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Discussione: CONOSCERE LA REAZIONE

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    Predefinito CONOSCERE LA REAZIONE

    Reazionario
    Da Wikipedia, l'enciclopedia libera


    Reazionario intende qualsiasi movimento politico o sociale e qualsiasi ideologia che promuove un ritorno a uno stato precedente (lo status quo ante). Il termine ha avuto origine dalla rivoluzione francese, per indicare i contro-rivoluzionari che volevano ripristinare le condizioni reali o immaginarie dell’Ancien Régime monarchico. Nel XIX secolo, con il termine reazionari venivano indicati coloro che volevano conservare il feudalesimo e i privilegi aristocratici contro l'industrialismo, il repubblicanesimo, il liberalismo e il socialismo. Oggi il termine è ampiamente utilizzato dalla sinistra politica in senso peggiorativo riguardo quelle idee che si ritengono passatiste, obsolete e opposte al progresso.

    Sommario

    1 Uso e storia del termine
    1.1 La reazione termidoriana
    1.2 La restaurazione della monarchia francese
    1.3 I filosofi clericali
    1.4 Metternich e il contenimento
    1.5 Il XX secolo
    2 Note
    3 Bibliografia


    Uso e storia del termine

    La rivoluzione francese ha dato alla lingua inglese due termini che denotano la politica anti-progressista: reazionario e conservatore. Reazionario deriva dalla parola francese réactionnaire (coniata agli inizi del XIX secolo), e conservatore da conservateur, in riferimento ai parlamentari monarchici che si opponevano alla rivoluzione. [1] In questo utilizzo francese, reazionario denota "un movimento volto all'inversione di una tendenza o di uno stato esistente" e un "ritorno ad uno stato precedente delle cose." L'Oxford English Dictionary cita il primo uso del termine in lingua inglese in riferimento a John Stuart Mill, che nel 1840 scrisse: "I filosofi della scuola reazionaria – la scuola a cui Coleridge appartiene". [2]

    Durante la rivoluzione francese, le forze conservatrici (in particolare la Chiesa cattolica romana), organizzarono l'opposizione ai cambiamenti sociali, politici ed economici progressisti portati dalla rivoluzione, e la battaglia per ripristinare il potere temporale della Chiesa e della Corona.

    Nella politica ottocentesca europea, la classe reazionaria includeva le gerarchie della Chiesa cattolica romana - il clero, i nobili, le famiglie reali e i realisti – uniti nel credere che il governo nazionale fosse dominio esclusivo della Chiesa e dello Stato. In Francia, i sostenitori del governo tradizionale diretti da parte degli eredi della dinastia della Casa dei Borbone sono stati classificati come la reazione legittimista. Nella Terza Repubblica, i monarchici erano la fazione reazionaria, più tardi rinominata conservatrice. [1] Nelle società cristiane protestanti, reazionario descrive coloro che sostengono la tradizione contro la modernità.

    Nel XIX secolo venivano denotate come reazionarie quelle persone che idealizzavano il feudalesimo e l'epoca pre-moderna, precedenti alla rivoluzione industriale e alla rivoluzione francese, quando le economie erano prevalentemente agrarie e un’aristocrazia terriera dominava la società, un re ereditario governava e la Chiesa cattolica romana era il centro morale della società. I reazionari si opponevano alla democrazia e al parlamentarismo.

    La reazione termidoriana

    La reazione termidoriana è stato un movimento interno alla rivoluzione, contro gli eccessi dei giacobini. Il 27 luglio 1794 (9 termidoro anno II del calendario repubblicano francese), il regno del Terrore di Maximilien Robespierre venne portato a termine. La caduta di Robespierre portò alla riaffermazione della Convenzione Nazionale francese sul Comitato di Salute Pubblica. I giacobini furono soppressi, le prigioni svuotate e il Comitato spogliato dei suoi poteri. Dopo l'esecuzione di circa 104 sostenitori di Robespierre, la reazione termidoriana fermò l'uso della ghigliottina contro i presunti controrivoluzionari, impostò una via di mezzo tra i monarchici e i radicali e inaugurò un periodo in cui una relativa esuberanza si accompagnò alla corruzione. La reazione termidoriana non fu così reazionaria, nel senso più comune del termine.

    La restaurazione della monarchia francese

    Con il Congresso di Vienna, i re di Russia, Prussia e Austria costituirono la Santa Alleanza, una forma di sicurezza collettiva contro la rivoluzione e il bonapartismo, ispirata dallo zar Alexander I di Russia. Questa istanza di reazione fu superata da un movimento che si sviluppò in Francia, quando, dopo la seconda caduta di Napoleone, seguì la restaurazione, o il ripristino della dinastia borbonica. Questa volta doveva essere una monarchia costituzionale, con l’elezione di una camera bassa del Parlamento, la Camera dei Deputati. Il diritto di voto era ristretto agli uomini di età superiore ai quaranta, che nei primi quindici anni della loro vita avevano vissuto sotto l'ancien régime. Tuttavia, Re Luigi XVIII era preoccupato di dover ancora a che fare con un parlamento intrattabile. Era felice con gli ultra-realisti, o Ultras, per mezzo dei quali era tornato sul trono, dichiarando di aver trovato una chambre introuvable, letteralmente, una "Camera di governo come non se ne poteva trovare di eguali." Ma poi si accorse che questi erano troppo ultra per un reale.

    Fu la dichiarazione di Saint-Ouen a preparare la strada per la Restaurazione. Prima della rivoluzione francese, che rovesciò radicalmente e sanguinosamente la maggior parte degli aspetti dell'organizzazione della società francese, l'unico modo in cui il cambiamento costituzionale poteva essere istituito era attraverso il riferimento ad un vecchio documento legale che poteva essere interpretato in accordo con quanto proposto. In forma del tutto nuova doveva essere espressa come la giusta rinascita di qualcosa di vecchio, che era caduto ed era stato dimenticato.

    Nel XVIII secolo, quei piccoli proprietari terrieri le cui fortune erano diminuite a tal punto che vivevano a livello di contadini andarono alla ricerca di ogni diritto feudale che avrebbe concesso loro qualcosa. Il "divieto", per esempio, significò che tutti i loro contadini dovessero macinare il proprio grano nel mulino del signore. Così giunsero agli Stati generali del 1789 intesi a premere per l'espansione di tali pratiche in tutte le province, al limite legale. Rimasero inorriditi quando la Rivoluzione francese consentì ai comuni cittadini di andare a caccia, uno dei pochi vantaggi che avevano sempre mantenuto in tutto il mondo.

    Così, con la restaurazione dei Borboni, la chambre introuvable fece in modo che ogni legge riportasse le cose non solo all'età della monarchia assoluta, ma a prima di essa, all’età in cui l'aristocrazia era veramente una classe sociale potente. E' questo che distingue chiaramente un "reazionario" da un "conservatore". Il conservatore avrebbe semplicemente accettato molti miglioramenti portati dalla rivoluzione e rifiutato un programma di ritorno in blocco allo stato precedente. Quindi si deve stare attenti ad usare la parola "reazionario" come un affronto politico, in merito ai tempi successivi, poiché non vi è stato più nulla di comparabile con la chambre introuvable nelle altre nazioni. Per esempio, la Russia di certo non ha avuto più nessuno di quegli aristocratici dopo il 1789. Più tardi i re francesi avranno analogamente problemi con i loro parlamenti.

    I filosofi clericali

    A seguito della Rivoluzione, la Francia è stata continuamente devastata dalle liti tra i reazionari di destra che intendevano restaurare la dinastia borbonica e i rivoluzionari di sinistra; qui sorsero i filosofi clericali - Joseph de Maistre, Louis de Bonald, François-René de Chateaubriand - la cui risposta è stata il ripristino della monarchia assoluta e il ristabilire la Chiesa cattolica romana come Chiesa di Stato della Francia. Da allora, le caratteristiche della storia francese hanno fornito ricorrenti modelli al pensiero politico, con i reazionari, nostalgici di un’età dell’oro pre-rivoluzionaria, che ripudiavano due secoli di progresso seguiti alla rivoluzione nel 1789. (vedi Action Française)

    Metternich e il contenimento

    Durante il periodo del 1815-1848, il principe di Metternich, ministro degli esteri dell'Impero austriaco, è intervenuto per organizzare il contenimento delle forze rivoluzionarie attraverso alleanze internazionali volte a prevenire la diffusione del fervore rivoluzionario. Al Congresso di Vienna, egli fu molto influente nello stabilire il nuovo ordine, il concerto d'Europa, dopo la caduta di Napoleone. Dopo il Congresso, il principe di Metternich ha lavorato sodo per consolidare e stabilizzare il regime conservatore del periodo della Restaurazione. Ha lavorato furiosamente per evitare che zar russo Alessandro I (che era corso in aiuto alle forze liberali in Germania, Italia e Francia), aumentasse la propria influenza in Europa. La Chiesa era il suo principale alleato, e la favorì quale principio conservatore di ordine, in opposizione alle tendenze democratiche e liberali che albergavano al suo interno. La sua filosofia di base era basata su Edmund Burke, che sosteneva la necessità di radici antiche e di un ordinato sviluppo della società. Si oppose alle istituzioni democratiche e parlamentari, ma favorì l'ammodernamento delle strutture esistenti attraverso una riforma graduale. Nonostante gli sforzi di Metternich una serie di rivoluzioni scosse però l'Europa nel 1848.

    Il XX secolo

    Nel ventesimo secolo, reazionario indica gli avversari del socialismo e del comunismo, come l'Armata Bianca, che ha combattuto una guerra monarchica contro-rivoluzionaria contro i bolscevichi dopo la Rivoluzione d'Ottobre. Nella terminologia marxista, reazionario è un aggettivo dispregiativo che indica persone le cui idee possono sembrare a favore della classe operaia, ma che, in sostanza, contengono elementi di feudalesimo, capitalismo, nazionalismo, fascismo o altre caratteristiche sociopolitiche della classe dirigente. Reazionario denota anche i sostenitori di regimi autoritari, anti-comunisti e fascisti come la Francia di Vichy, la Spagna sotto Francisco Franco, e il Portogallo di Antonio Salazar. In Vietnam, il governo comunista ha spesso etichettato le organizzazioni avversarie come reazionarie (phần đồng).

    Il regime di Vichy in Francia, il regime di Francisco Franco in Spagna, quello di Salazar in Portogallo, e i movimenti politici sul genere dell’Action Française di Maurras, sono esempi di questi tradizionali sentimenti reazionari, a favore di regimi autoritari, con leader forti non eletti e con il cattolicesimo come religione di stato. Il motto della Francia di Vichy era "travail, famille, patrie" ("lavoro, famiglia, patria"), e il suo leader, il maresciallo Philippe Pétain, dichiarò che "la terre, elle ne mento pas" ("la terra non mente"), un’indicazione della sua convinzione che la vita vera è quella rurale e agraria.

    Il fascismo è generalmente considerato reazionario, a causa della sua glorificazione dell’antica storia nazionale e di alcuni dei ordinamenti sociali precedenti la rivoluzione industriale del 19° secolo. I fascisti italiani mostrarono il desiderio di realizzare un nuovo ordine sociale basato sul principio feudale di delegazione (senza però la servitù della gleba), nel loro entusiasmo per lo stato corporativo. Benito Mussolini disse che "il fascismo è reazione" e che "il fascismo, che non ha avuto timore di dirsi reazionario ... non ha oggi alcun impedimento nel dichiararsi illiberale e anti-liberale." [3]

    Tuttavia, Gentile e Mussolini hanno anche attaccato alcune politiche reazionarie, in particolare quella monarchica e, più velatamente, alcuni aspetti del cattolicesimo conservatore italiano. Scrissero: "La storia non viaggia indietro. La dottrina fascista non ha preso De Maistre come il suo profeta. L’assolutismo monarchico è del passato, e così è l’ecclesiolatria". Elaborarono inoltre nella loro dottrina politica la tesi che il fascismo “non è reazionario [alla vecchia maniera], ma rivoluzionario." Contrariamente a ciò, hanno anche spiegato anche che il fascismo era di destra e non di sinistra. Il fascismo non era certo un semplice ritorno alla tradizione: portò lo stato centralizzato anche al di là di ciò che si era visto nelle monarchie assolute. Gli stati fascisti a partito unico erano centralizzati come la maggior parte degli stati comunisti, e l’intenso nazionalismo del fascismo non era caratteristico del periodo precedente alla rivoluzione francese.

    I nazisti non si consideravano reazionari, ed enumeravano le forze della reazione (monarchici prussiani, la nobiltà, i cattolici romani) tra i loro nemici, proprio accanto ai loro nemici del Fronte Rosso nella marcia del partito nazista Die Fahne hoch. Il fatto che i nazisti consideravano il loro 1933 come l’ascesa al potere della rivoluzione nazionale, mostra che essi abbiano sostenuto una qualche forma di rivoluzione. Tuttavia, l'idealizzazione della tradizione, del folklore, del pensiero classico, della leadership (esemplificata da Federico il Grande), il loro rifiuto del liberalismo della Repubblica di Weimar, e l’aver chiamato lo stato tedesco il Terzo Reich (in riferimento al Primo Reich medievale e al Secondo Reich pre-Weimar), ha indotto molti a considerare i nazisti come reazionari.

    Movimenti clericali a volte etichettati come clericofascisti dai loro critici, possono essere considerati reazionari nei termini del 19° secolo, in quanto essi condividono alcuni elementi del fascismo, mentre allo stesso tempo promuovono un ritorno al modello pre-rivoluzionario di relazioni sociali, con un forte ruolo per la Chiesa. Il loro massimo filosofo è stato Nicolás Gómez Dávila.

    L'americano Ku Klux Klan, è considerato anch’esso come reazionario. [4] Formatosi in risposta alla liberazione degli schiavi africani e all'ingresso di immigrati nel Stati Uniti, il KKK ha cercato di far rispettare "la legge e l’ordine", la supremazia bianca e la morale tradizionale, spesso con la violenza. In Medio Oriente, esempi di movimenti reazionari sono il wahabismo, il salafismo e i talebani.

    Note

    1 ^ a b The Governments of Europe , Frederic Austin OGG, Rev. Ed., The MacMillan Co., 1922, p. 2 ^ Cited in the OED as "JS MILL in London & Westm. Rev. Mar. 276"
    3 ^ Gerarchia, March, 1923 quoted in George Seldes , Facts and Fascism , eighth edition, New York: In Fact, 1943, p.
    4 ^ Hooded Americanism: the history of the Ku Klux Klan , David Mark Chalmers, Duke University Press, 1987

    Bibliografia

    Liberty or Equality, Erik von Kuehnelt-Leddihn , Christendom Press, Front Royal, Virginia, 1993.
    Liberalism and the Challenge of Fascism, Social Forces in England and France 1815-1870, J. Salwyn Schapiro , McGraw-Hill Book Co., Inc., NY, 1949. (with over 34 mentions of the word "reactionary" in political context)
    The Reactionary Revolution, The Catholic Revival in French Literature, 1870/1914 , Richard Griffiths, Frederick Ungar Publishing Co., NY, 1965.
    Oxford English Dictionary , 20 Vol. 31 references on the use of the term.


