Le immigrate costrette a subire l'infibulazione
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29/10/2003 | La Nuova Ferrara | FGM |
CLAUDIA ZAMORANI
BOLOGNA. Le bimbe africane hanno solo otto anni quando le madri le
pigliano per farle mutilare ai genitali. Un destino che le segnerà per
sempre, precludendo loro la possibilità, da donne, di provare piacere
fisico durante l'atto sessuale.
In Emilia si aggirano tra 900 e 1.600 le donne infibulate (la stima
proviene da una ricerca condotta interrogando 176 ginecologi e 241
ostetriche), una pratica vietata in Italia (considerata lesione, non
reato) ma diffusa in 28 Paesi dell'Africa e in alcuni asiatici, per
salvaguardare l'onore e la purezza della donna e necessaria per
trovare marito, come ha spiegato ieri a Bologna Khady Koita,
presidente del network europeo contro le mutilazioni genetiche
femminili, una giovane donna senegalese che ha provato quell'
esperienza sulla propria pelle, o meglio sul proprio clitoride, che
non ha più da venti anni. Così si va battendo, soprattutto dopo aver
incrociato sul proprio cammino Emma Bonino, la europarlamentare
promotrice della campagna `Stop Female Genital Mutilation'. «Nella mia
vita intima mi fa molto male vivere senza una parte del mio corpo - ha
spiegato con qualche comprensibile imbarazzo Khady - una mutilazione
che è non solo fisica ma anche morale».
Quel che più colpisce della ricerca regionale sulla condizione delle
donne immigrate infibulate, presentata ieri assieme alla campagna, è
la positività con cui questa pratica feroce viene invece vissuta dalle
stesse donne che ne sono vittime, tanto che una su tre desidera che la
propria figlia segua lo stesso destino. Il perché, difficile da
capire, lo spiega Khady: «E' una tradizione che dura da molto tempo e
la nostra educazione ci ha inculcato in modo martellante che questa
sia una pratica buona. Le donne che emigrano vi si attaccano per
mantenere un legame con le proprie origini, con la propria terra,
visto che i Paesi che le ospitano non offrono loro un'alternativa
tangibile in termini di integrazione, tale da consentir loro di
staccarsi completamente da questa pratica orribile». Quindi una
migliore integrazione gioverebbe? «Sì, una migliore integrazione e
migliori condizioni offerte alle donne immigrate. Del resto quando
parlano con noi, ci confidano di aver voglia di una svolta, di
troncare». L'infibulazione è una pratica ancora poco conosciuta in
Italia, perché recente è il fenomeno dell'immigrazione. Spesso i
medici, di fronte a un parto, non sanno neppure che pesci pigliare, se
sia meglio il cesareo oppure no. Mentre per le donne è un choc,
soprattutto psicologico, relazionarsi a professionisti che non
conoscono neppure l'abbici di quel che la cultura musulmana permette
loro, o meno, di fare. E così non tornano più.