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  1. #21
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    Predefinito Dai Discorsi di Nicola di Clairvaux

    Sermo in festo B. Stephani Protom., 2_4.6, in PL 184, 847-850.

    Ti saluto, o piena di grazia (Lc 1,28), disse l'angelo Gabriele, Forza di Dio. E di Stefano si dice che è pieno di grazia e di potenza (At 6,8). Luca parla della Vergine e del martire quasi con i medesimi termini; la grazia, benché attribuita in modo più eccellente a Maria, viene esaltata come presente anche nel nostro martire. Stefano, infatti, gode di una grazia specialissima rispetto a tutti gli altri testimoni della fede. Egli è pieno di grazia, ossia ne è colmato: scrutando attentamente la Bibbia, di rado troveremo tale attributo.
    Unita alla grazia c'è la potenza, perché gli è infuso lo spirito di libertà. Da un animo ardente prorompe spontanea la verità, perché esso non tollera che la giustizia decada in qualche misura dal suo rigore. Così, protetto dallo scudo della grazia e brandendo la lancia del coraggio, Stefano faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo. Chi ha fortemente radicati in sé la grazia e la potenza di Dio, può senz'altro compiere prodigi e miracoli.

    Lo voglia o no, l'empietà deve cedere alla pietà, l'errore alla verità, la follia alla sapienza, la vana presunzione dello spirito umano allo Spirito Santo. Non riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui egli parlava (At 6,10). Non è detto che non volevano, ciò che è proprio degli esseri pienamente ragionevoli, ma che non potevano, ciò che toglie all'animo malvagio la possibilità di agire, pur non mutandone il volere.
    Stefano contraddice i Giudei con grande coraggio. Agisce sicuro, senza esitare, irremovibile nelle sue convinzioni; preferisce la giustizia alla vita, pronto a versare il proprio sangue per la fede, scegliendo la morte a qualsiasi connivenza.
    I nemici si scagliano tutti insieme contro di lui, lo trascinano nel sinedrio, contenti di averlo preso nella rete. Ma invano si getta la rete davanti a chi ha le ali. La voce di Stefano è più libera che mai; le testimonianze che egli estrae dalle Scritture ebraiche rendono più incisivo sulle sue labbra il linguaggio della verità. Lo Spirito di Dio si impadronisce del martire e si esprime con la sua voce più vibrante dell'organo. Stefano coglie una particolare tematica della Scrittura, e riassume in un breve condensato lunghi passi dell'Antico Testamento.

    Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio (At 7,55). Fate attenzione all'ordine delle parole. Stefano è pieno di Spirito Santo e così guarda il cielo, appunto perché spinto dal Soffio divino. Calpesta ciò che appartiene alla terra, aspira alle realtà dell'alto, che sono eterne.
    Poi si aprono i cieli, non esistono più limiti o barriere che impediscano all'anima di volare e di aderire al sommo Bene, di cui è perdutamente innamorata.
    Si aprono i cieli dunque, direi tutti i cieli, a cui fa seguito la visione della gloria di Dio. Il Figlio dell'uomo è visto alla destra di Dio, perché non si pensi che sia inferiore al Padre. Gesù sta in piedi con colui che è in piedi, combatte con Stefano che lotta, è lapidato con il martire colpito a morte dalle sassate.

    Stefano pregava e diceva: "Signore Gesù, accogli il mio spirito (At 7,59). I Giudei ricorrono alle pietre, Stefano alla preghiera. Le pietre percuotono la pietra, ma una pietra che è tenera, che spande l'amore e risuona della bontà.
    Signore Gesù, non imputar loro questo peccato (At 7,60). Prega Dio di accogliere il suo spirito, quello spirito davvero santo che l'Apostolo raccomanda di conservare in sé come una specie di sigillo, in modo che spirito, anima e corpo si conservi irreprensibile per la venuta del Signore (At 7,60).
    Contemplate quanta pietà, quanta tenerezza, quanto ardente e perfetto amore! Davvero può rivendicare per sé la corona del martirio colui che si fa il somigliantissimo a Gesù Cristo inchiodato sulla croce. Gesù, infatti, coronato di spine, sospeso a un palo, dissimula l'insostenibile dolore, dimentica la morte imminente; per dare un esempio nuovo, dilata gli spazi della carità, sfonda i limiti della legge antica, si fa l'amico non solo degli amici, ma anche dei nemici, che lo vogliano o no. Padre - egli esclama – perdonali, perché non sanno quello che fanno (Lc 23,34).

  2. #22
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    Charles Le Brun, Lapidazione di S. Stefano, 1651, Notre Dame, Parigi

  3. #23
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    Cornelis van Poelenburg, Martirio di S. Stefano, 1622-24, Musée du Louvre, Parigi

    Giorgio Vasari, Martirio di S. Stefano, 1571, Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano, Roma

    Giorgio Vasari, Lapidazione di S. Stefano, Chiesa di S. Stefano, Pisa

    Jacques Stella, Martirio di S. Stefano, 1623, Fitzwilliam Museum, Cambridge

  4. #24

  5. #25
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    BENEDETTO XVI

    ANGELUS

    Festa di santo Stefano protomartire
    Lunedì, 26 dicembre 2005


    Cari fratelli e sorelle!

