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Discussione: La visita di un...

  1. #1
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    Predefinito La visita di un...

    ...combattente

    Roma. Qualche agenzia di stampa ricamava ieri che Ariel Sharon sia in missione in Italia su mandato dell’America per convincere il governo a restare in Iraq, a non ritirarsi dopo la strage degli italiani a Nassiriyah.
    Sbagliava, a Roma il premier israeliano è venuto a parlare d’Europa, a rivolgere richieste, alcune semplici, si potrebbe definirle il minimo della decenza, non fosse che vengono regolarmente disattese, altre più impegnative e ancora più difficili da ottenere.
    Per tutte e due le cose, Ariel Sharon si rivolge al governo Berlusconi perché è presidente di turno, fino alla fine di dicembre, dell’Unione europea, ma questa non sarebbe ragione sufficiente; è perché lo ritiene il primo governo italiano dal Dopoguerra vero e sincero alleato dello Stato di Israele, l’unico in Europa.
    Si aspetta risposte all’altezza, sforzi adeguati, come se li aspetta l’Amministrazione Bush, sicura che un ritiro delle truppe a Roma non venga neanche preso in esame.
    Sono questi i prezzi alti e i rischi importanti per un premier che almeno in politica estera ha scelto il governo forte, ha ribaltato più di un tabù nei comportamenti, nelle alleanze, nei rapporti diplomatici, senza spaventarsi di una presunta opinione pubblica nazionale che, nei sondaggi, vuole il cinquantadue per cento degli italiani non simpatizzanti di Israele, il ventidue per cento addirittura convinto che gli ebrei italiani non siano connazionali, non siano cittadini di serie A.

    Sharon arriva dopo le bombe a Istanbul, e più chiaro di così l’antisemitismo non si potrebbe mostrare agli europei cinici, ai
    leader politici a caccia di distinguo sul perché tocca agli americani essere ammazzati vilmente, quando poi tocca anche agli italiani
    essere ammazzati vilmente, sulla polemica che è contro Israele e la sua politica attuale, non sia mai contro gli ebrei, quando poi tocca agli ebrei, ma anche a musulmani, esattamente come in Iraq e in Arabia Saudita, soprattutto quando tocca alla Turchia, che è l’unico esempio di Islam moderato al governo, è quasi in Europa.
    Arriva pure quando è fresco il dolore del sondaggio ormai infame
    commissionato dalla Commissione europea. Di Prodi.
    Non bastasse, tra qualche giorno dovrebbe essere votata
    una condanna dell’Unione della barriera di sicurezza e di protezione dall’ingresso dei terroristi suicidi palestinesi, che il governo israeliano, ma era una vecchia idea della sinistra laburista, sta facendo costruire, e che viene disinvoltamente chiamata muro, e una condanna ulteriore perché un inviato europeo per il Medio Orente, Marc Otte, si è visto rifiutare incontri di alto livello, inevitabile, avendo Otte scelto di incontrare Yasser Arafat.

    La promessa di un incontro con Abu Ala
    Sharon collega le critiche imperanti in Europa al suo governo, e a quello che definisce “il diritto di usare la forza per difendersi” con la diffusione di un nuovo tipo di antisemitismo, che si rivolge alla terra dove gli ebrei sopravvissuti arrivarono, dove non c’era nessuno Stato palestinese, alla quale terra, al quale Stato, viene negato “il diritto di esistere”, viene attribuito “un peccato imperdonabile di origine”.
    Chiede che si dica, che lo dica l’Italia, che finché si comporterà così, a botte di condanne e sanzioni, finché non sarà più neutrale ed equilibrata, l’Europa non conterà niente, né diplomaticamente né politicamente, in Medio Oriente.
    Al governo Berlusconi, nella sua fiducia grande, Ariel Sharon attribuisce, fra gli altri meriti, la scelta di non incontrare Arafat, durante la visita del giugno scorso a Gerusalemme, e l’iscrizione, infine, di Hamas nella lista europea delle organizzazioni terroristiche.
    Non è successa la stessa cosa per un’analoga organizzazione, turca, che oggi si prende, forse esagerando, la corresponsabilità delle stragi alle sinagoghe di Istanbul, un mese fa non è stata iscritta nelle liste di terroristi dell’Unione europea, nonostante la richiesta urgente del governo turco, per, manco a dirlo, “ragioni di diritti umani”.
    Si chiama Great Eastern Islamic Raiders Front.
    A Romano Prodi, in visita di solidarietà alla sinagoga di Milano, il rabbino Giuseppe Laras e il portavoce della comunità ebraica, Yasha Reibman, lo hanno ricordato con giustificata durezza. Vengono dall’Unione europea i fondi che hanno consentito a un’associazione privata di infilare in ogni buca delle lettere di Israele domenica scorsa una copia della Convenzione di Ginevra, un’accusa esplicita di violazione rivolta a un paese che da tre anni vive con il terrorismo.

