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  1. #11
    SENATORE di POL
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    Meglio la faccia da c***** che la zucca vuota.....
    Le distinzioni tra l'attentato contro gli italiani in missione di pace in Iraq e quella alle sinagoghe di Costantinopoli si rivela sempre più ideologistica, capziosa e strumentale. La mente criminale che sta dietro a queste operazioni è....la stessa.

    Ma torniamo alla cronaca...

    dal quotidiano torinese

    " La Stampa del 17/11/2003


    --------------------------------------------------------------------------------
    Pera

    «L'Italia ha accettato il peso delle responsabilità»
    Umberto La Rocca
    --------------------------------------------------------------------------------

    Quello che aveva da dire sulla strage di Nassiriya, sul sacrificio dei carabinieri e dei soldati italiani, sulla reazione composta e ferma del Paese, il presidente del Senato lo ha detto sabato mattina a Vercelli, di fronte a una platea che raccoglieva il meglio dell'imprenditoria italiana. Nelle ore successive però, molte cose sono accadute. Gli attentati contro le sinagoghe in Turchia, altri corpi straziati, le centinaia di feriti, certo. Ma anche il raggelante ritorno di quelle diciotto bare coperte dal tricolore, nel silenzio spettrale di Ciampino. E a Marcello Pera prima di ogni altro, in assenza del Presidente della Repubblica, è spettato il duro compito di rappresentare lo Stato. Il saluto ai caduti, le condoglianze ai familiari e poi il triste corteo lungo l'Appia con i romani, le famiglie, che si assiepavano ai bordi della strada e quel parroco che aveva tenuta aperta la sua chiesetta e benediceva le auto al passaggio. Perciò, nell'ultimo giorno in cui svolge il ruolo di supplenza prima del ritorno di Ciampi, il presidente del Senato racconta: "All'aeroporto ho parlato con i parenti dei militari caduti sul campo, alcuni piangevano sommessamente e con compostezza, altri erano chiusi con dignità nel loro dolore". Marcello Pera aveva accanto la moglie, la signora Antonia, che ha fatto della riservatezza una regola ferrea e non è quasi mai presente nelle occasioni istituzionali. Ma che, quando ha saputo che ad attendere i figli, i fratelli, i mariti ci sarebbero state le famiglie, ha voluto esserci anche lei proprio per dare un segno di solidarietà umana che andasse oltre l'ufficialità. Il presidente del Senato non nasconde la commozione: "Quello che mi ha colpito di più è che durante l'incontro con i familiari, improvvisamente le parti si sono invertite. Erano loro che quando mi avvicinavo ringraziavano per primi, loro che avrebbero dovuto essere consolati di una perdita immensa. Quasi che volessero condividere con le istituzioni il fardello della responsabilità, che volessero in qualche modo caricarselo anche sulle loro spalle. E' una lezione che non dimenticherò mai".
    Dolore quindi, ma anche orgoglio. Per il modo in cui non solo i familiari delle vittime ma l'intera comunità ha reagito. "Davanti alla tragedia di Nassiriya", aveva detto Pera a Vercelli, "il paese intero si è comportato in maniera esemplare per fierezza, dignità, consapevolezza, compostezza. Abbiamo dato grande prova di senso civile. Le famiglie dei caduti e i nostri soldati rimasti sul campo hanno avuto la netta sensazione che l'Italia è con loro". Un paese che dà barlumi di resipiscenza rispetto a vizi antichi, quindi. Meno di due anni fa, alla vigilia della guerra in Afghanistan, i sondaggi segnalavano con chiarezza le contraddizioni furbesche dell'opinione pubblica: tanti sì all'intervento