    Dopo aver celebrato ieri con solennità il Natale di Cristo, facciamo oggi memoria della nascita al cielo di Santo Stefano, il primo martire. Un particolare legame unisce queste due feste ed è ben sintetizzato nella liturgia ambrosiana da questa affermazione: "Ieri il Signore è nato sulla terra perché Stefano nascesse al cielo" (Allo spezzare del pane). Come Gesù sulla croce si è affidato completamente al Padre e ha perdonato i suoi uccisori, così Stefano al momento della sua morte prega dicendo: "Signore Gesù, accogli il mio spirito"; e ancora: "Signore, non imputare loro questo peccato" (cfr At 7,59-60). Stefano è un autentico discepolo di Gesù e un perfetto suo imitatore. Inizia con lui quella lunga serie di martiri che hanno suggellato la propria fede con l’offerta della vita, proclamando con la loro eroica testimonianza che Dio si è fatto uomo per aprire all’uomo il Regno dei Cieli.

    Nell’atmosfera di gioia del Natale non sembri fuori luogo il riferimento al martirio di Santo Stefano. In effetti, sulla mangiatoia di Betlemme già s’allunga l’ombra della Croce. La preannunciano la povertà della stalla in cui il Bambino vagisce, la profezia di Simeone sul segno di contraddizione e sulla spada destinata a trafiggere l’anima della Vergine, la persecuzione di Erode che renderà necessaria la fuga in Egitto. Non deve stupire che un giorno questo Bambino, diventato adulto, chieda ai suoi discepoli di seguirlo sul cammino della Croce con totale fiducia e fedeltà. Attratti dal suo esempio e sorretti dal suo amore molti cristiani, già alle origini della Chiesa, testimonieranno la loro fede con l’effusione del sangue. Ai primi martiri ne seguiranno altri nel corso dei secoli fino ai giorni nostri. Come non riconoscere che anche in questo nostro tempo, in varie parti del mondo, professare la fede cristiana richiede l’eroismo dei martiri? Come non dire poi che dappertutto, anche là dove non vi è persecuzione, vivere con coerenza il Vangelo comporta un alto prezzo da pagare?

    Contemplando il divino Bambino fra le braccia di Maria e guardando all’esempio di Santo Stefano, chiediamo a Dio la grazia di vivere con coerenza la nostra fede, pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi (cfr 1 Pt 3,15).


  6. #26
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    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 137-145

    26 DICEMBRE

    SANTO STEFANO, PROTOMARTIRE

    Gesù e santo Stefano.


    San Pier Damiani apre il suo Discorso sulla odierna solennità con le seguenti parole:

    "Abbiamo ancora fra le braccia il Figlio della Vergine, e onoriamo con le nostre carezze l'infanzia di un Dio. Maria ci ha condotti all'augusta culla; bella fra le figlie degli uomini, benedetta fra le donne, ci ha presentato Colui che è bello tra i figli degli uomini e più di tutti essi, colmo di benedizioni. Ella solleva per noi il velo delle profezie, e ci mostra i disegni di Dio compiuti. Chi di noi potrebbe distogliere gli occhi dalla meraviglia di questa nascita? Tuttavia, mentre il neonato ci concede i baci della sua tenerezza, e ci lascia nello stupore con sì grandi prodigi, d'improvviso Stefano, pieno di grazia e di forza opera cose meravigliose in mezzo al popolo (At 6,8). Lasceremo dunque il Re per rivolgere lo sguardo su uno dei suoi soldati? No certo, eccetto che il Principe stesso ce lo ordini. Orbene, ecco che il Re, Figlio di Re, si leva egli stesso, e viene ad assistere alla battaglia del suo servo. Corriamo dunque ad uno spettacolo al quale egli stesso corre, e consideriamo questo porta-bandiera dei Martiri".

    La santa Chiesa, nell'Ufficio odierno, ci fa leggere l'inizio d'un Discorso di san Fulgenzio sulla festa di santo Stefano: "Ieri, abbiamo celebrato la Nascita temporale del nostro Re eterno; oggi, celebriamo la Passione trionfale del suo soldato. Ieri il nostro Re, rivestito della carne, è uscito dal seno della Vergine e si è degnato di visitare il mondo; oggi, il combattente è uscito dalla tenda del suo corpo, ed è salito trionfante al cielo. Il primo, pur conservando la maestà della sua eterna divinità, ha assunto l'umile cintura della carne, ed è entrato nel campo di questo secolo per combattere; il secondo, deponendo l'involucro corruttibile del corpo, è salito alla magione del cielo per regnarvi per sempre. L'uno è disceso sotto il velo della carne, l'altro è salito sotto gli allori imporporati del suo sangue. L'uno è disceso da mezzo alla gioia degli Angeli, l'altro è salito da mezzo ai Giudei che lo lapidavano. Ieri, i Santi Angeli, pieni di gaudio, hanno cantato: Gloria a Dio nel più alto dei cieli! Oggi, hanno ricevuto giubilanti Stefano nella loro compagnia. Ieri, Cristo è stato per noi avvolto in fasce; oggi, Stefano è stato da lui rivestito della veste dell'immortalità. Ieri, un'angusta mangiatoia ha ricevuto il Cristo bambino; oggi l'immensità del cielo ha ricevuto Stefano nel suo trionfo".