    Ieri Marcello Pera e Pier Ferdinando Casini, oggi Sharon incontra Silvio Berlusconi. Gli porta il dossier Siria e il dossier Iran, chiede una cosa che appare impossibile, che vengano sospesi gli accordi commerciali europei con questi due paesi, finché non smetteranno di finanziare il terrorismo islamico fondamentalista. Gli ebrei italiani il premier li ha incontrati all’Hilton, in collina, il Tempio Maggiore della tradizione era troppo pericoloso.
    Un minuto di silenzio per gli italiani vittime del terrorismo, la promessa che incontrerà presto Abu Ala, che il dialogo per quanto riguarda Israele prosegue.

    da il Foglio

    saluti

  2. #2
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    Predefinito

    da www.iltempo.it

    " ITALIA-ISRAELE: ANCHE FINI A INCONTRO BERLUSCONI-SHARON

    Roma, 18 nov. - (Adnkronos) - All'incontro tra il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il premier israeliano Ariel Sharon, in corso a Palazzo Chigi, e' presente anche Gianfranco Fini. Il vice premier e' atteso a Gerusalemme per una visita ufficiale dal 23 al 26 novembre prossimi.




    (Vam-Nap/Rs/Adnkronos)
    "


    Shalom!!!

  3. #3
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    Predefinito Perchè a Roma ....

    ....si sente a casa

    Sharon ha deciso diverse cose che riguardano il suo paese. Alcune possono essere rivelate, altre vanno trasmesse a pochi interlocutori, altre ancora vanno taciute, in attesa di far parlare gli eventi.
    In ogni caso, la sua non è una visita qualsiasi. Qui il premier israeliano sente di giocare in casa e di potersi confrontare, più liberamente che altrove, su quanto sta maturando di fare.

    Su ogni tema trattato ha usato parole precise.
    A cominciare da quel che pensa di Abu Ala. Del nuovo premier
    palestinese – al quale si è sempre riferito come “il primo
    ministro” – Sharon pensa che sia più “saggio”, più “astuto”, più
    “navigato”, più “articolato” e “autorevole” del predecessore
    Abu Mazen.
    Vuol dire che il premier dell’Autorità nazionale palestinese ha, dal punto di vista di Sharon, spalle abbastanza larghe per sostenere il difficile duetto con Yasser Arafat.
    L’obiettivo è “lavorare con Abu Ala, nonostante Arafat”. Importante l’annuncio che Sharon è pronto a incontrarlo; ma sono cruciali i patti taciti tra i due premier: la pausa degli attentati da una parte, la decisione d’interrompere le uccisioni mirate dall’altra.
    Lo hanno definito “il riavvicinamento dei ricci”: anche coloro che hanno gli aculei si muovono.
    Spinti da forti motivi.
    Per Sharon la linea rossa è stata superata quando fu colpito a Haifa, sotto le feste ebraiche, il ristorante Maxim.
    Da allora l’opinione pubblica israeliana ha cominciato a non sopportare più anche solo l’apparenza dell’immobilismo.
    Per Abu Ala pesano due considerazioni: il suo governo rappresenta l’ultima prova di credibilità per la leadership tornata in patria da Tunisi con Arafat; l’alternativa è una guerra in cui Israele è capace di eliminare uno per uno gli uomini di Hamas creando il caos tra i palestinesi.
    Per entrambi i leader bruciano le valutazioni dei Servizi: senza opzioni politiche, l’Intifada e la repressione porteranno a una destabilizzazione irreversibile.
    Nelle sue nuove decisioni Sharon si è rivolto all’Italia. Durante la sua ultima visita a Washington George W. Bush gli chiese su quali amici potesse contare oltre al presidente degli Stati Uniti. Sharon rispose: Berlusconi e Putin.
    Non è un caso che il leader israeliano abbia deciso di visitare in questi mesi, oltre all’India, la Russia e l’Italia.
    Non è un caso che il premier di Gerusalemme non vada a Parigi, nonostante l’insistenza dei francesi, desiderosi di ricucire la lunga serie di strappi con Jacques Chirac.