    Traduzione dall’inglese di Florian.

    Reactionary - Wikipedia, the free encyclopedia

  2. #2
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    Predefinito Rif: CONOSCERE LA REAZIONE

    Tra gli intellettuali reazionari italiani ricorderei Giovannino Guareschi ed Attilio Mordini , oltre a - naturalmente - il barone Julius Evola (sebbene non cristiano).

    Tra i personaggi storici reazionari italiani, assolutamente il cardinale Fabrizio Ruffo di Calabria e Sua Maestà Re Ferdinando I delle Due Sicilie
    Ultima modifica di Florian; 12-10-09 alle 18:03

  3. #3
    non umanista
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    Predefinito Rif: CONOSCERE LA REAZIONE

    Piccola biblioteca reazionaria

    Le serate di San Pietroburgo, di Joseph De Maistre.

    Catechismo Filosofico e Catechismo della Rivoluzione, del conte Monaldo Leopardi.

    Saggio su cattolicesimo, liberalismo e socialismo, di Juan Donoso Cortes.

    Il sillabo, di Papa Pio IX.

    Pascendi Dominici Gregis, di San Pio X.

    Il Nomos della Terra, di Carl Schmitt.
    Ultima modifica di Florian; 25-10-09 alle 21:59
    Maledetto è l'uomo che confida nell'uomo (Geremia 17 5)

  4. #4
    non umanista
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    Predefinito Rif: CONOSCERE LA REAZIONE

    Discorso pronunziato in Parlamento il 4 gennaio 1849

    di Juan Donoso Cortéz



    Discorso pronunziato in Parlamento il 4 gennaio 1849 in difesa dei poteri straordinari concessi al generale Ramón Maria Narvàez (1800-1868), che, dopo l'insurrezione del 1848 a Madrid, Barcellona e Siviglia, affrontò con impegno ed energia la situazione e riuscì a riportare la calma nel Paese.
    Narvàez, che nel 1820 si era pronunciato in favore dei princìpi rivoluzionari e progressisti, fu, dal 1844 al 1866, salvo alcune interruzioni, a capo del governo spagnolo. Modificando in parte la linea del suo giovanile programma liberale, divenne uno dei maggiori uomini politici della Spagna ed il maggiore sostenitore della regina Isabella
    .



    Signori,

    il lungo discorso pronunziato ieri dal signor Cortinal ed al quale ora rispondo, se lo consideriamo nella sua essenza e non per la sua lunghezza, non è che l'epilogo di tutti gli errori del partito progressista, i quali, a loro volta, non sono altro che l'epilogo di tutti gli errori che si sono accumulati da tre secoli a questa parte, e che oggi turbano più o meno tutte le società umane.

    Nel dare inizio al suo discorso, il signor Cortina, con la buona fede che lo distingue e che tanto innalza il suo ingegno, ha dichiarato che egli stesso, talvolta, era giunto a sospettare che i suoi princìpi potessero essere falsi e le sue idee disastrose, vedendo che mai erano al Potere ma sempre all'opposizione. Io gli dirò che, se rifletterà un poco, il suo dubbio diverrà certezza. Le sue idee non sono al Potere ma all'opposizione proprio perché sono idee di opposizione e non di governo. Quelle idee, signori, sono infeconde, sterili, disastrose, ed è necessario combatterle finché non cadano sotterrate qui, nel loro sepolcro naturale, sotto questa volta, ai piedi di questa tribuna.

    Il signor Cortina, seguendo le tradizioni del partito che dirige e rappresenta, del partito della rivoluzione di febbraio, ha pronunziato un discorso diviso in tre parti, che io chiamerò inevitabili: nella prima ha fatto l'elogio del partito e dei suoi meriti passati, nella seconda l'elenco delle sue presenti difficoltà, e infine nella terza un programma, cioè una relazione dei suoi meriti futuri.

    Signori della maggioranza, io sono qui per difendere i vostri princìpi, ma non aspettatevi da me alcun elogio, voi siete i vincitori, e nulla si addice di più alla fronte del vincitore che una corona di modestia.

    Non vi aspettate, signori, che io parli delle offese da voi patite; non dovete vendicare offese personali, ma soltanto quelle fatte alla società e al trono dai traditori della regina e della patria. Non parlerò nemmeno dei vostri meriti. A che scopo? Perché la nazione li conosca? La nazione li conosce benissimo.

    Il signor Cortina ha diviso il suo discorso in due parti: prima ha parlato della politica estera del governo, considerando politica estera importante per la Spagna gli avvenimenti di Parigi, di Londra, di Roma. Anch'io tratterò tali questioni.

    Poi ha parlato di politica interna che, a suo parere, presenta due aspetti: l'uno riguarda i princìpi, l'altro i fatti, l'uno il sistema, l'altro la condotta. Sui fatti ha già risposto il ministero, che ne ha la competenza e gli elementi, per mezzo dei ministri del governo, i quali hanno adempiuto a questo incarico con l'eloquenza che li distingue. A me resta la questione quasi intoccata dei princìpi; tratterò solo questa, ma la tratterò, se l'Assemblea me lo permette, compiutamente.

    Signori, quale è il principio del signor Cortina? II seguente, mi sembra, se analizziamo bene il suo discorso: in politica interna la legalità, tutto per la legalità, la legalità sempre, in tutte le circostanze ed in tutti i casi. Io, signori, che considero le leggi fatte per la società e non viceversa, vi dico: la società, tutto per la società, la società sempre, in tutte le circostanze, in ogni caso.

    Quando la legalità basta per salvare la società, sia la legalità, quando non basta, sia la dittatura. Signori, questa tremenda parola (tremenda, è vero, ma non quanto la parola rivoluzione, che è la peggiore di tutte) questa tremenda parola è stata qui pronunziata da un uomo che tutti conoscono e che certamente non ha lo stampo del dittatore. Io posso comprendere i dittatori, ma certo non saprei imitarli. Due cose mi sono ugualmente impossibili, condannare la dittatura e professarla. Perciò (lo dichiaro qui ad alta voce, con tutta franchezza) sono incapace di governare, in coscienza non posso accettare il governo, non potrei farlo senza porre metà di me stesso contro l'altra metà, il mio istinto in conflitto con la mia ragione, la mia ragione con il mio istinto. Perciò, signori, e chiamo a testimoni tutti quelli che mi conoscono, nessuno qui dentro, né fuori, può dichiarare di avermi mai incontrato sulla via dell'ambizione, così affollata. Ma tutti mi hanno incontrato e mi incontreranno sulla modesta via dei buoni cittadini.

    Solo così, alla fine dei miei giorni, potrò scendere nella tomba senza il rimorso di aver lasciata indifesa la società barbaramente attaccata, e allo stesso tempo senza l'amarissimo dolore, per me insopportabile, di aver nuociuto ad alcuno.

    Dico, signori, che la dittatura, in certe circostanze, in circostanze come la presente, è un governo legittimo, buono, utile come qualsiasi altro; è un governo razionale, che può essere difeso in teoria come in pratica.
    Vediamo, signori, cos'è la vita sociale.

    La vita sociale, come la vita umana, si compone di azione e reazione, del flusso e riflusso di forze che invadono e di altre che resistono.

    Questa è la vita sociale, questa è anche la vita umana. Le forze invadenti, chiamate malattie nel corpo umano e diversamente nel corpo sociale, pur essendo sostanzialmente la stessa cosa, si presentano sotto due aspetti: nell'uno tali forze sono diffuse per tutta la società, e sono rappresentate soltanto da individui. Nell'altro, stato acutissimo di malattia, si concentrano sempre di più e sono rappresentate dalle associazioni politiche.
    Ebbene, io dico che, nel corpo umano come in quello sociale, se le forze resistenti hanno ragione di essere in quanto servono a respingere le forze invadenti, è necessario che le prime si adeguino a tale necessità. Quando le forze invadenti sono sparse, anche quelle resistenti lo sono: lo sono per il governo, per le autorità, per i tribunali, insomma per tutto il corpo sociale; ma quando le forze invadenti si concentrano in associazioni politiche, allora, necessariamente, senza che nessuno possa impedirlo, senza che nessuno abbia il diritto di impedirlo, le forze resistenti da loro stesse si concentrano in una sola persona. Ecco la teoria chiara, luminosa, indistruttibile, della dittatura.

    E questa teoria, signori, che è una verità nell'ordine razionale, è un fatto nell'ordine storico. Citatemi una società che non abbia avuto dittature. Osservate ciò che accadeva nella democratica Atene e nell'aristocratica Roma. Ad Atene il potere onnipotente era nelle mani del popolo, e si chiamava ostracismo; a Roma era nelle mani del Senato, che lo conferiva ad un console, e si chiamava, come da noi, dittatura.

    Osservate le società moderne, signori; guardate la Francia in tutte le sue vicende. Non parlerò della prima repubblica, che fu una dittatura gigantesca, senza fine, piena di sangue e di orrori. Parlo dell'epoca posteriore. Nella Carta della Restaurazione la dittatura si era rifugiata o nascosta nell'art.14, nella Carta del 1830 la troviamo nel preambolo 2. E nella repubblica attuale? Non ne parliamo: cos'è mai, questa, se non una dittatura camuffata da repubblica?

    Il signor Galvez Canero3 ha qui citato inopportunamente la Costituzione inglese. Signori, la Costituzione inglese è proprio l'unica al mondo (tanto saggi sono gli Inglesi) in cui la dittatura non è di diritto eccezionale, bensì di diritto comune. È chiaro il perché: il Parlamento, in tutte le occasioni, in tutte le epoche, quando lo vuole, ha il potere dittatoriale, e quindi non ha altro limite che quello di tutti i poteri umani, la prudenza. Ha tutte le facoltà, e queste costituiscono il potere dittatoriale di fare qualsiasi cosa, meno quella, come dicono i giuristi, di trasformare una donna in uomo od un uomo in donna. Ha la facoltà di sospendere l’habeas corpus, di proscrivere per mezzo di un bill d'attainder; può cambiare la Costituzione, può cambiare non solo la dinastia, ma persino la religione ed opprimere le coscienze. In una parola può tutto. Si è mai vista, signori, una dittatura più mostruosa?
    Ho dimostrato che la dittatura è una verità nell'ordine teorico, un fatto nell'ordine storico. Ma ora dirò di più: se il rispetto lo consentisse, potremmo affermare che la dittatura è un fatto anche nell'ordine divino.

    Signori: Dio ha lasciato agli uomini, fino ad un certo limite, il governo delle società umane, ed ha riservato esclusivamente a sé il governo dell'universo. L'universo è governato da Dio costituzionalmente, se così può dirsi, e se a cose tanto alte possono adattarsi le espressioni del linguaggio parlamentare. La cosa mi sembra molto chiara e evidente. L'universo è governato da alcune leggi precise, indispensabili, che sono chiamate cause secondarie. Queste leggi non sono analoghe a quelle che si chiamano fondamentali nelle società umane? Ebbene, signori, se rispetto al mondo fisico Dio è il legislatore, come rispetto alle società umane lo sono i legislatori, anche se in diversa maniera, governa forse Dio sempre con quelle medesime leggi che Egli stesso, nella sua eterna saggezza, si è imposto ed alle quali ha assoggettato tutti noi? No, signori, perché alcune volte Egli, direttamente, chiaramente, esplicitamente, manifesta la sua volontà infrangendo quelle leggi che Egli stesso si impose, deviando così il corso naturale delle cose. Ebbene, signori, quando Egli opera così, non si potrebbe dire, applicando il linguaggio umano alle cose divine, che agisce dittatorialmente?

    Ciò prova, signori, quanto grande sia il delirio di un partito che crede di poter governare, con mezzi minori di quelli di Dio, togliendo a se stesso il mezzo, a volte necessario, della dittatura. Stando così le cose, la questione, ridotta ai suoi veri termini, non consiste più nell'esaminare se la dittatura sia sostenibile, se in determinate circostanze sia buona, ma nel verificare se in Spagna tali circostanze siano presenti o già superate. Questo è il punto più importante, sul quale ora mi soffermerò. Per far questo, ricalcando le orme di tutti gli oratori che mi hanno preceduto, dovrò gettare uno sguardo sull'Europa ed un altro sulla Spagna.

    Signori, la rivoluzione di febbraio4 venne come viene la morte: improvvisamente. Dio aveva condannato la monarchia francese. Invano questa istituzione si era profondamente mutata per adattarsi alle circostanze ed ai tempi; nemmeno questo le servì, la sua condanna fu inappellabile, la sua rovina inevitabile. La monarchia di diritto divino è terminata con Luigi XVI su un patibolo, la monarchia della gloria con Napoleone in un'isola, la monarchia ereditaria con Carlo X nell'esilio, con Luigi Filippo si è conclusa l'ultima monarchia possibile, quella della prudenza.

    È un triste e pietoso spettacolo vedere una istituzione venerabilissima, antichissima, gloriosissima, cui non valgono né il diritto divino, né la legittimità, né la saggezza, né la gloria.

    Quando giunse in Spagna la notizia di questa grande rivoluzione, restammo tutti costernati ed attoniti. Nulla era paragonabile alla nostra costernazione ed al nostro stupore, se non lo stupore e la costernazione della monarchia vinta. Dico male: vi era un maggiore stupore, una costernazione più grande di quella della monarchia vinta: quella della repubblica vittoriosa. Anzi, ancora adesso, e sono già passati dieci mesi dal suo trionfo, domandatele come vinse, perché vinse, con quali forze, ed essa non saprà cosa rispondere. Questo significa che la repubblica non vinse, ma fu strumento di vittoria di un potere più alto.

    Ma questo potere, signori, una volta iniziata la sua opera, come ebbe la forza di distruggere la monarchia per una parvenza di repubblica, così potrà distruggere la repubblica per una parvenza di impero, o per una parvenza di monarchia, se sarà necessario e conveniente per i suoi fini. Questa rivoluzione è stata oggetto di molti commenti sulle sue cause e sui suoi effetti, in tutti i parlamenti europei, ed anche in quello spagnolo. Dovunque ho ammirato la deplorevole leggerezza con la quale si discute delle profonde cause delle rivoluzioni. Signori, qui come in altre parti, si attribuiscono le rivoluzioni solamente agli errori dei governi. Quando le catastrofi sono universali, impreviste, simultanee, sono sempre cosa provvidenziale perché non altri sono i caratteri che differenziano le opere di Dio da quelle degli uomini.

