Bell'articolo tratto dall'ultimo numero de Il Domenicale.
Nonostante alcune imprecisioni (l'autore sostiene la falsa tesi dell'homo oeconomicus e poi cita Hayek ) la sostanza è innegabile: sarà anche un regime, però...

OMBRE ROSSE SULLA MONDADORI

Gli scrittori e gli intellettuali più critici verso Berlusconi pubblicano i loro libri per i gruppo editoriale di Segrate. Gridano contro il “regime”, ma sono pagati dal regime”. Un’ipocrisia tutta italiana che perpetua l’egemonia culturale della Sinistra

di Angelo Crespi

La cultura italiana del secondo Novecento è stata teatro di un noiosissimo bipolarismo ideologico. Da una parte i chierici del comunismo, organici e ideologizzati, engagé e spesso sopravvalutati, dall’altra le schiere versicolori dei pensatori liberali, cattolici, post-fascisti, conservatori, tradizionalisti. Per una serie nefanda di eventi storico-politici (la spartizione di Yalta, la guerra fredda, il disinteresse della Dc per “il culturame”, le rivoluzioni giovanili del Sessantotto…), che qui non si vuole analizzare per l’ennesima volta, gli intellettuali comunisti e poi di Sinistra hanno assunto un potere pressoché totale nella cultura italiana: scuola, università, case editrici, giornali e giù giù fino alla musica e alla canzonetta.
Ovviamente sarebbe necessario un tomo intero per analizzare come ciò sia avvenuto: quanto si debba ascrivere alla forza persuasiva dello sbandierato progetto gramsciano di una via culturale alla rivoluzione, quanto alla capacità del Pci di occupare metodicamente posti e di ottenere prebende, quanto infine alla reale partecipazione fideistica dei pensatori all’ideale comunista. Per ogni regime – perché di regime culturale si è trattato coi suoi fasti, le fanfare, le celebrazioni, perfino le epurazioni – ci sarebbe poi da considerare l’adesione “per quieto vivere” dei più mediocri, la persuasione del denaro e il successo che un sistema può offrire ai propri sostenitori, perfino l’incapacità degli “altri” di opporsi a un così diabolico istituto.
I risultati di cinquant’anni di regime culturale sono evidenti. Dal punto di vista della produzione rimane poco, come se l’ideologizzazione forzata, preferire cioè la parte alla verità, avesse cortocircuitato anche le menti più brillanti: una letteratura mediocre, un dibattito culturale tautologico, un provincialismo assoluto, l’incapacità di affrontare il moderno, sono i resti più evidenti di un regime che non ha neppure la forza di dichiararsi regime, assumendosi le proprie responsabilità. Non è un caso che oggi nel mondo vengano considerati veri capisaldi del Novecento scrittori, filosofi, economisti quasi tutti non proveniente dalla Sinistra. E anche in Italia, Calvino già sbiadisce, Moravia è sempre meno appropriabile, latita ormai la smisurata letteratura resistenziale, il dimenticatoio ha inghiottito quasi tutti coloro che sembrarono giganti. Mentre per trovare il meglio bisogna rivolgersi a quelle figure eretiche, esiliate, controcorrente, individualiste o anarchiche che dall’interno o dall’esterno contrastarono la vulgata: da Pasolini a Morselli, passando per Guareschi e Dante Virgili.
Il potere di questo regime culturale, che latamente può definirsi post-comunista, è scemato via via in quanto capacità impositiva, partecipando dell’indebolimento e poi dello sgretolamento politico del comunismo come ideologia politica. Ma si è mantenuto, trasformandosi, come potere mediatico e simbolico, come residuale collante aggregativo di una serie di persone e istituzioni ancora ben presenti sulla scena culturale e politica del nostro Paese. Potere simbolico anche oggi in grado di funzionare e indirizzare il pensiero, potere che si autoperpetua nei media sfruttando il controllo ancora forte sulla lingua e sulle parole.
Due esempi sono sufficienti: l’avere imposto il nome di regime a una normale alternanza politica, o meglio, a qualsiasi ipotesi di governo che non sia espressione di quel residuale potere simbolico (cioè la sinistra); l’aver accreditato l’esistenza di una categoria dell’essere che risponde al nome fascismo e come tale applicabile, in senso dispregiativo, a qualsiasi persona, situazione e tempo che non partecipi al potere di cui sopra. Anche la recrudescenza di uno scontro tra Sinistra e Destra appare più funzionale (e voluta) proprio dal potere culturale della sinistra che da sempre si è pasciuto di questa dicotomia. Mentre sarebbero necessarie categorie meno usurate per interpretare nuove esigenze, nuovi problemi del moderno.

