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    Predefinito Ricominciamo da capo: quale....

    ....Europa?

    L’Europa è a un punto di svolta: politico e organizzativo, per l’allargamento da quindici a venticinque membri, ma soprattutto economico, per le sfide poste dalla globalizzazione.
    Detto più chiaramente: “La rigidità, l’inflessibilità e la mancanza di competitività dell’Europa, che un tempo, nell’era dei blocchi commerciali, potevano essere protette e mascherate, sono ora, nell’era della competizione globale, esposte e senza difese”. E’ quanto sostiene, in un articolo pubblicato ieri sul Daily Telegraph, il ministro del Tesoro inglese, Gordon Brown, secondo il quale “la bassa crescita dell’Europa, i suoi quattordici milioni di disoccupati, il divario di produttività con gli Stati Uniti, sono tutti elementi che pongono lo stesso problema: saremo capaci di passare dal vecchio sistema, chiuso in se stesso, dei blocchi commerciali a un’Europa flessibile, aperta e con una prospettiva globale, capace di affrontare le sfide economiche dell’Asia e dell’America?”.
    Per far questo bisogna rifiutare l’antiquato concetto che “un mercato unico porti inevitabilmente all’armonizzazione delle tasse, poi al federalismo fiscale e infine allo Stato federale”.
    Non basta. Per mettere in grado l’Europa di affrontare la competizione globale è necessario, continua Brown, che proprio l’Inghilterra (per la quale il ministro del Tesoro, al pari di Blair, aspira a una posizione di guida nel continente) promuova la propria visione, fondata “su regole fiscali di lungo termine, sulla flessibilità, l’apertura e il libero commercio”.

    Ecco la ricetta in cinque punti proposta da Brown per la trasformazione.
    Per prima cosa l’Europa deve, come ha già fatto l’Inghilterra, “
    abbandonare il suo vecchio e limitato approccio alle politiche monetarie e fiscali, e adottare un sistema di rigidi obiettivi monetari e di regole di bilancio annuali, anziché di medio periodo”.
    Secondo, l’Europa deve, imitando ancora una volta l’Inghilterra,
    “rinunciare al vecchio modello di regolamentazioni e instaurare un regime di competizione più attiva e indipendente, aprendo il mercato e mettendo fine a dispendiose sovvenzioni statali”. Terzo, “un’Europa globalizzata non può più permettersi il suo vecchio modello sociale, in virtù del quale il 40 per cento dei disoccupati europei (in contrasto con il 5 per cento in America) sono disoccupati cronici”.
    Quarto, come l’Europa ha rinunciato a un piano unico di tassazione dei risparmi che avrebbe fatto fuggire questi risparmi fuori dall’Ue, allo stesso modo deve “rinunciare ai suoi grandiosi progetti di armonizzazione delle tasse e appoggiare le proposte inglesi in favore di una competizione fiscale”.
    Quinto, l’Europa deve guardare all’esterno. Unire la sovranità degli Stati per rafforzare la posizione negoziativa dell’Europa nelle discussioni sul commercio mondiale è positivo, ma “gli Stati membri e la Commissione devono collaborare più strettamente per riaprire le trattative del Wto e rimuovere le barriere commerciali tra Europa e America”. L’Europa deve quindi riformarsi profondamente.
    Il consiglio di Brown è questo: in questa opera di rinnovamento all’Inghilterra deve spettare il ruolo di leader. Infatti, se è vero che in passato il paese ha dovuto imparare dai successi delle economie europee, “ora il sistema inglese per la stabilità e l’occupazione si sta dimostrando molto efficace e perfettamente adatto ad affrontare la competizione globale […]. Con l’Inghilterra alla guida della ripresa europea, sono in pochi oggi a dubitare che le nostre regole monetarie e fiscali, trasparenti e di lungo termine, non abbiano nulla da offrire”.
    Allo stesso modo, essendo chiaro quali siano le conseguenze di un’armonizzazione fiscale, “sono sempre di più le persone d’accordo con noi sul fatto che mantenere il veto sulle tasse e rifiutare un intervento federale sulle politiche fiscali sia vantaggioso non soltanto per l’Inghilterra ma anche per l’Europa”.
    Conclude Brown: “il nostro rifiuto di uno Stato europeo federale e il sostegno a una Ue flessibile e aperta verso il mondo esterno non è semplicemente un’ossessione britannica ma può diventare l’opinione condivisa da quasi tutta l’Europa”.
    Insomma, l’Europa non ha bisogno del federalismo ma della flessibilità e, soprattutto, della leadership inglese.

    Pare che Mussolini abbia una volta esclamato "Dio stramaledica gli inglesi".

    E se oggi avessero ragione loro?

    saluti

  2. #2
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    Predefinito ...e quale mandato....

    ....di cattura europeo?