    Sharon è sbarcato a Roma in giorni difficili, segnati dalla tragedia di Nassiriyah e dai funerali dei caduti italiani in Iraq.
    Giorni duri anche per Israele, dopo gli attentati alle sinagoghe di Istanbul. Ma non c’è stato un solo momento in cui, dalle due parti, si è pensato di rimandare l’appuntamento. “Lutti comuni e obiettivi comuni”, ha commentato Sharon con i suoi uomini.
    Non si tratta solo di sensazioni.
    Con gli interlocutori italiani incontrati finora – Marcello Pera, Pier Ferdinando Casini, Antonio Martino, Silvio Berlusconi – Sharon ha affrontato temi veri e proposte per risolverli: dagli sviluppi in Medio Oriente alla lotta al terrorismo (per la quale sono state previste forme strette di collaborazione nel campo della Difesa), dall’antisemitismo a un avvicinamento tra Israele e Unione europea.

    L’intesa sull’energia e il suo motto
    Sulla ripresa del dialogo con l’Anp, Israele chiede all’Italia, sia a livello bilaterale sia come presidenza di turno dell’Ue, di monitorare da vicino il nuovo governo Abu Ala, ma anche di aiutare le parti a costruire più ponti possibili.
    Uno di questi è stato eretto con l’accordo per una distribuzione unica dell’energia in Israele e nei Territori dell’Anp, imbastito a Roma il 15 settembre e firmato da israeliani e palestinesi il 30 ottobre sotto forte impulso della presidenza dell’Ue.
    Il motto dell’accordo è: “Non raggiungiamo un trattato politico al buio”.
    Sharon s’impegna su due punti: rispettare una nuova tregua se non ci saranno attentati e riconoscere subito uno Stato palestinese, senza confini definitivi.
    Resta la questione del muro, sollevata anche dal Papa.
    Sharon non ama parlarne. “Una barriera può essere buttata giù – insistono i suoi uomini – ma ora ci serve per fermare la catena di mine che vogliono far esplodere il nostro paese”.
    Perché a Roma si sente a casa

    saluti

  4. #4
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    Predefinito E a Parigi....

    ....l'antisemitismo c'è


    Dopo l’incendio doloso della scuola ebraica di Gagny, nell’hinterland parigino, il presidente Jacques Chirac ha convocato una riunione straordinaria del governo, al termine della quale si è deciso di costituire un comitato speciale di ministri che si riunirà ogni mese per vigilare contro l’antisemitismo.
    Ai prefetti sono state diramate precise istruzioni per assicurare la sicurezza ai luoghi di culto e di riunione ebraici e per rinsaldare le relazioni con le comunità israelitiche.
    Ai magistrati è stato indicato di perseguire tutti gli atti di antisemitismo con rito immediato, in tutti i casi in cui sarà possibile, mentre ogni procura designerà un magistrato incaricato di seguire le relazioni con le comunità ebraiche e assicurare la pubblicità delle condanne “al fine di sottolineare l’esemplarità delle sanzioni”.
    La risposta di Chirac punta a fronteggiare un rigurgito antisemita e antisionista che in Francia (il secondo paese di insediamento ebraico fuori da Israele, dopo gli Stati Uniti) ha assunto caratteri ormai endemici.
    Con una certa dose di retorica (a fin di bene) Chirac ha sostenuto che ogni atto di antisemitismo è “contrario a tutti i valori della Francia”.
    In realtà proprio lì è nato l’antisemitismo moderno, a base razzista e non religiosa, che ora si salda alle provocazioni dei settori fondamentalisti della vasta immigrazione islamica.
    In ogni caso le decisioni assunte dal governo francese segnalano la gravità di un fenomeno denunciato anche, nelle stesse ore, a Bruxelles dal ministro degli Esteri di Israele, Silvan Shalon, che ha proposto la costituzione di un organismo intergovernativo misto, euro-israeliano, per sorvegliare e combattere le manifestazioni di antisemitismo.
    Non si sa ancora come l’Europa, che con Israele ha in corso un contenzioso sui rapporti con Yasser Arafat, risponderà a questa richiesta.
    Il parere della Francia, naturalmente, avrà un peso rilevante.
    Se Parigi decidesse di appoggiare la proposta di Shalom mostrerebbe di rendersi conto del fatto che separare l’antisionismo dall’antisemitismo, oggi, è un errore.