Il sogno ulivista de La meglio gioventù
L’idea che in Italia esista un regime politico, e come tale culturale, contrasta con la realtà. Berlusconi è un editore potente, ma non così potente da imporre la propria visione del mondo. Tanto meno è l’unico soggetto in campo. Essendo, prima ancora che un uomo politico, un imprenditore, in passato ha agito sul mercato e giocoforza introiettato i valori liberali, privilegiando il profitto alla fazione politica. Non è un mistero che perfino, anzi soprattutto le reti Mediaset siano una fucina del pensiero di sinistra. Vi hanno lavorato Santoro e Luttazzi, vi operano Costanzo e Mentana, vanno in onda trasmissioni come Le Iene e Striscia la Notizia. Perfino la musica, i giochi, il cabaret veicolano valori antagonisti rispetto ai predicata del governo. Lo stesso accade in Rai, dove, nonostante gli interventi di facciata e temporanei della maggioranza, il potere resta saldamente nelle mani della sinistra. Basta aver intravisto l’ultimo, e pur bello, sceneggiato di Marco Tullio Giordana, La meglio gioventù, per comprendere di cosa si sta parlando: l’agiografica storia dell’Italia raccontata secondo l’idea ulivista, trasmessa da Rai1 in quattro puntate e vista da milioni di telespettatori, incide sulle coscienze più di qualsiasi telegiornale schierato.

Un principio di nome mercato
Ma l’ipotesi di un regime culturale cade del tutto quando si analizza la produzione, per esempio, di Mondadori. Qui, il milieu culturale di Sinistra è ben presente. E vengono pubblicati i testi di narratori, politici e cabarettisti afferenti alla Sinistra liberale e ad una Sinistra antagonista, seppur dura, democratica. Giorgio Bocca, per esempio, ex partigiano campione dell’antiberlusconismo ha deciso per l’ultima sua fatica pamphlettistica di passare a Feltrinelli. Ma in pratica la sua opera omnia si trova ancora per i tipi Mondadori in hard-cover oppure in Oscar. Lo stesso Massimo D’Alema ha trovato casa editoriale a Segrate: un dispiaciutissimo libro pieno di buoni propositi. S’intitolava Un Paese normale; quando uscì, in questo Paese normale, intorno a questo libro normale, aleggiava una bella battuta di Berlusconi, al quale fu chiesto: «Lo ha letto il libro di D’Alema?», e lui, serafico: «No, ma l’ho pubblicato».
Sembra una battuta invece è una cosa seria, perché l’unico principio delle aziende berlusconiane, principio davvero rivoluzionario in un Paese soffocato dai legacci della partitocrazia e della sindacatocrazia, davvero rivoluzionario nel Paese di Luigi Einaudi che ha visto per decenni i grossi gruppi industriali e la ricca borghesia settentrionale prosperare e pascersi grazie al protezionismo di Stato, questo principio semplice semplice, piaccia o meno, si chiama mercato. Un principio che già ben prima di Von Hayek, prima di Adam Smith, prima di Carl Popper, senza teorie ma in pratica, era divenuto sinonimo di libertà, basta vedere cos’era nel Seicento Amsterdam, civiltà liberale perché luogo di libero commercio, e dalla quale sarebbe nata oltreoceano Nuova Amsterdam, vale a dire New York.
Come un sostenitore dell’economia di mercato sia associabile al fascismo, come liberi scrittori scrivendo il loro libero pensiero possano gridare al fascismo e poi pubblicare i propri libri per Berlusconi senza perdere la faccia, senza farsi spernacchiare alle spalle, senza perdere di credibilità, è un piccolo mistero d’ipocrisia: ipocrisia più di chi ne usufruisce, di questa libertà, che di chi, da liberale, la concede, fin investendoci. Per paradosso quasi incredibile, perde invece di autorevolezza chi, essendo liberale e magari pure berlusconiano di suo, pubblica per Berlusconi.