    Così, la divina Liturgia unisce le gioie della Natività del Signore con l'allegrezza che le ispira il trionfo del primo dei suoi Martiri; e, per di più, Stefano non sarà il solo a ottenere gli onori di questa gloriosa Ottava. Dopo di lui celebriamo Giovanni, il discepolo prediletto; gli Innocenti di Betlemme; Tommaso, il Martire della libertà della Chiesa; Silvestro, il Pontefice della Pace. Ma, in questa splendida scorta del Re neonato, il posto d'onore appartiene a Stefano, il Protomartire che, come canta la Chiesa, ha restituito per primo al Salvatore la morte che il Salvatore ha sofferto per lui. Così meritava di essere onorato il Martirio, questa sublime testimonianza che compensa pienamente Dio dei doni concessi alla nostra stirpe e sigilla con il sangue dell'uomo la verità che il Signore ha affidata alla terra.

    Il martire, testimone di Cristo.

    Per comprendere bene ciò, è necessario considerare il piano divino per la salvezza del mondo. Il Verbo di Dio è inviato per ammaestrare gli uomini; egli semina la sua divina parola, e le sue opere rendono testimonianza di lui. Ma, dopo il suo Sacrificio, sale nuovamente alla destra del Padre; e la sua testimonianza, per essere ricevuta dagli uomini che non hanno visto né sentito quel Verbo di vita, ha bisogno d'una nuova testimonianza. Ora, questa nuova testimonianza, sono i Martiri che gliela renderanno; e la renderanno non già semplicemente con la confessione della bocca, ma con l'effusione del proprio sangue. La Chiesa s'innalzerà dunque per la Parola e il Sangue di Gesù Cristo; ma si sosterrà, attraverserà i tempi e trionferà di tutti gli ostacoli per il sangue dei Martiri, membra di Cristo; e questo sangue si mescolerà con quello del Capo divino, in uno stesso e identico Sacrificio.

    I Martiri rassomiglieranno in tutto al loro supremo Re. Saranno, come egli ha detto, "simili ad agnelli in mezzo ai lupi" (Mt 10,16). Il mondo sarà forte contro di essi; al suo confronto, essi saranno deboli e disarmati; ma, in questa lotta impari, la vittoria dei Martiri sarà ancora più splendida e più divina. L'Apostolo ci dice che il Cristo crocifisso è la forza e la sapienza di Dio (1Cor 1,24). I Martiri sono immolati, e tuttavia sono i conquistatori del mondo. Con una testimonianza che il mondo stesso comprenderà, attesteranno che Cristo che hanno confessato e il quale ha dato loro la costanza e la vittoria, è veramente la forza e la sapienza di Dio. È dunque giusto che siano associati a tutti i trionfi dell'Uomo-Dio, e che il ciclo liturgico li glorifichi, come la Chiesa stessa li onora ponendo sotto la pietra dell'altare le loro sante reliquie, onde il Sacrificio del loro Capo trionfatore non sia mai celebrato senza che essi siano offerti con lui nell'unità del suo Corpo mistico.

    "La testimonianza" di santo Stefano.

    La lista gloriosa dei Martiri del Figlio di Dio comincia da santo Stefano; vi risplende per il suo bel nome che significa l'Incoronato, divino presagio della sua vittoria. Egli dirige, sotto l'impero di Cristo, la Bianca armata cantata dalla Chiesa, essendo stato chiamato per primo, prima degli stessi Apostoli, e avendo risposto degnamente all'onore dell'appello. Stefano ha reso una forte e coraggiosa testimonianza alla divinità dell'Emmanuele, davanti alla Sinagoga dei Giudei; ha urtato le loro orecchie incredule, proclamando la verità; e subito una gragnuola di pietre è stata scagliata contro di lui dai nemici di Dio divenuti anche i suoi nemici. Egli ha ricevuto quell'affronto restando dritto e senza vacillare; si sarebbe detto, secondo la bella espressione di san Gregorio Nisseno, che una neve dolce e silenziosa cadesse su di lui a falde leggere, o anche che una pioggia di rose scendesse mollemente sul suo capo. Ma, attraverso le pietre che s'incrociavano per recargli la morte, una luce divina giungeva fino a lui: Gesù, per il quale egli moriva, si manifesta al suo sguardo; e un'ultima testimonianza alla divinità dell'Emmanuele vibrava nella bocca del Martire. Quindi, sull'esempio del suo divino Maestro per rendere il proprio sacrificio completo, il Martire pronuncia l'ultima preghiera per i suoi stessi carnefici: piega le ginocchia, e chiede che non sia loro imputato quel peccato. Così tutto è consumato; e il tipo del Martire è ormai noto alla terra per essere imitato e seguito per tutte le generazioni, sino alla fine dei secoli, fino all'ultimo compimento del numero dei Martiri. Stefano si addormenta nel Signore, e viene sepolto nella pace, in pace, fino a quando la sua sacra tomba non sarà rinvenuta, e la sua gloria si diffonderà nuovamente per tutta la Chiesa a motivo di quella miracolosa Invenzione, come per una resurrezione anticipata.

