che si tratta di un culto, come abbiamo sopra fatto osservare, che già da molto tempo si è diffuso nella chiesa e che affonda profondamente le sue radici nelle pagine stesse del Vangelo; di un culto, che apertamente si accorda con l'insegnamento della tradizione e della sacra liturgia e che gli stessi romani pontefici hanno esaltato con molteplici ed altissime lodi; né si contentarono essi di istituire la festa in onore al cuore augustissimo del Redentore e di estenderla alla chiesa universale, ma si fecero inoltre gli autori della solenne consacrazione del genere umano al sacratissimo cuore (cf. LEO XIII, Enc. Annum sacrum: Acta Leonis 19 (1900), p. 71s; Decr. S. C. Rituum, 28 iun. 1899: Decr. auth., III, n. 3712; PIUS XI, Enc. Miserentissimus Redemptor: AAS 20 (1928), p. 177s; Decr. S. C. Rituum, 29 ian. 1929: AAS 21 (1929), p. 77). Questo culto, finalmente, ha in suo favore una messe di copiosissimi e allietanti frutti spirituali che ne sono derivati alla chiesa, cioè: innumerevoli ritorni di anime alla pratica della religione cristiana, rinvigorimento della fede in molti spiriti, più intima unione dei fedeli col nostro amabilissimo Redentore; tutti questi frutti, soprattutto in questi ultimi decenni, sono apparsi in una forma esuberante e commovente.
    Nel contemplare un sì meraviglioso spettacolo, costituito dalla pietà sempre più fervorosa e estesa di ogni ceto dei fedeli cristiani verso il cuore sacratissimo di Gesù, l'animo nostro si sente indubbiamente ricolmo di ineffabile conforto; e dopo aver rese le dovute grazie al Redentore nostro per i tesori infiniti e per la sua bontà, non possiamo tralasciare di esprimere la nostra paterna compiacenza a tutti coloro, sia chierici sia laici, che hanno cooperato efficacemente all'incremento di questo culto.

    2. Massima utilità dei culto al s. Cuore per le necessità attuali della chiesa

    Ma, venerabili fratelli, nonostante che la devozione verso il cuore sacratissimo di Gesù abbia prodotto copiosi frutti di spirituale rinnovamento nella vita cristiana, a nessuno può sfuggire che la chiesa militante in questo mondo, e soprattutto l'umano consorzio, non ha raggiunto quella perfezione morale, che risponda ai voti e ai desideri manifestati da Gesù Cristo, mistico sposo della chiesa e redentore del genere umano. Non pochi infatti sono i figli della chiesa che ne deturpano con numerose macchie e rughe quel volto, che in sé medesimi portano; non tutti i fedeli cristiani risplendono per santità di costumi, cui tuttavia sono divinamente chiamati; non tutti i peccatori sono ritornati alla casa paterna malamente abbandonata, per ivi rivestire la "veste più bella" (Lc 15,22) e ricevere l'anello, simbolo della propria fedeltà allo Sposo dell'anima loro; né tutti gli infedeli sono stati inseriti come membra nel corpo mistico di Cristo. E ciò non basta. Poiché, se da un lato il nostro animo è vivamente addolorato allo spettacolo della tiepidezza dei buoni, sedotti dai falsi amori del secolo, che raffreddano e finalmente estinguono la fiamma della divina carità nei loro cuori, dall'altro è ancor più rattristato nel rimirare le macchinazioni degli uomini empi, i quali, più che per il passato, sembrano eccitati dal nemico stesso infernale nel loro implacabile e aperto odio contro Dio, contro la chiesa, e specialmente contro colui, che sulla terra è il legittimo vicario del divino Redentore e rappresentante della sua carità presso gli uomini, secondo la ben nota sentenza del vescovo e dottore della chiesa di Milano: "(Pietro) è infatti interrogato su ciò di cui gli altri potevano dubitare, ma il Signore non dubita; il quale interroga non per imparare, ma per insegnare a colui che, dovendo egli salire al cielo, lasciava a noi come vicario del suo amore" (S. AMBROSIUS, Expos. in Ev. sec. Lucam, l. X, n. 175: PL 15, 1942).
    In verità, l'odio contro Dio e contro i suoi legittimi rappresentanti è il delitto più nefando di cui si possa macchiare l'uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio e destinato al godimento della sua perfetta e perenne amicizia in cielo; infatti con l'odio contro Dio l'uomo si allontana completamente dal sommo Bene e viene spinto ad allontanare da sé e dai suoi simili tutto ciò che viene da Dio, con Dio unisce, e al godimento di Dio conduce: la verità, la virtù, la pace e la giustizia (cf. S. THOMAS, Summa theol., II-II, q . 34. a. 2: ed. Leon_ t. VIII, 1895, p. 274).
    Orbene, nel vedere che, purtroppo, il numero di coloro che si professano nemici di Dio va oggi crescendo, e che i principi del materialismo teorico e pratico si vanno spargendo sempre di più; dinanzi allo spettacolo dell'esaltazione delle cupidigie più sfrenate, come meravigliarsi che si vada raffreddando nell'animo di molti la carità, che è la legge suprema della religione cristiana, il fondamento solidissimo della vera e perfetta giustizia, la sorgente sovrana della pace e delle caste delizie? Del resto il Salvatore stesso ha ammonito: "Per il moltiplicarsi delle iniquità si raffredderà la carità di molti" (Mt 24,12).