No copyright please, by Wu Ming
Prendiamo ad esempio un bel bestseller impegnato, un filone sociale, no-global e neo-resistenziale, un gruppo di autori a caso, di quelli tosti che amano paragonare Bush a Hitler e Berlusconi a Mussolini. Prendiamo i Wu Ming/Luther Blissett, la controcultura, la controinformazione, l’anticapitalismo che nel capitalismo vende come il pane. Con chi pubblicano i neomarcusiani e anti-berlusconiani Wu Ming? Sono gli scrittori della controcultura, che a forza di controcultura, siccome qualcuno si è accorto che erano vendibili, si sono trovati dentro l’Einaudi di Berlusconi, non si sa come.
Invece si sa. A Roberto Bui, il capo della banda, gliel’hanno persino chiesto, e lui, durissimo e purissimo, ha espresso le sue brave ragioni, ineccepibili. «Allora Bui, come è pubblicare per Berlusconi?». Risposta: «La domanda vale anche per lui…» e ride, meno male che ride. «Einaudi, quando è stata assorbita, ha mantenuto delle garanzie di indipendenza nei contenuti, infatti Mondadori da quel punto di vista non mette dito, altrimenti sarebbe diverso anche il nostro rapporto contrattuale. Non dico che non scriveremmo per Einaudi, però probabilmente avremmo dovuto penare di più a far passare certe cose tipo la dicitura sul copyright, perché a Segrate probabilmente su questo si fanno più problemi che a Torino in via Biancamano. Noi comunque abbiamo un margine di manovra molto largo rispetto a Stile Libero, la collana per cui pubblichiamo, nel senso che ormai abbiamo un peso contrattuale e anche una voce in capitolo molto forte, tant’è che le copertine le facciamo noi. A sua volta Stile Libero ha un grosso margine di indipendenza rispetto alla casa madre, che a sua volta ha delle garanzie d’indipendenza rispetto a Segrate: così, ci muoviamo con ampie possibilità di manovra, all’interno di un margine di manovra più ampio, all’interno di un macromargine di manovra ancora più ampio, e quindi nessuno ci ha mai detto niente e abbiamo la piena libertà. Facciamo tutto quanto, a parte la cessione dei libri, in totale autogestione, paghiamo noi il sito, lo gestiamo noi, alla fine ci comportiamo esattamente come quando eravamo nell’underground. Diciamo che abbiamo ancora i piedi nell’underground, ma riusciamo a trattare con il mainstream. Siamo anche riusciti a far passare un certo discorso sul copyright che credo, in ambito narrativo, sia tuttora unico. Difendo anche il valore politico di pubblicare per Einaudi».
Il concetto stavolta è limpido, lontano da certe dietrologie wuminghiane: pubblicare per Berlusconi sarebbe un valore politico, parola di Roberto Bui. Da Berlusconi ci si muove tra grossi margini e macromargini, tutta una serie di scatole cinesi d’autonomia, addirittura di autogestione, si scrive quello che si vuole, si può essere establishment e distribuiti come Dio comanda continuando a fare gli underground e gli indipendenti, persino la controcultura, purché la controcultura sia, appunto, mercato. E si scelgono addirittura le copertine, cosa che non capita neppure con Feltrinelli, neppure con Baldini&Castoldi, neppure con DeriveApprodi, neppure con Malatempora, neppure con Raffello Cortina Editore, casette editrici all’antica, se gli dici che vuoi scegliere la copertina ti rescindono il contratto sotto il naso, e d’altra parte cercarne uno non di sinistra dichiarato, lì, è come cercare un ago in un pagliaio.

