E' finito proprio in questi giorni il periodo di tempo di sei mesi assegnato ai cittadini indiani per denunciare il possesso di scialli di shahtoosh, la lana dell'antilope tibetana. Una sorta di condono, insomma. Lo shahtoosh è senza dubbio il più pregiato tra i tessuti, dato che l'animale che la produce, il chiru (Pantholops hodgsonii), è ormai ridotto a pochi esemplari e che la loro natura vagabonda e selvaggia non ne consente la cattura né tantomeno l'allevamento. Per ottenere il loro pelo non c'è che un sistema, ucciderle. Ma se vi aggirate per il Tibet, per il Nepal, oppure anche per i negozi di moda del mondo, vi racconteranno una leggenda del tutto fasulla: per tranquillizzare la vostra coscienza di compratori di lusso narrano che i peli verrebbero raccolti batuffolo per batuffolo dai cespugli dell'altopiano tibetano, qualche grammo per volta. Ma è una bugia: servono da tre a cinque chiru per uno scialle. La campagna per salvare queste antilopi è in atto da anni, con risultati abbastanza limitati, tuttavia. La Convenzione internazionale sul commercio delle specie minacciate (Cites) ne proibisce ogni commercio fin dal 1979, ma apparentemente senza successo. Secondo le stime più recenti c'erano 50-100 mila antilopi 40 anni fa, mentre attualmente il loro numero sarebbe precipitato a soli 65 mila individui e ogni anno ne vengono uccise 20 mila.
E' il mercato del lusso che comanda la mano dei cacciatori di frodo: dagli alti pianori del Tibet e del Nepal le pelli iniziano il loropercorso sotterraneo per venire lavorate negli stati indiani di Jammu e Kashmir, fino a giungere illegalmente nelle boutique del nord del mondo, ovviamente nascoste sotto i banconi. Il prezzo si aggira tra i duemila e i 15 mila dollari. Sono scialli leggeri, morbidissimi, persino più leggeri e preziosi di quelli di pashmina, una lana che viene ricavata anch'esso nel Kashmir himalayano, ma da capre di allevamento, che non vengono uccise.
L'amnistia indiana, lanciata dall' International Fund for Animal Welfare e dal Wildlife Trust, garantiva una completa assoluzione da ogni reato passato e consentiva il possesso degli scialli illegali infine dichiarati, ma con il vincolo che non potranno essere messi in commercio: l'unico passaggio di proprietà ammesso è per via ereditaria. Non tutti peraltro hanno aderito per il timore di essere comunque tassati per il possesso di beni preziosi. Dunque un successo limitato, un gesto simbolico dagli scarsi effetti pratici.
Contemporaneamente negli Stati uniti, che è il mercato dove più facilmente si indirizzano gli scialli illegali, l'agenzia di protezione U.S. Fish and Wildlife Service ha proposto di inserire le antilopi tibetane nella lista americana delle specie minacciate; apparentemente una mossa inutile, perché di chiru in America non ce ne sono, ma questo permetterebbe agli agenti federali e al servizio delle dogane di intervenire più drasticamente contro il commercio illegale.
La legge cinese (la Cina si è annessa il Tibet, come noto), classifica le antilopi nella Classe 1 di protezione, ovvero nella stessa categoria del Panda gigante, vietandone ogni uccisione, salvo permessi speciali e specifici da parte del governo, e sostiene che i suoi sforzi hanno avuto il positivo effetto di risollevare la popolazione. Sarebbero 346 i casi di bracconaggio accertati negli ultimi anni, ma le condanne erogate sono solo 18.
In ogni caso la minaccia ai chiru non deriva solo dalla caccia illegale, ma anche dal deterioramento dell'ambiente. «L'impatto sull'habitat, specialmente quello causato dal pascolo degli animali da allevamento risulta essere un fattore che contribuisce al declino (delle antilopi) e potenzialmente può avere un effetto anche più grande nel prossimo futuro», osserva la stessa agenzia americana. Questo probabilmente è il problema più grave: ogni viaggiatore in Tibet percepisce visivamente la spinta massiccia alla trasformazione industriale e al ripopolamento voluta dal governo cinese. Oltre alla cultura locale, anche i chiru ne saranno le vittime.

Franco Carlini
Il Manifesto 22/10/03