americano, tantissimi no ad andare a combattere accanto agli alleati. L'antico armiamoci e partite, insomma. E invece oggi, dopo la tragedia di Nassiriya, i primi sondaggi indicano risultati sorprendenti: la metà degli italiani è per rimanere in Iraq, nonostante i morti, nonostante le bombe. "E' importante che il dolore non abbia indebolito, ma anzi abbia rafforzato la convinzione che i nostri militari sono laggiù per una causa giusta", osserva il presidente del Senato, "per accelerare i progressi del popolo iracheno verso la libertà e verso una prima forma di democrazia. E mi ha molto colpito il senso di consapevolezza diffusa che un grande paese come l'Italia deve accettare il peso delle proprie responsabilità internazionali. Che questa consapevolezza fosse presente tra i carabinieri e nell'esercito era noto - anche se deve essere sottolineato ad onore delle nostre forze militari - ma che si sia estesa alla gente comune è un fatto nuovo e di grande significato".
    Anche l'atteggiamento delle forze politiche, di maggioranza e opposizione è stato misurato. Perfino settori della società tradizionalmente vicini al pacifismo, come le gerarchie ecclesiastiche, hanno messo in primo piano la necessità di continuare a combattere il terrorismo. "Per quanto riguarda i partiti", conferma Pera, "c'è stato un profondo senso di responsabilità, se si escludono alcune sbavature con la richiesta di ritiro immediato delle nostre truppe". E il presidente del Senato è convinto che un ruolo importante nell'orientamento alla fermezza e alla responsabilità le forze politiche lo abbia giovato il Capo dello Stato: "Il presidente Ciampi ha interpretato un sentimento diffuso diffuso sia quando ha portato la solidarietà dell'intero paese ai familiari dei militari caduti, sia quando prima di partire per gli Stati Uniti, ha immediatamente riaffermato il nostro impegno a continuare nella missione per ristabilire pace, libertà e democrazia in Iraq".
    Ma un rischio c'è e Marcello Pera ne è consapevole: "Mi auguro", riflette, "che il senso di responsabilità dimostrato finora continui anche quando la prima emozione suscitata dalla strage di Nassiriya comincerà ad affievolirsi...". Il presidente del Senato non lo dice, ma probabilmente pensa a quanto accadde nei mesi successivi all'11 settembre, allo scontro politico durissimo che seguì al "siamo tutti americani", pronunciato solennemente e quasi unanimemente, subito dopo l'attentato contro le Twin Towers. Dividersi di nuovo sarebbe, secondo Pera, errore gravissimo. Perché, come dimostrano da ultimo le bombe alle sinagoghe turche, "non possiamo dimenticare che il terrorismo internazionale è la grande minaccia con cui si è aperto il XXI secolo. E anche se ha subito pesanti sconfitte, non dobbiamo illuderci che la vittoria verrà a breve termine. Così come sarebbe illusorio credere che i terroristi si fermino alle porte dell'Europa. I fatti provano il contrario. Il terrorismo minaccia tutti i popoli liberi e democratici, i nostri principi e la nostra civiltà. Soprattutto i paesi dell'Occidente devono raccogliere la sfida, non possiamo ritirarci o alzare le mani. E più siamo determinati nei nostri ideali e uniti con i nostri alleati, più aumenteranno le nostre possibilità di successo".
    "Insisto", ripete il presidente Pera, "è la nostra civiltà che è sotto attacco, non questa o quella politica, di questo o quel paese, neppure degli Stati Uniti. Per difenderla, come ha detto l'alto rappresentante Solana a Berlino, dobbiamo usare tutti i mezzi a nostra disposizione, economici, politici, militari". In caso contrario, saranno guai.
    "