    3. Il culto al s. cuore di Gesù, vessillo di salvezza anche per il mondo moderno

    Dinanzi allo spettacolo di tanti mali, che oggi, più che nel passato, travagliano individui, famiglie, nazioni e il mondo intero, dove mai, venerabili fratelli, cercheremo il rimedio? Si potrà forse trovare una devozione più eccellente dei culto al cuore augustissimo di Gesù, più conforme all'indole propria della religione cattolica, più idonea a sovvenire le odierne necessità della chiesa e del genere umano? Ma, quale atto di omaggio religioso più nobile, più dolce, più salutare del culto sullodato, dal momento che esso è tutto rivolto alla stessa carità di Dio? (cf. Enc. Miserentissimus Redemptor: AAS 20(1928), p. 166) Finalmente, quale stimolo più potente della carità di Cristo - che la pietà verso il cuore sacratissimo di Gesù fomenta e accresce ogni giorno più - per spingere i fedeli alla perfetta osservanza della legge evangelica, senza la quale, come ammoniscono saggiamente le parole dello Spirito Santo: "Opera della giustizia sarà la pace" (Is 32,17), non è possibile instaurare la vera pace tra gli uomini?
    Pertanto, seguendo l'esempio del nostro immediato predecessore, piace anche a noi di rivolgere a tutti i nostri dilettissimi figli in Cristo le parole ammonitrici con le quali Leone XIII, di i.m., al tramonto del secolo scorso, esortava tutti i fedeli cristiani e quanti sono sinceramente solleciti della propria salvezza, e di quella della civile società: "Ecco che oggi si offre agli sguardi un altro consolantissimo e divinissimo segno, vale a dire: il cuore sacratissimo di Gesù ... rilucente di splendidissimo candore in mezzo alle fiamme. In esso sono da collocarsi tutte le speranze: da esso è da implorare e attendere la salvezza dell'umanità" (Enc. Annum sacrum: Acta Leonis 19 (1900), p. 79; Enc. Miserentissimus Redemptor: AAS 20 (1928), p. 167).
    È altresì vivissimo nostro desiderio che quanti si gloriano del nome di cristiani e intrepidamente combattono per stabilire il regno di Cristo nel mondo, stimino l'omaggio di devozione al cuore di Gesù come vessillo di unità, di salvezza e di pace. Però, nessuno pensi che con tale ossequio venga arrecato alcun pregiudizio alle altre forme di pietà, con le quali il popolo cristiano, sotto l'alta direzione della chiesa, onora il Redentore divino. Al contrario, una fervida devozione verso il cuore di Gesù alimenterà e promuoverà il culto alla sacratissima croce, come pure l'amore verso l'augustissimo sacramento dell'altare. E in verità possiamo asserire - ciò che del resto è anche mirabilmente illustrato dalle rivelazioni, di cui Gesù Cristo volle favorire santa Geltrude e santa Margherita Maria - che nessuno potrà capire adeguatamente Gesù crocifisso, se non colui a cui si schiudono i mistici penetrali del suo cuore. Né si potrà facilmente comprendere la forza dell'amore che ha spinto il Salvatore a farsi nostro spirituale alimento, se non coltivando una speciale