Intervista a daniel pipes
Le due vie dell' islam
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è un profondo senso di frustrazione a portare i musulmani su posizioni
sempre più esasperate Consigliere di Bush per la politica
mediorientale nei suoi saggi ha previsto l' offensiva terroristica 'I
radicali sono però una minoranza stimabile intorno al 10-15 per cento'
'La maggior parte dei leader militanti sono professionisti e non
contadini oppressi'
ROMA GIANCARLO BOSETTI
Daniel Pipes è al fianco di George W. Bush nella politica
mediorientale. Il presidente lo ha voluto nella direzione del
Consiglio per la Pace, organo di indirizzo strategico, dopo l' 11
settembre. Nei suoi saggi aveva preannunciato dal 1995 l' offensiva
terroristica e due anni fa, dopo la catastrofe, è apparso profetico. I
giornali americani, tutti, da allora se lo contendono. è una celebrity
televisiva. Il New York Post di Murdoch se l' è aggiudicato come
commentatore. «Chi non ha paura dell' islamismo non lo conosce», è una
sua battuta. Pipes è un intellettuale «neocon» a tutti gli effetti. è
a Roma ospite della Università Luiss-Guido Carli, dove esibisce agli
studenti una eloquenza, essenziale, breve, concretissima. Lo ha
invitato Victor Zaslavski, storico dell' Urss, collega del padre di
Daniel, Richard Pipes. Il confronto tra padre e figlio è facile quanto
inevitabile. Il figlio consigliere di Bush per la questione islamista,
il padre consigliere di Ronald Reagan per la questione comunista: fu
uno degli uomini chiave del «Team B» della Cia, una commissione che
aveva il compito di stimare il potenziale strategico di Mosca e dal
cui lavoro dipendeva il dosaggio del budget militare americano. I
giornali si sono già esercitati sul tema «la crociata di padre in
figlio», ma accolgo il suggerimento di Zaslavski e la nostra
intervista comincia da qui. Lei è portatore di un' eredità
intellettuale e politica: accetta l' analogia tra il lavoro di suo
padre sull' Unione Sovietica allora e il suo sul mondo islamico oggi?
«Sì, il ruolo di mio padre era quello di studiare e di spiegare all'
opinione pubblica americana i fattori per cui la Russia poteva
costituire un pericolo. Oggi la democrazia occidentale si trova ad
affrontare una nuova minaccia: l' Islam militante». Quali sono le
ragioni principali che fanno dell' integralismo radicale un
atteggiamento così diffuso nell' Islam? «Fondamentalmente un profondo
senso di frustrazione. Il mondo mussulmano oggi non si trova più nella
posizione privilegiata che occupava in passato. Da ciò scaturisce
questa sua incontenibile aggressività». Non ci sono stati errori da
parte degli Stati Uniti e del mondo occidentale? «I singoli fattori
non sono determinanti: la povertà, le carestie, una politica americana
sbagliata sono solo la punta dell' iceberg. La base motivante dell'
integralismo non è affatto circoscritta. Si tratta di un sentimento
profondo, di un risentimento che ha molto a che fare con una crisi di
identità del mondo arabo, per la quale l' Islam militante, al momento,
sembra a molti l' unica soluzione possibile». A molti, quanti? «I
radicali del mondo islamico sono una minoranza, stimabile intorno a
10-15 per cento, ma sono organizzati, sono loro a fare l' agenda». La
sua conferenza alla Luiss si intitola Esiste un Islam moderato? Come
risponde a quella domanda? «Rispondo che esiste ed è molto importante.
E aggiungo: l' Islam militante è il problema e l' Islam moderato è la
soluzione». Il concetto di Islam moderato non è un po' troppo vasto?
Comprende situazioni di Islam democratico come la Turchia, ma altre
come i regimi arabi dove «moderato» vuol dire non ostile agli Stati
Uniti però per niente liberal. «Sì, è un concetto un po' troppo vasto.
Sarebbe meglio dire "non islamista", se non fosse più difficile da far
intendere. Nella sua storia l' Islam è stato un movimento molto
aggressivo, ma ha avuto lunghi periodi di tranquillità. Nel 1969
quando decisi di dedicarmi a questo tema, l' Islam sembrava una
questione in declino. Ora ci troviamo nel momento più radicale della
storia dell' Islam, più radicale e distruttivo di quanto sia mai stato
in passato». Come spiega l' emergere del fondamentalismo musulmano
negli ultimi decenni? «Il fondamentalismo è una risposta alla
modernità, un modo di rapportarsi ad essa. Si tratta di una
particolare maniera di confrontarsi con l' attualità contingente. Ed è
interessante notare che alcuni - se non la maggior parte - dei leader
e degli intellettuali dell' Islam militante sono professionisti -
architetti, dottori, imprenditori, ingegneri - che spesso hanno anche
alle loro spalle un' esperienza formativa in Occidente. Non sono
contadini di paesi in via di sviluppo». Ritiene che perciò si stia
avverando la profezia di Huntington dello «scontro fra le civiltà»?