    Quando le rivoluzioni presentano questi sintomi, allora state certi che vengono dal cielo, per colpa per castigo di tutti.

    Signori, volete sapere la verità, tutta la verità, sulle cause dell'ultima rivoluzione francese? Ebbene, la verità è che in febbraio giunse il giorno della resa dei conti di tutte le classi sociali con la Provvidenza, e tutte, in quel tremendo giorno, risultarono fallite. Sì, lo ripeto, in quel giorno tutte risultarono fallite. Dico di più, signori: la stessa repubblica, nel giorno della sua vittoria dichiarò il suo fallimento. La repubblica aveva detto di sé che veniva a portare nel mondo il dominio della libertà, della fraternità, dell'uguaglianza: tre dogmi che non provengono dalla repubblica, ma dal Calvario. Ebbene, signori, che ha fatto, dopo? In nome della libertà, ha reso necessaria, ha proclamato, ha accettato la dittatura; in nome dell'uguaglianza, con il titolo di repubblicani della vigilia, di repubblicani del giorno dopo, di repubblicani dalla nascita, ha inventato non so che specie di democrazia aristocratica, non so che specie di ridicoli blasoni; infine, in nome della fraternità, ha restaurato la fraternità pagana, quella di Eteocle e Polinice, ed i fratelli si sono divorati tra loro per le strade di Parigi, nella più gigantesca battaglia che sia stata mai combattuta nei secoli tra le mura di una città. Io contesto a questa repubblica il diritto di definirsi "delle tre verità"; essa è la repubblica delle tre bestemmie; la repubblica delle tre menzogne.

    Esaminiamo ora le origini di questa rivoluzione. Il partito progressista attribuisce ad ogni evento le stesse cause. Il signor Cortina ieri ci ha detto che vi sono rivoluzioni perché vi sono illegalità, e perché l'istinto dei popoli li fa insorgere in un modo spontaneo e uniforme contro i tiranni. Il signor Ordax Avecilla ci aveva detto prima: "Volete evitare le rivoluzioni? Date da mangiare agli affamati". Ecco, dunque, la teoria del partito progressista in tutta la sua estensione: le cause della rivoluzione sono, da una parte la miseria, dall'altra la tirannia.

    Signori, questa teoria è contraria, totalmente contraria alla Storia. Io chiedo che mi si citi un esempio di una rivoluzione fatta e portata a compimento da popoli schiavi o affamati. Le rivoluzioni sono malattie dei popoli ricchi, dei popoli liberi. Nel mondo antico la maggior parte del genere umano era composto di schiavi: ditemi quale rivoluzione fu fatta da questi schiavi.

    Tutt'al più essi riuscirono a fomentare alcune guerre servili, ma le profonde rivoluzioni furono sempre fatte da ricchissimi aristocratici. No, signori, il germe della rivoluzione non è nella schiavitù, non è nella miseria, ma nei desideri della folla, sovraeccitati dai tribuni, che la sfruttano e ne traggono vantaggi personali. "E sarete come i ricchi", ecco la formula delle rivoluzioni socialiste contro le classi medie. "E sarete come i nobili", ecco la formula delle rivoluzioni delle classi medie contro le classi nobili. "E sarete come i re", ecco la formula delle rivoluzioni delle classi nobili contro i re. Infine, signori, "e sarete come Dio", ecco la formula della prima ribellione del primo uomo contro Dio. Da Adamo, il primo ribelle, fino a Proudhon, l'ultimo empio, questa è la formula di tutte le rivoluzioni.

    Il governo spagnolo, com'era suo dovere, non volle che questa formula si applicasse in Spagna; e tanto meno lo volle, in quanto la situazione interna non era delle più lusinghiere, ed era necessario premunirsi contro tutte le eventualità, sia interne che esterne. Per poter agire diversamente sarebbe stato necessario aver ignorato completamente il potere di queste correnti magnetiche che si staccano dai focolai di infezione rivoluzionaria e vanno infettando il mondo.

    La situazione interna, in poche parole, era questa: la questione politica non era, non è mai stata, non è ancora risolta; in società così eccitata dalle passioni le questioni politiche non possono risolversi tanto facilmente. La questione dinastica non era conclusa perché, pur essendo noi i vincitori, non avevamo la rassegnazione del vinto, che è il complemento della vittoria. La questione religiosa era in uno stato pietoso, quella dei matrimoni, lo sapete bene, era esacerbata.

    Io vi domando, signori: supposto, come ho già dimostrato, che in date circostanze la dittatura sia legittima e utile, eravamo noi o no, in tali condizioni? Se non vi eravamo, ditemi quali altre più gravi siano mai apparse nel mondo. L'esperienza ci ha dimostrato che i calcoli del governo e le previsioni di questa Camera non erano infondati. Ben lo sapete, signori, ed io l'accennerò appena, perché detesto alimentare passioni, non sono fatto per queste cose. Tutti sapete che la repubblica fu proclamata a fucilate per le vie di Madrid; che parte delle guarnigioni di Madrid e di Siviglia furono comprate; che senza l'energica, attiva resistenza del Governo, tutta la Spagna, dalle colonne d'Ercole ai Pirenei, da un mare all'altro, sarebbe stata un lago di sangue6.

    E non solo la Spagna. Sapete quali mali si sarebbero propagati nel mondo, se avesse trionfato la rivoluzione? Ah, signori!, quando si pensa a tali cose è giocoforza riconoscere che il Ministero che seppe resistere e vincere fu davvero benemerito della Patria7.

    Tale situazione venne a complicarsi con la questione inglese; prima di addentrarmi in questa (e dichiaro subito che ne parlerò brevemente, perché lo ritengo conveniente ed opportuno), il Parlamento mi permetterà di esporre alcune idee generali, alle quali mi sembra bene accennare.

    Signori, io ho sempre creduto che la cecità sia un segno di perdizione, negli uomini, nei governi, nelle nazioni. Io credo che Dio comincia sempre con l'accecare chi vuol perdere, e affinché non veda l'abisso che pone ai suoi piedi, comincia con l'offuscargli le idee. Applicando queste idee alla politica generale seguita da alcuni anni dall'Inghilterra e dalla Francia, vi dirò che già da molto tempo io ho predetto grandi sventure e catastrofi. È un fatto storico, accertato, incontrovertibile, che il compito dato dalla Provvidenza alla Francia è quello di essere il suo strumento per la propagazione delle nuove idee politiche, religiose, sociali.

    Nei tempi moderni tre grandi idee hanno invaso l'Europa: l'idea cattolica, l'idea filosofica, l'idea rivoluzionaria. Ebbene, signori, in questi tre periodi la Francia si è sempre fatta uomo per propagare tali idee. Carlo Magno fu la Francia fatta uomo per propagare l'idea cattolica, Voltaire fu la Francia fatta uomo per propagare l'idea filosofica, Napoleone è stato la Francia fatta uomo per propagare l'idea rivoluzionaria. Allo stesso modo credo che l'incarico dato dalla Provvidenza all'Inghilterra sia quello di mantenere il giusto equilibrio morale del mondo, in contrasto perpetuo con la Francia. La Francia è come il flusso del mare, l'Inghilterra il riflusso.

    Supponete per un momento il flusso senza il riflusso: il mare invaderebbe tutti i continenti. Supponete il riflusso senza il flusso: i mari sparirebbero dalla terra. Supponete la Francia senza l'Inghilterra: il mondo non si muoverebbe se non in mezzo a convulsioni; ogni giorno si avrebbe una nuova Costituzione, ogni ora una nuova forma di governo. Immaginate l'Inghilterra senza la Francia: il mondo vegeterebbe ancora sotto la Carta del venerabile Giovanni senza Terra, che è il tipo permanente di tutte le Costituzioni britanniche. Che significa, quindi, la coesistenza di queste due potenti nazioni? Significa il progresso limitato dalla stabilità, la stabilità vivificata dal progresso. Ebbene, signori : da alcuni anni a questa parte, mi appello alla storia contemporanea ed ai vostri ricordi, queste due grandi nazioni hanno perso la memoria del loro passato e della loro missione provvidenziale.

    La Francia, invece di spargere per il mondo idee nuove, predicò ovunque lo statu quo, in Francia, in Spagna, in Italia, in Oriente. E l'Inghilterra, invece di predicare la stabilità, predicò ovunque la rivolta; in Spagna, in Portogallo, in Francia, in Italia, in Grecia. E che ne derivò? La naturale conseguenza: che le due nazioni, assumendosi una parte che non era mai stata loro, l'hanno fatta malissimo. La Francia volle convertirsi da diavolo in frate, l'Inghilterra da frate in diavolo.

    Questa è, signori, la storia contemporanea. Ma trattando solo dell'Inghilterra, perché di essa mi propongo di parlare brevemente, dirò che io prego il cielo che non calino su di essa, come sono calate sulla Francia, le catastrofi che ha meritato per i suoi errori; poiché non v'è errore paragonabile a quello dell'Inghilterra, di appoggiare completamente i partiti rivoluzionari. Sventurata! Non sa che nel giorno del pericolo questi partiti, che hanno un istinto maggiore del suo, le volteranno le spalle? Non è già accaduto, ciò? E doveva accadere, perché tutti i rivoluzionari sanno che quando le rivoluzioni stanno per scoppiare, quando le nuvole si addensano e gli orizzonti si incupiscono, quando le onde si gonfiano, il vascello della rivoluzione non ha altro pilota che la Francia.

    Signori, questa fu la politica seguita dall'Inghilterra, o, per meglio dire, dal suo governo e dai suoi rappresentanti negli ultimi tempi. Ho detto e ripeto che non voglio trattare tale questione, ma vi sono spinto da gravi considerazioni. Primo, dalla considerazione del bene pubblico, perché devo qui dichiarare solennemente che desidero l'alleanza più intima, l'unione più completa, fra la nazione spagnola e quella inglese, che ammiro e rispetto come la nazione forse più libera, più forte e più degna di essere tale sulla terra. Non vorrei poi con le mie parole esacerbare tale questione, e tanto meno pregiudicare o ostacolare futuri negoziati. Un'altra considerazione mi trattiene dal parlare su tale argomento: per farlo dovrei parlare di un uomo di cui fui amico, più amico che il signor Cortina. Ma non posso aiutarlo come ha fatto il signor Cortina, la mia coscienza non mi permette di aiutarlo se non con il silenzio8.

    Il signor Cortina, nel trattare tale questione (mi permetta di dirglielo con franchezza) fu preso da una specie di deliquio, e dimenticò chi era, dove era e a chi parlava. Credette di essere un avvocato, mentre era un oratore del Parlamento. Credette di parlare ai giudici, ed invece parlava ai deputati; credette di parlare in un tribunale, ed invece parlava ad una Assemblea deliberante; credette di parlare di una vertenza giudiziaria mentre parlava di un argomento politico grande, nazionale, che se anche era una vertenza, lo era fra due nazioni. Ebbene, signori: spettava al signor Cortina assumere la difesa della parte avversa alla nazione spagnola? Ma, signori, è forse questo patriottismo? Ah, no! sapete cosa vuol dire essere patriota? Significare amare, aborrire, sentire come ama, aborre e sente la nostra Patria. Dissi che appena avrei accennato a tale questione, e così ho fatto.
    Ma né le circostanze interne, che erano tanto gravi, né quelle esterne, così complicate e pericolose, sono sufficienti a far mutare l'opinione dei signori che siedono nei banchi dell'opposizione.

    "E la libertà? - ci dicono, - la libertà non deve porsi al di sopra di ogni cosa? La libertà, perlomeno quella individuale, non è stata sacrificata?". La libertà, signori! Coloro che pronunziano questa sacra parola sanno il principio che proclamano, la parola che pronunziano? Conoscono i tempi in cui vivono? Non è giunto sino a voi, signori, l'eco delle ultime catastrofi? Non sapete che ormai la libertà è morta? Non avete assistito, come ho assistito io, con gli occhi del mio spirito, alla sua dolorosa passione? Non l'avete vista insultata, martoriata, colpita a tradimento dai demagoghi di tutto il mondo? Non l'avete vista trascinare il suo dolore per le montagne della Svizzera, sulle sponde della Senna, sulle rive del Reno e del Danubio, sugli argini del Tevere? Non l'avete vista salire al Quirinale, che fu il suo Calvario?

    Signori, la parola è tremenda, ma non dobbiamo esitare nel pronunziare parole tremende se esse non affermano che la verità, ed io sono deciso a dirla. La libertà è morta, ed essa non risusciterà né al terzo giorno, né al terzo anno, forse neppure al terzo secolo. Vi spaventa la tirannide che sopportiamo? Vi spaventate per poco, perché vedrete cose peggiori. Ora vi prego, signori, di non dimenticare le mie parole, perché ciò che sto per dire, gli avvenimenti che annuncerò, di un futuro più o meno prossimo, ma comunque non troppo lontano, si compiranno alla lettera.

    La base di tutti i vostri errori, signori dell'opposizione, consiste nell'ignorare quale è la direzione della civiltà e del mondo. Voi credete che la civiltà ed il mondo avanzino, quando invece sia l'una che l'altro retrocedono. Il mondo cammina con passi rapidissimi alla costituzione di un despotismo, il più gigantesco ed assoluto che sia mai esistito a memoria d'uomo. Verso tale traguardo cammina la civiltà, cammina il mondo.

    Per annunciare tali cose non mi è necessario esser profeta; mi basta considerare il pauroso insieme degli avvenimenti umani dal loro unico, vero punto di vista, dall'altezza cattolica.

    Signori, non vi sono che due forze possibili, una interna, l'altra esterna, una religiosa, l'altra politica. Sono di natura tale che quando il termometro religioso sale, quello politico scende; quando il termometro religioso è basso, la temperatura politica, la forza politica, la tirannia salgono. Questa è una legge dell'umanità, della storia. Guardate, signori, cosa era il mondo, cosa era la società prima che venisse la Croce, quando non vi era forza interna, quando non vi era forza religiosa. Era una società di tirannia e di schiavitù. Citatemi un solo popolo di quell'epoca in cui non vi fossero schiavi, in cui non vi fossero tiranni. Questo è un fatto innegabile, incontrastabile, evidente; la libertà, la libertà vera, quella di tutti e per tutti, nacque solo con il Salvatore del mondo. Anche questo è un fatto incontestabile, riconosciuto dagli stessi socialisti, che lo ammettono. I socialisti chiamano Gesù uomo divino, anzi, fanno di più, si ritengono suoi continuatori. Santo Iddio, suoi continuatori! Essi, uomini di sangue e di vendette, continuatori di Colui che nacque solo per fare il bene, di Colui che parlò solo per benedire, di Colui che compì miracoli solo per liberare i peccatori dal peccato, i morti dalla morte, di Colui che nello spazio di tre anni fece la più grande rivoluzione di tutti i secoli, e la portò a compimento senza spargere altro sangue che il suo!

