22 ottobre 2003
Ormai dovrei esserci abituato. Come il principe Myskin, dovrei sapere quando arriva, che non dura in eterno e che, alla fine, come è arrivata se ne va. Ma ogni volta è come se fosse uno stato definitivo del mio animo.
Stamani non mi sono neppure comunicato. Sono rimasto come un ebete lì, in piedi, aspettando che la fila finisse. Qualche giudizio contro l’ostia in mano. E sono tornato a casa, senza Cristo, e francamente vuoto.
Per tre, quattro volte ho riavuto quella sensazione.
Mi sono ritrovato stanco, con un panino in mano. Lei mi ha chiamato un paio di volte.
- Ma dove ce l’hai la testa, stasera?
- Sto ascoltando.
Ha parlottato, dolce come sempre, tutta la serata con la madre. In un solo attimo, ho incrociato lo sguardo del padre, all’altro capo del tavolo. Come me, stanco, con chi sa quali pensieri. Ma lui già con una famiglia. Io con un pugno di fogli inglesi in mano. Non è molto…… non è nulla.
Avrei voluto piangere, ma è come una maledizione: l’ho fatto qualche mese fa, pare che debba aspettare qualche altro decennio. Non mi escono storie, non mi escono poesie, e le letture sono stentate.
Dio mio, come stiamo andando male, ma proprio male.