«No, non credo sia questo il punto. D' altra parte abbiamo continue
dimostrazioni della significativa presenza di occidentali che
capiscono e giustificano il fondamentalismo. E altrettanto
significative prove dell' esistenza di mussulmani che invece lo
odiano. Proprio come alcuni dei maggiori esponenti dell' anticomunismo
sono stati di origine sovietica, così anche molti dei più accesi
nemici dell' integralismo provengono da paesi in cui esso è una logica
dominante. Alcuni dissidenti sono famosi - come Salman Rushdie - molti
altri no, ma tutti loro costituiscono una componente imprescindibile
del mondo arabo, che potrebbe rivelarsi la chiave per scardinare il
fondamentalismo». C' è chi sostiene, come il tedesco Bassam Tibi, che
a fermare il fondamentalismo, a liberarci dalla Jihad, potrebbe essere
l' Europa, se si decide a volerlo, attraverso l' educazione
democratica degli immigrati, altri come Michael Walzer sostengono che
già adesso la società americana sta educando le comunità islamiche.
Lei cosa ne pensa? «L' impulso definitivo alla liberazione dalla Jihad
verrà in generale dall' Occidente e non dal Pakistan o dall' Arabia
Saudita. Siamo dunque noi che dobbiamo impegnarci, non possiamo
aspettarci che il mondo arabo faccia da solo. Tra America ed Europa,
sarei più incline a considerare l' opzione americana, proprio perché
negli Stati Uniti c' è al momento una maggiore integrazione tra
mussulmani e popolazione autoctona. In Europa gli arabi sono ancora
relegati in una posizione di marginalità, anche se esistono certamente
degli intellettuali di tutto rispetto, come Bassam Tibi, appunto, o
Tariq Ramadan. Ma il punto è che la libertà arriverà da qui, dall'
Occidente». Ma sia Ramadam, musulmano, sia Walzer ebreo-americano,
insistono che ogni cultura deve arrivare alla democrazia attraverso un
suo interno processo e dire a un certo punto: ecco la libertà è una
idea che trovo nelle radici della mia cultura. Non da fuori. «Si
tratta di un' estraneità puramente geografica, non concettuale. Si
tratta solo di rielaborare la religione islamica compatibilmente con i
nuovi valori. Cinque secoli fa, mussulmani, cristiani ed ebrei erano
ugualmente convinti che possedere degli schiavi, in alcuni casi, fosse
accettabile. Allo stesso tempo, però, dare importanza al denaro non
era un comportamento altrettanto condivisibile. Da allora, cristiani
ed ebrei hanno cambiato idea: la schiavitù è diventata inammissibile e
il denaro, con l' avvento del capitalismo, ha preso a farla da
padrone. è stata una trasformazione radicale, che però non si è
verificata nel mondo islamico. Nei paesi arabi, la schiavitù esiste e
non è assolutamente messa in discussione. E il tabù del perseguimento
del profitto personale è vivo più che mai». Il mondo musulmano
corrisponde ad aree di ritardo economico. «Ma cominciano ad esistere
aziende che fatturano anche più di 150 miliardi di dollari
statunitensi ed è da lì che può arrivare il colpo di grazia alla
Jihad. Da lì, ma anche da una riformulazione del ruolo sociale delle
donne e delle minoranze. Il concetto di Jihad è profondamente radicato
nel mondo arabo. Per rimuoverlo bisogna scardinarlo dall' interno,
modernizzarlo, metterlo a confronto con nuovi valori. Valori che
possono anche provenire dall' esterno in senso geografico, ma devono
venire introiettati dal mondo islamico». Alla politica estera dei
«neocon» appartiene l' idea di una progressione: dopo l' Iraq, l'
Iran. La scrittrice liberal di Teheran Azar Nafisi dice: Americani,
per favore, non vi occupate di noi, ce la stiamo facendo da soli~ Che
progetti ha Bush? «Non conosco la posizione della Casa Bianca in
merito. Sono d' accordo con la Nafisi, ma con una precisazione. Se l'
Iran intraprenderà delle azioni aggressive o ostili nei nostri
confronti, dovremo fermarlo. Si tratta di stabilire dei limiti. Finché
si resta entro una certa area, tutto va bene. Quando si inizia a
sconfinare, la situazione diventa più pericolosa. Ma mi sembra che le
cose stiano andando per il verso giusto. Il regime iraniano è nelle
condizioni della Russia di Breznev».