    Signori, vi prego di prestarmi attenzione, perché sto per esporvi il confronto più grande che la storia ci offra.
    Voi avete visto che nel mondo antico, quando la forza religiosa non poteva scendere più in basso perché non esisteva, la forza politica salì al massimo, cioè fino alla tirannia. Ebbene, con Gesù Cristo, da cui nasce la forza religiosa, sparisce completamente la forza politica. Ciò è tanto certo che la società fondata da Gesù Cristo con i suoi discepoli fu l’unica che non ebbe un governo. Tra Gesù e i suoi discepoli non v'era altro governo che l'amore reciproco del Maestro e dei discepoli. Vale a dire che quando la forza interna era più salda, allora la libertà era assoluta.

    (continua)
    Ultima modifica di Florian; 26-10-09 alle 00:11
    Maledetto è l'uomo che confida nell'uomo (Geremia 17 5)

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    Predefinito Rif: CONOSCERE LA REAZIONE

    Discorso pronunziato in Parlamento il 4 gennaio 1849
    (segue)


    Continuiamo il raffronto. Giungono i tempi apostolici, che io estenderò, perché così ora conviene al mio argomento, dai tempi apostolici propriamente detti fino all'ascesa del Cristianesimo in Campidoglio, al tempo di Costantino il Grande. In questo periodo la religione cristiana, cioè la forza religiosa interna, era al suo apogeo; eppure, nonostante ciò, avviene quello che accade in tutte le società composte di uomini; comincia a svilupparsi un germe, nulla più che un germe di licenza e libertà religiosa. Orbene, signori, osservate cosa accade: a questo principio di discesa nel termometro religioso corrisponde un principio di salita nel termometro politico. Il governo ancora non esiste, non è ancora indispensabile, ma è già necessario un embrione di governo. Così nella società cristiana non v'erano di fatto veri magistrati, ma giudici arbitri e conciliatori, che sono l'embrione del governo.

    In effetti non v'era altro che questo: i cristiani dei tempi apostolici non avevano cause, non ricorrevano ai tribunali, ma componevano le loro vertenze per mezzo di arbitri. Osservate, signori, come con la corruzione il governo vada crescendo d'importanza.

    Giungono i tempi feudali: la religione è ancora al suo apogeo, ma già in parte viziata dalle passioni umane. Cosa accade allora nel mondo politico? Si rende necessario un governo reale ed effettivo, ma è sufficiente il più debole di tutti; così si istituisce la monarchia feudale, la più debole di tutte le monarchie.

    Continuiamo ancora il confronto. Giunge il XVI secolo, e con esso la grande riforma luterana, questo grande scandalo politico, sociale e religioso. Con questo atto di emancipazione intellettuale e morale dei popoli, coincidono le seguenti istituzioni: innanzi tutto, d'un tratto, le monarchie da feudali diventano assolute. Voi credete, signori, che una monarchia più che assoluta non possa essere; che può essere, un governo, più che assoluto? Ma era necessario che il termometro della forza politica salisse di più, perché il termometro religioso continuava a scendere. E così avvenne.

    Quale nuova istituzione fu creata? Quella degli eserciti permanenti. Sapete, signori, cosa sono gli eserciti permanenti? Per saperlo basta conoscere che cosa è un soldato: egli è uno schiavo in uniforme. Così vedete che, nel momento in cui la forza religiosa scende, quella politica sale fino all'assolutismo e va ancora oltre. Ai governi non bastava l'assolutismo, chiesero ed ottennero il privilegio di essere assoluti e di avere un milione di braccia.
    Ciononostante, signori, era necessario che il termometro politico salisse ancora di più, perché il termometro religioso continuava a scendere: e salì ancora.

    Quale nuova istituzione fu creata allora? I governi dichiararono: "Abbiamo un milione di braccia, ma non ci bastano; abbiamo bisogno di un milione di occhi". E crearono la polizia, e con questa un milione di occhi. Ma il termometro e la forza politica dovevano ancora salire, perché nonostante tutto il termometro religioso continuava a calare. E così avvenne.

    Ai governi, signori, non bastò avere un milione di braccia, non bastò un milione di occhi; vollero pure un milione di orecchie, e le ebbero con la centralizzazione amministrativa, con la quale giungono al Governo tutti i reclami e tutte le lagnanze.

    Ebbene, signori, ciò non bastò, perché il termometro religioso continuava a scendere, ed era perciò necessario che quello politico salisse... Ebbene, salì ancora!

    I governi dissero: "Per imporci non sono sufficienti né un milione di braccia, né un milione di occhi, né un milione di orecchie. Abbiamo bisogno di più: del privilegio di trovarci contemporaneamente in tutte le parti". E l'ottennero, perché fu creato il telegrafo.

    Tale era lo stato dell'Europa e del mondo, quando il primo scoppio dell'ultima rivoluzione venne ad annunciarci che nel mondo non vi era ancora abbastanza dispotismo, perché il termometro religioso era ormai sottozero. Orbene, signori, delle due l'una...

    Ho promesso di parlare francamente e lo farò.

    Dunque, delle due l'una: o la reazione religiosa viene, oppure no; se viene, vedrete come, risalendo il termometro religioso, comincerà a scendere, naturalmente, spontaneamente, senza alcuno sforzo da parte dei governi, né dei popoli, né degli uomini, il termometro politico, fino a segnare il giorno felice della libertà dei popoli. Ma se al contrario, signori (e ciò è grave), non vi sarà chi richiamerà l'attenzione delle assemblee deliberanti su tali questioni, come oggi ho fatto io (ma la gravità degli avvenimenti me lo ha imposto, e di ciò chiedo scusa alla vostra benevolenza); ebbene, signori, io affermo che se il termometro religioso continua a scendere, non so dove potremo arrivare. Non lo so, signori, e tremo al pensarci.

    Osservate le analogie che vi ho prospettate: se non era necessario alcun governo quando la forza religiosa era al suo apogeo, così non sarà sufficiente alcuna specie di governo quando essa non esisterà più, perché qualsiasi forma di despotismo sarà poca cosa.

    Questo è mettere il dito sulla piaga; questo è il problema della Spagna, dell'Europa, il problema dell'Umanità, del mondo.

    Considerate una cosa, signori. Nel mondo antico la tirannide fu feroce, devastatrice, e tuttavia era limitata, perché tutti gli Stati erano piccoli, e perché le relazioni internazionali erano impossibili: di conseguenza nell'antichità poté esserci una sola, grande tirannide, quella di Roma. Ma ora, come sono mutate le cose! La via è preparata per un tiranno gigantesco, colossale, universale, immenso; tutto è preparato per lui. Guardate, signori, già non vi sono resistenze fisiche, perché con le navi e con le ferrovie non esistono più frontiere e con il telegrafo si sono annullate le distanze; e non vi sono resistenze morali, perché tutti gli animi sono divisi e tutti i patriottismi sono morti. Ditemi quindi se ho ragione o no quando mi preoccupo del prossimo avvenire del mondo; ditemi se, parlando di questo problema, non parlo del vero problema.

    C'è un solo modo per evitare la catastrofe, uno soltanto: non concedere altre libertà, altre garanzie, altre costituzioni, ma cercare tutti, fino al massimo delle nostre forze, di provocare una reazione salutare, religiosa. È possibile questa reazione? Sì, lo è. Ma è probabile? Signori, vi parlo con la più profonda tristezza: io non la credo possibile.

    Ho visto e conosciuto uomini che si erano allontanati dalla fede e che vi sono tornati; ma, sventuratamente, non ho mai visto un popolo tornare alla fede dopo averla perduta.

    Se pure mi fosse rimasta qualche speranza, mi sarebbe venuta meno con gli ultimi fatti romani; ora dirò due parole su questa questione, di cui ha parlato anche il signor Cortina.

    Signori, i fatti di Roma non hanno un nome. Come li chiamereste? Deplorevoli? Tutti quelli che ho già citati sono deplorevoli, ma questi lo sono molto di più. Li chiamereste orribili? Quegli avvenimenti superano ogni orrore. Vi era in Roma, ed ora non più, sul trono più elevato, l'uomo più giusto, più evangelico della terra. Cosa ha fatto Roma di questo uomo evangelico e giusto? Che ha fatto quella città, sulla quale hanno dominato gli eroi, i Cesari, i Pontefici? Ha barattato il trono dei pontefici con quello dei demagoghi. Ribelle a Dio, è caduta sotto l'idolatria del pugnale, questo ha fatto9. Il pugnale, signori, il pugnale demagogico, il pugnale insanguinato. Questo è oggi l'idolo di Roma. Questo è l'idolo che ha rovesciato Pio IX. Questo è l'idolo che turbe di selvaggi trascinano per Roma. Ho detto selvaggi? Ho detto poco, perché i selvaggi sono feroci ma non ingrati.

    Signori, mi sono proposto di parlare con tutta franchezza, e lo farò. È necessario che il re di Roma torni al suo trono, o che di Roma, comunque la pensi il signor Cortina, non resti pietra su pietra.

    Il mondo cattolico non può consentire e non consentirà alla virtuale distruzione del Cristianesimo a causa di una sola città, presa dal turbine della pazzia. L'Europa civile non può consentire, e non consentirà mai che la cupola dell'edificio della libertà europea precipiti. Il mondo, signori, non può consentire, e non consentirà mai che in Roma, nella città santa, si veda salire al trono una nuova, strana dinastia, quella del crimine.

    E non si dica, come fa il signor Cortina, e come dicono nei giornali e nei discorsi quei signori che siedono nei banchi della sinistra, che a Roma vi sono due questioni, una temporale, e l'altra spirituale; che lo scontro è stato tra il re temporale e il suo popolo e che il Pontefice siede ancora sul suo trono. Due parole, signori, due sole parole e la questione sarà chiarita.

    Senza alcun dubbio il principale potere del Papa è quello spirituale, il temporale è accessorio; ma questo accessorio è necessario. Il mondo cattolico ha il diritto di esigere che l'infallibile oracolo dei suoi dogmi sia libero e indipendente; il mondo cattolico non può avere una scienza certa, come gli è necessario, se Colui che è indipendente e libero non è pure sovrano, perché solo il sovrano non dipende da alcuno. Per conseguenza, signori, la questione della sovranità, che dappertutto è una questione politica, in Roma è anche una questione religiosa; il popolo, che ovunque può essere sovrano, non può esserlo in Roma; le assemblee costituenti, che possono esistere in ogni parte, non possono esistere in Roma; a Roma non ci può essere altro potere costituente se non quello già costituito. Roma e gli Stati Pontifici non appartengono a Roma, signori, non appartengono al Papa, ma al mondo cattolico, che li ha riconosciuti al Papa perché fosse libero e indipendente; lo stesso Papa non può spogliarsi di questa sovranità, di questa indipendenza.

    Concludo, signori, perché l'Assemblea è molto stanca e anch'io lo sono. Vi dico francamente che non posso dilungarmi di più, perché ho male alla bocca, ed è già molto che abbia potuto parlare; ma le cose principali che dovevo dire le ho già dette.

    Dopo aver trattato le tre questioni esterne, delle quali parlò il signor Cortina, torno, per concludere, a quelle interne. Dal principio del mondo fino ad ora si è discusso se convenisse di più, per evitare le rivoluzioni e i torbidi, il sistema della resistenza o quello delle concessioni. Ma, fortunatamente, questo, che dal primo anno della creazione fino al 1848 è stato un problema, oggi è superato. Se il male che sento in bocca me lo permettesse, farei una rassegna di tutti gli avvenimenti dal febbraio ad oggi che provano questa mia asserzione: ma mi accontenterò di ricordarne due.

    In Francia la monarchia, che non resistette, fu vinta dalla repubblica, che appena aveva forza per muoversi: e la repubblica, che appena aveva forza per muoversi, vinse il socialismo perché resistette.

    A Roma, che è l'altro esempio cui voglio accennare, che cosa è accaduto? Non era lì il vostro modello? Ditemi, se foste pittori e voleste dipingere il modello di un re, chi mai scegliereste se non Pio IX? Signori, Pio IX volle essere, come il suo divino Maestro, magnifico e liberale; tese la mano agli esuli e li rese alla loro patria; ai riformisti dette riforme, ai liberali la libertà; ogni sua parola fu un beneficio. Ed ora ditemi, signori, i suoi benefici non sono stati uguagliati, se non superati, dalle loro ignominie? Visto ciò, non è da considerare superato il sistema delle concessioni?

    Signori, se qui si trattasse di scegliere tra la libertà, da un lato, e la dittatura dall'altro, non vi sarebbe alcun dissenso; chi, potendo abbracciare la libertà, si inginocchierebbe dinanzi alla dittatura? Ma non è questo il problema. La libertà non esiste di fatto in Europa; i governi costituzionali, che negli anni addietro la rappresentavano, non sono ormai, quasi dappertutto, che uno spettro, uno scheletro senza vita. Ricordate una cosa, ricordate Roma imperiale. In essa esistevano tutte le istituzioni repubblicane: esistevano i dittatori onnipotenti, i tribuni inviolabili, le famiglie senatorie, i consoli eminenti. Tutto ciò esisteva, ma una sola cosa mancava: la repubblica.

    Così sono, in quasi tutta l'Europa, i governi costituzionali; e l'altro giorno senza pensarlo, senza saperlo, il signor Cortina ce lo ha dimostrato. Non ci ha detto, e con ragione, che preferiva ciò che dice la storia a ciò che dicono le teorie? Ebbene, mi appello alla storia. Cosa sono, signor Cortina, quei governi con le loro legittime maggioranze, vinti sempre dalle turbolente minoranze? Con i loro ministri responsabili che non rispondono di nulla, con i loro re inviolabili sempre violati? Così, signori, come ho detto prima, la questione non è tra la libertà e la dittatura: se fosse così, io voterei per la libertà, come tutti voi.

    Ma la questione è diversa, si tratta di scegliere tra la dittatura dell'insurrezione e quella del governo: in questo caso scelgo la dittatura del governo, come la meno pesante e ingiuriosa.

    Si tratta di scegliere tra la dittatura che viene dall'alto e quella che viene dal basso; io scelgo quella che viene dall'alto perché viene da regioni più limpide e serene; si tratta di scegliere, insomma, tra la dittatura del pugnale e quella della spada: scelgo questa, perché più nobile.

    Signori, nel votare saremo divisi e conseguenti a noi stessi. Voi, come sempre, voterete per ciò che è più popolare; noi, come sempre, per ciò che è più salutare.