    Il capo dello Stato ha richiamato le istituzioni a onorare il loro impegno circa l’attuazione del mandato di cattura europeo. Giusto, pacta sunt servanda: la decisione-quadro del 13 giugno 2002 va tradotta nella nostra legislazione come le altre.
    Tanto più che, in questo caso, è il buon senso a suggerire che le macchinose procedure di estradizione appaiono ormai come un polveroso relitto ottocentesco nell’Europa della integrazione trionfante.
    Il mandato di arresto sembra il frutto del più ovvio spirito di cooperazione: null’altro che “la decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro” (art.1).
    Ma attenzione: prudenza e pazienza.
    Questa volta non si tratta di mettere in comune competenze sulla pesca o sull’allevamento degli ovini.
    Ora sono in gioco le libertà fondamentali dei cittadini, quelle che dal XVII secolo a questa parte giustificano l’ingresso degli individui, tramite il contratto sociale, nella dimensione chiamata Stato sovrano o status societatis.
    Che ha come missione esistenziale, ontologica, proprio quella dello ius gladii, ossia del monopolio della coercizione, senza tollerare la concorrenza di altre autorità, spirituali o temporali che siano. Eppure, a quanto sembra, i saccenti colleghi che da mesi liquidano con spocchia sbrigativa le perplessità sul mandato europeo non paiono rendersene conto.
    Sono davvero insopportabili con il loro compito e stucchevole formalismo da primi della classe.
    Sorge allora spontanea l’innocente domanda: ci fanno o ci sono?
    Alla luce della grande mobilitazione in corso dell’Internazionale dei magistrati che da Bruxelles dirama le sue propaggini in mezza Europa, direi che ci fanno. O forse tanta è la contiguità ideologica che nemmeno se ne accorgono più.

    In ogni caso veniamo al punto: come procedere, al duplice fine di rispettare i nostri impegni senza mandare a rotoli mezza carta costituzionale?
    I nostri vicini francesi hanno avuto le idee chiare. Dal 1661, quando c’è qualcosa di importante da decidere, un organo solo viene chiamato in causa: il Conseil d’État.
    Anche questo dossier non ha fatto eccezione. I magistrati si sono espressi a favore della revisione costituzionale con un parere che trasudava diffidenza da tutti i pori verso una novità – il mandato europeo –percepito più come una minaccia alla sovranità nazionale che quale radioso orizzonte dello Stato di diritto.
    Il legislatore, provvidenzialmente già riunito in sessione costituente per le riforme del decentramento, ha obbedito senza storie, e ha modificato la Costituzione introducendo una norma ad hoc (art. 88). La preoccupazione dominante era la consegna dell’imputato in caso di sospetta persecuzione politica. A stretto rigore, per stessa ammissione dei giuristi francesi, non c’era bisogno di nuove cautele, già sancite da vari strumenti internazionali ratificati dalla Francia. Ma – si sa – di questi tempi le precauzioni non sono mai troppe e a Parigi, nei palazzi che contano, non è che i giudici siano proprio al sommo della loro popolarità.
    A questo punto mi aspetto l’obiezione: ma in Italia c’è già in Costituzione la protezione dalle persecuzioni politiche!
    Vero, senonché le interpretazioni di “delitto politico” variano come le etichette dei vini, senza contare che le questioni non si esauriscono affatto qui – tutt’altro.
    Ad essere scombussolati sono altri principi-cardine come quello di “tipicità”. Facile da capire il perché: il mandato di cattura europeo abolisce il presupposto della “doppia incriminazione”.
    In altre parole, non sarà più necessario, per ottenere la consegna di un imputato, che il reato di cui è accusato sia previsto tanto dalla legislazione dello Stato che ne richiede l’arresto che da quella dello Stato che dovrebbe accordarlo.
    Il meccanismo del controllo sulla corrispondenza delle fattispecie e sulla sussistenza degli elementi di fatto che reggeva il sistema dell’estradizione viene soppresso.
    Basta che lo Stato richiedente pretenda la consegna di un individuo per avere commesso una “frode”, “un atto di criminalità informatica”, o un altro dei trentadue reati indicati dall’articolo 2 della decisione-quadro perché l’obbligo di consegna scatti, salvo alcune riserve come quella di “persecuzione politica”.
    E allora, voi direte, che c’è di male a consegnare un tizio accusato di truffa da un magistrato tedesco? Non vi è forse un obbligo comunitario di solidarietà e cooperazione? Forse che gli ordinamenti dei paesi dell’Unione sono così distanti gli uni dagli altri?
    Ebbene sì, in materia penale le tradizioni giuridiche nazionali – così come l’antropologia giudiziaria autoctona – pesano tantissimo.
    Una truffa in Germania, in Italia, in Spagna, non significa la stessa cosa e non espone l’individuo che ne è accusato alle identiche conseguenze.
    Un codice penale europeo è di là da venire, in tempi ragionevolmente remoti. Ditemi se è poco spedire in galera a Bonn un cittadino italiano per un reato che nella nostra legislazione è descritto (“tipizzato”) in modo diverso e magari punito con sanzioni meno severe.
    Volete un esempio? E’ Nicola Bartone a fare osservare che il riciclaggio in Germania viene punito a titolo di “colpa grave”, allorché in Italia e Spagna si pretende il dolo.
    Una bella differenza, nella misura in cui – a meno che la memoria non mi inganni – in materia penalistica vale sempre il divieto di interpretazione estensiva e di analogia.
    E non è finita qui. Quando il guardasigilli Roberto Castelli e la troupe leghista sbraitano contro le implicazioni liberticide del mandato di arresto europeo mancano sì di tatto, come sempre, ma non fanno troppo cilecca sulla sostanza.
    Questa volta vale il detto “scarpe grosse, cervello fino”.
    A sua volta uno come Giuliano Vassalli, non proprio l’ultimo dei penalisti, ha ricordato che le condizioni per la privazione della liberta personale – “esigenze cautelari” – variano parecchio da paese a paese e che l’Italia spicca per scrupolo garantista in materia. Tra l’altro in alcuni paesi nemmeno esiste il tribunale del riesame (“tribunale della libertà”).
    Sarei grato se qualcuno potesse spiegarmi dove va a finire il principio di uguaglianza se un tizio può venire privato della libertà personale o meno a seconda del giudice nazionale che richiede la sua consegna. Sublime!
    Un capitolo a parte richiederebbe poi la sociologia della magistratura nei vari paesi.
    Qui da noi fa come gli pare, altrove è più o meno ufficialmente legata al potere esecutivo (a tal proposito c’è chi fa notare che basterebbero sei mesi di prova e poi, di fronte all’alluvione di richieste dei nostri pm, molti paesi europei frenerebbero i loro entusiasmi per il mandato continentale).
    Qui esiste (sulla carta) il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, altrove la scelta è la regola.
    Ebbene le disposizioni quadro sul mandato di cattura europeo sono l’apoteosi della discrezionalità giurisdizionale.
    Non avevamo bisogno di altro: la clonazione di tanti Garzon alla ricerca di facile popolarità o, in alternativa, la giurisprudenza personalistica di magistrati-arbitri, mezzi giudici e mezzi legislatori.
    Ma niente isterie, per carità. Che l’Italia faccia pure il suo dovere nei confronti dell’Unione, senza mettere però ipoteche surrettizie sui diritti fondamentali dei propri cittadini. Che si accetti di integrare la Costituzione così come si è fatto a suo tempo introducendo il principio del “giusto procedimento”.
    Suggerirei sommessamente che le scorciatoie non si addicono a questa materia.

