Dossier - Camorra, mafia e n’drangheta. Le «famiglie» e le nuove strategie. La piovra sul lago
La coca, i mattoni, il denaro sporco
Affari (e guerre) dei boss sul Garda
I negozi e il riciclaggio, i pentiti e le indagini: così i clan si spartiscono i traffici
La coca, i mattoni, il denaro sporco Affari (e guerre) dei boss sul Garda - Corriere del Veneto
VERONA - Alla fine non è altro che la quadratura di un cerchio. La conferma di una realtà. Perché la piovra è così. Le basta una roccia per attaccarcisi con le sue ventose. Ha i risvolti di una storia già scritta e raccontata l'operazione della direzione investigativa antimafia di Padova, quella che ha portato alla cattura di Ciro Carco e di Egidio Longo. E all'ennesimo mandato di cattura per Salvatore Longo, latitante da due anni. La quadratura del cerchio è quella della camorra sul lago di Garda. Camorra, mafia, n'drangheta, che chiamare le si voglia. Perché la malavita organizzata, la «piovra» ha attecchito sul Benaco come la gramigna. E lo ha fatto più di sessant'anni fa. Appartengono al clan dei Licciardi, gli ultimi arrestati. E anche qui il cerchio quadra. Conoscono bene la provincia veronese, la mafia e la camorra.
Del clan Licciardi e dei suoi appetiti sul Garda parla anche Roberto Saviano in Gomorra. «Il clan Licciardi ha dislocato la maggior parte delle proprie attività imprenditoriali nel settore tessile e commerciale a Castelnuovo del Garda», ha scritto. Fa parte di quella «famiglia» Ciro Carco, il napoletano a cui due anni fa, sempre in un'inchiesta della Dia e della finanza, sono stati sequestrati sei appartamenti, due a Sirmione e quattro a Peschiera di Sirmione e Peschiera per un valore che si aggira sui 3 milioni di euro. E sua moglie ha due negozi proprio in ambito «tessile». Attività aperte e gestite per riciclare e investire i soldi di quell'Alleanza di Secondigliano nata a Napoli alla fine degli anni Ottanta.
Droga, contrabbando, estorsioni, appalti, le attività di quel Gennaro Licciardi detto «la scimmia», morto in galera, che con Francesco Mallardo chiamato «Ciccio e Carlantonio » e con Edoardo Contini, soprannominato «il romano», tra i primi ricercati in Europa, ha impiantato il cartello che ancora oggi ha la primogenitura nel traffico di cocaina dal Sud America e di eroina che arriva sulla rotta balcanica. Cartello sanguinario, quello dell'Alleanza di Secondigliano, passato attraverso diverse guerre di camorra, in particolare quella con il clan Mazzarella. Poi quello che sembrava un declino, con la morte di Licciardi e l'arresto di Mallardo.
O più semplicemente un cambio di «strategia» da parte di quel Contini che ha preso in mano l'Alleanza, «diversificandola », rendendola meno visibile nelle azioni, ma assolutamente ancora attiva nei traffici. Quelli che, stando anche alle inchieste della Dia padovana a cui Verona fa capo, non hanno mai lasciato le rive del lago di Garda. E' qui che sono stati arrestati il nipote di Ciro Grimaldi, quell'Antonio Scognamillo detto «Tonino o' parente », anche lui camorrista e un fiancheggiatore, Renato Peluso. Sempre conferme a quello che qualcuno vorrebbe fosse solo un teorema, dimostrato dai fatti. Che questa è terra appetibile per mafia e camorra. Lo è stata fin dai tempi del «confino». Da quando, verso il Veronese ma in particolare il lago di Garda, iniziò una lenta immigrazione. Al «Nord» ce li mandava lo Stato, i mafiosi e i malavitosi del Sud.
Con quell'idea che oggi suscita quasi tenerezza, che bastava spezzare il legame di terra per tagliare quello culturale. E' bastato poco che la piovra si attaccasse anche qui. La «famiglia » si portava dietro i legami di sangue e anche gli affari. C'erano intere rive del Garda, da edificare. E i mattoni erano buoni da scambiare con il denaro sporco.
Poi c'era la droga. Buona anche quella da spacciare, far arrivare e partire in quell'area che dal punto di vista logistico era ed è una manna. E le infiltrazioni negli altri settori. Erano gli anni Settanta, quando i locali del lago prendevano fuoco apparentemente senza motivo. E i sussurri parlavano di un «pizzo» che ufficialmente non si ricamò mai, in quelle zone. C'erano gli interessi che viaggiavano sui camion - quelli dei rifiuti che nessuno voleva smaltire - . che facevano la spola con il Meridione. Era la fine di maggio del 2008 quando, in città, vennero arrestati marito e moglie. Un intero nucleo familiare. Ma anche «nucleo » di uno dei più potenti e radicanti clan camorristici. Lui che avrebbe dovuto fare il muratore. E lei che avrebbe dovuto lavorare come bidella. Peccato che la loro casa in via Zantedeschi, in Borgo Milano, fosse una delle tante basi d'appoggio che utilizzavano quelli del clan Annunziata-Aquino, quello di Alfonso Annunziata detto «fonzo o' calabrese» e Raffaele Aquino detto «'e mezzanotte». Sono stati arrestati Mario Esposito, 31 anni e sua moglie Rosina Teodosio, 26 anni. In quella casa di Borgo Milano in cui sotto l'apparenza di una famiglia normale, in realtà svolgevano l'attività di corrieri internazionali di cocaina che effettuavano per la camorra.
Una scelta non casuale, quella di Verona. Ganglio fondamentale per lo smercio della droga dal punto di vista logistico, con le strade che si snodano verso il Brennero - mercato della Germania e Olanda - e verso il Sud Europa, punto d'approdo della coca dalla Colombia, ma anche dal Cile e dall'Ecuador.
Ma anche mercato essa stessa. La «famiglia» veronese era stata individuata sette anni fa. Mario Esposito, la moglie Rosina Teodosio, il fratello di lei Sabato e il cognato Santo Ziino. La procura scaligera aveva girato il fascicolo alla direzione distrettuale antimafia di Napoli. Quelle indagini portarono all'arresto di 41 persone e al sequestro di sessanta chili di cocaina. E sono passati quattro anni dall'arresto, nella sua casa di via Ca' di Cozzi, di Giacomo Cavalcanti, detto «o' poeta », boss di Bagnoli, tradito dalle parole di un pentito il cui nome è stato quasi un sinonimo di camorra, Luigi Giuliano. Tutti pezzi che altro non fanno se non far quadrare il cerchio delle infiltrazioni mafiose e camorristiche nel Veronese.
Angiola Petronio
08 ottobre 2009