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Così Silvio metterà fuori gioco Tremonti
Il ministro finirà in minoranza nel PdL
di Mario Sechi - Il Cav ha acceso gli antinebbia. Vuole uscire dalla bruma in cui l’ha cacciato Giulio Tremonti. Viaggiare a fari spenti quando sei alla guida del governo è pericoloso. Il ministro dell’Economia gioca al rilancio (vicepremier), Berlusconi vuol mediare ma non farsi dimezzare. Tremonti può lasciare o tirare la corda, ma Silvio ha un piano. Tremonti domenica scorsa si è presentato al vertice di Arcore «sotto scorta» nordista: Umberto Bossi e Roberto Calderoli l’hanno spalleggiato, sostenuto, sorretto, imposto. Buona scelta tattica per evitare un pranzo di traverso, pessima decisione strategica per rilanciarsi sul campo di sempre. Perché in un batter d’occhio il colore dominante di Giulio è passato dal blu al verde. Non più un principe azzurro, ma l’incredibile Hulk padano. Non più l’ideologo del PdL, ma il portabandiera del Carroccio. Ribaltamento politico, rovesciamento di senso. Tremonti dentro o fuori? «Certamente sta a metà del guado» dice chi studia il risiko in via dell’Umiltà. «Più di là che di qua», aggiunge un altro. E allora? Silvio fa la cosa che non ti aspetti. Lui, l’uomo delle decisioni improvvise, il Signore del Predellino, il Cavaliere Solitario, prende e come un consumato democristiano o comunista, «consulta il partito», di più lo rimette in moto a suon di statuto e regolamento. Silvio carismatico e pure democratico, tiè. Mentre gli altri partiti si squagliano il Cav che ti combina? Convoca il comitato di coordinamento, chiede lumi a Denis Verdini, Sandro Bondi e Ignazio La Russa. Lui, primo violino, convoca gli orchestrali. E non per un quartetto da camera, perché Silvio per sovrastare il rumore della tremontana ha deciso di far suonare lo spartito a un gruppo allargato: l’ufficio di presidenza del PdL. Esiste. Preparatevi ad apprenderne gli arcani.
A norma di statuto
Statuto del partito, Titolo II, Capo I, articolo 16: «L’Ufficio di Presidenza dà attuazione alle deliberazioni del congresso nazionale e del Consiglio nazionale. Coadiuva il Presidente nazionale in tutte le sue funzioni e, d’intesa con esso, concorre alla definizione di nomine e candidature. È composto dal Presidente nazionale che lo convoca e lo presiede, dai Capigruppo ed i Vicecapigruppo vicari alla Camera ed al Senato, da un rappresentante del Popolo della Libertà nell’Unione Europea, e da altri 30 membri eletti dal Congresso su proposta del Presidente nazionale con votazione immediatamente successiva alla sua elezione, tra i quali il Presidente individua i tre membri del Comitato di coordinamento, di cui al successivo articolo. Il Presidente nazionale, nella formazione dell’ordine del giorno, può prevedere, in relazione ai singoli argomenti da trattare, l’invito a partecipare ai lavori anche ad altri soggetti in base al loro incarico istituzionale o di partito. L’Ufficio di Presidenza è convocato dal Presidente nazionale di norma una volta al mese e si riunisce comunque ogni volta ne faccia istanza il 25% dei suoi componenti».
Se siete sopravvissuti all’italiano, possiamo andare avanti. Sintassi a parte, badiamo al sodo: è l’organo che decide collegialmente sulle grandi questioni interne, quasi come il comitato centrale del fu Pci. Silvio ha deciso che il 5 novembre i componenti dell’ufficio di presidenza si riuniranno. Tutti insieme, appassionatamente. Per fare cosa? Che domande, realizzare quel che si fa in qualsiasi partito democratico: discutere la linea di politica economica, votarla e... mettere Tremonti in minoranza. Perché delle due l’una: o Giulio fa parte del PdL e ne accetta le regole; oppure è una via di mezzo tra il tecnico (geniale) e il politico (un po’ meno) che fa il pontiere tra Lega e PdL e non sta nei confini del partito. Nel primo caso tutto bene, si va avanti e il ministro prosegue il suo lavoro (ottimo durante la crisi) interpretando al meglio le indicazioni del partito di maggioranza. Nel secondo caso, Tremonti è destinato a uscire di scena per cercare altre vie e soluzioni politiche alle sue legittime ambizioni.
Restare o rompere il patto?
La girandola di incontri di ieri a Milano è significativa: l’incontro con i due nemici di Unicredit e Intesa, Alessandro Profumo e Corrado Passera; la chiacchierata con il suo amico-nemico-riamico Domenico Siniscalco, (oggi un big di Morgan Stanley, ieri il suo direttore generale al Tesoro, che nel 2004 lo «tradì» per diventare lui ministro), hanno il sapore di un giro d’orizzonte sul che fare prima di giocare la mano decisiva al tavolo verde di Palazzo Chigi. Il piatto è grosso, grazie alla Lega Giulio ha molte fiches verdi da giocare, ma Berlusconi si è rimesso a fare Berlusconi. Vuol tagliare le tasse, rivincere le elezioni, affrontare la madre di tutte le battaglie (giudiziaria e politica) combattendo e non arretrando. Ha il consenso politico e con l’affermazione di Bersani persino un interlocutore migliore nell’opposizione. Il Cav dà sempre il meglio di sé quando ha le spalle al muro. Siamo a quel punto della storia.
Certo, Tremonti potrebbe rompere il patto, rovesciare il tavolo e buttare via il piatto, ma con quale disegno e che futuro? Paradossalmente, il suo ancoraggio forte alla Lega è anche una zavorra: il Carroccio non può sbandare a sinistra né stare al centro e così anche Giulio si ritrova in questo schema. Resta solo un’ipotesi: un governissimo. Qui il genio di Tremonti brillerebbe moltissimo. Lui ne godrebbe, ma per il Paese sarebbe un capitolo grigissimo.
Libero News - Così Silvio metterà fuori gioco Tremonti
Governo, Berlusconi: "Tremonti è fuori dal Pdl" - Interni - ilGiornale.it del 27-10-2009
"Giulio deve capirlo, il premier sono io" Fini: se Silvio cede si fa commissariare - Politica - Repubblica.it
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