Non nominare il nome di Falcone invano...miscredente.
Il tuo amico Violante gli fu nemico acerrimo a causa della sua resistenza al pentitismo telecomandato dai politici (di sx).
Il caso Pecorelli è stato "inventato da Violante. Informati!!!!
Incontro con il senatore dopo l’assoluzione
Andreotti: «Sul caso le impronte di Violante»
«Rivoltato come un pedalino». «Il Papa si è davvero esposto per me, quando fui condannato mi scrisse una lettera»
«Per dare un giudizio vero su questa vicenda e sulla Dc bisognerà aspettare almeno un secolo». L’auto blindata fila silenziosa fra le strade di una Roma notturna e semideserta. La voce di Giulio Andreotti arriva come dall’aldilà: sembra che stia raccontando la saga di un’altra persona, vissuta in un altro mondo. Il senatore a vita è seduto accanto all’autista, con la testa senza collo fasciata da una sciarpa bianca. Dietro, l’avvocato Giulia Bongiorno e una delle guardie del corpo se lo coccolano con gli occhi, in silenzio. Andreotti non sembra né teso, né arrabbiato. Soltanto la vena che pulsa, gonfia come una cicatrice, sulla tempia destra, lascia indovinare la tensione di questo personaggio condannatosi a non mostrare emozioni. Sono le 21 di giovedì 30 ottobre, giorno della resurrezione giudiziaria dell’ex presidente del Consiglio più inquisito, condannato e assolto d’Italia. Per la prima volta dopo dieci anni e mezzo, ieri è tornato a casa dalla moglie Livia senza l’ombra pesante di una condanna a 24 anni per omicidio. Assolto con formula piena. Niente equivoci né ambiguità. Hanno festeggiato con le pizze portate nei contenitori di cartone dal figlio Stefano e uno dei nipoti. Intorno alla tavola, c’era tutta la famiglia. Lui ha dato due morsi ad una «Margherita», un bacio sulla guancia alla Marescialla, la moglie un tempo rocciosa al punto da meritarsi quel nomignolo, e oggi infragilita dalle peripezie subìte dal marito. E poi via, ad affrontare domande e riflettori. Ma da vincitore, stavolta. «Mi hanno rivoltato come un pedalino. Ed è stato tutto molto pesante» dice con una punta di stanchezza.
Giulio Andreotti entra nello studio di «Porta a Porta» con i suoi avvocati Giulia Bongiorno e Franco Coppi (Lapresse)
«Fiducia l’avevo. Ma avevo anche paura di non fare a tempo. Intendo dire, come vita. Quelli dicevano: tanto ha già settant’anni, magari muore durante il processo. E invece, eccomi».
Accenna a voltarsi con un sorriso impercettibile. «Lo dico sempre che sono postumo di me stesso. Ne ho, di cose da raccontare sulla mia vita. Anche se spero non siano più di questo tipo. Voglio scrivere un libro sui testimoni. Ho molto materiale: cose inverosimili». Allude, ma non ha una grande voglia di attaccare, polemizzare. Almeno in quel tratto di strada che lo porta dalla sua casa di corso Vittorio Emanuele al quartiere Prati, agli studi Rai di via Teulada, è fedele alla sua immagine di vecchio non indurito, ma quasi addolcito, reso più saggio dalla traversata crudele sotto le forche caudine dei processi. «Non è che stia zitto perché sono buono. Forse, sono solo superbo» si osserva. «Credo che il mondo sia largo. Dopo di che, se certe persone non fossero nate sarei contento».
L’unico accenno esplicito, con nome e cognome, è a Luciano Violante, oggi capo dei deputati diessini, presidente della Commissione antimafia quando nel 1993 Andreotti fu infilato nel tritacarne delle accuse. Nel novembre dello scorso anno, dopo la condanna di Andreotti a Perugia, Violante aveva detto, durissimo: «Io su Andreotti non cambio idea». «Io, invece» sussurra nel silenzio dell’auto blindata l’ex presidente del Consiglio, aggrappandosi alla maniglia dello sportello mentre sfreccia sul Lungotevere, «spero che adesso la cambi, su di me. Ho sempre evitato di parlare di obiettivi politici del processo, anche se gli atti processuali portano le firme: impronte digitali delle mani e dei piedi. E ci sono anche quelle di Violante. Scrisse al sostituto procuratore Roberto Scarpinato per comunicargli che aveva ricevuto una lettera anonima sul delitto di Mino Pecorelli. Ma che c’entrava Scarpinato con Pecorelli? Per me, fu la conferma che c’era una piccola trama. E se non ci fossero stati loro, i miei avvocati» aggiunge Andreotti girandosi verso Giulia Bongiorno, suo difensore insieme col professor Franco Coppi, «sarei stato fritto».