    Stefano Mannoni su il Foglio

    saluti

  3. #3
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    Predefinito Dio ristramaledica...

    ...gli inglesi

    Il cancelliere dello scacchiere Gordon Brown, nella riunione dei ministri finanziari europei, dopo avere annunciato che la Gran Bretagna non entrerà, almeno per ora, nella moneta unica ha osservato che un numero crescente di persone, nell’Europa continentale, guarda al modello inglese di stabilità e riforma
    economica. Modello apertamente contrapposto, così ha detto, a quel “patto di stabilità e sviluppo” che sino a ora è servito
    da guida – con assai scarso successo - sia per la Commissione di Bruxelles che per la Banca centrale europea.
    Secondo Brown quello che i francesi chiamano (a volte con spregio) “capitalismo alla anglo sassone”, fornisce un modello dal quale il resto dell’Europa ha tutto da imparare.
    Il tasso di disoccupazione inglese è al 4,5 per cento, circa la metà di quello medio europeo.
    Dal 1997, anno della creazione di eurolandia, il prodotto lordo inglese è aumentato più di quello dei 13 stati dell’Unione. Il debito pubblico britannico è rimasto basso rispetto al pil, anche perché l’aumento del pil è stato costante e ciò ha ridotto il rapporto con deficit e debito.
    Brown se la prende soprattutto con l’incapacità della Commissione di Bruxelles di dare priorità allo sviluppo economico di medio termine, con la pretesa di armonizzare le imposte (che gli inglesi avversano perché hanno aliquote più basse) e con la politica monetaria della Banca europea.
    Questa, sostiene il cancelliere dello scacchiere britannico, concentrandosi sul tasso di inflazione al di sotto del 2 per cento, non è stata in grado di fornire condizioni monetarie propizie per la crescita dell’Unione. E ha osservato che la Federal Riserve nell’attuale ciclo economico ha tagliato i tassi undici volte, la Banca di Inghilterra dieci, la Bce sette, intervenendo in ritardo e in minor misura.

    La filippica di Brown ha generato molta irritazione nella Commissione europea.
    Ma i dati parlano chiaro. Che il modello anglosassone sia preferibile al capitalismo renano, ormai lo stanno comprendendo anche tedeschi e francesi che reclamano la modifica del Patto di stabilità e cercano di ridurre imposte e pesi dello stato sociale. Alla maniera degli inglesi. E di Bush.

    e diciamolo sottovoce, di Tremonti.

    saluti

    saluti

 

 

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