    NOTE

    1 Manuel Cortina y Arenzana (1802-1879) giureconsulto e uomo politico liberale, fu partigiano del generale Espartero. Ministro degli Interni nel 1840, fu arrestato ed esiliato nel 1843 all'avvento al potere del generale Narvàez. Nel 1846 tornò in patria e pronunciò alla Camera eloquenti discorsi contro il governo Narvàez.

    2 Nell'art.14 della Carta della Restaurazione, del 4 giugno 1814, si legge: " Le Roi est le chef suprème de l'État, commande les forces de terre et de mer, déclare la guerre, fait les traités de paix, d'alliance et de commerce, nomme a tous les emplois d'administration publique, et fait les règlementes et ordonnances nécessaires pour l'exécution des lois et la sùreté de l'État ". Il preambolo della Carta costituzionale del 6 agosto 1830 afferma; "Louis Philippe, Roi des Francois, a tous présent et a venir, Salut. Nous avons ordonné et ordonnons que la Charte constitutionnelle 1814, telle qu'elle a été amendée per les deux Chambres le 7 aoùt et acceptée par nous le 9, sera de nouveau publiée dans les termes suivants".

    3 Teodoro Galvez Canero (1775-1858) generale spagnolo, partecipò attivamente alle guerre di indipendenza e si distinse alla difesa di Cadice.

    4 In seguito alla politica conservatrice promossa dal Guizot, tendente a favorire gli interessi della borghesia capitalistica, ed al sopraggiungere di una crisi economica, nel 1847 si riacutizzarono in Francia i contrasti politici e sociali. L’agitazione, condotta dai gruppi democratici d'opposizione, a capo dei quali troviamo il Thiers, il Lamartine e Louis Blanc, costrinse, il 22 febbraio 1848, il gabinetto Guizot a dimettersi, mentre a Parigi aveva inizio una vera e propria insurrezione armata. Luigi Filippo abbandonava precipitosamente la Capitale, mentre veniva proclamata la II Repubblica, che si trovava costretta ad affrontare la nuova e minacciosa "questione sociale", resa più acuta dalla grave crisi economica, che i frettolosi e confusi provvedimenti, adottati dal governo provvisorio (coalizione democratico-socialista) in favore delle masse lavoratrici, rese ancora più acuta. Il 23 aprile 1848, le elezioni diedero la maggioranza ai repubblicani moderati del Ledru-Rollin e del Lamartine e videro soccombere le correnti radicali e socialiste del Blanc e del Raspail.

    5 José Ordax Avecilla (1813-1856) giornalista e uomo politico liberale.

    6 Sulla scia della rivoluzione di Parigi, anche in Ispagna si verificarono, nel 1848, moti insurrezionali, principalmente a Madrid, Barcellona e Siviglia, e che assunsero, in alcune provincie, anche carattere "carlista". Grazie alla energica reazione del governo, presieduto dal Narvàez, i moti furono ben presto repressi e fu ristabilita la calma nel Paese.

    7 J. Donoso Cortes allude al fermo atteggiamento assunto dal generale Narvàez di fronte ai moti rivoluzionari spagnoli del 1848.

    8 Allude all'ambasciatore inglese Sir Henry Lytton-Bulwer il quale, sospettato di aver favorito la rivolta militare del maggio 1847, fu invitato dal generale Narvàez a lasciare la Spagna.

    9 Molto probabilmente, Juan Donoso Cortes allude all'assassinio di Pellegrino Rossi (1787-1848), ministro di Pio IX, dopo essere stato ambasciatore di Luigi Filippo presso la Curia Romana, fino al crollo della Monarchia di luglio. Il Rossi, che aveva dato inizio a riforme amministrative e finanziarie e che intendeva dare allo Stato Pontificio forza ed autorità, fu ucciso a pugnalate il 15 novembre 1848. A causa delle violenze che seguirono, Pio IX lasciò Roma il 24 novembre, per rifugiarsi a Gaeta. II governo democratico, in seguito formatosi, proclamò, il 9 febbraio 1849, la Repubblica e la decadenza del potere temporale dei Papi. La repubblica romana visse pochi mesi, sino al luglio 1849, allorché avvenne la restaurazione del potere pontificio grazie all'intervento militare francese promosso da Luigi Napoleone Bonaparte che intendeva, con tale gesto, accattivarsi le simpatie delle masse cattoliche del suo Paese.
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    Predefinito Rif: CONOSCERE LA REAZIONE

    PLINIO CORREA DE OLIVEIRA
    E LA TFP








    Plinio Corrêa de Oliveira
    Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


    Plinio Corrêa de Oliveira (13 dicembre 1908 - 3 ottobre 1995) è stato uno storico, politico, scrittore, giornalista brasiliano. É stato anche un devoto cattolico, fondatore dell'associazione Società Brasiliana per la Difesa della Tradizione, Famiglia e Proprietà (in portoghese Sociedade Brasileira de Defesa da Tradição, Família e Propriedade), abbreviato "Tradizione, Famiglia e Proprietà" (TFP).

    Biografia

    É nato il 13 dicembre 1908 a San Paolo, in Brasile, da famiglia aristocratica. All'età di 10 anni entra nel liceo "San Luigi" una scuola diretta dai padri Gesuiti, all'università si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza della sua città.
    A soli 24 anni, viene eletto all'Assemblea costituente, nella lista della Lega Elettorale Cattolica. Successivamente gli affidano la cattedra di docente di Storia Moderna e Contemporanea nella facoltà di Filosofia, Scienze e Lettere nella Pontificia Università Cattolica di San Paolo.
    Come giornalista, è stato il direttore del settimanale "Legionário" nel 1933, che poi è diventato l'organo ufficioso della diocesi di San Paolo, che in quel momento diventò il maggior settimanale cattolico brasiliano; scriverà per il mensile "Catolicismo" e principalmente articoli su vari giornali settimanali locali.
    Nel 1940 viene nominato presidente dell'Azione Cattolica di San Paolo, in quegli anni stavano cominciando a diffondersi correnti cattolico-democratiche e neomoderniste, che Pio X aveva condannato. Per questo nel 1943, scriverà il suo primo libro "In Difesa dell'Azione Cattolica", dove denunciava queste correnti dell'Azione cattolica, che sminuivano l'autorità della Chiesa. In campo sociale, Correa de Oliveira notava come questo movimento sostenesse ideologie socio-economiche che incoraggiavano la lotta di classe. Il libro, approvato dal clero e anche dalla Santa Sede, fu criticato da ambienti di sedicenti cattolici oppositori.
    Nel 1959 scrive il libro che lo renderà famoso "Rivoluzione e Contro Rivoluzione", nel quale analizza la grande crisi secolarizzante dell'Occidente cristiano fino ai nostri giorni e delinea con puntualità e profondità un programma di restaurazione della cristianità. Nel 1960, fonda la Società Brasiliana per la Difesa della Tradizione, Famiglia e Proprietà, nella quale sarà il presidente e alla quale si dedicherà completamente. Con TFP nel 1990 organizzerà una raccolta firme per la campagna "Pro Lituania Libera", (la Lituania faceva parte dell'URSS e nel 1990 fu il primo paese sovietico a rendersi autonomo) verranno raccolte 5.212.580 firme, tanto che il Guinness dei primati lo ha classificato come la più grande sottoscrizione della storia
    Il 2 febbraio 1975 rimase vittima di un incidente stradale, morì il 3 ottobre 1995 a San Paolo dopo aver ricevuto la benedizione pontificia.

    Plinio Corrêa de Oliveira - Wikipedia


    LIBRI IN PDF


    Rivoluzione e contro-rivoluzione
    http://www.pliniocorreadeoliveira.it...ivoluzione.pdf

    Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo
    http://www.pliniocorreadeoliveira.it...ideologico.pdf

    Nobiltà ed élites tradizionali analoghe
    http://www.pliniocorreadeoliveira.it...adizionali.pdf


    ARTICOLI


    Testamento spirituale
    http://www.atfp.it/articoli/frame.html

    L'uguaglianza dei punti di partenza. Ecco l'ingiustizia
    http://www.atfp.it/articoli/frame.html

    Le dita del caos e le dita di Dio
    http://www.atfp.it/articoli/frame.html

    Kamikaze
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    L'intellettuale filosofeggiante
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    Preghiera per la Restaurazione dell'Italia
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    VIDEO


    YouTube - Plinio Corrêa de Oliveira - Ambientes, costumes, civilizações - 3
    Sala del regno di Maria


    SITI


    plinio correa de oliveira
    Plinio Corrêa De Oliveira
    Associazione Luci sull'Est
    Alleanza Cattolica - Cristianita' __________
    Templari di San Bernardo
    Corrispondenza romana | Agenzia cattolica di informazione settimanale
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    Predefinito Rif: CONOSCERE LA REAZIONE

    L'ACTION FRANÇAISE E LA CONTRORIVOLUZIONE

    di Roberto de Mattei


    Tratto da : OMAGGIO A CHARLES MAURRAS NEL XX° ANNIVERSARIO DELLA MORTE
    @ 1972. Tutti i diritti riservati. Giovanni Volpe Editore in Roma

    ***


    A chi consideri con attenzione il panorama offerto dal pensiero politico europeo in questi ultimi due secoli, non sfuggirà la presenza d'una costante dottrinale che, formatasi in Francia come reazione alla Rivoluzione Francese, ma rapidamente diffusasi in tutta Europa, ha sempre mantenuto una rigida fedeltà alle proprie posizioni originarie: la scuola contro rivoluzionaria (l).
    La dottrina controrivoluzionaria è lineare nella sua formulazione. Essa presuppone un modello di società tradizionale i cui lineamenti possono desumersi dalla saggezza classica, perpetuatasi nelle opere dei Padri della Chiesa, e confermata nei secoli dal magistero pontificio. Tale società, che è prima di tutto un archetipo metastorico cui tutte le società storiche debbono uniformarsi, ha avuto nell' Ancien Régime la sua concretizzazione storica. Al suo interno si è tuttavia sviluppata una tendenza disgregatrice, un movimento di erosione cioè antitradizionale, la Rivoluzione, assegnando anche a questo termine un significato archetipico prima che storico. La Rivoluzione Francese, dunque, sbocco naturale di un processo di dissoluzione sociale secolare, conserva al di là del suo significato storico, un valore metastorico di Rivoluzione modello di rivoluzioni (2).

    La Contro-Rivoluzione nasce e si forma come reazione alla Rivoluzione. Essa che, secondo le parole di De Maistre, "non è una Rivoluzione di segno contrario, ma il contrario della Rivoluzione" (3) si pone come ultimo fine la restaurazione della società tradizionale, restaurazione metafisica prima che sociale se è vero che il sociale si fonda sul metafisico e da esso trae legittimazione. Questo "primato della metafisica" porta a distinguere la posizione controrivoluzionaria da quella conservatrice. Nella prima si difendono determinati valori, ritenuti immutabili nelle società e nella storia, a prescindere dall'evoluzione delle società e della storia; nella seconda si difende l'ordine sociale perché tale, a prescindere, dai valori che fondano questo ordine. In questo senso si comprende come per i controrivoluzionari potesse essere giustificata una posizione conservatrice nei confronti dell'Ancien Régime (ordine sociale fondato su valori tradizionali), ma come tale atteggiamento non avesse ragion d'essere nei confronti di una Terza Repubblica il cui ordine poteva considerarsi antitetico a quello tradizionale (4).

    Ecco allora sorgere il problema della prassi controrivoluzionaria, dei rapporti concreti cioè della Contro*Rivoluzione con il potere costituito, come più complesso di quello della dottrina, ed ecco, a questa luce, emergere come di estremo interesse i rapporti tra la Contro*Rivoluzione e un movimento politico quale l'Action Française che, pur traendo origine da un positivismo borghese assolutamente estraneo alla tradizione controrivoluzionaria, ne incontra, sul terreno della prassi, la tematica dottrinale (5).

    Nel 1899, l'anno di nascita ufficiale dell'Action Française, il filone controrivoluzionario è presente in Francia, e, anche se quantitativamente esiguo, ha conservata inalterata l'intransigenza delle posizioni.

    Esso ha il suo simbolo nella bandiera del Sacro Cuore (6), la bandiera che i primi sciuani hanno levato contro la Rivoluzione e che il generale Charrette, discendente dell'antico capo vendeano, ha deposto sul cuore di Enrico V il giorno della sua morte. Come il vecchio Charrette i controrivoluzionari sono uomini rimasti gelosamente fedeli alla loro Tradizione. Essi hanno combattuto a Castelfidardo con i tiratori Franco-Belgi, a Mentana e a Monterotondo con gli Zuavi pontifici, in Catalogna con Alfonso di Borbone, e hanno disperatamente difeso 1a loro bandiera a Loigny e a Patay con i Volontari dell'Ovest nella guerra franco-prussiana.

    La Monarchia per la quale essi lottano, la Monarchia Tradizionale, è ugualmente lontana dal parlamentarismo orleanista come dal cesarismo bonapartista, che rappresentano solo due diversi aspetti della Rivoluzione. Nemmeno la monarchia della Restaurazione o quella prerivoluzionaria dell'Ancien Régime possono essere tuttavia completamente identificate con la Monarchia Tradizionale. Il troppo celebrato regno di Luigi XIV con il suo assolutismo e il suo centralismo già contiene in sé i germi del moderno cesarismo. Monarchia tradizionale è piuttosto quella medioevale; fondata sui corpi intermedi e sulle comunità naturali, organica e decentralizzata. La Monarchia di San Luigi e di Enrico IV, quella del giovane duca di Borgogna, lo sfortunato nipote del Re Sole su cui si erano appuntate tutte le speranze di restaurazione di uomini come Fénelon; Boulainvilliers, il duca di Noailles, l'arcivescovo di Cambrai. Il duca di Borgogna è espressamente citato a modello dal conte di Chambord (7) che può essere considerato, assieme al Cardinal Pie (8), la figura che meglio incarna nel suo secolo la concezione contro rivoluzionaria.

    Dopo la morte del conte di Chambord, i controrivoluzionari si raccolgono sotto l'autorevole guida del marchese di la Tour du Pin (9) attorno alla rivista Le Reveil Français e al circolo Tradition-Progrés. Il La Tour du Pin, formatosi sotto l'influenza del Le Play e della scuola corporativa austriaca, ha arricchito l'analisi controrivoluzionaria di un prezioso insegnamento sociale che nella restaurazione monarchica e nella restaurazione corporativa fonda i pilastri per la restaurazione finale dell'ordine cristiano. "Restaurare l'ordine sociale cristiano, scrive Robert Vallery-Radot, rivendicare per l'uomo tutte le libertà che lo stato giacobino gli ha sottratto: libertà familiari, libertà professionali, libertà comunali e regionali, questa fu la missione di La Tour du Pin. Alla concezione astratta dell'individuo del 1789... ha opposto con un'impressionante profondità la realtà cattolica della persona umana, che è nulla senza il focolare presso cui si perpetua, senza il mestiere che esercita e che feconda la sua attività, senza la terra in cui nasce, vive e muore e che le tradizioni storiche vincolano alla sua unione di sangue e di spirito" (10).