Pagliaio o buon rifugio?
Nel pagliaio Mondadori invece non ci si fanno problemi. Pullulano gli scrittori di sinistra, e pure i grafici, ci si avvale con gioia della collaborazione del “professor Bad Trip”, alias Gianluca Lerici, fumettista psichedelico e cyberpunk, creatore di un immaginario tutto funghi e acidi à la Burroughs. Bad Trip ha disegnato copertine di dischi e libri, inclusi i romanzi, editi da Mondadori, di Niccolò Ammaniti, altro autore culto della sinistra giovanil-salottiera, dal cui ultimo romanzo Io non ho paura (edito da Einaudi, nella collana di sinistra Stile Libero), è tratto l’omonimo film di Gabriele Salvatores, regista di culto della stessa sinistra salottiera, distribuito guarda caso da Medusa/Berlusconi.
E fanno bene a non aver paura: a Sinistra si pubblicano solo quelli di Sinistra, Berlusconi pubblica tutto. Difatti a suo tempo assoldò, per Mediaset, con contratti miliardari, Michele Santoro e Paolo Rossi, che fecero trasmissioni tanto libere da poter inveire contro Berlusconi, esercitando subito il diritto per dimostrare la libertà, fino ad abusarne. Curioso, inoltre, ripensando alle parole di Bui, che la libertà appartenga soltanto a chi se la prende e non a chi la dà, e a casa sua. (Ribadiamo, fenomeno nostrano d’ipocrisia quasi comica, di buon viso a cattivo gioco e di cattivo viso a buon gioco: chi scrive per giornali di Berlusconi parteggiando per Berlusconi è un servo e un venduto, chi scrive per giornali di De Benedetti parteggiando per De Benedetti è uno spirito libero, quasi un eroe della patria, ma tant’è).
Mondadori è anche l’editore dei romanzi di Roberto Cotroneo, intellettuale di Sinistra e semi-girotondista, passato da L’espresso a l’Unità; forse per questa ragione l’ultimo romanzo uscito per Mondadori ha un titolo emblematico: Per un attimo mi sono dimenticato il mio nome. Bisognerebbe leggerlo per capirlo.
Sempre per Mondadori trovate i romanzi di Andrea Camilleri, uno dei più agguerriti sostenitori del “ritorno al fascismo” del governo berlusconiano, mentre il compagno e leoncavallino Sandrone Dazieri dirige addirittura la collana I Gialli Mondadori, anche lui proclamandosi di sinistra e libero, ci mancherebbe. E spiega: «Prima possibilità. Potrei pubblicare per una casa editrice politicamente conforme. Peccato, non ne vedo. Non sto a elencare tutte le case editrici concorrenti, ma a guardarle da vicino hanno tutte delle magagne. Chi è nell’orbita mondadoriana, chi pubblica la Fallaci ed è proprietaria del giornale più conservatore del Paese (conservatore, non fascista come il Giornale o Libero), chi possiede una catena di librerie che sta ammazzando i piccoli librai in tutta Italia e, soprattutto, ha un supremo disprezzo per la narrativa di genere come la mia (ebbene sì, mi ha rifiutato un libro, poi pubblicato da Mondadori)».
Restando ai titoli di Mondadori, Alessandro Golinelli, scrittore gay, simpatico e comunista, memorialista delle proprie marchette alla stazione, pubblicando il primo libro per Mondadori fu più schietto e papale papale: «Basta che paghino».

La fantascienza al potere
Certo, magari sono bravi, bravissimi, il fatto però è che nelle predilette aziende berlusconiane trovano altro, poco fascismo e molta capacità promozionale, ossia capacità di stare sul mercato e reggere la concorrenza. Perché chissà quanto venderebbe uno scrittore di fantascienza come Valerio Evangelisti se lo pubblicasse, per dire, Meridiano Zero. Valerio Evangelisti, un altro di quelli liberissimi, fa notare che le «aberrazioni di un governo sempre più simile a un regime sono sotto gli occhi di tutti, e dovrebbero far gridare allo scandalo».
Oppure: «Ho l’impressione che insistere troppo sugli aspetti pagliacceschi di Silvio Berlusconi, come fa gran parte della stampa internazionale, distragga dalla sostanza della sua azione di governo. Non vi è dubbio che si tratti di un personaggio dalla volgarità innata, simile per atteggiamenti e per cultura a certi commessi viaggiatori di vecchio stampo. Non vi è dubbio, altresì, che buona parte della sua attività sia volta a stravolgere le istituzioni in senso autocratico, oppure a porlo al riparo dai guai giudiziari che lo sovrastano. Tuttavia è bene mettere in chiaro alcune cose. Non è un fascista. Non è un mafioso. Non è un Pulcinella (questo ruolo lo attribuirei piuttosto a una gran parte dei collaboratori che si è scelto, capaci di lasciare increduli per la loro stupidità). È, se vogliamo, molto peggio di tutto ciò».
Molto peggio di tutto ciò... Certo. Eppure tutti i romanzi di Evangelisti sono editi da Mondadori. Che si fa? Gridiamo allo scandalo? Una volta la saggezza popolare consigliava di non sputare nel piatto dove si mangia, i tempi sono cambiati, deve essere migliorata la qualità della saliva o peggiorata quella delle minestre altrui. Minestre insipide, e non è che manchino le alternative. A molti, pur di Sinistra, non vanno giù né la Feltrinelli né la Baldini Castoldi Dalai né la Rizzoli né altro, le quali per fare un bestseller funzionano bene quanto Mondadori ed Einaudi, non ci vengano quindi a raccontare che o mangi la minestra o salti la finestra. Il panorama editoriale, checché se ne dica, è sconfinato: in Italia, non si sa come, ci sono più editori che lettori. Alcuni falliscono, altri prosperano, persino editori medi sanno giocare con i mass media e producono bestseller con qualsiasi cianfrusaglia: si veda il caso di Fazi, con le centinaia di migliaia di copie di una trovata marketing come Melissa P.

