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Roma. Per fare la svolta, sostengono quelli dei Ds, aspettiamo la svolta.
Cioè: il Cav. la faccia, sulla guerra in Iraq, e poi vediamo.
Dicono gli uomini di Fassino a via Nazionale: “C’è senso di responsabilità da parte nostra. Al governo chiediamo di cominciare a fare qualcosa”.
Ieri tutti i leader dell’Ulivo si sono visti a piazza SS. Apostoli, e alla fine hanno approvato un documento in cui chiedono “un profondo cambiamento della conduzione” della questione irachena “da parte della comunità internazionale”, e al governo italiano, presidente di turno dell’Ue, di “adoperarsi per questo cambiamento”.
Ma in realtà che cos’è, e quali contenuti ha, la svolta che D’Alema ha invocato a Montecitorio e che ieri tutto il centrosinistra ha fatto sua?
“Il governo non può limitarsi a dire: restiamo”, premette il dalemiano Marco Minniti. E spiega che tre sono i passaggi:
“Primo, per la lotta al terrorismo serve un clima di larga coalizione, come dopo l’11 settembre. E’ indispensabile.
L’America da sola non ce la fa. Occorre un processo di accelerazione dell’autogoverno iracheno.
Secondo, per rendere credibile la transizione serve un ruolo più incisivo dell’Onu.
Terzo, si deve agire perché nel campo siano presenti, militarmente e diplomaticamente, anche quei paesi che non hanno
condiviso o non hanno partecipato alla guerra all’Iraq.
Il problema non è abbandonare o non abbandonare l’Iraq, ma come starci e con chi starci”. E, assicura l’esponente diessino, “se
ci sarà questa svolta noi siamo pronti a spenderci politicamente”.

E se i diessini parlano di “svolta”, Rutelli la chiama “una direzione del tutto nuova”, ma insomma, lì siamo.
E il tema del ritiro delle truppe italiane, agitato dai cossuttiani e dai verdi, e ieri mattina ancora rilanciato da Fabio Mussi, coordinatore del correntone – “la missione deve essere interrotta e le forze ritirate” – a fine giornata era finito in secondo piano.
O almeno così è stata presentata la faccenda nel documento finale.
Perché, per esempio, Oliviero Diliberto, che in queste ore ha rappresentato la posizione più oltranzista irritando non poco gli alleati, soprattutto quelli della futura lista unica riformista, la faccenda la vede sotto altra luce: “Si ribadisce l’elemento unificante, cioè il giudizio su questa guerra, come guerra inaccettabile e sbagliata”.
Vero che, sul tema del ritiro nessuno nell’Ulivo ora si espone in modo chiaro, ma al termine del vertice è stato Rutelli ad annunciare che le due anime della coalizione troveranno in Parlamento “una linea convergente”.
Intanto, sospiravano soddisfatti ieri gli esponenti della maggioranza dei Ds. “Abbiamo evitato lo spettacolo indecoroso della parola ‘ritiro’ riferita alle nostre truppe”, dice Peppino Caldarola.

“Cambiare il mandato”, più Onu
Obiettivo dei riformatori dell’Ulivo sulla questione irachena è “cambiare il mandatario, con la presenza delle forze militari dei paesi contrari alla guerra”. In questo contesto, spiegano a via Nazionale, “gli italiani possono restare, perché nessuno oggi pensa che la soluzione sia il ritiro immediato dei nostri o degli americani, l’Iraq diventerebbe una Somalia”.
E se così non sarà? Qui la risposta sfuma: “Se non saremo di fronte a una svolta, ci interrogheremo sull’utilità di far rimanere lì i nostri soldati”.
E tutti, nel centrosinistra, citavano ieri le parole del presidente Ciampi e il suo auspicio di un maggior coinvolgimento delle
Nazioni unite.
Certo, da qui a martedì, il giorno in cui sono previsti i funerali
delle vittime, il clima di cordoglio e tendenzialmente unitario non muterà, come hanno ricordato
ieri insieme Fassino e D’Alema, dopo la visita al comandante generale dei carabinieri, Guido Bellini: “Avvertiamo questa tragedia come una tragedia nostra, sentiamo il dovere di reagire con un sentimento di unità, coesione e grande senso di responsabilità”.
Ma poi, dalla prossima settimana, la questione tornerà a essere squisitamente politica.
L’Ulivo preme per riportare al più presto il governo in Parlamento per discuterne gli sviluppi.
Dopo Gavino Angius al Senato, ieri è stata chiesta la presenza del ministro Frattini alla commissione Esteri della Camera.
“Verrà il momento di analizzare una serie di errori”, ripetono in coro i riformisti dell’Ulivo.
E al centro di tutto sarà la questione del “mandato”: fino all’altro giorno, dell’Iraq si sarebbe dovuto riparlare a metà dicembre, quando scade l’attuale, ma adesso tutto pare accelerato.
Punta, l’opposizione, a sollecitare il governo proprio in virtù del suo ruolo di guida nel semestre europeo, “e qui il tempo sta per scadere”. “Al ministro degli Esteri – è l’avviso – si pone il dovere di dire agli americani che il contesto è cambiato.
Vogliamo vedere, più che il decreto del governo per il rinnovo della missione, gli atti che saranno fatti in questo mese”.

saluti