devozione verso il cuore eucaristico di Gesù, il quale ci ricorda appunto, come ben si esprimeva il nostro predecessore di f.m. Leone XIII, "l'atto di suprema dilezione col quale il nostro Redentore, profondendo tutte le ricchezze del suo cuore, allo scopo di stabilire tra noi la sua dimora sino alla fine dei secoli, istituì l'adorabile sacramento dell'Eucaristia" (Litt. Apost. quibus Archisodalitas a Corde Eucharistico Iesu ad S. Ioachini de Urbe erigitur, 17 febr. 1903: Acta Leonis 22 (1903), p. 307s; cf. Enc. Mirae caritatis (28 maii 1902): Acta Leonis 22 (1903), p. 116). E, infatti, "l'Eucaristia non è da stimarsi una particella minima del suo cuore, tanto grande essendone stato l'amore coi quale ce l'ha donata" (S. ALBERTUS M., De Eucharistia, dist. VI, tr. 1, c. 1: Opera Omnia, ed. Borgnet, vol. 38, Parisiis 1890, p. 358).
    Finalmente, mossi dal veemente desiderio di opporre validi presidi contro le empie macchinazioni dei nemici di Dio e della chiesa, come pure di ricondurre sul sentiero dell'amore di Dio e del prossimo famiglie e nazioni, non esitiamo a proporre la devozione al cuore sacratissimo di Gesù come la scuola più efficace della divina carità. Su questa carità divina deve poggiare, come su solido fondamento, quel regno di Dio che occorre stabilire nelle coscienze dei singoli uomini, nella società domestica e nelle nazioni, secondo il sapientissimo ammonimento dello stesso nostro predecessore di p.m.: "Il regno di Gesù Cristo trae forza e bellezza dalla carità divina: amare santamente e ordinatamente è il suo fondamento e il suo fastigio. Da ciò derivano necessariamente le seguenti norme: adempiere inviolabilmente i propri doveri; non fare ingiustizia ad alcuno, stimare i beni umani come inferiori ai divini; anteporre l'amor di Dio a tutte le cose" (Enc. Tametsi: Acta Leonis 20 (1900), p . 303).
    Affinché poi il culto verso il cuore augustissimo di Gesù porti più copiosi frutti di bene nella famiglia cristiana e in tutta la società umana, si facciano un dovere i fedeli di associarvi intimamente la devozione al cuore immacolato della Genitrice di Dio. È, infatti, sommamente conveniente che, come Dio ha voluto associare indissolubilmente la beatissima vergine Maria a Cristo nel compimento dell'opera dell'umana redenzione, in guisa che la nostra salvezza può ben dirsi frutto della carità e delle sofferenze di Gesù Cristo, cui erano strettamente congiunti l'amore e i dolori della madre sua; così il popolo cristiano, che da Cristo e da Maria ha ricevuto la vita divina, dopo aver tributati i dovuti omaggi al cuore sacratissimo di Gesù, presti anche al cuore amantissimo della celeste Madre consimili ossequi di pietà, di amore, di gratitudine e di riparazione. In armonia con questo sapientissimo e soavissimo disegno della Provvidenza divina noi stessi volemmo solennemente dedicare e consacrare la santa chiesa e il mondo intero al cuore immacolato della beata vergine Maria (cf. AAS 34 (1942), p. 345s)