    Saluti liberali

  2. #12
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    [QUOTE]In origine postato da Pieffebi
    [B]Meglio la faccia da c***** che la zucca vuota.....



    Ci credo! Le zucche vuote non danno nessun suono, neppure come una campana fessa.

    E devo dire che di zucche vuote e di campane fesse è pieno questo forum.

    Statemi bene.

  3. #13
    SENATORE di POL
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    Se lo abbandoni ce ne saranno....di meno.

    Shalom!!!

  4. #14
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    dal sito internet del quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana

    www.avvenire.it

    " Perché cresce il consenso alla missione in Iraq

    La tenaglia del terrorismo Gli italiani più consapevoli

    «Questo mostro - che uccide perché si vive nella città simbolo d'America, si veste una divisa italiana, si appartiene alla religione ebraica - ci riguarda direttamente e direttamente ci colpisce»


    Marco Tarquinio

    Le tragedie - a volte - inducono una comunità a riscoprire se stessa. Le danno voglia e lucidità per ricordare, per capire, per preparare il futuro. Tutto ciò, in fondo, significa semplicemente sapere chi si è, che cosa si sta facendo e dove si intende andare. E noi italiani, dopo la strage di Nasiriyah, stiamo mostrando di vivere, con inconsueto equilibrio tra passione e sobrietà, uno di questi momenti intensi e gravi.
    Quel che è stato tolto, nel modo più luttuoso, alla nostra comunità nazionale viene così, almeno un po', restituito in consapevolezza. Consapevolezza di noi, della nostra identità di popolo. Consapevolezza del ruolo che oggi, grazie alla dedizione di soldati e volontari civili, stiamo avendo in un mondo senza pace. Consapevolezza della sfida mortale rappresentata dal terrorismo internazionale - che indossa i panni (e si nutre della predicazione) del fondamentalismo islamico - e della forza e della misura che occorrono per reagire con efficacia. Mettendo in campo tutte le armi a disposizione di una nazione che «ripudia la guerra» come strumento della politica, ma che non rinuncia all'impegno - al fianco dei Paesi amici - per difendere libertà e democrazia e per affermare gli alti e pacifici principi di legalità internazionale delineati nella Carta dell'Onu.
    Ci sono purtroppo eccezioni - occhi tenacemente chiusi sulla realtà e bocche ostinatamente spalancate nelle polemiche di parte -, ma sono solo eccezioni. Nella società civile come nel mondo politico la regola appare, appunto, tutt'altra. La feroce ingiustizia dell'azione di morte condotta contro il riconosciuto presidio di pace rappresentato dai nostri militari sta scatenando una reazione di massa potente e, per certi versi, persino imprevista.
    Inorgoglisce che nella marea di parole e gesti di dolore, d'affetto e di solidarietà che da sei lunghissimi giorni sta sommergendo i caduti e i feriti in terra irachena affiori a malapena la schiuma delle recriminazioni e delle invettive. E fa ri flettere che un'opinione pubblica come la nostra, largamente contraria all'ultima guerra del Golfo, segnali proprio adesso una maggioranza favorevole alla missione dei soldati italiani in Iraq. Abbiamo avuto la prova che anche l'Italia è nel mirino degli strateghi del terrore, sappiamo ormai quanto siano concreti i rischi a cui vanno incontro i nostri connazionali impegnati in interventi umanitari e di stabilizzazione nelle zone calde del mondo, eppure affidiamo agli analisti l'immagine di un popolo che ritrova simboli e sentimenti condivisi, ma che non si illude di poter battere in ritirata per trincerarsi in una Penisola felice lontana dalle tempeste del mondo.
    E, per una volta, fa piacere constatare che i risultati dei sondaggi somigliano molto alle facce e ai pensieri della gente che si è affollata nelle ultime ore nella camera ardente allestita su un'Altare della Patria letteralmente, spontaneamente, coperto di fiori. Che ha inondato di biglietti, e-mail e fax commossi i recapiti dell'Arma e dell'Esercito (ma anche le redazioni dei giornali). Che ha sofferto e pregato con le famiglie di chi è morto o è stato ferito. Che ieri si è riconosciuta nell'abbraccio dolente e forte tra il presidente Ciampi e il padre di uno degli «eroi di Nasiriyah». Che oggi sarà concretamente, o idealmente, nella basilica romana di San Paolo per l'estremo addio al caduti.
    La retorica è sempre in agguato in occasioni di così intensa emozione collettiva. Ma liquidare quel che sta accadendo in Italia come un puro e semplice fatto sentimentale sarebbe fuorviante. È l'esatto contrario. Stiamo facendo i conti con una realtà aspra e dura. Questo mostruoso terrorismo - che uccide perché si vive nella città simbolo d'America, si veste una divisa italiana, si appartiene alla religione ebraica - ci riguarda direttamente e direttamente ci colpisce. Continuare a stare uniti, sentirci popolo, è la prima risposta vincente. Le altre verranno.
    "

    Cordiali saluti

 

 
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