    Così, per il padre Georges de Pascal (11), la figura di maggior spicco tra i discepoli di La Tour du Pin, la tradizione francese è cristiana, monarchica e sociale e tre sono i fattori della vita nazionale: Dio, il principe, il popolo. Analogamente tre sono i nemici da combattere: la Rivoluzione che sopprime Dio, o riduce comunque il campo della sua azione; il parlamentarismo che, con la formula "il Re regna ma non governa", sopprime il principe; il cesarismo che sopprime il popolo sostituendolo con una burocrazia totalitaria.

    Accanto a de Pascal, che è in contatto anche con Drumont e con gli assunzionisti della Croix, i più intransigenti tra i religiosi assieme agli Eudisti e ai Redentoristi nella lotta contro la Repubblica, sono il conte di Courville, il conte di Larégle, Firmin Bacconnier, il colonnello di Parseval; gravitano inoltre attorno al gruppo anche Frédéric Amouretti, uno dei maestri più cari a Maurras, e quegli André Buffet e Eugène de Lur Saluces che introdurranno l' Inchiesta sulla Monarchia (12).

    Questo gruppo non partecipa alla pubblica conferenza tenuta sotto il patronato della Patrie Française il 20 luglio 1899 (13) in cui Henri Vaugeois presenta l'Action Française al pubblico nazionalista e in cui, se facciamo attenzione alla formazione culturale è all'estrazione sociale dei partecipanti, ci accorgiamo che, a cominciare dai suoi promotori nessuno può essere definito contro rivoluzionario: Henri Vaugeois, che discende da un deputato regicida della Convenzione, ha infatti alimentato il suo nazionalismo alle fonti radicalsocialiste e Maurice Pujo, il suo giovane braccio destro, proviene, malgrado gli antenati monarchici, dal campo della anarchia.

    Così repubblicani, o comunque non controrivoluzionari, sono i primi uomini che si avvicinano a quello che è ancora un Comité d'Action Française, da un Mareau, a un Bainville, a un Montesquieu.

    L'Action Française nasce repubblicana, questa la sua prima non trascurabile caratteristica; ciò che non impedirà tuttavia che a pochi anni di distanza il conte di Parseval la indicasse come la legittima erede del circolo Tradition-Progrés (14) e che, assieme al conte di Courville procurasse i fondi e i saloni per la creazione dell' Institut d'Action Française dal cui pulpito il padre de Pascal avrebbe dovuto riproporre la validità della dottrina contro rivoluzionaria nella Francia del ventesimo secolo.

    Per comprendere questo incontro tra Action Française e Contro-Rivoluzione occorre partire dalla piattaforma nazionalista dell'Action Française. Le origini del nazionalismo (15) sono infatti rivoluzionarie, da quando la Rivoluzione ha fatto leva sulla realtà nazione per accelerare il processo di disgregazione di quella più ampia realtà sociale che era l'Europa premoderna, ancora ispirata, a livello almeno di ideale, al modello supernazionale della Cristianità medievale. Ma nel corso di un secolo il nazionalismo segue un processo di slittamento verso destra che lo porta a un progressivo sganciamento dell'idea di Nazione da quella di Rivoluzione, verificabile in quella che del nazionalismo resta la traduzione più concreta: l'Esercito (16).

    Nell'Ancien Régime si conservava, sia pure alterata dai secoli, la tripartizione sociale caratteristica al Medioevo europeo e a tutte le società tradizionali precristiane, tra una classe sacerdotale, una classe guerriera, una classe produttrice (17). Con la Rivoluzione, l'esercizio delle armi, fino ad allora riservato a una vera e propria casta dominante, viene esteso a tutto il popolo con l'introduzione della mobilitazione generale e della coscrizione obbligatoria (18). Il popolo si riconosce dunque nell'esercito, nell'Armée, e l'Armée salva la Rivoluzione a Valmy e la propaga in tutta Europa con Napoleone. Ancora nelle opere di un Michelet o di un Henri Martin si ritrova l'esaltazione dell'Armée come motivo dominante della mitologia repubblicana, ed è a questi autori senza dubbio, e non al filone controrivoluzionario, che si dovrà far risalire quel nazionalismo barresiano (19), che costituisce, prima dell'Inchiesta, la piattaforma dell'Action Française e che può essere inteso come il punto di sutura tra il nazionalismo rivoluzionario dei repubblicani e quello "integrale" di Maurras.

    "Il nazionalismo, scrive Barrès, significa risolvere ogni problema in rapporto alla Francia. Ma come fare se non abbiamo della Francia una definizione e un'idea comuni?" (20). Nello sforzo di definire i contorni di questa Francia-nazione Barrès fonde le più diverse esperienze: "Dopo tutto la Francia consolare, la Francia monarchica, la Francia del 1830, la Francia del 1848, la Francia dell'Impero autoritario, la Francia dell'Impero liberale, tutte queste Francie infine che, con una mobilità così prodigiosa, giungono a degli eccessi contraddittori, procedono dallo stesso terreno e mirano allo stesso fine; esse sono lo sviluppo dello stesso germe, e su uno stesso albero, frutti di diverse stagioni" (21).

    Questa sintesi delle diverse "famiglie spirituali" della Francia, proposta soprattutto attraverso la mitizzazione del momento bonapartista (22), porta a una definizione del nazionalismo in termini di un comune sentimento della patria francese, piuttosto che in termini di una razionale visione politica. Ciò che porterà il barresiano Vaugeois, fondatore dell'Action Française, ad affermare nell'Inchiesta: "Noi avevamo la febbre. ‘Febbre francese’ dice il nostro amico Barrès. Ma la febbre è brutta" (23). La febbre nazionalista è uno stato d'animo che attende di concretarsi in una lucida concezione politica. "Il nazionalismo è una protesta, una rivolta istintiva contro un evidente errore politico... Ma la verità opposta a questo deplorevole errore il nazionalismo non la formula" (24). Il nazionalismo è un punto di partenza: la constatazione, a livello più emotivo che razionale di un errore politico. Necessita di un punto di arrivo: la riscoperta di una verità politica contrapposta. Questa verità si identificherà con la Monarchia Tradizionale dei controrivoluzionari. Ogni obiezione, ogni interrogativo sarà meticolosamente smontato dalla ferrea logica di Maurras, unico monarchico in un'Action Française ancora repubblicana.

    "Noi, scrive Maurras, mettiamo la Francia al di sopra di tutto e al servizio della Francia ci sforziamo di porre delle concezioni giuste e delle idee vere" (25). Egli si rivolge ad uomini che hanno scoperto la Nazione attraverso un'esperienza repubblicana, rivoluzionaria. Ma il loro punto di riferimento non è la Repubblica, è la Nazione. E il giorno in cui Maurras dimostrerà loro come la causa della Repubblica contrasti manifestamente con la causa della Nazione, essi, in nome della Nazione, diventeranno i primi e più implacabili nemici della Repubblica.

    Per intendere dunque la nascita dell'Action Française e il suo incontro con la Contro-Rivoluzione si può impostare il problema in questi termini. Un gruppo di uomini, dissimili per esperienze e formazione culturale, accomunati solo, come scrive il Weber (26), dall'amore del proprio paese, si sforza di ricercare quale sia la miglior soluzione politica da proporre alla Francia. Questo il loro orizzonte, il nazionalismo o, come preferiscono definirlo, il nazionalismo integrale. La loro ricerca non parte da nessun a priori, ma è empirica e sperimentale. Questo il loro metodo, il positivisino, o, come preferiscono definirlo, l'empirismo organizzatore. Di fronte ad essi si presenta un corpus dottrinale elaborato partendo da diversi presupposti da uomini provenienti da diverse esperienze: il pensiero controrivoluzionario. Si tratta di vedere se, e fino a che punto, questo pensiero corrisponda agli interessi della Francia, alla causa nazionalista. Ecco, in sintesi, la formula dell'Inchiesta sulla Monarchia e di tutta l'opera di Maurras.

    "Mi sono divertito più di una volta, ricorda Maurras, allo stesso spettacolo: un nipote di giacobini che considerava con occhio sorpreso un nipote di chouans e tutti e due, alla fine del primo colloquio, constatavano il loro completo accordo politico. L'uno trovava ciò che l'altro aveva semplicemente ricevuto dal padre: le due Francie, riconciliate in tal maniera, non avevano più che la fatica di tradursi l'un l'altra due linguaggi un po' differenti" (27). Le due Francie, la Francia nazionalista e la Francia controrivoluzionaria si fondono e uomini come un Morèau, un Baìnville, un Vaugeois, si trovano accanto a un de Pascal, a un Boisfleury, a un Vesins.

    "Questo strano stato maggiore, scrive Robert Havard de la Montagne, è un po' l'immagine della Francia e della diversità delle sue famiglie spirituali. Gli uomini che lo compongono si trovano d'accordo sul fatto che alla Francia occorre un Re e che la Monarchia in Francia è cattolica per tradizione. Il loro accordo rappresenta la sintesi di una visione generale comune per quanto riguarda i danni dell'individualismo e dello statalismo. Sono d'accordo nel ritenere che l'educazione del giovane spetta ai genitori e non allo Stato; che la scuola non dipende dallo stato, ma dalle famiglie sostenute o sostituite da altre organizzazioni ugualmente indipendenti; che la regolamentazione del matrimonio comporta l'indissolubilità; che l'autorità pubblica non deriva dalla volontà del popolo..." (28).

    Se la Francia nazionalista ha scoperto la Francia controrivoluzionaria come posizione dottrinale, la Francia controrivoluzionaria incontra a sua volta la Francia nazionalista come una possibilità di azione politica; Malgrado dunque la diversità dei presupposti di partenza, la fusione e la conciliazione avvengono sul piano della prassi, venendo presto a rappresentare l'Action Française, l'unico valido punto di riferimento e di coagulo per tutte quelle forze che vedono nella Repubblica radicale e nel modernismo nei suoi due aspetti, il laico e il religioso, il primo nemico.

    Portando per quanto riguarda i rapporti tra Action Française e Contro-Rivoluzione, un primo giudizio sulla prassi controrivoluzionaria dell'Action Française, si dovrà ammettere che essa comprese perfettamente come il radicalismo, espressione politica della borghesia intellettuale della Terza Repubblica, dovesse essere combattuto principalmente sul piano intellettuale. Questo ci aiuta a comprendere il carattere eminentemente culturale delle maggiori iniziative dell'Action Française.

    Culturale sarà infatti la prima iniziativa, l'Institut (29), una vera e propria controuniversità in cui, in un momento in cui le Università e le Accademie sono in mano alla cultura progressista, i più autorevoli uomini dell'Action Française, a cominciare dallo stesso Maurras, propongono ai giovani monarchi ci una cultura antitetica e quella rivoluzionaria.

    Culturale è la seconda iniziativa in ordine di tempo, ma prima in ordine di importanza, il quotidiano (30), formidabile strumento in cui dalla politica interna alla politica estera fino agli episodi più insignificanti della vita di ogni giorno, sotto la guida di Maurras e Daudet l'Action Française delinea una vera e propria Weltanschauung controrivoluzionaria.

    Meno evidente, infine, ma non per questo meno significativo, il carattere culturale della terza notevole iniziativa, i Camelots du Roi (31), che nell'Università hanno il loro tipico teatro di battaglia e nel professore radicale il modello di avversario (32).

    A questa scelta intellettuale si dovrà il rapido successo che porta l'Action Française a raggiungere nell'anteguerra una forza d'urto che ne fa il primo movimento politico francese, ma ad essa si dovrà anche la sua decadenza (33) quando, dopo la guerra, la Rivoluzione non sarà più incarnata dal radicalismo ma dal marxismo. Con la Rivoluzione russa infatti per la prima volta il marxismo si verifica nell'azione, realizzando quello che era stato il compito che Marx aveva affidato alla filosofia, di dimostrare cioè nella pratica la bontà e la verità delle proprie tesi. La comparsa sulla scena europea della Russia bolscevica è un avvenimento di portata filosofica prima che storica che necessita un ripensamento e un adeguamento della prassi controrivoluzionaria, ma l'Action Française, continuerà a vedere, nella prassi se non nella teoria, il radicalismo come il nemico da combattere, o comunque contrapporrà al marxismo una prassi controrivoluzionaria che, se contro il radicalismo ha mostrato la sua efficacia, si rivelerà presto inadeguata contro l'avversario marxista.

    Gli anni del dopoguerra vedono dunque un calo dell'efficacia dell'azione dell'Action Française, ma, contemporaneamente, una ricerca di egemonia culturale, che la porta gradualmente a divenire, da movimento politico d'urto, scuola di pensiero.

    Prima della guerra l'Action Française aveva rappresentato il comune punto di riferimento dei, contro*rivoluzionari e dei nazionalisti maurassiani. In questa loro adesione all'Action Française, limitata sul piano di una comune battaglia contro le istituzioni repubblicane, i controrivoluzionari avevano conservato la propria autonoma impostazione dottrinale e avevano considerato Maurras come un alleato piuttosto che come un maestro (34). I nazionalisti maurrassiani, dal canto loro, avevano limitato la loro adesione alla dottrina controrivoluzionaria al piano politico, prescindendo cioè dalle sue implicazioni metafisiche. Nel dopoguerra l'Action Française diviene scuola di pensiero. Maurras si afferma cioè come pensatore, più che come animatore di un movimento politico, e si verifica un cedimento delle posizioni controrivoluzionarie al maurrassismo anche sul piano della dottrina, mentre Maurras si afferma come il maestro indiscusso della destra francese. Ma se in termini di prassi poteva considerarsi legittima un'identificazione di posizioni tra l'Action Française e Contro-Rivoluzione, per quanto riguarda la dottrina il maurassismo conserva i suoi punti di discordanza dalla Contro-Rivoluzione, punti che sarà opportuno accennare, anche perché si rivelarono come le maglie deboli della costruzione maurrassiana nel senso di incidenza nella realtà storica del paese.