    saluti

  5. #5
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    Predefinito

    Roma. Dice che “Roma è piena di muri, come Gerusalemme, che il Vaticano è circondato
    da alte mura”, dette leonine, che “quello di Israele è un muro di cemento lungo soltanto 9 chilometri, che serve per proteggere un’autostrada dai killer che sparano a caso sulle automobili, per il resto è una barriera difensiva leggera che non ha niente del confine di Stato e serve a evitare l’arrivo dei terroristi”, e aggiunge che “l’aspirazione a costruire ponti è condivisibile,
    ma non sui cadaveri delle vittime civili d’Israele”. (qui il termine vittime è appropriato ndr)
    Ariel Sharon, primo ministro d’Israele, riceve di buon mattino nel suo albergo alcuni direttori di giornale e parla per due ore. Volitivo e timido, vecchio ed energico, questo mitico e controverso generale di tutte le guerre con il rovello della politica comincia dal più difficile, il discorso del Papa che ha censurato l’idea del muro di difesa e ha proposto un tempo in cui si costruiscano ponti.
    Pragmatico, fa seguire la sapiente blandizie al diniego di principio: “Apprezzo Giovanni Paolo II. E’ una grande personalità spirituale.
    L’ho incontrato e capisco il suo allarme per gli effetti della barriera sulle Chiese e sulla mobilità
    del personale ecclesiastico, e naturalmente sono personalmente impegnato a garantire che non nascano problemi.
    Osservo però che mi è stato chiesto di impedire la costruzione della Moschea di Nazareth, che era concepita per nascondere la Chiesa dell’Annunciazione.
    Questione delicata, che altri governi avevano eluso. Il mio no. Abbiamo fermato i lavori, e adesso procediamo alla demolizione.
    Abbiamo e vogliamo mantenere relazioni di speciale amicizia con la Chiesa cattolica, ma quanto al muro difensivo va detto che da una parte c’è una questione di comodità nei movimenti, dall’altra il privilegio di difendere la vita umana”.
    Ginevra, la minestra di Oslo
    Con la domanda sulla piattaforma di pace di Ginevra, quella contratta fra esponenti privati delle due parti, il tono e la sostanza restano rigidi: “Noi siamo una vera democrazia. L’unica in Medio Oriente. Ciascuno è libero di elaborare qualsiasi piattaforma. Gli ideatori di quest’ultima sono gli stessi che hanno portato alla cosiddetta pace di Oslo, una delle più grandi tragedie della nostra storia. E il contenuto del cosiddetto accordo di Ginevra è quello già fallito a Oslo. E’ ovvio che gli accordi privati non contano, contano le decisioni dei governi democraticamente eletti. Certo, quello non è un contributo alla pace. Lusingati da piani di pace più comodi per loro, i palestinesi faranno più fatica ad accettare l’unico piano oggi possibile, cioè la road map”.
    Sull’esportazione della democrazia in Medio Oriente da parte degli americani, Sharon non è avaro di riconoscimenti storici, ma assume una posizione più riservata o realista quando si tratta di trarre un bilancio: “Il mondo arabo non è un mondo democratico. Gli americani hanno esperienza in materia, nel senso che hanno fatto molto, e con grande generosità, per esportare la democrazia dalla Seconda guerra mondiale in poi, vincendo il confronto con il comunismo sovietico dopo lo scontro con nazismo e fascismo. Ma in Medio Oriente si comincia solo adesso. Le opportunità appaiono immense, come le difficoltà. Difficile dire e prevedere il futuro. Non c’è dubbio che questa sarebbe una vittoria strategica sia della democrazia sia della pace”.
    Che abbia già istruito tutto l’occorrente per un incontro con Abu Ala, il premier palestinese succeduto ad Abu Mazen, Sharon lo conferma con data: “per la prossima settimana”. E aggiunge che “fino ad ora l’incontro non c’è stato perché l’Autorità palestinese ci ha chiesto tempo per la preparazione politica del vertice”. Sharon rende chiaro il senso del suo discorso sulla pace nella sicurezza, l’unica che ritiene possibile, passando a parlare di se stesso, della sinistra e della destra israeliane.
    Una semplicità disarmante, la sua, e persuasiva. “La sinistra israeliana non è in grado di fare la pace nella sicurezza. La sua pace, con le esperienze che abbiamo alle spalle, non sarà mai accettata dalla destra del mio paese. Anche a destra c’è molta gente che non ama il mio piano di pace.
    Ci sono stati contrasti, e in qualche caso sono finito in minoranza anche nel partito che ho fondato. Ma la destra israeliana, per felice paradosso, può invece fare la pace, e ottenere l’appoggio della sinistra. Io sono in grado senza problemi di convincere tutta la destra della giustezza della mia linea”.
    Soldato e generale
    Qui il premier si definisce come soldato e generale, schizza un’autobiografia della nazione con toni molto personali.
    Dice prima prima di tutto: “La pace è difficile quasi come la guerra”.