    4. Invito a una degna celebrazione del I centenario della festa dei s. Cuore

    E poiché nel corso di quest'anno, come abbiamo più sopra accennato, si compie felicemente un secolo da quando, per disposizione del nostro predecessore di f.m. Pio IX, la festa del cuore sacratissimo di Gesù si celebra in tutta la chiesa, è desiderio nostro vivissimo, venerabili fratelli, che questa centenaria ricorrenza sia ricordata dal popolo cristiano, dappertutto e solennemente con pubblici omaggi di adorazione, di ringraziamento e di riparazione da offrirsi al cuore divino di Gesù. Queste manifestazioni poi di cristiano giubilo e di cristiana pietà dovranno indubbiamente essere celebrate con specialissimo fervore - in comunione tuttavia di carità e di preghiera coi fedeli della chiesa universale - in quella nazione, in cui, non senza un arcano disegno di Dio, ebbe i natali quella santa vergine, che fu promotrice e aralda infaticabile di questa devozione.
    Frattanto, confortati da soavissima speranza e già pregustando con l'animo quei frutti spirituali che, come confidiamo, deriveranno copiosi alla chiesa dal culto al cuore sacratissimo di Gesù - purché sia rettamente compreso e fervidamente praticato, conformemente abbiamo esposto - innalziamo supplichevoli preci a Dio, affinché si degni di assecondare questi ardentissimi nostri voti col valido sostegno delle sue grazie; esprimiamo inoltre il voto che, col favore dell'Altissimo, la pietà dei fedeli verso il cuore sacratissimo di Gesù ritragga dalle celebrazioni di quest'anno un sempre maggiore incremento e più ampiamente si espanda su tutti nel mondo intero il soavissimo suo impero e regno: "regno cioè di verità e di vita; regno di santità e di grazia; regno di giustizia, di amore e di pace" (Ex Miss. Rom., Praef. Iesu Christi Regis).
    Quale auspicio poi di questi doni celesti, sia a voi personalmente, venerabili fratelli, sia al clero e a tutti i fedeli affidati alle vostre cure pastorali, e particolarmente a coloro che si studiano con ogni mezzo di promuovere e accrescere il culto verso il cuore sacratissimo di Gesù, impartiamo con tutta l'effusione dell'animo l'apostolica benedizione.

    Roma, presso S. Pietro, 15 maggio 1956, anno XVIII del Nostro pontificato.

    PIO PP. XII

  10. #20
    **********
    Data Registrazione
    04 Jun 2003
    Messaggi
    23,775
     Likes dati
    18
     Like avuti
    35
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    PAOLO VI

    INVESTIGABILES DIVITIAS CHRISTI

    LETTERA APOSTOLICA AI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI DELL'INTERO MONDO CATTOLICO, NEL SECONDO CENTENARIO DELLA ISTITUZIONE DELLA FESTA LITURGICA IN ONORE DEL SS. CUORE DI GESÙ.

    Venerabili Fratelli, salute e apostolica benedizione.