    Stefano ha dunque meritato di fare la guardia presso la culla del suo Re, come capo dei valenti campioni della divinità del celeste Bambino che noi adoriamo. Preghiamolo, insieme con la Chiesa, di facilitarci l'avvicinamento all'umile giaciglio in cui si trova il nostro sommo Signore. Chiediamogli di iniziarci ai misteri di quella divina Infanzia che dobbiamo tutti conoscere e imitare in Cristo. Nella semplicità della mangiatoia, egli non ha contato il numero dei suoi nemici, non ha tremato di fronte al loro furore, non si è sottratto ai loro colpi, non ha imposto il silenzio alla sua bocca. Ha perdonato al loro furore, e la sua ultima preghiera è stata per essi. O fedele imitatore del Bambino di Betlemme! Gesù non ha fulminato gli abitanti della città che rifiutò un asilo alla Vergine Maria nel momento in cui stava per dare alla luce il Figlio di David, né arresterà il furore di Erode che presto lo cercherà per farlo morire; fuggirà piuttosto in Egitto, come un proscritto, dal cospetto del volgare tiranno. Attraverso tutte quelle apparenti debolezze mostrerà la sua divinità, e il Dio Bambino sarà il Dio Forte. Passerà Erode, e con lui la sua tirannia; Cristo invece resterà, sempre più grande nella sua mangiatoia dove fa tremare un re che è sovrano sotto la porpora tributaria dei Romani; più grande dello stesso Cesare Augusto, il cui impero colossale dovrà servire di sgabello alla Chiesa che sarà costituita da quel Bambino così umilmente iscritto nei registri della città di Betlemme.

    MESSA [1]

    La santa Chiesa comincia con le parole del santo Martire che, attingendo al linguaggio di David, ricorda il consiglio tenuto contro di lui dai malvagi, e l'umile fiducia che l'ha fatto trionfare delle loro persecuzioni. Dall'effusione del sangue di Abele fino ai futuri Martiri che deve immolare l'Anticristo, la Chiesa è sempre perseguitata; il suo sangue non cessa di scorrere in una regione o in un'altra, ma il suo rifugio è nella fedeltà allo Sposo, e nella semplicità che il Bambino del Presepio è venuto a insegnarle con il suo esempio.

    "I prìncipi si sono radunati, e hanno pronunciato sentenza contro di me, e i cattivi mi hanno perseguitato; soccorrimi, Signore mio Dio, perché il tuo servo si è esercitato nella pratica della tua legge".

    EPISTOLA (At 6,8-10; 7,54-59). - In quei giorni: Stefano, pieno di grazia e di fortezza, faceva prodigi e segni grandi in mezzo al popolo. Ma alcuni della sinagoga detta dei Liberti, e Cirenei e Alessandrini, con quelli della Cilicia e dell'Asia si levarono su a disputare con Stefano; ma non potevano resistere alla sapienza e allo Spirito che parlava. Ed essi, nell'udire queste cose, fremevano nei loro cuori e digrignavano i denti contro di lui. Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissati gli occhi nel cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio; ed esclamò: Ecco vedo aperti i cieli, ed il Figlio dell'uomo stare alla destra di Dio. Ma quelli, alzando grandi grida, si turarono le orecchie e tutti insieme gli s'avventarono addosso. E, trascinatolo fuori della città, si diedero a lapidarlo e i testimoni deposero le loro vesti ai piedi di un giovane chiamato Saulo. E lapidavano Stefano, che pregava e diceva: Signore Gesù, ricevi il mio spirito. Poi piegati i ginocchi, gridò a gran voce: Signore, non imputar loro questo peccato. Ciò detto, si addormentò nel Signore.

    Così, o glorioso Principe dei Martiri, fosti condotto fuori delle porte della città per essere immolato, e messo a morte con il supplizio dei bestemmiatori. Il discepolo doveva essere in tutto simile al Maestro. Ma né l'ignominia di quella morte, né la crudeltà del supplizio intimidirono la tua grande anima: tu portavi il Cristo nel Cuore, e con lui, eri più forte di tutti i tuoi nemici. Ma quale fu la tua gioia allorché, apertisi i cieli sul tuo capo, il Dio Salvatore ti apparve nella sua carne glorificata ritto alla destra del Padre, e gli occhi del divino Emmanuele incontrarono i tuoi! Quello sguardo di un Dio sulla sua creatura che deve soffrire per lui, della creatura verso il Dio per il quale si immola, ti rapì fuori di te stesso. Invano le pietre crudeli piovevano sul tuo capo innocente: nulla poté distrarti dalla visione del Re eterno che alzandosi dal suo trono, muoveva incontro a te, con la Corona che ti aveva preparata da tutta l'eternità e che tu ricevevi in quell'ora. Chiedi dunque oggi nella gloria in cui regni, che anche noi siamo fedeli, e fedeli fino alla morte, a quel Cristo che non si limitò a levarsi, ma è disceso fino a noi sotto le vesti dell'infanzia.