    Aggiunge che Israele è pronto a “dolorose concessioni”, e che saranno tanto più dolorose le concessioni in quanto “il mio paese non ha perso una sola guerra difensiva da quando è nato, e nella storia è raro che un paese che vince faccia concessioni a chi ha perso la guerra”.
    Aggiunge se stesso: “Ho combattuto in tutte le guerre di Israele, sono partito soldato semplice e
    sono finito generale, sono stato ferito seriamente due volte, ho avuto l’onore di comandare unità speciali e d’élite, mi sono assunto responsabilità in fatto di vita e di morte: insomma io so bene che cosa sia la guerra e che cosa sia la pace, so di che cosa parlo.
    E sono certo di poter convincere tutto il paese di una buona pace, ma una buona pace è una pace che
    esclude patti con il terrorismo, con il terrorismo non si fanno compromessi di alcun genere”.
    Dei terroristi suicidi, quelli che gli islamici radicali chiamano shahid o martiri, Sharon dice cose di concretezza fredda e insieme appassionate: “Non sono individui che prendono la decisione di morire per uccidere. Sono il frutto di educazione e di organizzazione. Sono prima di tutto frutto di indottrinamento, c’è la promessa del paradiso per gli uomini e di non si sa che cosa per le donne, poi c’è la selezione con molta attenzione alle famiglie di provenienza, poi patti per il mantenimento
    e il finanziamento dei parenti che restano, poi una complicata macchina che assicura le condizioni
    della decisione: gli esplosivi, la scelta degli obiettivi, il tempo dell’attentato, il luogo, il trasporto, insomma dietro ogni terrorista suicida, uomo o donna, c’è una fabbrica del terrorismo, ed è quella che deve essere smantellata.
    La favola del terrorista suicida che viene dall’ombra della disperazione è una grottesca menzogna.
    E purtroppo dietro le organizzazioni che promuovono questa menzogna omicida c’è inaspettatamente anche il finanziamento dell’Europa a gruppi come Hamas.
    Si è fatto un passo avanti, anche grazie a questa Italia straordinaria e al suo premier Berlusconi, che ha con noi un rapporto assolutamente speciale di amicizia, ma non ci sono ancora le legislazioni capaci di impedire nei fatti l’arrivo di quei finanziamenti.
    E gli Hezbollah sono ancora, anche formalmente, esclusi dalla lista delle organizzazioni terroristiche”.
    Cosa fanno i “martiri”
    Qui Sharon si riscalda e racconta in modo molto diretto la sua allegoria del terrore : “L’attentatrice di Haifa, come quelli che fanno esplodere gli autobus, era passata in quanto donna al check point: per rispetto, noi non autorizziamo perquisizioni personali delle donne palestinesi se non c’è personale femminile disponibile. E a quel check point quel giorno non c’era. Al nostro rispetto si risponde con la scelta dell’obiettivo, in quel caso un ristorante affollato di bambini. La terrorista è entrata, accompagnata da un arabo israeliano, ha mangiato, è stata lì un’ora e mezzo, poi si è avvicinata alla cassa per pagare, infine si è messa davanti a una carrozzina e ha fatto esplodere una sala da pranzo piena di bambini, anche di neonati, e piena di vecchi.
    Mi sembra impossibile dovere spiegare che questa è una condizione di vita inaccettabile per qualsiasi paese, e che quel che faccio per la sicurezza dei cittadini di Israele lo farei anche se fossi primo ministro di qualsiasi altro paese del mondo”.
    Lo staff di Sharon fa scivolare un grafico pieno di cifre: sono i morti israeliani dell’Intifada messi in relazione con la popolazione.
    Paragoni. Ellissi.
    892 morti e 5.989 feriti su 5 milioni di israeliani fa esattamente, in proporzione con la popolazione, 25.868 morti e 173.681 feriti in un paese come la Russia, 67.792 morti e 455.164 feriti per l’Unione europea, 49.595 morti e 332.988 feriti per gli Stati Uniti d’America, 10.347 morti e 69.472 feriti per una nazione come l’Italia.
    Di fronte a questo quadro, Sharon guarda come una dannazione il sondaggio in cui l’opinione statistica dell’Unione europea giudica Israele come “la più grave minaccia alla pace”, ed evoca con parole misurate l’antisemitismo, “che esiste e contro il quale, in quanto fenomeno collettivo, Israele è disposto a combattere d’intesa con l’Europa”.
    “Noi non ce l’abbiamo con l’Europa”, aggiunge il primo ministro israeliano, “anzi, chiediamo la sua collaborazione per la pace e per la sicurezza” .
    Quanto all’Italia, “è il paese che è riuscito a trovare con il premier Berlusconi il miglior equilibrio, è nelle classiche condizioni dell’honest broker, e in qualunque momento ci riserviamo di chiedere il suo intervento e sostegno per fare la pace nella sicurezza. Ho visto in tv i funerali dei vostri caduti di Nassiriyah, un’immagine dolorante e orgogliosa di una grande nazione.
    Ero fiero di essere a Roma nel momento in cui tutti gli italiani onoravano i giusti caduti nella lotta al terrorismo e per la pace”.
    (è un soldato e a detto “caduti nella lotta al terrorismo, e di ciò lo ringrazio, ndr)