    L'imperscrutabile ricchezza di Cristo (Ef 3, 8), sgorgata dal fianco squarciato del Redentore divino nel momento in cui, morendo sulla croce, egli riconciliò col Padre celeste il genere umano, è stata posta in luce così fulgida in questi ultimi tempi dai progressi del culto al Ss. Cuore di Gesù, che lietissimi frutti ne sono derivati a beneficio della Chiesa.
    Infatti, dopo che il nostro misericordioso Salvatore, apparendo, come si riferisce, alla eletta religiosa Margherita Maria Alacoque nella cittadina di Paray-le-Monial, ripetutamente domandò che tutti gli uomini, come in una pubblica gara di preghiere, onorassero il suo Cuore, ferito per amore nostro, e in tutti i modi riparassero le offese ad esso arrecate, il culto verso il S. Cuore - già in diversi luoghi prestato per opera e impulso di san Giovanni Eudes - meravigliosamente fiorì presso il clero e il popolo cristiano, e si diffuse in tutti i continenti. La Sede Apostolica aveva portato il coronamento a questa venerazione, quando, il 6 febbraio del 1765, Clemente XIII, Nostro Predecessore di v. m., accogliendo le richieste dei Vescovi di Polonia e della Arciconfraternita Romana intitolata al Cuore di Gesù, concesse alla nobile Nazione Polacca e al menzionato Sodalizio romano di celebrare la festa liturgica in onore del Sacro Cuore, con l'Ufficio e la Messa propria, e approvò così il relativo decreto, già emanato dalla S. Congregazione dei Riti il 26 gennaio di quell'anno (Cf Pio XII, Lett. enc. Haurietis aquas: AAS 48 (1956), p. 341; A. GARDELLINI, Decreta authentica S.R.C., T. II, 1856, n. 4324; T. III, n. 4579, 3).

    In tal modo, avveniva che, dopo appena settantacinque anni dalla morte dell'umile Suora Visitandina, entrassero in uso la festa liturgica e particolari riti in onore del Ss. Cuore di Gesù: e tutto ciò era accolto non soltanto dal Re, dai Vescovi e dai fedeli della Polonia unitamente ai membri dell'Arciconfraternita Romana del S. Cuore, bensì anche dalle suore dell'Ordine della Visitazione, da tutta quest'alma Città, dai Vescovi e dalla Regina della Nazione Francese, dai superiori e dai religiosi della Compagnia di Gesù, sicché in breve tempo il culto del S. Cuore si estese a quasi tutta la Chiesa, suscitando nelle anime cospicui frutti di santità.
    Abbiamo quindi appreso con vivo compiacimento che si stanno qua e là preparando solenni commemorazioni, ricorrendo il secondo centenario della fausta istituzione: e che soprattutto ciò avviene nella diocesi di Autun, nella quale si trova la cittadina di Paray-le-Monial, e specialmente nello splendido tempio, che colà sorge, ove confluiscono da ogni parte le pie folle dei pellegrini, che vengono a venerare il luogo dove, come si crede, i segreti del Cuore di Gesù furono sì meravigliosamente rivelati e si diffusero in tutto il mondo.

    Ecco pertanto i Nostri desideri, la Nostra volontà: che cioè, in questa occasione, l'istituzione della festa del S. Cuore, messa opportunamente in luce, sia celebrata con degno rilievo da voi tutti, Venerabili Fratelli, che siete i Vescovi della Chiesa di Dio, e dalle popolazioni a voi affidate. Desideriamo che a tutte le categorie dei fedeli siano spiegati nel modo più adatto e completo i profondi e reconditi fondamenti dottrinali, che illustrano gli infiniti tesori di carità del Sacro Cuore; e che si indìcano particolari funzioni sacre, che accendano sempre di più la devozione verso tale culto, degno della più alta considerazione, allo scopo di ottenere che tutti i cristiani, animati da nuove disposizioni di spirito, prestino il dovuto onore a quel Cuore divino, riparino gli innumerevoli peccati con attestazioni di ossequio sempre più fervorose, e conformino l'intera vita ai precetti della vera carità, che è il compimento della legge (Cf Rom 13,10).
    Poiché infatti il Ss. Cuore di Gesù, fornace ardente di carità, è simbolo ed espressiva immagine di quell'eterno amore, nel quale Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figliuolo unigenito (Io. 3,16), siamo certi che dette commemorazioni contribuiranno moltissimo a far sì che le ricchezze dell'amore divino siano profondamente scrutate e bene comprese; e nutriamo altresì la fiducia che i fedeli tutti ne sappiano trarre ispirazione sempre più risoluta a configurare al Vangelo la propria vita, a emendare diligentemente i costumi, a mettere in pratica la legge del Signore.