Il virus berlusconian-brianteo
Giuseppe Genna, altro scrittore cosiddetto giovane, aggueritissimo, anarchico di Destra poi di Sinistra poi di chissà cosa, comunque sia antiberlusconiano fino al midollo, uno che dice: «Milano è il brodo primordiale che ha generato il virus Berlusconi e la patologia di cui esso è responsabile, il berlusconismo. Il berlusconismo è effetto di Berlusconi per puro accidente. In realtà esso è la forma quintessenziale della milanesità che idioti altoborghesi e classi corrottissime hanno espresso negli ultimi quarant’anni di malgoverno cittadino. È un’ameba spirituale che, dalla sua originaria forma briantea, ha invaso la metropoli, come un ultracorpo devastante, abbrutendo le menti prima che l’urbanizzazione».
Oppure: «Sandro? Boh! Cosa è successo a Sandro Bondi? Non dico solo dal punto di vista fisico: direste mai che l’uomo ritratto qui a fianco ha 44 anni? Ma cosa gli è capitato? Era in vacanza a Chernobyl con vista sulla Centrale? Si trucca perché, per inesplicabili motivi, vuole farsi passare per Adriano Galliani? È un eunuco? Mah. A parte il fisico, è il comportamento a preoccuparci, però. Gli eventi di cui è stato protagonista quest’estate inducono a pensare che il mansueto portavoce di Forza Italia sia divenuto ex tale. Ha contratto un virus? La moglie l’ha lasciato? Ha inalato sostanze tossiche? Si è emancipato dalla mamma edipica e ha perso la verginità? Ha bevuto una Red Bull durante un rave e ha perso l’inibizione? Sandro Bondi non è nuovo a imprese metamorfiche di profonda revisione della sua personalità. Costantemente afflitto da un amimismo facciale inquietante, che ricorda la paresi espressiva dei bambini colpiti dall’invecchiamento precoce…».
Tanto schifato dal berlusconismo, dal virus, dall’ameba spirituale, dagli ultracorpi devastanti, da essere lo scrittore di punta mondadoriano: dei suoi thriller ne trovate pile in tutte le librerie e vengono perfino esportati all’estero con molta enfasi. D’estate, quando capita, Giuseppe Genna non disdegna di pubblicare racconti per Panorama, corredate con foto dell’autore che, invece di vergognarsi, sorseggia champagne da uno scicchissimo flûte. Comunque, poiché in casa di Berlusconi vige il mercato, sorseggi pure ciò che vuole.

Il sempre rimontante fascismo
Senza contare che, siccome la cultura è di Sinistra, gran parte degli autori eccelsi, tanto amati a Sinistra, che occupano ogni anno le pagine culturali da la Repubblica a l’Unità a il manifesto, da Jonathan Franzen a Chuck Palahniuk a Don DeLillo a Dario Fo a Pasolini a Calvino alla pacifista Susan Sontag al più seguìto filosofo no-global Jeremy Rifkin, sono oggi pubblicati da case editrici berlusconiane.
Nella produzione editoriale berlusconiana c’è di tutto, da Aldo Busi a Giuseppe Genna, da Franco Moretti a Nico Orengo, dalle stelle alle stalle. Però, ci dicono, non c’entra niente. Diversi intellettuali, diversi storici sostengono che la cultura è in pericolo. Ci sarebbe un difetto strutturale nella nostra democrazia: perché Berlusconi e il conflitto d’interessi è il nuovo fascismo ce lo spiega bene, benissimo, non soltanto Umberto Eco (teorico del fascismo mutante ed eterno), su la Repubblica e su Micromega, ma persino Paul Ginsborg, insigne storico, nel suo ultimo saggio, intitolato Berlusconi, a scanso di equivoci. Edito da… Kaos? Ma no, da Einaudi, vale a dire dal Duce.
Sarebbe ora che questi intellettuali la piantassero di gridare al regime, usando l’arma del ricatto. Per coerenza, consigliamo loro di uscire dallo sporco liberismo e andare a meditare con un libro fondamentale e a loro congeniale, in un’edizione elegantissima, su carta di lusso e rilegata come si deve, persino economica, costa appena quindici euro. S’intitola Manifesto del partito comunista, autori Karl Marx e Friedrich Engels, con una bella e illuminante introduzione di Lucio Colletti. Edito da una piccola casa editrice che pubblica classici del pensiero fregandosene del mercato, e si chiama Silvio Berlusconi Editore.