    da il Foglio

    saluti

  6. #6
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    Predefinito Re: La visita di un...

    In origine postato da mustang
    ...è perché lo ritiene il primo governo italiano dal Dopoguerra vero e sincero alleato dello Stato di Israele, l’unico in Europa....
    A nessuno sorge il dubbio che se è il primo e l'UNICO in Europa ci sarà pure un motivo?

    In quanto all'appellativo di "combattente" è sicuramente azzeccato. A Sabra e Chatila ancora se lo ricordano, anche se pesava 50 chili di meno.....

  7. #7
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    Predefinito Re: Re: La visita di un...

    In origine postato da Dario
    A nessuno sorge il dubbio che se è il primo e l'UNICO in Europa ci sarà pure un motivo?

    In quanto all'appellativo di "combattente" è sicuramente azzeccato. A Sabra e Chatila ancora se lo ricordano, anche se pesava 50 chili di meno.....
    -------------------------------
    Che abbia esagerato in quel caso lo ha confessato lui stesso: ma mica mandava davanti ai carri bambini israeliani; mica ordinava ai suoi soldati di riempirsi le tasche di bombe prima di andare a bere il caffè tra mamme e carozzine.
    Hai paura della democrazia, vero?
    Per questo tifi Saddam, Castro, Arafat, e zitto zitto pure Stalin e l'amico di giochi e del cuore Hitler.

  8. #8
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    Predefinito Re: Re: Re: La visita di un...

    In origine postato da mustang
    Che abbia esagerato in quel caso lo ha confessato lui stesso: ma mica mandava davanti ai carri bambini israeliani; mica ordinava ai suoi soldati di riempirsi le tasche di bombe prima di andare a bere il caffè tra mamme e carozzine.
    Ha esagerato SOLO UN POCO!! E' vero, non usava kamikaze, ha sterminato 5-6.000 donne e bambini a cannonate, carrozzine e tutto. Più semplice e meno costoso. E sopratutto CON GRANDE RISPARMIO DI VITE ISRAELIANE.

    Hai paura della democrazia, vero?
    Per questo tifi Saddam, Castro, Arafat, e zitto zitto pure Stalin e l'amico di giochi e del cuore Hitler.
    Avrei dovuto non risponderti. Evidentemente oggi non stai bene. Non voglio dirti parolacce, alla nostra età a volte succede un peggioramento improvviso degli effetti dell'alzheimer e dell'arteriosclerosi. Auguri, rimettiti presto!!!!

 

 

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