Se li ricorda ancora, gli incubi notturni dei primi anni da imputato. Sognava di trovarsi in un ascensore senza uscite, che di colpo si bloccava nel buio. Oppure, si vedeva nelle strade della sua Roma, incapace di orientarsi. A volte, in quei sonni agitati si vedeva perfino solo, perché si era perso la scorta. «Per fortuna, ora di incubi così non ne ho più, anche perché la scorta oggi è ridotta. Ma non lo diciamo» aggiunge semiserio. «Con questo brigatismo che rispunta...». Lui ricorda quello del passato. «’Sta povera Dc che veniva definita dalle Br lo Stato Imperialista delle Multinazionali. Ma è un partito che ha avuto una storia limpida e gloriosa, e fra qualche decennio sarà ancora più chiaro. Non parlo di me: mi basta fare il nome di Alcide De Gasperi».
Andreotti schiva ogni riferimento al futuro, alla rivincita. La sua vittoria si chiama sopravvivenza. Il resto, in questa sera di ottobre, gli appare secondario. Rimpianti? «Credo di non potere chiedere di più dalla vita politica». Treni sontuosi perduti, magari con destinazione Quirinale? «Il pentito Tommaso Buscetta disse che nel 1992 avevano ucciso Salvo Lima per fermare me» risponde evocando il cadavere eccellente del suo proconsole siciliano. Ma sembra che ormai gliene importi davvero poco. Quando dice: «Politicamente, io sono in quiescienza», appare sincero.
Preferisce ricordare quella che considera una profezia. «Madre Teresa me lo disse: sarà lunga ma ne uscirai». Ha parole riconoscenti per Giovanni Paolo II. «Il Papa si è veramente esposto per me. E pensi» abbassa la voce che è già appena un soffio «mi ha anche scritto una lettera dopo la sentenza di condanna dell’anno scorso». Racconta la solidarietà che ricevette da un Carlo Azeglio Ciampi «sconcertato: mi disse proprio così». Squilla il cellulare. E’ Francesco Cossiga che si congratula: una delle tante telefonate democristiane. Andreotti lo saluta con affetto. E ricorda il sostegno ricevuto dal mondo cattolico. «Ma non di tipo politico, anzi: quando mi presentai qualche anno fa con Democrazia europea, in Vaticano ci fu chi mi attaccò da destra e chi da sinistra. Qualcuno temeva che togliessi voti a Silvio Berlusconi, e chi a Francesco Rutelli». Alla fine, l’anziano Belzebù, con le sue nostalgie scudocrociate, non li tolse praticamente a nessuno. Ma lui ricorda quell’esperienza come una medaglia alla propria coerenza democristiana.
L’auto si ferma davanti ai cancelli della Rai in via Teulada. C’è l’ultima troupe televisiva da superare, prima di entrare nel salotto, per lui sempre accogliente, di Vespa e di Porta a Porta . La truccatrice lo invita a entrare in camerino «per farsi bello». «Mi pare difficile» risponde. «Ci vorrebbe l’intero istituto per il restauro». La sua sagoma curva fende quegli studi dov’è di casa, fra saluti deferenti. Dietro le quinte, fra tartine e bibite fresche, democristiani convertiti al berlusconismo o all’ulivismo lo accolgono come un vecchio zio. Ci sono Carlo Giovanardi, Clemente Mastella. E c’è l’avvocato Coppi, con la faccia tonda e radiosa di chi ha appena vinto la causa più importante della sua vita.
Giulia Bongiorno continua a seguire «il Presidente» come un’ombra silenziosa e adorante. Loro due hanno già brindato, al momento della notizia dell’assoluzione, nello studio del senatore a vita a palazzo Madama: un bel bicchiere di plastica pieno d’acqua frizzante. «L’importante è poter brindare a qualcosa» sorride la giovane avvocatessa, reduce da decine di telefonate nelle quali si sentiva chiedere se Andreotti sarebbe andato agli arresti domiciliari; o che cosa avrebbero fatto loro, i difensori, in caso di condanna. «L’esito, checché se ne dicesse, non era affatto scontato» confessa. «E infatti, la sentenza è arrivata in ritardo, rispetto a quello che ci aspettavamo». La fama luciferina di Andreotti è dura, a morire. Anche da assolto, le vignette che lo ritraggono come un Belzebù moderno continuano. «Lo so, oggi (ieri, ndr) ne ho viste ancora un paio. Ma c’è tanta gente che al diavolo, ormai» dice il senatore a vita, quasi deluso «non crede per niente». E infila lo studio televisivo, curvo proprio come nelle vignette. Anche se mai come questa volta, in realtà, dà l’impressione di camminare a testa alta e con la schiena diritta.
Massimo Franco
Corriere della sera. 31/10/2003