Nell’ambito della guerra al terrorismo, che non ammette mollezze da donnicciole, va segnalato il giusto allarme degli amministratori della Lega Nord per quelle tre o quattro donne islamiche che in Italia vanno a spasso con il burqa.
Mettendo seriamente a repentaglio la sicurezza nazionale, almeno quanto Kat Stevens minaccia quella americana, nascosto dietro un sospetto barbone brizzolato.
Si sa come sono fatti questi terroristi islamici: per non dare nell’occhio, ogni mattina calzano il burqa e passeggiano per le nostre città e, così mimetizzati sotto la loro tunica nera, possono armeggiare indisturbati con i loro micidiali ordigni.
Dunque, per favore, basta con il burqa.
Multare chi lo indossa, come han fatto i vigili urbani di Drezzo, nel Comasco, su preciso ordine del sindaco padano, sembrava poco. Ragion per cui l’illuminato prosindaco di Treviso, Giancarlo
(con rispetto parlando) Gentilini, ha ordinato una misura più appropriata: l’arresto immediato delle reprobe, o dei reprobi, perché - come ha osservato lui stesso - «sotto quel velo non si sa chi ci sia, se un uomo o una donna».
Ma anche, per ipotesi, un gatto, un rinoceronte, un carrarmato, un cacciabombardiere.
Non si sa mai.
Spiega anche il Prosindaco Prosecco, in un nobile empito di femminismo, che il burqa «rappresenta un atto di sottomissione della femmina al maschio».
Dunque, in nome delle pari opportunità, la femmina sia arrestata e «condotta immediatamente in Questura».
Il cosiddetto ministro Giovanardi, in Parlamento, s’è affrettato a prendere le difese del sindaco di Drezzo, ma la Lega Nord s’è detta insoddisfatta per tanta manica larga.
E ha chiesto, per bocca del senatore Cesarino Monti, una nuova legge che stabilisca l’arresto in flagranza e la reclusione da 6 mesi a 2 anni per le portatrici sane dell’immondo indumento.
In un paese dove circolano indisturbati, anche e soprattutto in Parlamento e al governo, decine di pregiudicati per le ruberie di Tangentopoli, è proprio quel che ci vuole.
Resta da capire se analoghe sanzioni vadano estese, per analogia, a chi indossa il cappuccio nero della loggia P2, ma i giuristi del centrodestra tenderebbero ad escluderlo.
Stiamo parlando, è bene ricordarlo, della Casa delle Libertà, che da quando è al governo non ha fatto altro che predicare divieti in tutti i settori dell’esistenza umana: dal fumo agli spinelli, dall’automobile ai cd masterizzati, con le lodevoli eccezioni della corruzione, del falso in bilancio, della frode fiscale e della mafia.
Dopodiché, si capisce, gl’inquilini della suddetta Casa non perdono occasione per dipingere l’Italia come uno «Stato di polizia» irto di inutili divieti che soffocano la «libera intrapresa».
L’ultimo lamento in materia l’ha levato il neoministro dell’Economia, l’ottimo Domenico Siniscalco.
In Italia - ha detto all’ultima assemblea della Confindustria - «Bill Gates non sarebbe mai diventato Bill Gates, perché lo avrebbero anche arrestato, visto che ha cominciato in un garage e non rispettava la 626».
Molto spiritoso.
La 626 è una legge dello Stato: quella che ha risparmiato all’Italia qualche migliaio di morti sul lavoro.
Il ministro dell’Economia ha pensato bene di sbeffeggiarla dinanzi alla platea di coloro che dovrebbero applicarla, e spesso non lo fanno.
Affari suoi, anzi purtroppo nostri.
Ma il punto è un altro.
In Italia, Bill Gates avrebbe potuto dilagare per decenni col suo monopolio incontrastato, cosa che le autorità antitrust americane (e ultimamente europee) gli hanno impedito di fare, spezzettandogli continuamente il trust proprio in nome del libero mercato.
In America chi falsifica i bilanci va in galera e rischia di restarci per 25 anni (com’è accaduto agli amministratori della Enron e della Worldcom e ai revisori infedeli dell’Arthur Andersen, la più grande società di auditing del mondo, cancellata dalla faccia della terra).
In Italia diventa presidente del Consiglio e abolisce il falso in bilancio.
In America un ministro di Bush denunciato dalla sua colf per non averle pagato i contributi è stato subito incriminato e, prima ancora, ha dovuto lasciare l’amministrazione Bush.
In Inghilterra Jonathan Aitken, ministro del governo Major e leader in pectore del partito conservatore, denunciò per diffamazione il Guardian e un programma tv che lo accusavano di essere coinvolto in una vendita illegale di armi nel mondo arabo. Senonché, nel processo da lui stesso intentato, mentì su un conto d’albergo all’hotel Ritz di Parigi: disse che l’aveva pagato sua moglie, invece si dimostrò che l’avevano pagato gli arabi. Perse la causa, fu processato e condannato per spergiuro e intralcio alla giustizia a 18 mesi di reclusione.
In Italia, noto stato di polizia, fino a 36 mesi di reclusione non si va in galera, anzi - come minimo - si entra in Parlamento
(com’è accaduto a un noto ex Dc, arrestato nel ’93 per aver giurato il falso davanti al pool di Milano, condannato definitivamente a 1 anno e 4 mesi, quindi promosso deputato e divenuto un martire della malagiustizia)
In Inghilterra si finisce in carcere: Aitken restò in cella per 7 mesi, poi uscì per buona condotta ma lasciò per sempre la politica, non trovando nessun partito disposto a farsi rappresentare da un bugiardo pregiudicato.
Ma tutto questo Siniscalco non lo sa.
Greetings from Mars...