    Un primo punto da rilevare riguarda il problema sociale che Maurras non sentì mai vivamente. e che non fu mai realmente approfondito dall'Action Française. Maurras orientò sempre i giovani verso il corporativismo, presentando il La Tour du Pin (35) come un maestro, ma, di fatto, l'unica iniziativa sociale dell'Action Française, i Cercles Proudhon, tentarono una rischiosa sintesi tra il pensiero di Maurras e il sindacalismo soreliano (36). Tramite con Sorel fu Georges Valois (37), presentato nel 1906 a Maurras da Bourget. Maurras aveva preso in simpatia questo strano spirito di rivoluzionario che, dopo una movimentata esperienza negli ambienti di sinistra aveva scoperto la Monarchia e indicava nell'Action Française e nella Conféderation du Travail "le due organizzazioni che svolgono un'azione parallela, suscitata dal medesimo istinto e tesa al medesimo scopo: la distruzione del regime repubblicano e democratico" (38). Sorel, dal canto suo, dopo aver abbandonato il progetto di una rivista monarchico-sindacalista, La Cité Française, e dopo essersi rivelato nell'altra rivista da lui diretta, L'Indipendance, come dichiaratamente nazionalista e violentemente antidemocratico, pur senza mai aver ammesso di essere divenuto monarchico, attribuiva a Maurras il compito di difendere il Paese e la cultura francese. Nel dicembre 1911, così, Maurras aveva presieduto la fondazione dei Cercles Proudhon in cui un gruppo di giovani, sulla scia del nuovo orientamento soreliano, aveva cercato di conciliare sul terreno dell'azione, sindacalismo e Contro-Rivoluzione, Sorel e Maurras (39). L'esperimento avrà breve vita e comporterà una conseguenza immediata; il distacco dall'Action Française del La Tour du Pin e di una parte dei controrivoluzionari che si rifanno al suo insegnamento, giudicando il La Tour du Pin inconciliabile il suo corporativismo (40), fondato sulla concordia e sulla collaborazione delle classi, con il sindacalismo soreliano che nella lotta di classe continua a vedere il miglior strumento di lotta (41).

    Un secondo punto di contrasto tra il pensiero di Maurras e la dottrina contro rivoluzionaria riguarda i caratteri e i limiti del nazionalismo (42). La Contro-Rivoluzione conserva infatti l'ideale sovranazionale del Sacro Impero medievale dei re santi e dei crociati, di un'Europa unificata innanzitutto da una comune dimensione religiosa, e contrappone la restaurazione delle nazioni, realtà concrete, all'astratto cosmopolitismo rivoluzionario, come tappa necessaria, ma non definitiva, di un'ipotetica Restaurazione dell'Impero Cristiano. L'Action Française dal canto suo ha recuperato il nazionalismo alla Contro*Rivoluzione, ma il nazionalismo che, privato della sua componente giacobina, si rivela l'antidoto più sicuro contro i nemici interni della Francia, continua a giocare, sul piano europeo, un ruolo eversivo. Vi è infatti nel cuore dell'Europa un'ultima struttura tradizionale che ancora sopravvive: l'Impero Austro-ungarico. La prima guerra mondiale nasce come guerra rivoluzionaria mirante al dissolvimento di quest'ultima struttura. L'Action Française porta la responsabilità di non averlo compreso e di avere impostato, in nome della nazione, un'equivoca alleanza, in politica estera, con quei rivoluzionari che, in nome della nazione, ha sempre combattuto in politica interna. "Dal principio della guerra, sono parole del presidente Poincaré, Leon Daudet e Charles Maurras hanno dimenticato il loro odio della Repubblica e dei repubblicani e non pensano più che alla Francia". In realtà, proprio per salvaguardare gli interessi della Francia, Maurras non avrebbe mai dovuto schierarsi a fianco di un Fronte Repubblicano che attizzava la Rivoluzione in Europa per poter meglio imporla nel proprio paese.

    Le due conseguenze fondamentali della guerra, la comparsa sulla scena della Russia bolscevica, che riproporrà in termini assolutamente nuovi il problema del marxismo, e il crollo degli imperi centrali non saranno valutati nella loro portata dall'Action Française e costituiranno invece, in termini di "reazione" antimarxista e di "reazione" alla decadenza, il naturale terreno di partenza dei fascismi (43).

    Ma la diversità di impostazione tra Action Française e Contro-Rivoluzione può essere rilevata soprattutto per quanto riguarda il problema metafisico. L'anima della Contro-Rivoluzione è infatti la Chiesa, maestra di verità e custode dell'ordine sociale, e la dottrina controrivoluzionaria si fonda su una contrapposizione metafisica prima che politica che vede fronteggiarsi, sullo sfondo della concezione agostiniana delle due città (una est Dei, altera diaboli) Regno di Dio e regno di Satana, il Sacro Impero e la sua diabolica contraffazione, laddove il politique d'abord di Maurras, sia pure intendendolo come una priorità politica in ordine di tempo e non di dignità, finisce con l'operare, di fatto, una riduzione della dimensione metafisica a quella politica. Diversità di impostazione non significa tuttavia contrasto. Maurras vuole infatti edificare, in nome dell'ordine naturale, quell'arca sociale che i controrivoluzionari vogliono fondare sull'ordine soprannaturale. E la restaurazione dell'intelligenza che egli propone, l'intelligenza raziocinante e non quella astrattamente razionale del parti philosophique, è la restaurazione dello strumento critico necessario per conoscere e ordinare rettamente i rapporti naturali tra gli esseri, e dunque la loro gerarchia naturale. In questo senso si comprendono le parole di Maurras a Henri Massis: "Ho passato tutta la mia vita a combattere tutte le metafisiche, salvo una..." (44). Non contrasto cioè, ma eventualmente continuità, tra la posizione politica maurassiana e la posizione metafisica controrivoluzionaria, la continuità che esiste tra ordine naturale e ordine soprannaturale, tra grecità e cattolicesimo. Così, mettendo finemente in luce la "grecità" di Maurras e la sua "saggezza aristotelica e tomista", Marcel de Corte ha potuto affermare che "su questo terreno meravigliosamente preparato dalla saggezza greca, il Cristianesimo può germogliare" (45).

    A questa luce appare esemplare, per riassumere i rapporti tra Contro-Rivoluzione e Action Française, la posizione di Pio X che, pur approvando il decreto di condanna del Santo Uffizio delle opere giovanili di Maurras, applicando ad esse la formula damnabiles non damnandos; decideva di impedirne la divulgazione (46). Pio X aveva cioè ben presenti i limiti del maurassismo, ma giudicava evidentemente positiva e benefica per la Chiesa la lotta politica dell'Action Française contro il radicalismo e la Repubblica anticlericale se, proprio per non pregiudicarne l'efficacia, riteneva di doverne rimandare la pubblicazione.

    Collaborazione non incondizionata sul piano della prassi, ecco dunque la posizione di Pio X, e di autentici controrivoluzionari come un La Tour du Pin, un Padre de Pascal, un Monsignor Delassus (47), un Don Besse (48), fino al momento almeno della scomunica, che vedrà di fronte una Santa Sede che non ha più in Benigni (49) e in Merry del Val (50) gli uomini di fiducia del nuovo Pontefice e un'Action Française che nella sua evoluzione da movimento politico a scuola di pensiero ha visto il maurassismo prevalere sulla Contro-Rivoluzione. La scomunica segnerà l'inizio di una crisi dal tragico epilogo, che sullo sfondo di un'Europa segnata dalle rovine, vedrà chiudersi, dopo mezzo secolo la storia dell'Action Française, non quella della Contro-Rivoluzione.



    ROBERTO DE MATTEI



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    Predefinito Rif: CONOSCERE LA REAZIONE

    NOTE

    (1) A questa scuola possiamo ricondurre pensatori come un De Maistre, un de Bonald, un Balmes, un Donoso Cortés, un Baader, un Haller. Per una riproposta della tematica controrivoluzionaria nell'epoca attuale cfr. P. CORREA DE OLIVEIRA, Revoluçao e Contra-Revoluçao, Vera Cruz, San Paolo 1961; tr. it. Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Cristianità, Piacenza 1972, con un saggio introduttivo di Giovanni Cantoni.

    (2) Notevole, in questo senso, il contributo di A. COCHIN, in La Révolution et la libre penséé, Plon, Parigi 1924; tr. It. Meccanica della Rivoluzione, Rusconi, Milano 1972, con introduzione di Mario Marcolla.

    (3) Cfr J. DE MAISTRE, Considérations sur la France, cap. X, 3, in Oeuvres Complètes, Vitte, Lione Parigi 1924, t. I, pag. 157.

    (4) H. Guillemin, a sottolineare il conservatorismo di una Repubblica che, pure, rivendica le sue origini rivoluzionarie, ricorda le parole con cui il finanziere Léon Say si rivolge al duca d'Audiffret-Pasquier, colpevole di inclinazioni monarchiche: "Voi tradite la causa dell'ordine!". Ctr. H. GUILLEMIN, Histoire des catholiques français a XIX siècle (1815-1905), Editions du Milieu du monde, Ginevra-Parigi.Montreal 1947, pag. 306. Su questo punto cfr. anche i volumi in cui Emmanuel Beau de Loménie ha analizzato l’ascesa e la responsabilità della borghesia negli ultimi due secoli (E. BEAU DE LOMENIE, Les responsabilités des dynasties bourgeoises, pubblicato in quattro tomi; cfr. soprattutto i primi due: De Bonaparte à Mac Mahon, Parigi 1943 e, Du Maréchal de Mac Mahon à Poincaré, Parigi 1947. Del primo cfr. la tr. it. La responsabilità delle dinastie borghesi, Longanesi, Milano 1946).

    (5) Questo problema non è affrontato in quello che resta lo studio migliore e più esauriente sull'Action Française: E. WEBER, The Action Française, Stanford University Press 1961; è affrontato parzialmente nell'ottimo La Droite en France de la première Restauration à la V République, Montaigne, Parigi 1968; tr. it. La destra in Francia dalla restaurazione alla V Repubblica (1815-1968), Mursia, Milano 1970. Su questo studio cfr. la recensione in chiave controrivoluzionaria di F. Perfetti in Storia Contemporanea, 1972, n. 1, pagg. 147-155.

    (6) Sul significato del Sacro Cuore nella concezione contro*rivoluzionaria cfr. Mgr. E. JOUIN, Le drapeau national du S.C., Colléction Guerre et doctrine, Parigi 1918; L; PARROY, Le drapeau de la France, Vitte, Parigi 1917; E VEILLOT, Le drapeau du S.C., Tòbra, Palrigi 1898; H. RAMIERE SJ., La question sociale et la dévotìon au S.C. de Jesus, Ass. Cath., N. 6, Parigi 1876.

    (7) Henri-Oharles-Ferdinand-Marie Dieudoimé d'Artois, duca di Bordeaux, conte di Chambord (1820-1883). Cfr. Ecrits politiques et eorrespondance du comte de Chambord, Parigi 1.880.

    (8) Louis Cardinal Pie (1815-1880). Cfr. Oeuvres de Monseigneur l'Eveque de Poitiers (10 edizioni, l'ultima a Parigi, J. Ledars 1890-94, voll. 10); e Pages choisies du Card. Pie, avec une introduction par M. Le chanoine Vigné, Oudin, Parigi 1916, voll. 2. Per la bibliografia rimandiamo al recente E. CATTA, La doctrine politique et sociale du Cardinal Pie, Nouvelles Editions Latines, Parigi 1959.

    (9) Charles-Humbert-René de la Tour du Pin, Marchese della Charce (1834-1924). Le opere principali Vers un ordre social chrétien-Jalons de route 1802-1907, Nouvelle Librairie Nationale, Parigi 1907 e Aphorismes de politique sociale, Nouvelle Librairie Nationale, Parigi 1909. Sul La Tour du Pin, cfr. tra l'altro: C. BAUSSAN, La Tour du Pin, Flammarion, Parigi 1931; R. SEMICHON, Les idées politiques et sociales de La Tour du Pin, Beauchesne, Parigi 1936; E. BOSSAN DE GARAGNOL, Le colonel de La Tour du Pin après lui-meme, Beauchesne, Palrigi 1934; G. IASPAR (A. DE GASPERI), Un maestro del corporativismo cristiano, René de La Tour du Pin, Rivista internazionale di scienze sociali, Anno XXXVII, 1928, vol. I, poi raccolto in I Cattolici dall'opposizione al governo.

    (10) R. VALLERY-RADOT, Un centenaire opportune, in L'Ordre Social Chrétien, Parigi gennaio- marzo 1934.

    (11) Padre George de Pascal (1840-1918). Sul padre de Pascal, figura quasi completamente ignorata, cfr. A. DE LAVALETTE MOBRUN, Le père de Pascal, Jouve, Parigi 1918. Tra le opere del padre de Pascal cfr.: Enseignement social, vues sociales d'un homme de tradition, Rondelet, Parigi 1899 (estratto dall'Ass. Catholique). La Juiverie, con una lettera di prefazione di E. Drumont, Gautier, Parigi 1887. Lettre sur l'histoire de France, prefazione di P. Baujet, Nouvelle Librairie Nationale,Parigi 1908 (articolo apparso sul Réveil Français). Mgr. Gay, èveque d'Anthedon, auxiliaire du Cardinal Pier, d'après sa correspondance, Béduchaud, Parigi 1910. Vogelsang, l'Ecole sociale chrétienne, Extraits de ses oeuvres, preface, Parigi 1905. La renaissance du traditionnalisme en politique, 1) Discours de M. Paul Bourget; 2) Conférence de M. l'Abbé Georges de Pascal, prononcé à la Salle de la Société de geographie au mois de juin 1904, Librairie des Saints-Pères, Parigi (s.d.). Révolution et évolution, le centenaire de 1789 et les conservateurs catholiques, avec une lettre de M. Je M.is de La Tour du Pin Chambly, Impr. de Saudaux, Parigi 1898.

    (12) L'Enquete sur la Monarchie apparve per la prima volta nel 1900 in due fascicoli per le edizioni della Gazette de France. La prima edizione in volume apparve nel 1909, edita dalla Nouvelle Librairie Nationale.

    (13) Cfr. L'Action Française, Conférence du 20 juin 1899 à la salle de la Rue d'Athénes.

    (14) "Nell'ora attuale il liberalismo ha fortunatamente trovato dei nuovi e temibili avversari. La scuola dell'Action Française che porta così fieramente il suo bel nome, si è schierata sul terreno dell'interesse nazionale, del diritto naturale, della tradizione e del rispetto del Cattolicesimo. Essa risponde ai bisogni delle generazioni disorientate o rese scettiche da trent'anni di concezione repubblicana e ha ripreso la lotta filosofica contro le dottrine della Rivoluzione". Cfr. Colonel DE PARSEVAL, Principes de l'organisation du travail, Nouvelle Librairie Nationale, Parigi 1907 (Conferenza pronunciata il 23 febbraio 1907 alla Salle de la Société de Geographie, sotto gli auspici del Comité Tradition-Progrès ).