    Ma in primo luogo desideriamo che, per mezzo di una più intensa partecipazione al Sacramento dell'altare, sia onorato il Cuore di Gesù, il cui dono più grande è appunto l'Eucaristia. Nel sacrificio eucaristico, infatti, si immola e si riceve il nostro Salvatore, sempre vivo a intercedere per noi (Ebr. 7, 25), il cui Cuore fu aperto dalla lancia del soldato, e riversò sull'umano genere il fiotto del suo Sangue prezioso, commisto ad acqua; in questo eccelso sacramento, inoltre, che è vertice e centro degli altri Sacramenti, la dolcezza spirituale è gustata nella sua stessa sorgente, e si ricorda quell'insigne carità, che Cristo ha dimostrato nella sua passione (S. TOMMASO D'AQUINO, Opusculum 57). Bisogna dunque che - per usare le parole di san Giovanni Damasceno - ci accostiamo a lui con desiderio ardente... affinché il fuoco del nostro desiderio, ricevendo come l'ardore della brace, distrugga, bruciandoli, i nostri peccati e illumini i cuori, e in tal modo, nel contatto abituale col fuoco divino, diventiamo ardenti pure noi e simili a Dio (S. Giovanni Damasceno, De fide orthod., 4, 13: PG 94, 1150).
    Questa ragione ci sembra quindi massimamente idonea a far sì che il culto al S. Cuore, che - lo diciamo con dolore - si è in alcuni un po' affievolito, rifiorisca ogni giorno di più, e sia da tutti considerato come una forma nobilissima e degna di quella vera pietà, che al nostro tempo, specialmente per opera del Concilio Vaticano II, viene insistentemente richiesta verso il Cristo Gesù, re e centro di tutti i cuori, capo del corpo, che è la Chiesa... il principio, il primogenito dei redivivi, affinché in tutto abbia lui il primato (Col 1,18).

    E siccome il Sacrosanto Concilio Ecumenico raccomanda grandemente i pii esercizi del popolo cristiano... specialmente quando sono fatti per volontà della Sede Apostolica (CONC. VAT. II, Cost. sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 13), questa forma di devozione sembra doversi sommamente inculcare: di fatto, come abbiamo sopra ricordato, essa consiste essenzialmente nell'adorazione e nella riparazione, degnamente prestata al Cristo, ed è fondata soprattutto nell'augusto mistero dell'Eucaristia, da cui, come dalle altre azioni liturgiche, consegue quella santificazione degli uomini in Cristo, e quella glorificazione di Dio, a cui tendono tutte le altre opere della Chiesa, come al loro fine (CONC. VAT. II, Cost. sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 10).
    Con l'augurio che le celebrazioni, che vorrete indire, possano contribuire nel modo più efficace a duraturi progressi della vita cristiana, invochiamo su di voi i doni abbondanti del divino Redentore, mentre, in pegno della Nostra benevolenza, impartiamo con grande affetto a voi, Venerabili Fratelli, a tutti i sacerdoti, alle comunità religiose e ai fedeli, affidati alle vostre cure, la nostra Apostolica Benedizione.

    Roma, presso la basilica di San Pietro, il 6 febbraio dell'anno 1965, secondo del nostro pontificato.

    PAOLO PP. VI

 

 
Pagina 2 di 12 PrimaPrima 123 ... UltimaUltima

Discussioni Simili

  1. Risposte: 29
    Ultimo Messaggio: 22-08-20, 22:49
  2. Il sacro Cuore di Gesù
    Di Colombo da Priverno nel forum Tradizione Cattolica
    Risposte: 76
    Ultimo Messaggio: 22-06-20, 02:29
  3. Guardia d'onore al Sacro Cuore di Gesù
    Di vandeano2005 nel forum Tradizionalismo
    Risposte: 6
    Ultimo Messaggio: 22-06-20, 01:59
  4. Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 17-06-06, 12:56
  5. Il Sacro Cuore
    Di DanielGi. nel forum Chiesa Ortodossa Tradizionale
    Risposte: 110
    Ultimo Messaggio: 24-05-06, 13:50

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito