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    Predefinito Tony Renis, il "boss"...

    ....di SanRemo


    Non prendete impegni dal 2 al 6 marzo, e scordatevi quella rottura di palle di Otto e mezzo. C’è Tony Renis con il suo 54° Festival di Sanremo, e sarà un successo colossale.
    Leggete i giornali di sinistra, che volevano mettere in scena uno scontro tra la mafia e il figliolo del generale Dalla Chiesa: sono sbalorditi, storditi.
    A Francesco Merlo hanno rifilato informazioni banali da cui non è riuscito a districarsi in tempo, ma il critico musicale di Repubblica (Gino Castaldo) e il cronista del Manifesto (Flaviano De Luca) e quello dell’Unità (Silvia Boschero) sono attoniti, con gli occhi fuori dalle orbite.
    Scrivono tra le righe come i falasifa medievali, per evitare i fulmini dei direttori politici antiberlusconiani, ma si capisce quel che pensano a scorno della tirannia dell’establishment: la chiave essoterica dei pezzi di commento (all’attacco) è che sarà il Festival degli sconosciuti, fortemente osteggiato dai parrucconi del Codacons, ma la morale esoterica dei pezzi pubblicati dai giornali de sinistra (tutti in difesa, anzi apologetici) è che Sanremo sarà fantastico, perché i selezionati sono giovani, sono nuovi, sono di valore, non sono raccomandati (anzi: i raccomandati, se non valgono, tutti a casa), e in più sono beniamini di un paese senza voce, anzi senza ugola, c’è il jazzista, l’alternativo, lo spinellaro vascorossiano, c’è il beniamino segreto del pubblico adolescente, quello che ha sbancato la critica al Club Tenco, il cantautore rifondarolo, e tutti legati a un progetto di vera musica “con orecchio internazionale”.

    E’ il progetto dell’amico di Frank Sinatra, a sua volta amico di Sam Giancana, il cattivo degli incubi che fa il Festival buono e da sogno, che punta sulle canzoni e non sui nomi, che non fa la solita festa mazzettara destinata prima o poi alla procura, che se ne impipa delle case discografiche, che fa precedere la gara dal seminario nell’università di Mogol, in Umbria, nell’ascetica Umbria patria dei santi poveri, alta cultura, altro che Benigni e il Paradiso di Dante.
    Un delirio. Una meraviglia. Uno spiazzamento che fa di Tony Renis il Gramsci del Cav., un nazionalpopolare in bello stile, e cosmopolita, con numeri promessi da Blues Brothers, trasgressione e arte, arte e trasgressione per i palati fini e gli orecchi accordati di chi ama la musica.
    I cronisti culturali della bella stampa rassicurano i direttori-tiranni parlando snobisticamente degli “scognomati” (il Manifesto), dei cantautori poveri che andranno lì a loro spese per la defezione dei ricchi discografici (questo è sull’Unità, il giornale dell’abbiente Verdurin): ma tra le righe, e nelle righe, sono onesti e hanno capito tutto.
    E’ il trionfo di Tony Renis, il duetto degli scognomati con James Brown e Morris Albert e i Gipsy King e Natalie Cole, costruttori di imperi.
    Altro che Gorbaciov, Dulbecco e il salottino buono di Fabio Fazio.

    Con il Cav. e l’amico Tony si canta e si balla.

    Ferrara sul suo Foglio

    saluti

  2. #2
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    Chistu cu è?” Sarà uno scognomato, come dicono dalle parti del Manifesto dove stanno ancora a tirarsela con Bob Dylan e Joan Baez, ma il suo “I molteplici mondi di Giovanni”, uscito due, tre mesi fa, è stato considerato dai critici uno dei migliori album dell’anno scorso, altro che Matia Bazar e Ricchi e Poveri.
    Musica da puzzoni, allora? Non tanto, se è vero che il singolo “Prima di andare via” si è portato a casa anche, al Festivalbar, il premio delle radio: quello che danno, per intenderci, a chi i dischi li vende davvero.
    Lui, Neffa, che poi in famiglia e dagli amici continua a farsi chiamare come mamma l’ha fatto, Giovanni Pellino, è uno che le idee le ha chiare e, senza riprendere la brutta abitudine degli amici degli amici, che grazie all’amico degli amici Tony Renis, direttore artistico del Festival, a Sanremo sembra sparita come i fiori appassiti dell’Ariston, ci permetteremmo di consigliarlo, con rispetto parlando, al ministro dei Beni Culturali Urbani, che di sicuro non aveva letto quell’intervista di qualche anno fa in cui Neffa spiegava: “Fare musica in Italia è una cattiva idea. Oggi, comunque, è sicuramente meglio rispetto a qualche anno fa: allora quando mi chiedevano che lavoro facevo m’imbarazzava dire ‘il musicista’, sembrava come dire ‘faccio il perdigiorno’. In Inghilterra e negli Stati Uniti invece è una cultura vera e propria, come da noi quella del cibo”, e se qualcuno pensa ancora che, solo perché napoletano di Scafati, che poi sta in provincia di Salerno, Neffa sia una specie di Gigi D’Alessio o di Nino D’Angelo sdoganato da Goffredo Fofi, non ha capito niente: qui siamo a metà strada tra un teorico di politica musicale e un esperto di Commercio estero.

    “La vittima è la musica/ l’accusa è di omicidio/ carcere a vita”, cantava Neffa qualche anno fa e quando quelli che ce l’hanno con Tony Renis si ricorderanno della canzone “Carcere a vita”, ricominceranno con la vecchia storia della mafia, il 41 bis e i pentiti, e bisognerà spiegargli che lui era solo arrabbiato perché vedeva “troppi parolai credersi Mogol/ troppe voci senza soul /ma come a Napoli co’ ‘o ‘fridde ‘n guolle’/ chi ha avuto ha avuto”.

    Tra funky e swing, passando al soul e al country, con un
    po’ di pop e di reggae, this is America, e non per niente
    Tony Renis non se l’è lasciato scappare, perché Neffa la
    sceneggiata l’ha sempre lasciata a sua nonna e ai Festival
    prima di Renis. Lui da anni sta studiando da Pino Daniele
    e all’Ariston potrebbe finalmente prendere la laurea, usando
    le percussioni invece della chitarra, con la stessa malinconia
    del mare sollevata però dall’ironia delle onde, “Vorrei scriverti/ forse addio per sempre/ o forse torna presto qui/ E mi chiedo ancora se tu/ resti fuori con la luna/ o ti senti sola se finisce così…”.
    Allora, chistu cu è? Con quella barbetta e quei capelli da studente di Economia, anche se un po’ fuori corso, roba che Riccardo Fogli e Little Tony neanche a settant’anni riusciranno ad averli così a posto, vuoi vedere che perfino tutte le zie Tanine, a Catania, tra due mesi impareranno “Le ore piccole”, la canzone che Neffa porterà a Sanremo?
    Che se poi non vince, perché la concorrenza è spietata, big e giovani tutti insieme, all’americana, senza privilegi e baronie, ognuno si gioca la sua carta e tutti possono diventare i re di Wall Street o di Broadway, se non vince, i dischi, comunque, Neffa li venderà veramente. E se gli resterà tempo libero, tra un tour e l’altro, qualche consiglio al ministro Urbani potrebbe darglielo, perché forse fare musica in Italia, oggi, non è più un’idea così cattiva come qualche anno fa, ma per renderla migliore ci vorranno un paio di Festival con Renis e qualche Neffa in più. E se, invece, tornano Pippo Baudo e Fabio Fazio, Neffa potrebbe cambiar nome, magari basterebbe trasformarsi in Neffa’s, allungarsi i capelli e presentarsi come grande ospite straniero: non se ne accorgerebbe nessuno, né la zia Tanina né gli scognomati del Manifesto.

    saluti

  3. #3
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    Mizzica, dell’antimafia chistu è. Macché amico degli amici: semmai amico di Leoluca Orlando e di Nando Dalla Chiesa è, sì, proprio quello che ce l’aveva con Tony Renis perché era amico di Frank The Voice Sinatra invece che di Frank The Law Borrelli, quello che dall’Antimafia è caduto all’Antifestival con un micidiale anticlimax.
    “Negli Anni Novanta Catania e Palermo hanno avuto un periodo felice, di risveglio, e io ho vissuto questo periodo in prima persona. Mi ricordo le manifestazioni qui a Palermo, quando si scendeva per le strade, si spingeva la gente ad affacciarsi ai balconi e a mettere i lenzuoli bianchi”, altro che lupara, qui di bianco ci sono solo i lenzuoli, ma che minchia di picciotto è ’sto Mario Venuti?
    Certo, siciliano di Siracusa è, a Palermo c’è andato solo in “tunné”, a Catania dice che c’è stato per suonare e cantare con i Denovo, aveva cominciato bene, con una cosca nuova, emergente ma poi se n’è pentito e ne è uscito e si è rifatto una vita nuova: “Ho lasciato il mio vecchio paese/ la gente per strada/ che con un colpo di clacson si saluta/ per venire a stare qui a Milano/ terzo piano, voglio smetterla di fare poesia/ ma sia quel che sia/ Sono un uomo qualunque, un Mario ordinario/ precario, un po’ solitario”.

    Non c’ha padrini, non è amico degli amici, e allora com’è possibile che Tony Renis, uno che preferisce essere amico di Sam Giancana invece che di Sam Shepard, se lo porti a Sanremo? Che razza di amico degli amici è, Tony, se, una volta tanto che aveva trovato un cantante siciliano, se l’è fatto rifilare difettoso, un infiltrato, uno dell’Antimafia?
    Certo, bravo è, Mario Venuti, niente da dire, è una specie di nipotino du u’ zu Ciccio Battiato, è uno che il mestiere l’ha imparato da Carmen Consoli o forse lui l’ha insegnato a lei, nel 1998 cantarono insieme “Mai come ieri” che diventò un tormentone dell’estate, poi Carmen diventò la Consoli e Mario restò solo Venuti, uno che sembrava troppo bravo per diventare famoso, almeno in Italia, per lo meno nella musica, se non
    c’hai padrini, e lui non ne aveva, siciliano ma pochi amici e neppure buoni, neanche bravi a offrirgli un Sanremo che quello non si nega a nessuno, lui niente, c’è voluto Tony Renis per far venire Venuti al Festival, e ora se ne accorgeranno che la vera musica ormai la fanno solo a Catania, altro che l’Emilia con Dalla e Guccini e Morandi, lì dopo Guazzaloca gli è rimasta solo la voglia di farsi i pacchi bomba, now the new music is in Sicily, Catania-Bruccolino via Sanremo, per qualche anno ancora la Rai trasmetterà il festival dei fiori, ma sta già trattando per comprare i diritti di “Tora! Tora!”, il festival della nuova musica che a Catania organizza Manuel Agnelli con il palco messo in piazza Dante, davanti alla chiesa di San Nicolò la Rena.
    Vuoi mettere con gli stucchi di cartone dell’Ariston? Ci aveva perso le speranze, Mario Venuti, cominciava a pensare che non basta fare canzoni come “Veramente”, non serve essere un piccolo Battisti della via Etnea che ha fatto uno stage in Brasile per imparare i ritmi tropicalia, “Sembrava impossibile potesse capitarmi/ Invece mi è successo veramente”, sembrava impossibile a lui e gli è capitato, sembrava impossibile a tutti, da Nando Dalla Chiesa ai cronisti di giudiziaria dell’Unità, impossibile che uno dell’Antimafia arrivasse a Sanremo proprio nell’anno in cui organizza Tony Renis ed è successo veramente, ma non sarà che forse è un falso pentito, uno ingaggiato apposta per spargere veleni dall’Ariston, ricordatevi che una volta cantava “Dovresti imparare a mentire un po’ più spesso (…)
    Il cielo grida il tuo nome”, mizzica mizzica, il corvo in tunné è andato, da Palermo a Sanremo. Ma se in Riviera non vincerà, Mario Venuti se ne fotterà, perché siciliano di Siracusa sarà, ma qualche libro di Brancati letto avrà, e ha imparato che “essere felici/ per una vita intera/ sarebbe quasi insopportabile”.

    Angelo Ascoli su il Foglio

    saluti

  4. #4
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    Tony Renis funziona? Per forza ce l'ho messo lì io...
    Tony Renis affonda il Festival? Mediaset vince anche la battaglia di Sanremo

    Comunque vada, sarà un successo!


    Quando quando

    Dimmi quando te ne andrai
    dimmi quando quando quando
    l'anno il giorno e l'ora in cui
    forse tu mi lascerai

    Ogni istante attenderò
    fino a quando quando quando
    d'improvviso ti vedrò
    sorridente via da me

    Se vuoi dirmi di sì
    devi dirlo perchè
    non ha senso per me
    la mia vita insieme te

    Dimmi quando te ne andrai
    dimmi quando quando quando
    e baciandomi dirai
    non ci rivedremo mai

    Se vuoi dirmi di sì
    devi dirlo perchè
    non ha senso per me
    la mia vita insieme te

    Dimmi quando te ne andrai
    dimmi quando quando quando
    e baciandomi dirai
    non ci rivederemo mai


  5. #5
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    Predefinito Re: Tony Renis, il "boss"...

    In origine postato da mustang
    ....di SanRemo


    Non prendete impegni dal 2 al 6 marzo, e scordatevi quella rottura di palle di Otto e mezzo. C’è Tony Renis con il suo 54° Festival di Sanremo, e sarà un successo colossale. Ferrara sul suo Foglio

    saluti
    ESCLUSIVO * L'86% del pubblico non gradisce il cast di Sanremo 2004

    Mentre i 22 cantanti reclutati per il Festival vanno in "ritiro" al Cet di Mogol, un sondaggio di VipLine.it rivela che la netta maggioranza degli italiani è insoddisfatto di questa formazione


    Per due giorni, subito dopo la comunicazione - da parte dell'organizzatore Tony Renis (foto) e della commissione selezionatrice Rai - dei nomi dei partecipanti al prossimo Festival di Sanremo, abbiamo chiesto agli utenti di VipLine.it: "Il cast del prossimo Sanremo è adeguato al livello della manifestazione?"
    L'86% degli italiani che hanno risposto al nostro sondaggio on-line (130 persone a campione casuale), ha decretato che quei nomi non sono adatti alla kermesse. Soltanto il 13% dei votanti si dice soddisfatto. Una percentule di gradimento davvero molto bassa e quindi un notevole "capitale" di sfiducia e insoddisfazione. La strada degli organizzatori di Sanremo 2004 (al via ai primi di marzo, per la conduzione di Simona Ventura) è tutta in salita.
    Intanto il gruppo dei selezionati è partito per una sorta di "ritiro" pre-gara all'interno del Cet, il Centro Europeo di Toscolano diretto dal paroliere Mogol.

    Fabio Leccioli
    09/01/2004

    http://www.vipline.it/index.php?stat...ews&idnews=269

  6. #6
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    Ora, prendete la nostra povera zia Tanina, che vive a Catania ed è invecchiata ad Al Bano e a Mino Reitano e che si era decisa, dopo tanti anni, a cercarsi un posto in platea per la finalissima, anche perché stavolta organizza Tony Renis, e aveva letto da qualche parte che è uno amico degli amici, e poi lei se lo ricorda ancora che mezzo secolo fa si era fidanzata con lo zio Mario ballando quando quando quando; una garanzia, insomma. Prendete la povera zia Tanina: quando sentirà “Ladro di te” le verrà un coccolone, e che gliene frega a lei se Er Piotta quattro anni fa era il personaggio dell’anno, fece persino un film, Il segreto del giaguaro , e figuratevi se lo sa che all’epoca Sky tv Japan, stiamo parlando di giapponesi mica di albanesi, la vollero come colonna sonora del loro campionato di calcio, roba seria, ci giocava pure Totò Schillaci, forse gliela aveva consigliata lui, e siccome a Tokio fanno le cose serie da Er Piotta comprarono in yen tutti i diritti, compresi quelli del videoclip e lui, a scanso di equivoci, firmò Tommaso Zanella, il nome che gli hanno dato suo padre e sua madre, non certo quello che usa per fare il cafone.

    Che poi, quella di cafone è più che altro una fama che Er Piotta si porta dietro. Come quella, di tuttaltro genere, che c’ha Marco Masini.
    Fama bugiarda come gran parte delle fame, perché altro che menagramo, Masini è uno incazzato nero, uno che cantava
    “Vaffanculo” e ci mandava tutti quelli che gli impedivano di fare il cantante vero e, per quelle che non avessero capito il tipo, aggiungeva “Brutta stronza”, e fermiamoci qui se no la zia Tanina cambia canale prima di cominciare.
    In realtà, il rischio è questo: che, dal 2 al 6 marzo, lo zoccolo duro di Sanremo vada a galoppare su altre reti. A cominciare da Fabrizio Del Noce e tutti i padrini di RaiUno che pure quando gli avevano proposto Tony Renis avevano tirato un sospiro di sollievo: dopo anni di rivoluzionari bolscevichi come Fabio Fazio e Pippo Baudo, che avevano scelto cantanti sconosciuti e destabilizzanti come Gianni Morandi, uno che era comunista quando ancora c’era Togliatti, e va bene che lo scorso anno si era arrivati alla par condicio richiamando alle armi il granatiere Iva Zanicchi, ma era più un contentino alla maggioranza che altro, dopo anni di comunismo canoro, finalmente ci si aspettava una bella restaurazione, una Prima Repubblica della canzone italiana, ma che dire, un Secondo Impero, a Saxa Rubra c’era chi sognava che Tony Renis riuscisse a convincere persino Nilla Pizzi, erano già pronti i coccodrilli, pardon le biografie di Wilma De Angelis e Jimmy Fontana, gente seria, non come quel Mino Reitano che, ripescato dopo anni di esilio, aveva osato farsi scrivere la canzone da Pasquale Panella.

    E che la controrivoluzione potesse essere una cosa seria, che le nuove Brc,le Brigate rosse canore fosse davvero spaventate e pronte a usare ogni mezzo per impedirla, si era capito vedendo che cosa era capitato a Tony Renis, appena nominato direttore artistico del Festival, doveva ancora smaltire il fuso orario tra Brooklyn e Sanremo, che già si era tirato addosso la vecchia storia dei suoi amici mafiosi, come al solito due pesi e due misure, perché se ti chiami Kennedy, c’hai i soldi e sei nato in America, te ne freghi, ti porti a letto Marilyn Monroe, diventi presidente degli Stati Uniti e puoi perfino far guerra al Vietnam, se sei Tony Renis, sei italiano, ti guadagni la pagnotta da una vita e per giunta dicono che sei amico neanche di Joe Bonanno, ma addirittura di Silvio Berlusconi, e con il Cavaliere ci hai anche duettato al pianoforte, devi metterti anche a spiegare ogni volta chi come e quando, che neppure Andreotti con i cugini Salvo.

    Per fortuna Renis ha frequentato più New York che Militello val di Catania: “Ho avuto un gran maestro, Frank Sinatra, che un giorno mi disse: non ti fare mai vedere, ma devi essere abile a far parlare di te, se no sei un uomo morto”, e se questo consiglio il vecchio Frank l’avesse dato a Pippo Baudo oggi ci sarebbe ancora lui a dirigere la baracca invece di essere costretto a celebrare i cinquant’anni di televisione. Insomma, per le Brc la certezza, più che il rischio, era che all’Ariston invece delle sgolate contadine di Al Bano, delle filastrocche rivoluzionarie dei Ricchi e Poveri, che predicano la lotta di classe già con il solo nome, delle preghiere di Amedeo Minghi che sarà pure amico del Papa ma ormai i no global sono tutti cattolici, invece della sana vecchia canzone italiana, quella che da cinquant’anni tiene in piedi il paese, altro che il cattocomunismo e il compromesso storico, si cantassero gli stornelli della mafia di Broccolino.

    La mafia canta a Sanremo, ecco il titolo che tutti i quotidiani erano pronti a sparare appena fosse uscita la lista dei partecipanti, e inutile spiegargli che la mafia tutto può fare fuorché cantare, che questo è un ossimoro dei più inviolabili.
    Niente. Invece cosa ti combina il Renis, l’amico di tutti i Frank, quelli con theVoice e, forse, anche quelli con sole tre dita?
    Ti spara, tanto per restare in argomento, una lista che perfino i veri mammasantissima di Sanremo, i Mario Luzzatto Fegiz del Corriere e i Gino Castaldo di Repubblica, devono togliersi la coppola, e se Giorgio Faletti, invece di far il bestsellerista, facesse ancora il cantante direbbe: “Minchia, signor Renis”.
    Intanto, tranne Er Piotta, Masini e Adriano Pappalardo, gli altri non liconosce quasi nessuno: André, Linda, Veruska, Danny Losito, Mario Mario Rosini, Simone, sono nomi che costringono i mammasantissima a scrivere “poco si sa” e “buio assoluto”, e questo vuol dire che non hanno nessun padrino alle spalle, neanche un capostruttura della Rai.
    Poi, magari su Danny Losito si potrebbe sospettare una parentela bruccoliniana, ma di fronte a Db Boulevard a Veruska neppure Tommaso Buscetta potrebbe dire nulla.
    Neppure su Massimo Modugno, che sarà anche della famiglia dei Modugno, quella fondata dal grande Mimmo, ma morto il capostipite sembra ormai una cosca perdente.
    E, soprattutto, qui si corre il rischio che ci sia davvero musica. Forse, addirittura, bella, giovane e nuova. Ma di sicuro musica.

    E, dopo decenni di canzonette, non è poco.
    Prendiamo Omar Pedrini, uno dei meno sconosciuti: qui siamo al revival del rock anni 70, roba tosta, altro che Riccardo Fogli e Gigi D’Alessio. Qui siamo a uno che avrà pure preso il posto di Francesco Renga nei Timoria, ma ha anche fatto l’attore in “Un Aldo qualunque”, un lungometraggio che al Corriere e a Repubblica i colleghi di Luzzatto Fegiz e Castaldo hanno apprezzato, e Pedrini era don Luigi, un sacerdote che confessava tenendo in mano il cd di “Zuma” di Neil Young, non la raccolta completa delle canzoni di Orietta Berti.
    Oppure prendiamo Neffa: “cu è chistu?”, dirà la zia Tanina. Chistu, spiega Marco Parano, uno che, come milioni di giovani italiani, ogni volta che a casa sua vedevano Sanremo se ne andava nella sua stanza ad ascoltare gli U2, è uno che sta facendo la tesi in Filosofia sulla comunicabilità del linguaggio
    musicale, chistu fa musica tra funk e Pino Daniele, con raffinati giri di basso e batteria molto ritmata.

    E Mario Venuti? Qui siamo in pieno rinascimento catanese che neanche ai bei tempi di Enzo Bianco o della Napoli di Antonio Bassolino, qui siamo a metà tra Carmen Consoli e i Denovo, e magari, a Tony Renis, Mario Venuti glielo avrà fatto conoscere un picciotto di Nitto Santapaola, ma chissenefrega, è uno che può benissimo dare del tu a Franco Battiato.
    E poi, ci sono Paolo Meneguzzi che farà pure roba commerciale, pop all’italiana, e “Guardami negli occhi” è tutto un programma, ma è new commercial, non Anna Oxa e i Pooh.
    E c’è Dj Francesco, che, a proposito dei Pooh, sarà pure il figlio di Roby Facchinetti, però è anche figlio prediletto dell’hit parade di quest’anno, e comunque Facchinetti non è siciliano, e “La Canzone del capitano” forse l’ha sentita anche la zia Tanina.
    E poi ci sono i Db Boulevard che li conoscono tutti quelli che vanno in discoteca, e sono un po’ di più di quelli che comprano i cd dei Matia Bazar; e poi c’è Morris Albert, che sarà pure straniero ma non è un killer ingaggiato da oltreoceano per far fuori Prodi ma quello che, tempo fa, cantava “Feelings”, e poi, e poi, e poi Tony Renis sembra che, con rispetto parlando e baciando le mani, gliela abbia messa in culo a tutti, in particolare a quelli che a Sanremo, mafia o no, non ci andrebbero neppure se gli assicurassero la vittoria, la vera musica italiana è questa, signora mia.
    Certo, c’è anche una spruzzata di Adriano Pappalardo, ma quello era un passaggio obbligato, di questi tempi è una sorta di re Mida della tv, l’unico personaggio dell’anno, per di più ai suoi tempi era anche un signor cantante, alzi la mano destra chi non ricorda
    “Ricominciamo” e alzi quella sinistra chi rammenta il titolo di una canzone di Amedeo Minghi, e se l’umidità dell’Isola dei famosi non gli ha rovinato la voce e se “Nessun consiglio” è scritta come si deve, il guerriero, con la fame arretrata che ha, se li mangia tutti alla prima serata.

    Metà bruccolino e metà neocon
    All’americana, metà bruccoliniano e metà neocon, dopo valanghe di false soffiate e di veleni che neanche al tribunale di Palermo ai tempi d’oro, in poche settimane “abbiamo scremato velocemente la porcheria, e quella la capisci dalle prima note, almeno per gente come noi” (Renis), che saranno anche quei bravi ragazzi ma un Sinatra da un Reitano sanno distinguerlo, Tony Renis ha
    “destabilizzato” tutti i mammasantissima del Festival: “Qui si rifà
    Sanremo o si muore”, e se si muore, è meglio morire con un colpo di lupara in fronte che asfissiati da decenni di canzonette.
    E’ meglio morire con l’onore delle armi delle Brc, quelle che si aspettavano di sparare su Nilla Pizzi e il figlio mafioso e stonato di Frank Sinatra e che adesso non sanno su quale bersaglio puntare: perché se colpiscono Tony Renis, ammazzano con lui l’ultimo e unico vero tentativo di rivoluzionare il Festival.
    E se non cercano di ucciderlo, dovranno ammettere che, in Italia, la rivoluzione la sanno fare soltanto gli amici di Frank the Voice e Frank tre dita.
    Oppure, tertium datur, dovrebbero riconoscere che non tutti gli amici di Frank sono amici degli amici: e questo sarebbe come tirarsi un colpo di lupara in bocca.
    Sarà un Festival di sangue e musica. Come neanche don Vito avrebbe potuto regalare a sua figlia.

    Angelo Ascoli su il Foglio

    saluti

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    Roma.
    “A Mantova la qualità, la sobrietà e la generosità, la cultura e l’impegno; a Sanremo i fasti dell’apparenza e dello sfarzo, gli affari locali illegali e la mediocrità spettacolarizzata”.

    A Mantova Nando Dalla Chiesa, Fulvio Scaparro e Lidia Ravera, a Sanremo Tony Renis, Neffa e er Piotta.
    A Mantova una simbolica protesta civile contro l’amico di John Gambino, a Sanremo lo swing rifondarolo a braccetto coi Gipsy Kings e James Brown.

    Quindi se ci si sente giovani, spinellari, ribelli e sconosciuti, converrà starsene sul divano con la birra in mano a guardare non l’Anti ma il Festival, perché a Mantova promettono di fare due palle così, coi film, i dibattiti, i seminari sul monopolio televisivo e sulle connivenze della direzione artistica con boss mafiosi. Cercando in piazza anche “la svolta nella storia della musica”, e “sul piano del costume una specie di Woodstock nell’Italia di Berlusconi”.
    Con Teresa De Sio ed Eugenio Finardi, che tanto ribelli giustamente non sono più.
    E Nada, Paola Turci e Max Gazzè e le loro brave case discografiche che “pur augurando tutto il bene possibile alle iniziative a favore della musica”, fanno sapere che non c’è alcuna trattativa in corso con il Controfestival, perché i tre hanno cose più importanti a cui pensare, ovvero i loro dischi ribelli da promuovere.
    E comunque adesso Nando Dalla Chiesa, senatore della Margherita e sociologo, non ci tiene più per niente a fare i paragoni tra Sanremo e il suo Antifestival di Sanremo.
    Adesso che Tony Renis ha strabiliato un po’ tutti, raccontando di uno scandaloso Festival scognomato, ancora più scandaloso e scognomato del “clamoroso progetto contro il pensiero dominante” di Dalla Chiesa e Ravera, il senatore dice:

    “Mantova è tutt’un’altra cosa, non c’entra niente, la nostra sarà una città invasa dalla musica, e poi di cantanti non voglio parlare, non sono mica Pippo Baudo”.

    Ma dice che sì, Bungaro è bravo ed è anche suo amico. Continua a contestare “eticamente e civilmente che la direzione artistica sia stata affidata a uno che se ne va in giro impettito e orgoglioso di amicizie con esponenti sanguinari di un clan mafioso”. Però si capisce che un poco invidia quella che, ammette, “è stata una scelta coraggiosa”, perché questo Festival si preannuncia parecchio più Anti di tutti gli Antifestival, c’è anche una canzone con la storia di un kamikaze che decide di non farsi esplodere, Neffa pochi anni fa si chiamava “Neffa e i messaggeri della dopa” e dj Francesco ha spopolato tra i ragazzini con Capitan Uncino (che la ballava anche Costanzo in tivù), allora Dalla Chiesa insinua che “forse Renis avrebbe fatto scelte diverse, se avesse potuto, perché per mesi hanno cercato altra gente, poi in fretta e furia ha rimediato, quella dei giovani probabilmente è l’ultima spiaggia”.

    Ma i raccomandati e i bolliti per una volta sono stati fatti fuori, e quest’anno a Sanremo niente più Anne Oxe, e neanche Al Bano, ci vanno cantautori poveri a proprie spese e in autostop, con lo spinello e l’aria sfatta. Come a Mantova, più che a Mantova.

    “Perché ci hanno imitato – dice Dalla Chiesa –noi l’avevamo detto prima, parecchi mesi fa, e comunque non c’è contrapposizione, sono due cose diversissime, la nostra è anche una protesta civile contro Fabrizio Del Noce”.

    Adesso che Tony Renis finalmente si è sbottonato, però, Dalla Chiesa non dice più che “l’Antifestival sfida Sanremo (e la Rai) sulla possibilità di avere successo, di lasciare un’impronta nei tempi, rifiutando tutte le convenzioni”.
    La rivoluzione purtroppo gliel’ha soffiata Tony sul tempo.

    saluti

  8. #8
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    Ma, 'sto Angelo Ascoli chi sarebbe; Angiolino di Centro da Ascoli?

    La (si fa per dire) logica stringente sembra la stessa.

    Ma passiamo a cose serie.

    Il Padrino di Tony Renis
    di Nando Dalla Chiesa

    Joe Adonis, chi era costui? Leggetela bene questa storia, tratta integralmente da documenti ufficiali. Perché è un uovo di Pasqua con la classica sorpresa. E con tanto di morale, umoristica e istruttiva insieme, che riguarda fatti e personaggi dei nostri tempi. Joe Adonis, dunque. Gli storici della mafia sanno bene chi fosse. Ma anche a loro una «rinfrescata» farà bene. Parliamo di uno dei più famosi boss di tutto il Novecento. Che vantò una rarità per così dire anagrafica: quella di giungere ai vertici delle cosche siculo-americane pur essendo originario della provincia di Avellino; da cui, agli inizi del secolo, partì bambino per gli Stati Uniti con il nome di Giuseppe Doto. Di lui si occuparono a lungo sia la commissione d’inchiesta Kefauver del Senato americano sia la commissione Antimafia del Parlamento italiano nella sesta legislatura (1972-’76).
    Risultava essere uno dei giovani boss emergenti al secondo convegno tenuto dalla vecchia Mano Nera a Cleveland nel 1928; e uno dei fondatori ad Atlantic City, insieme con Frank Costello e Al Capone, della futura Cosa Nostra americana. Risultava anche essere stato l'ideatore e l'organizzatore della micidiale “murderers incorporated”, ossia della anonima assassini che dal 1929 funzionò come agenzia di reclutamento di killer in tutto il mondo, invenzione strategica delle famiglie siciliane d'oltreatlantico per commettere delitti senza incappare nelle indagini delle polizie statali. Dicevano i rapporti investigativi che egli giunse all'apice del potere quando, sempre negli Stati Uniti, venne creato il cosiddetto sindacato del crimine, con l'obiettivo di mettere ordine tra le bande rivali e di spartire le zone di influenza. E che di tale sindacato egli curava le relazioni esterne: giudici, poliziotti, politici, uomini d'affari, professionisti. Efficacissimo. Al punto che il senatore Kefauver lo definì “uno degli esempi più clamorosi della collusione fra gangsterismo e grande industria”.
    Ebbene, nel '56 Joe Adonis sbarcò definitivamente in Italia. Il progetto? Gestire, in coppia con Frank Garofalo, e per conto di Cosa nostra americana, il passaggio della vecchia mafia siciliana alle attività che già in America si erano dimostrate più fruttuose, a partire dal traffico degli stupefacenti. In contatto con le cosche isolane, Adonis - dopo un periodo trascorso nel Lazio e in Val d'Aosta - si impiantò stabilmente a Milano. Scriveva la commissione antimafia, nella sua relazione di maggioranza: “Il nuovo impero dell'organizzazione almeno fino agli inizi degli anni '70 ruoterà attorno a Joe Adonis che sarà l'epicentro di una rete organizzativa del contrabbando con ramificazioni in tutti i paesi europei”. Distinto, elegante, amante della bella vita e dei locali notturni, Joe Adonis prese casa nel centro di Milano, in via Albricci. E qui intrecciò alle molte attività illegali la compravendita di immobili e costruzioni nonché la gestione di una catena di supermercati. Di fronte a tanto allarmante attivismo, le autorità di polizia, prima distratte, si svegliarono e moltiplicarono i controlli, sfociati in una richiesta di soggiorno obbligato. Scriveva ancora in proposito la commissione antimafia: “Le indagini serrate ed attente condotte tra il 1970 e il 1971 rivelano come Adonis sia ancora un capo e che la scelta di Milano come sua residenza è stata determinata da precise esigenze strategiche: la direzione internazionale di preziosi, soprattutto brillanti, con ramificazioni in Francia ed in Svizzera ed il coordinamento del contrabbando di stupefacenti verso il nord-Europa”.
    Tutto chiaro? Bene, perché ora arriva la sorpresa. Una sorpresa - ci credereste? - di nome Tony Renis. Sentite bene e non ridete. Sulla bobina delle intercettazioni telefoniche del 19 e 20 febbraio del 1971, attesta il rapporto del questore di Milano, viene registrata la telefonata “del noto cantante Tony Renis”, il quale “avendo saputo che una troupe cinematografica americana era in cerca di attori per il film tratto dal romanzo Il padrino, chiese al Doto (ndr: ossia Joe Adonis) di pregare il regista del film, Francis Ford Coppola, affinché gli affidasse una parte, anche se secondaria, essendo già il ruolo principale coperto da Marlon Brando”. Confessiamolo. È semplicemente grandioso. Grandioso che Tony Renis ambisse a recitare nel “Padrino”. Ma grandioso (e spassoso) anche pensare che, se fosse stato per lui, avremmo perfino potuto avere il “Padrino” con Tony Renis al posto di Marlon Brando! Grandioso anche che per soddisfare questo suo desiderio Tony Renis si sia rivolto a Joe Adonis, ossia che abbia ritenuto che la cosa più naturale da fare, per recitare nel “Padrino”, fosse di farsi raccomandare da un padrino in carne e ossa. Attenzione infatti. Il “noto cantante” non giunse ad Adonis involontariamente, attraverso intermediari del mondo dello spettacolo. No, gli telefonò direttamente: a lui, uno dei capi supremi di Cosa nostra; a lui, organizzatore dell'anonima assassini. Aveva consuetudine con Joe, aveva il suo numero di telefono (proprio come ogni giovanotto milanese di belle speranze), e gli telefonò. Volete sapere come andò a finire? Qualche giorno dopo Tony Renis telefonò ancora a Joe Adonis e lo ringraziò. Gli disse che “Sam” aveva “fatto tutto”. Chi era “Sam”? Curiosità legittima. Era Samuel Lewin, altro esponente di rango della malavita organizzata, allevatore di cavalli nel New Jersey, mandato apposta in Italia a contattare Adonis da Thomas Eboli, vicecapo di Cosa Nostra in America. Sì, deduzione esatta: Tony Renis era in contatto autonomo pure con “Sam”, anche se questi era arrivato in Italia appena da poche settimane. Purtroppo il sogno del film non si avverò. Forse perché alla fine del '71 Joe Adonis, da poco spedito al soggiorno obbligato, morì di infarto. O forse - è solo un'ipotesi - perché Francis Ford Coppola non ritenne Tony Renis all'altezza nemmeno di una parte secondaria. O per altro ancora.
    Di fronte a questa storia-con-sorpresa conosciamo l'obiezione difensiva. Ossia che nel mondo dello spettacolo sia consuetudine non andare troppo per il sottile nelle frequentazioni, specie se c'è di mezzo la carriera. Sicché è meglio aggiungere, per chiarezza del lettore, qualche piccolo dettaglio. E raccontare che il boss effettivamente si dava da fare nel mondo dello spettacolo. Tanto che si mosse su richiesta di Antonio Maimone (implicato in un traffico di preziosi e intenzionato a portare in Italia Frank Sinatra) affinché il maestro Augusto Martelli accettasse di organizzare un festival al quale fare intervenire Mina. Ma non ebbe successo. Evidentemente Mina, al contrario di Tony Renis, non teneva a certe amicizie. Il bello però è che l'idea di arrivare a Mina attraverso il Padrino nasceva dall'ambizione di organizzare, state a sentire, un contro-festival in competizione con quello di Sanremo. Al festival di Sanremo doveva essere inflitto uno smacco; forse (così si arguisce da una intercettazione) perché non aveva spalancato le sue porte agli amici di Joe Adonis.
    Ed ecco qui la morale umoristica e istruttiva. Oggi l'amico di Joe Adonis è diventato direttore artistico di Sanremo. Per riuscirci non ha dovuto fare alcuna telefonata. Tutto gratis. Gli è bastato passare l'estate al fianco del capo del governo e chiedere a lui direttamente l'ambito posto, in nome di una lunga amicizia. Trent'anni dopo, insomma, il controfestival non lo devono più fare gli amici di Joe Adonis, visto che nel frattempo si sono impadroniti di Sanremo. Lo devono fare, però, artisti e imprenditori e creativi e letterati che vogliano difendere le tradizioni (anche quelle diventate un po' sgangherate) del paese. L'ho proposto il mese scorso su questo giornale. Ora (con riserbo assoluto sul resto) posso anticiparlo: il controfestival si farà. Musica, parole, satira, cultura. C'è chi ci crede, c'è chi ne coglie il senso di simbolica rivolta civile. E oltre a denunciare l'indecenza dei costumi vuole seppellire questo circo assurdo sotto una grande, intelligente, implacabile risata.

  9. #9
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    A me m’ha rovinato er festival”, potrebbe dire Er Piotta incazzato come nun Parsifal, er festival come “ a guera” di Petrolini, Er Piotta come er figlioccio dei diessini.
    Dove er festival era quello dell’Unità, non questo di Sanremo dei trallallà, quanno ancora da Antonio Gramsci era fondata, prima che da sor Furio Colombo fosse sfonnata.
    Eravamo ner ’99, nell’antro secolo, er Piotta cantava
    “Supercafone”, e non potendo più fare a’ rivoluzione, dopo n’attenta riflessione, du’ dibattiti, na serie di parpiti, a decisione a prese Varter Vertroni, disse nun fate er minchioni, se volemo batter Berlusconi, Er Piotta dovemo tenerci tra i cojoni.
    E così, quatti quatti, chiamaro il re dei coatti, glie fecero cantare e rappare le sue canzoni monnezzare, e nun paio de frasi gaiarde glie permisero de sparare: “Nun th’ho visto, t’ho vissuto”, e qui tutti i diessini han goduto; “A femmina, li sordi e la mortazza”, e rise persino D’Alema, ummorista di razza.

    Nun l’avesse mai fatto, sto povero coatto: s’era appena concluso er festival, quello dell’Unità non quello dei trallalà, e vabbé che non c’era più l’impero der Mal, però qualche influsso doveva esser rimasto, fatto sta che nun ritrovò più er suo fasto, e da allora in poi Er Piotta in fede Tommaso Zanello, de sora fortuna si trasformò in zimbello.
    Per capi’ l’influsso basti pensare che il film che si mise a fare o’ chiamò “Er segreto del giaguaro” e già dar titolo era monnezzaro, ma lui dopo gli applausi der festival s’era convinto che persino un Oscar avrebbe vinto, e invece se ritrovò a far na pippata piena di truciderie e sfracelli che neanche a mettere insieme Bellocchio, Moretti e Citto Maselli.
    Certo, è pur vero che arrivaro i giapponesi e glie compraro diritti e arnesi der suo “Supercafone” per farne un siglone del loro campionato de carcio che però era un po’ marcio, perché nun c’iavendo Totti e qualche antro campione se accontentavano di Schillaci e di qualche bidone, e per sua fortuna Er Piotta si fece nun carico de yenne con cui se consolò der silenzio che rinvenne intorno alla sua coda di cavallo sgarrupata e ai suoi bermuda con la tasca tutta sfilacciata.
    Che poi non per consolazione perché non è invidioso er Supercafone, e forse nonostante gli fumassero gli scatoloni er suo voto per Roma può aver dato a Vertroni, ma anche i compagni pischelli si fecero prendere per i fondelli nonostante tutti assieme come fratelli si fossero nascosti dietro Rutelli, e mentre er monno se dimenticava delle sue canzoni, i diessini si facevano fottere le elezioni, ed è vero che per Er Piotta finita l’estate iniziava l’inverno, ma intanto sotto er baffo a D’Alema glie sfilavano er governo.

    Vedrai che “dibbattito”
    Son passati cinque anni e un secolo, e oggi chi sta a sinistra dice: “Trasecolo!”. Perché che cosa Tony Renis ti va a sperimentare se non Er Piotta dar fonno da a’ bottiglia richiamare? E mentre er monno s’aspettava Mino Reitano e Anna Oxa, don Tony senza neanche chiedere alla Doxa, ti presenta Er Piotta e la sua canzone e cor coatto a Sanremo fa ’a rivoluzione. Perché hai voglia di dire questo è pazzo di musica nun capisce un emerito cazzo, Tony Renis che verrà pure da Bruccolino ma non è sicuramente un pasquino, di Hermann Broch ha letto “Il Kitsch” e lo ha elaborato alla luce di Nietzsche, e dove quello scrive: “In arte è il Kitsch a rappresentare il Male” lui legge: “Er Piotta è al di là del bene e del male”, e quando l’austriaco sostiene che nell’epoca moderna, per non morire, l’arte se deve rassegnà a divertire, e anche se appare riprovevole:“Getti sulla miseria e gli orrori un velo ingannevole”, l’italoamericano tra n’audizione e un caffè se lascia incantà da “Ladro di te”, che poi è proprio questa la canzone, con cui Er Piotta all’Ariston farà la tenzone.

    Vedrete a sinistra che sorta di dibbattito scatenerà: si chiederanno se questo inno coatto converrà lasciarlo dalle parti della destra oppure, chinando di nuovo la testa, sarà meglio metterlo nelle mani di Veltroni, e sperando di non far di nuovo la figura dei minchioni fregare le europee e la sedia a Berlusconi? Compagni, all’erta, qui se rischia n’artra botta, se non se mette in lista Er Piotta.

    Angelo Ascoli su il Foglio di martedì 13 gennaio 2004

    saluti

 

 

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