    (15) La letteratura sul nazionalismo francese è meno abbondante di quanto si potrebbe pensare. Per un inquadramento nel nazionalismo europeo cfr. E. LEMBERG, Nationalismus, Rowohlt, Reinbeck bei Hambourg 1964, in due voll. Psychologie und Geschichte e Soziologie und politische Pedagogik, il più completo studio sul nazionalismo in generale. Per una comprensione del fenomeno sullo sfondo della storia di Francia cfr. CARLTON J. H. HAYES, The historical evolution of modern Nationalism, The MacMillan Company, New York 1951.RENÉ REMOND, nel suo La Droite en France, cit., al Nazionalismo (soprattutto in rapporto al bonapartismo) riserva le pagine migliori. Importanti anche: E. WEBER, The nationalist revival in France, University of California, Berkeley e Los Angeles 1959; R. GIRARDET, Le Nationalisme française, Introduction et Choix de Textes, A. Colin, Parigi 1966 e J. PLONCARD D'ASSAC, Doctrines du Nationalisme, La Librairie française, Parigi 1958; tr. it: Le dottrine del nazionalismo, Volpe, Roma 1966. Tra i libri dell'epoca è da ripercorrere la celebre inchiesta di Agathon (pseud. di Henry Massis e Alfred de Tarde) sulla gioventù nazionalista: Les Jeunes Gens d'aujoud'hui, Parigi 1913. Cfr. inoltre J. D'AURIAC, La nationalité française, Flammarion, Parigi 1913 e G. GUY-GRAND, La philosophie nationaliste, Grasset, Parigi 1911.

    (16) Sui rapporti esercito-nazione in Francia fondamentali: R. CHALLENER, The French theory of the nation in arms (1866*1939), Columbia University Press, New York 1955; R. GIRARDET, La société militaire dans la France contemporaine (1815-1939), Plon, Parigi 1953; J. MONTEILHET, Les institutions militaires de la France (1814-1932), Alcan, Parigi 1932, 2.a ed. Cfr. anche le Histoire de l'Armée française di J. REVOL (Flammarion, Parigi 1938) e M. WEYGAND (Larousse, Parigi 1929). Per la letteratura d'epoca cfr. U. GOUHIER, L'Armée nouvelle, Stock, Parigi 1897; H. CHOPPIN, L'Armée française, Savine, Parigi 1890, J. BOURELLY, L'Armée est-elle, et doit elle etre la nation?, Correspondant, CLXXl, 1902, pagg. 193-200; L. BOUDENOOT, L'Armée en 1899, Revue politique et parlamentaire, XXII, 1899, pagg. 251-291; T. IUNG, La République et l'Armée, Bibliothèque Charpentier, Parigi 1892.

    (17) Sulla permanenza di questa tripartizione sociale che riproduce lo schema platonico della Repubblica, cfr. tutte le opere di G. DUMÉZIL. In tr. it. Jupiter, Mars, Quirinus Boringhieri, Torino 1956. Questa problematica è stata recentemente arricchita da un importante studio di R. Mousnier: Le gerarchie sociali, Vita e Pensiero, Milano 1972. Su questo punto cfr. anche il nostro La società tradizionale, Volpe, Roma 1972.

    (18) La leva di massa è decisa il 5 luglio 1792. L'11 luglio appare il decreto La Patria è in pericolo. Con il 1798 la legge Jourdan istituisce il servizio militare obbligatorio. Cfr. Historique des diverses lois sur le recrutement depuis la Révolution jusqu'à nos jours, Imprimerie nationale, Parigi 1902.

    (19) Maurice Barrés (1862-1923). Per la bibliografia cfr. M. A. ZARACH, Bibliographie barrésienne 1881-1948, Presses Universitaires de France, Parigi 1951. Tra le tante opere su Barrès cfr. A. THIBAUDET, La vie de Maurice Barrès, Nouvelle Revue Française, Parigi 1931,3.a ed.; J.M. DOMENACH, Barrès par lui-meme, Aux éditions de Seuil (soprattutto il capitolo Les contradictions du nationalisme, pag. 39 e sgg.); P. DE BOISDREFFE, Barrès parmi nous, Amiot-Dumont, Parigi 1952; J, MADAULE, Le nationalisme de Barrès, Sagittaire, Parigi 1942; E. R. CURTIUS, Maurice Barrès und die geistigen grundlagen der franzosischen Nationalismus, Cohen, Bonn 1921; R. DE BOYER DE SAINTE-SUSANNE, L'idéologie religieuse de M. Barrès et la catholicisme, Nouvelle Revue Critique, Parigi 1935; J. TOUCHARD, La nationalisme de M. Barrès, Actes du colloque Maurice Barrès, organizzato dalla Facoltà di lettere di Nancy, 21-25 ottobre 1962. Maurras ha ricordato Barrès in Maitres et témoins de ma vie d'ésprit.

    (20) M. BARRÈS, Scenes et doctrines du nationalisme, Emile*Paul, Parigi 1902, pag. 81.

    (21) M. BARRÈS, op. cit., pagg. 82-83.

    (22) Sarà sulla tomba di Napoleone professore di energia nazionale che i giovani protagonisti dei Deracinés (cfr. Les deracinés, Nelson, Parigi 1930, 1.a ed. 1897 pag. 225) giurano di essere uomini, e Napoleone resterà sempre il mitico punto di riferimento di Barrés.

    (23) H. VAUGEOIS, Enquéte, pag. 169.

    (24) H. VAUGEOIS, Enquéte, pag. 169.

    (25) C. MAURRAS, Le mie idee politiche, pag. 281.

    (26) "Ciò che univa questi uomini, scrive il Weber, era l'amore supremo della Patria, un grande rispetto per l’ordine e una fede comune in una ragione dall'andamento ordinato". Cfr. E. WEBER, op. cit., pag. 43.

    (27) C. MAURRAS, La Monarchia, pagg. 119-120.

    (28) R. HAVARD DE LA MONTAGNE, Histoire de l'Action Française, Amiot-Dumont, Parigi 1950, pagg. 39-40.

    (29) Le cattedre dell'Institut erano sette: Sillabo (politica cattolica), Comte (positivismo), Rivarol (teoria politica), Sainte*Beuve (empirismo organizzatore), Barrés (nazionalismo), Amouretti (relazioni internazionali), La Tour du Pin (economia sociale ).

    (30) La petite revue grise diventa quotidiano il 21 marzo 1908. Maurras, sotto lo pseudonimo di Criterion, si occupa della rassegna della stampa, Dimier e Lasserre dell'arte e letteratura, Bainville della politica estera, ma soprattutto si afferma prepotentemente accanto a Maurras il 'personaggio' Daudet. "Rabelesiano d'aspetto come d'espressione, scrive il Weber, completava Maurras: là dove Maurras spiegava freddamente, logicamente, Daudet seduceva per la sua verve, il suo fuoco, dando un corpo a ciò che fino ad allora non era che una dottrina". Cfr. E. WEBER, op. cit., pag. 65.

    (31) Sui Camelots cfr. M. PUJO, Les Camelots du Roi, Flammarion, Parigi 1933; A. GAUCHER, Notes d'un combattant, Revue d'Action Française, XXXIII, 1909; M. REAL DEL SARTE, Rapport sur la Federazion Nationale des Camelots du Roi, Revue de Action Française, XXXIV, 1910: "Sono certo, scriveva Giuseppe Prezzolini in una sua inchiesta sulla Francia del tempo, che nessuna cosa è invidiata dal Governo e dagli avversari di Maurras a lui, né lo stile, né la cultura, né la dialettica, quanto questo gruppo di Camelots". Cfr. G. PREZZOLINI, La Francia e i Francesi nel secolo XX, Treves, Milano 1913, pag. 333.

    (32) Esemplare, in questo senso, l'episodio Thalamas, in cui dopo un attacco strategico alla Sorbona, il professore radicale denigratore di Giovanna d'Arco viene bastonato mentre Maurice Pujo sale in cattedra dove svolge un ' controcorso' in... onore della santa francese.

    (33) Uno dei primi sintomi di questa 'decadenza' è l'accettazione da parte dell’Action Française del gioco parlamentare, con l'appoggio al Bloc National conservatore del 1919. "Si vide allora, è Louis Dimier, allontanatosi proprio in quegli anni, a ricordare "quello che non si era mai visto": l'Action Française piegarsi davanti alle circostanze invece di fronteggiarle e di dominarle". Cfr. L. DIMIER, Vingt ans d'Action Française, pag. 307.

    (34) Questo aspetto è stato lucidamente avvertito da Jean Madiran: "A la génération des catholiques formés catholiquement, et venus à l’Action Française en vertu d'un ‘compromis pour l'action’, succéda une génération qui avait une formation maurrassienne et n'était plus sensible à ce qu'il pouvait y avoir de ‘choquant’, en tout cas d'inacceptable, pour un chrétien, dans la pensèe de Maurras". Cfr. J. MADIRAN, L'Intégrisme, histoire d'une histoire, Nouvelles Editions Latines, Parigi 1964, pag. 97.

    (38) Cfr. P. ANDREU, op. cit., pag. 43.

    (39) Sui rapporti Action Françajse~Sorel cfr. Actiòn Française 13 agosto 1908 (a proposito della violenza); A.F. 6 gennaio 1910; A.F. 24 marzo 1932 (Georges Sorel et l'Action Française); A.F. 25-27 settembre 1937.

    (40) Su questo aspetto del pensiero controrivolurionario, oltre i volumi del La Tour du Pin citati, cir. A. DE MUN, Ma vocation sociale, Lethielleux, Parigi 1910; C. MAIGNEN, Maurice Maignen et les origines du mouvement social catholique en France, Pacteau, Luson 1927.

    (41) Sarà tuttavia proprio il soreliano Georges Valois a celebrare, in occasione della sua morte, La Tour du Pin, all'Institut d'Action Française rivendicandolo come un grande maestro. "Nessuno, farà eco Elisabeth Bossan de Garagnol, ha meglio condensato il pensiero di La Tour du Pin che Georges Valois". Cfr. E. BOSSAN DE GARAGNOL, Documentation catholique N. 210; vol. 262, note, Parigi 1923.

    (42) Per una corretta impostazione del problema in chiave controrivoluzionaria Cfr. J. OUSSET, Patries, Nationes, Etates. Actes du Congrès de Lausanne 1970.

    (43) Robert Brasillach (1909-1945) riassume significativamente, anche nella tragica fine, il cammino di una parte dei giovani intellettuali francesi dall'Action Française al Fascismo. "Critico letterario di altissimo livello... egli rappresenta, in antitesi a Bernanos, l'altro polo radicale della possibile evoluzione di un allievo di Maurras", cfr. E. NOLTE, Der Faschismus in seiner Epoche, Piper, Munchen 1965, tr. it.: I tre volti del fascismo, Sugar, Milano 1966, pag. 754.

    (44) "J'ai passé ma vie à combattre toutes les métaphysiques, sauf une... Et si je l'ai mise a part ce n'était pas pour vous faire plaisir, à vous catholiques, c'était pour moi". Cfr. H. MASSIS, L'honneur de servir, Plan, Parigi 1937, pag. 97.

    (45) Cfr. M. DE CORTE, La Sagesse de Charles Maurras, in Cahiers Charles Maurras N. 25, 1968. Di M. De Corte su questo punto cfr. anche Graius Homo, in l' Ordre Français, Parigi 1968, pagg. 27-40. Numero speciale dedicato a Maurras.

    (35) Maurras fin dall'Inchiesta aveva sempre definito il La Tour du Pin, come "il mio diretto maestro" (cfr. Inchiesta cit., pag. 173). Sui rapporti Action Française-La Tour du Pin cfr. Action Française 13 maggio 1913; A.F. 8 dicembre 1924 (sur un maitre disparu); A.F. 10 gennaio 1927; A.F. 22 novembre 1927; A.F. 21 e 23 gennaio 1929; A.F. 30 .marzo 1932; A.F.. 14, 15 aprile 1934 (per il centenario della nascita).

    (36) Georges Sorel (1847-1922). Cfr. G. SOREL, Scritti politici: Riflessioni sulla violenza; le illusioni del progresso; la decomposizione del marxismo, a cura di R. Vivarelli, Utet, Torino 1963. Fondamentale, su Sorel, lo studio di PIERRE ANDREU, Notre maitre Sorel, Grasset, Parigi 1953; tr. it. Sorel il nostro maestro, Volpe, Roma 1966.

    (37) Georges VaIois (Alfred Georges Gressent) (1878-1945). L'opera più esauriente su Valois è di F. MAZIERES, L'Oeuvre économique de Georges Valois, Castelnaudery 1937.

    (46) Per quanto riguarda i rapporti Pio X-Maurras, celebre è l'episodio narrato da Camille Bellaigue nel suo Pio X et la France, Nouvelle Librairie Nationale, Parigi 1916. A Bellaigue che, incontrando Pio X, negli ultimi giorni del 1914, chiedeva la benedizione per Maurras Pio X rispondeva: "La Nostra benedizione! Ma tutte le nostre benedizioni, e ditegli che è un bel difensore della fede!" (Il DANSETTE, nella sua Histoire religieuse de la France contemporaine sous la Troisième République, Flammarion, Parigi 1951, riporta difensore "della Chiesa e della Santa Sede" cfr. II, pag. 574).

    (47) Henri Delassus (1836-1921), battagliero direttore della Semaine religieuse de Cambrai, ci ha lasciato diverse opere, tra cui, fondamentale: La Conjuration antichrétienne: le temple maçonnique voulant s'élever sur les ruines de l'Eglise catholique, Desclée et de Brouwer, Parigi 1910, 3 voll.

    (48) Jean-Martial Besse (1861-1920). Storico ed erudito benedettino tenne nel 1909 la cattedra di Sillabo all' Institut d'Action Française. Di lui cfr. Les Religiones laiques, Parigi 1913.

    (49) Umberto Benigni (1862-1934). Ordinato prete nel 1884, dopo un'esperienza nel giornalismo intransigente, aveva organizzato, con l'incoraggiamento di Pio X una vasta rete di informazione antimodernista, rinunziando a una facile carriera ecclesiastica per consacrarsi totalmente alla lotta controrivoluzionaria, il Sodalitium Pianum. Ha lasciato una Storia sociale della Chiesa in 7 volumi, Milano 1907-1933. Sui rapporti tra Pio X e il Sodalitium Pianum importantissima la Disquisitio circa quasdam obiectiones modum agendi Servi Dei respicientes in modernismi debellatione una cum Summario additionali ex officio compilato, Typis polyglottis Vaticanis, 1950, XXXII-303 pp. Cfr. anche R. DULAC, Simple note sur le Sodalitium pianum, La Pensée Catholique, n. 23, 1952.

    (50) Rafael Merry del Val (1865-1930) fu nominato da Pio X Cardinale e Segretario di Stato. Manca su questa figura chiave del pontificato di Pio X un lavoro completo.



    L'action francaise e la Contro-Rivoluzione, del Prof. Roberto de Mattei



    2 - fine
    SADNESS IS REBELLION

 

 

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