    VANGELO (Mt 23,34-39). - In quel tempo, diceva Gesù agli Scribi e ai Farisei: Ecco io vi mando profeti e savi e Scribi, e di questi ne ucciderete, ne crocifiggerete e ne flagellerete nelle vostre sinagoghe, e li perseguiterete di città in città, finché non venga su di voi tutto il sangue giusto, sparso sulla terra, dal sangue del giusto Abele a quello di Zaccaria, figlio di Barachia, che voi uccideste fra il tempio e l'altare. In verità vi dico: tutto ciò avverrà su questa generazione. Gerusalemme Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte io ho voluto radunare i tuoi figli come la chioccia raduna i suoi pulcini sotto le ali, e non hai voluto! Ecco, la vostra casa vi sarà lasciata deserta. E vi dico: non mi vedrete più finché non diciate: Benedetto colui che viene nel nome del Signore.

    I Martiri sono offerti al mondo per continuare sulla terra il ministero di Cristo, rendendo testimonianza alla sua parola, e sigillando col proprio sangue tale testimonianza. Il mondo li ha misconosciuti; come il loro Maestro, hanno saputo risplendere nelle tenebre, e le tenebre non li hanno compresi. Tuttavia, parecchi hanno ricevuto la loro testimonianza, e sono nati alla fede da quel seme fecondo. La Sinagoga è stata respinta per aver versato il sangue di Stefano, dopo quello di Cristo; guai dunque a chiunque misconosce il merito dei Martiri! Ascoltiamo piuttosto le sublimi lezioni che ci offre il loro sacrificio; e la nostra religione verso di essi testimoni la nostra riconoscenza per il sublime ministero che essi hanno adempiuto e che adempiono ogni giorno nella Chiesa. La Chiesa infatti non è mai senza Martiri come non è mai senza miracoli; è la duplice testimonianza che essa renderà sino alla fine dei secoli, e attraverso la quale si manifesta la vita divina che il suo autore ha posto in essa.

    O Stefano, tu che sei il primo e il principe dei Martiri, noi ci uniamo alle lodi che ti inviano tutti i secoli cristiani! Ci felicitiamo con te per essere stato scelto dalla santa Chiesa per assiderti al posto d'onore, presso la culla del supremo Signore di tutte le cose. Come è gloriosa la confessione che fu hai resa fra i sassi mortali che laceravano le tue membra generose! Come è risplendente la porpora che ti ricopre come un trionfatore! Come son luminose le cicatrici delle ferite che ricevesti per il Cristo! Quanto è numerosa e magnifica l'armata dei Martiri che ti segue come suo capo, e che continua gloriosamente fino alla consumazione dei secoli!

    In questi giorni della Nascita del nostro comune Salvatore, noi ti preghiamo, o Stefano, di farci penetrare nelle profondità dei misteri del Verbo incarnato. Spetta a te, fedele custode del Presepio, introdurci presso il celeste Bambino che vi riposa. Tu hai reso testimonianza alla sua divinità e alla sua umanità; l'hai predicato, questo Uomo-Dio, fra le grida furenti della Sinagoga. Invano i Giudei si turarono le orecchie; bisognò che sentissero la tua voce risonante che denunciava il deicidio da loro commesso, condannando a morte Colui che è insieme il Figlio di Maria e il Figlio di Dio. Mostra anche a noi questo Redentore del mondo, non ancora trionfante alla destra del Padre, ma umile e dolce, nelle prime ore della sua manifestazione, avvolto in fasce e posto nella mangiatoia. Anche noi vogliamo rendergli testimonianza, annunciare la sua Nascita piena d'amore e di misericordia, far vedere con le nostre opere che è nato anche nei nostri cuori. Ottienici quella devozione al divino Bambino, che ti ha reso forte nel giorno della prova. Noi l'avremo, se siamo semplici senza timori, come sei stato tu, se abbiamo l'amore di questo Bambino; perché l'amore è più forte della morte. Non ci avvenga mai di dimenticare che ogni cristiano deve essere pronto al martirio, per il fatto stesso che è cristiano. La vita di Cristo che comincia in noi, vi si sviluppi mediante la nostra fedeltà e le nostre opere, di modo che possiamo giungere, come dice l'Apostolo, alla pienezza del Cristo (Ef 4,13).

    Ricordati, o glorioso Martire, ricordati anche della santa Chiesa, in quelle regioni in cui i disegni del Signore esigono che essa resista fino al sangue. Ottieni che il numero dei tuoi fratelli si completi con tutti quelli che sono provati, e che nessuno venga meno nella lotta. Che né l'età né il sesso inclinino a vacillare, affinché la testimonianza sia piena, e la Chiesa colga ancora, nella sua vecchiezza, le palme e le corone immortali che hanno onorato i primi anni di cui tu fosti l'ornamento. Intercedi, affinché il sangue dei Martiri sia fecondo, come negli antichi giorni; affinché la terra ingrata non lo assorba, ma ne faccia germogliare ricche messi. Che l'infedeltà ritragga sempre più le sue tristi frontiere; che l'eresia si spenga e cessi di divorare, come lebbra, quelle membra il cui vigore costituirebbe la gloria e la consolazione della Chiesa. Che il Signore, tocco dalle tue preghiere, conceda ai nostri ultimi Martiri il compimento delle speranze che hanno fatto palpitare il loro cuore, nell'istante in cui curvavano il capo sotto la spada, o spiravano la propria anima fra i tormenti.

    * * *
    Prima di chiudere questo secondo giorno dell'Ottava di Natale fermiamoci presso la culla dell'Emmanuele e contempliamo il divin Figlio di Maria. Sono passati già due giorni da quando la Madre sua l'ha posto nell'umile mangiatoia; e questi due giorni valgono per la salvezza del mondo più delle migliaia d'anni che hanno preceduto la nascita di quel Bambino. L'opera della nostra redenzione avanza e i vagiti del neonato, i suoi pianti cominciano a riparare i nostri delitti. Consideriamo dunque oggi, in questa festa del primo dei Martiri, le lacrime che bagnano le gote infantili di Gesù, e che sono i primi indizi dei suoi dolori. "Piange, questo Bambino - dice san Bernardo - ma non come gli altri bambini, né per la stessa ragione. I bambini degli uomini piangono per bisogno e per debolezza; Gesù piange di compassione e d'amore per noi". Raccogliamo devotamente quelle lacrime d'un Dio che si è fatto nostro fratello, e che piange solo sui nostri mali. Impariamo a deplorare il male del peccato che viene a rattristare, con le sofferenze premature del tenero Bambino che il cielo ci manda, la dolce letizia che la sua venuta ci ha portata.

    Anche Maria vede quelle lacrime, e il suo cuore di madre ne è turbato. Ella già intuisce che ha dato alla luce un uomo di dolori; presto lo comprenderà ancora meglio. Uniamoci a lei per consolare il neonato con l'amore dei nostri cuori. È il solo bene ch'egli sia venuto a cercare attraverso tante umiliazioni; è per questo amore che è disceso dal cielo e ha compiute tutte le meraviglie di cui siamo circondati. Amiamolo dunque con tutta la pienezza delle anime nostre, e preghiamo Maria di fargli accettare il dono del nostro cuore. Il Salmista ha cantato, e ha detto: Grande è il Signore e degno di lode; aggiungiamo con san Bernardo: Il Signore è piccolo, e degno di ogni amore!

    Il pio ed eloquente Padre Faber, che fu anche un grande poeta, ha celebrato, nel più bel canto di Natale, il mistero del Bambino Gesù sotto l'aspetto che stiamo contemplando ora. "Caro Bambino - egli esclama - quanto sei dolce! Di quale luce brillano i tuoi occhi! Sembrano quasi parlare, quando lo sguardo di Maria incontra il tuo. - Come è fievole il tuo grido! Simile al gemito dell'innocente colomba è il tuo lamento di dolore e d'amore nel sonno. - Quando Maria ti dice di dormire, dormi; alla sua voce ti svegli; contento sulle sue ginocchia, contento anche nella rustica mangiatoia. - Oh, il più semplice dei bambini! Con quanta grazia cedi al volere della Madre tua! Le tue maniere infantili tradiscono la scienza d'un Dio che si nasconde. Quando Giuseppe ti prende fra le braccia e accarezza le tue piccole gote, lo guardi negli occhi con la tua innocenza e la tua dolcezza. - Sì, tu sei quello che sembri essere: una piccola creatura di sorrisi e di pianti; e tuttavia sei Dio, e il cielo e la terra ti adorano tremando. - Sì, Bambino diletto, le tue piccole mani che toccano i capelli di Maria, sostengono contemporaneamente il peso del grande universo. - Mentre stringi il collo di Maria con una stretta tenera e timida, i più splendenti Serafini si velano dinanzi al tuo volto, o divino Bambino! - Quando Maria ha calmato la tua sete, e placato le tue deboli grida, i cuori degli uomini restano ancora aperti davanti ai tuoi occhi assopiti. Debole Bambino, tu saresti dunque il mio stesso Dio? Oh, allora bisogna che ti ami; sì, che ti ami, che aneli a diffondere il tuo amore fra le dimenticanze degli uomini. Dormi dolce Bambino, dal cuore vigilante; dormi, Gesù diletto: per me veglierai un giorno; veglierai per soffrire e per piangere. - I flagelli, una croce, una crudele corona, è quanto io ho riservato per te. E tuttavia una piccola lagrima, o Signore, sarebbe un pegno sufficiente. - Ma no; la morte è la scelta del tuo cuore; è il prezzo decretato dall'alto. Tu vuoi fare di più che salvare le anime nostre; è per amore che tu vuoi morire".

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    NOTE

    [1] La Stazione è alla basilica di S. Stefano sul Monte Celio, cominciata da Papa Simplicio (468-483) e portata a termine da Felice IV (526-530). Il culto di santo Stefano era molto popolare, e Roma contava, nel medioevo, fino a trentacinque chiese dedicate al Santo. Nella ricorrenza di oggi, il Papa si recava alla basilica con i Cardinali della sua Corte, e celebrava egli stesso la Messa stazionale.

  7. #27
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    Discepolo anonimo di Vicente Juan Masip detto Juan de Juanes, S. Stefano ordinato diacono, XVI sec., Museo del Prado, Madrid

    Vicente Juan Masip detto Juan de Juanes, S. Stefano insegna nella sinagoga, XVI sec., Museo del Prado, Madrid

    Vicente Juan Masip detto Juan de Juanes, S. Stefano accusato di blasfemia, XVI sec., Museo del Prado, Madrid

  8. #28
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    Vicente Juan Masip detto Juan de Juanes, S. Stefano condotto al martirio, XVI sec., Museo del Prado, Madrid

    Vicente Juan Masip detto Juan de Juanes, Martirio di S. Stefano, XVI sec., Museo del Prado, Madrid

    Vicente Juan Masip detto Juan de Juanes, Sepoltura di S. Stefano, XVI sec., Museo del Prado, Madrid

  9. #29
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    BENEDETTO XVI

    ANGELUS


    Piazza San Pietro
    Festa di santo Stefano protomartire
    Martedì, 26 dicembre 2006

    Cari fratelli e sorelle!

    All’indomani della solennità del Natale, celebriamo oggi la festa di santo Stefano, diacono e primo martire. A prima vista l’accostamento del ricordo del "Protomartire" alla nascita del Redentore può lasciare stupiti, perché colpisce il contrasto tra la pace e la gioia di Betlemme e il dramma di Stefano, lapidato a Gerusalemme nella prima persecuzione contro la Chiesa nascente. In realtà, l’apparente stridore viene superato se consideriamo più in profondità il mistero del Natale. Il Bambino Gesù, che giace nella grotta, è l’Unigenito Figlio di Dio fattosi uomo. Egli salverà l’umanità morendo in croce. Ora lo vediamo in fasce nel presepe; dopo la sua crocifissione sarà nuovamente avvolto da bende e deposto in un sepolcro. Non a caso l’iconografia natalizia rappresentava talvolta il divino Neonato adagiato in un piccolo sarcofago, ad indicare che il Redentore nasce per morire, nasce per dare la vita in riscatto per tutti.

    Santo Stefano fu il primo a seguire le orme di Cristo con il martirio; morì, come il divino Maestro, perdonando e pregando per i suoi uccisori (cfr At 7,60). Nei primi quattro secoli del cristianesimo, tutti i santi venerati dalla Chiesa erano martiri. Si tratta di uno stuolo innumerevole, che la liturgia chiama "la candida schiera dei martiri", martyrum candidatus exercitus. La loro morte non incuteva paura e tristezza, ma entusiasmo spirituale che suscitava sempre nuovi cristiani. Per i credenti, il giorno della morte, ed ancor più il giorno del martirio, non è la fine di tutto, bensì il "transito" verso la vita immortale, è il giorno della nascita definitiva, in latino dies natalis. Si comprende allora il legame che esiste tra il "dies natalis" di Cristo e il dies natalis di Santo Stefano. Se Gesù non fosse nato sulla terra, gli uomini non avrebbero potuto nascere al Cielo. Proprio perché Cristo è nato, noi possiamo "rinascere"!

    Maria, che strinse fra le braccia il Redentore a Betlemme, soffrì anche Lei un martirio interiore. Condivise la sua passione e dovette, ancora una volta, prenderlo tra le sue braccia una volta schiodato dalla croce. A questa Madre, che ha conosciuto la gioia della nascita e lo strazio della morte del suo divin Figlio, affidiamo quanti sono perseguitati e soffrono, in vario modo, per testimoniare e servire il Vangelo. Con speciale vicinanza spirituale, penso anche a quei cattolici che mantengono la propria fedeltà alla Sede di Pietro senza cedere a compromessi, a volte anche a prezzo di gravi sofferenze. Tutta la Chiesa ne ammira l’esempio e prega perché essi abbiano la forza di perseverare, sapendo che le loro tribolazioni sono fonte di vittoria, anche se al momento possono sembrare un fallimento.

    A tutti ancora una volta, buon Natale!

  10. #30
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    St. Stephen

    One of the first deacons and the first Christian martyr; feast on 26 December. In the Acts of the Apostles the name of St. Stephen occurs for the first time on the occasion of the appointment of the first deacons (Acts 6:5). Dissatisfaction concerning the distribution of alms from the community's fund having arisen in the Church, seven men were selected and specially ordained by the Apostles to take care of the temporal relief of the poorer members. Of these seven, Stephen, is the first mentioned and the best known.

    Stephen's life previous to this appointment remains for us almost entirely in the dark. His name is Greek and suggests he was a Hellenist, i.e., one of those Jews who had been born in some foreign land and whose native tongue was Greek; however, according to a fifth century tradition, the name Stephanos was only a Greek equivalent for the Aramaic Kelil (Syr. kelila, crown), which may be the protomartyr's original name and was inscribed on a slab found in his tomb. It seems that Stephen was not a proselyte, for the fact that Nicolas is the only one of the seven designated as such makes it almost certain that the others were Jews by birth. That Stephen was a pupil of Gamaliel is sometimes inferred from his able defence before the Sanhedrin; but this has not been proved. Neither do we know when and in what circumstances he became a Christian; it is doubtful whether the statement of St. Epiphanius (Haer., xx, 4) numbering Stephen among the seventy disciples is deserving of any credence. His ministry as deacon appears to have been mostly among the Hellenist converts with whom the Apostles were at first less familiar; and the fact that the opposition he met with sprang up in the synagogues of the "Libertines" (probably the children of Jews taken captive to Rome by Pompey in 63 B. C. and freed hence the name Libertini), and "of the Cyrenians, and of the Alexandrians, and of them that were of Cilicia and Asia" shows that he usually preached among the Hellenist Jews. That he was pre eminently fitted for that work, his abilities and character, which the author of the Acts dwells upon so fervently, are the best indication. The Church had, by selecting him for a deacon, publicly acknowledged him as a man "of good reputation, full of the Holy Ghost and wisdom" (Acts 6:3). He was "a man full of faith, and of the Holy Ghost" (vi, 5), "full of grace and fortitude" (vi, 8); his uncommon oratorical powers and unimpeachable logic no one was able to resist, so much so that to his arguments replete with the Divine energy of the Scriptural authorities God added the weight of "great wonders and signs" (vi, 8). Great as was the efficacy of "the wisdom and the spirit that spoke" (vi, 10), still it could not bend the minds of the unwilling; to these the forceful preacher was fatally soon to become an enemy.

    The conflict broke out when the cavillers of the synagogues "of the Libertines, and of the Cyreneans, and of the Alexandrians, and of them that were of Cilicia and Asia", who had challenged Stephen to a dispute, came out completely discomfited (vi, 9 10); wounded pride so inflamed their hatred that they suborned false witnesses to testify that "they had heard him speak words of blasphemy against Moses and against God" (vi, 11).

    No charge could be more apt to rouse the mob; the anger of the ancients and the scribes had been already kindled from the first reports of the preaching of the Apostles. Stephen was arrested, not without some violence it seems (the Greek word synerpasan implies so much), and dragged before the Sanhedrin, where he was accused of saying that "Jesus of Nazareth shall destroy this place [the temple], and shall change the traditions which Moses delivered unto us" (vi, 12 14). No doubt Stephen had by his language given some grounds for the accusation; his accusers apparently twisted into the offensive utterance attributed to him a declaration that "the most High dwelleth not in houses made by hands" (vii, 48), some mention of Jesus foretelling the destruction of the Temple and some inveighing against the burthensome traditions fencing about the Law, or rather the asseveration so often repeated by the Apostles that "there is no salvation in any other" (cf. iv, 12) the Law not excluded but Jesus. However this may be, the accusation left him unperturbed and "all that sat in the council...saw his face as if it had been the face of an angel" (vi, 15).

    Stephen's answer (Acts 7) was a long recital of the mercies of God towards Israel during its long history and of the ungratefulness by which, throughout, Israel repaid these mercies. This discourse contained many things unpleasant to Jewish ears; but the concluding indictment for having betrayed and murdered the Just One whose coming the Prophets had foretold, provoked the rage of an audience made up not of judges, but of foes. When Stephen "looking up steadfastly to heaven, saw the glory of God, and Jesus standing on the right hand of God", and said: "Behold, I see the heavens opened, and the Son of man standing on the right hand of God" (vii, 55), they ran violently upon him (vii, 56) and cast him out of the city to stone him to death. Stephen's stoning does not appear in the narrative of the Acts as a deed of mob violence; it must have been looked upon by those who took part in it as the carrying out of the law. According to law (Leviticus 24:14), or at least its usual interpretation, Stephen had been taken out of the city; custom required that the person to be stoned be placed on an elevation from whence with his hands bound he was to be thrown down. It was most likely while these preparations were going on that, "falling on his knees, he cried with a loud voice, saying: "Lord, lay not this sin to their charge" (vii, 59). Meanwhile the witnesses, whose hands must be first on the person condemned by their testimony (Deuteronomy 17:7), were laying down their garments at the feet of Saul, that they might be more ready for the task devolved upon them (vii, 57). The praying martyr was thrown down; and while the witnesses were thrusting upon him "a stone as much as two men could carry", he was heard to utter this supreme prayer: "Lord Jesus, receive my spirit" (vii, 58). Little did all the people present, casting stones upon him, realize that the blood they shed was the first seed of a harvest that was to cover the world.

    The bodies of men stoned to death were to be buried in a place appointed by the Sanhedrin. Whether in this instance the Sanhedrin insisted on its right cannot be affirmed; at any rate, "devout men" -- whether Christians or Jews, we are not told -- "took order for Stephen's funeral, and made great mourning over him" (vii, 2). For centuries the location of St. Stephen's tomb was lost sight of, until (415) a certain priest named Lucian learned by revelation that the sacred body was in Caphar Gamala, some distance to the north of Jerusalem. The relics were then exhumed and carried first to the church of Mount Sion, then, in 460, to the basilica erected by Eudocia outside the Damascus Gate, on the spot where, according to tradition, the stoning had taken place (the opinion that the scene of St. Stephen's martyrdom was east of Jerusalem, near the Gate called since St. Stephen's Gate, is unheard of until the twelfth century). The site of the Eudocian basilica was identified some twenty years ago, and a new edifice has been erected on the old foundations by the Dominican Fathers.

    The only first hand source of information on the life and death of St. Stephen is the Acts of the Apostles (6:1-8:2).

    Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XIV, New York, 1912

 

 
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