LO STATO SOVRANO

A prima vista il recupero per l'Italia e per l'Europa della sovranità politica, militare ed economica può sembrare obiettivo generico e limitato, addirittura anacronistico.
Già la tendenza di ciascun popolo a dar vita a un suo Stato nazionale dimostra però come la voglia di sovranità si configuri quale esigenza primaria dello spirito umano. E che non si tratti affatto di un valore fuori moda lo hanno confermato all'Est la resistenza delle nazionalità all'omologazione comunista e nel Vicino e Medio Oriente la lotta dei palestinesi, degli afghani e degli iracheni contro gli invasori anglosionisti.
La sovranità non è quindi un'utopia da confinare nella sfera sentimentale, ma una battaglia degna di essere combattuta e vinta. La liberazione dai vincoli imposti dagli Stati Uniti attraverso la Politica dei Blocchi e gli organismi internazionali al loro servizio rappresenta del resto per l'Europa la conditio sine qua non per riprendere in pugno il proprio destino e avviare quelle necessarie, radicali riforme destinate a garantire un'organica tutela degli interessi dei suoi popoli.
Ma in questo rivoluzionario contesto - ce ne rendiamo conto, ancora tutto da conquistare - di qual genere di strutture dovrà dotarsi quello Stato determinato a mettere davvero a frutto la sua ritrovata libertà? Da quale visione della vita dovrà farsi guidare?
Non certo da quella democratica e liberalcapitalista che ha già dato cattiva prova di sé, dimostrando, ovunque abbia operato, di muoversi al servizio della plutocrazia atlantica e di gestire in modo funzionale ai progetti dell'oligarchia mondialista tutti gli strumenti di formazione dell'opinione pubblica.

Stesso rifiuto è giusto raccolgano i partiti cui nei regimi democratici è istituzionalmente affidato il compito di coltivare e raccogliere il consenso. Essi, autoproclamandosi paladini di interessi settoriali, rompono l'unità del popolo e ne convogliano i frantumi, di destra, di centro e di sinistra, in gruppi di pressione contrapposti. In democrazia infatti la cosa ideale è che ogni suddito trovi la propria collocazione politica, abbia cioè a incontrare e "sposare" il suo partito. Il che avviene il più delle volte su base socioeconomica, ma anche inseguendo sensibilità più sottili, di tipo regionalistico, professionale, persino confessionale. È inutile dilungarsi in esempi: quel che è certo è che lo Stato e le sue leggi, nel quadro di un tale sistema teso a neutralizzare qualsiasi spinta vitale della nazione e a indirizzarla verso sbocchi sterili, non possono che essere l'espressione banale e rozza del calcolo e delle pressioni dei gruppi; gruppi in perenne agitazione perché mai completamente soddisfatti.
La società liberalcapitalista è dunque la risultante dello scontro tra sopraffazione e soddisfacimento, impulsi che si muovono in un clima di menzogna, corruzione e prevaricazione, naturale terreno di pascolo per i Poteri Forti.
Ed è proprio questo risultato - un popolo polverizzato, ingannato e impotente - a consentire alla plutocrazia di trovarsi sempre al centro della ragnatela. Essa è del tutto cosciente dello scollamento sociale determinato dalla corsa all'individualismo più sfrenato, della minaccia portata all'esistenza stessa delle nazioni dalla crescente presenza degli immigrati, della dilagante criminalità, dello scadimento del costume, dello spreco delle risorse sociali. E tuttavia non teme che tutto ciò possa esserle di nocumento: il sistema si regge sul più classico dei divide et impera. Mal che vada, nuove elezioni provvederanno a spartire la torta in modo appena appena diverso.
Quanto alle teste di paglia che presidiano la cosa pubblica per conto del Grande Capitale internazionale, neppure loro rischiano di pagare per il proprio operato. Sono destinate a cavarsela perché "politicamente irresponsabili". Le conseguenze della loro disonestà e della loro incompetenza ricadranno sul popolo. I colpevoli, in democrazia, non si trovano mai. Decide il numero, e il numero, si sa, non può essere chiamato a rispondere.
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Dovrebbe a questo punto risultare sempre più chiara la necessità di uno Stato davvero in grado di servire il popolo, della presenza di meccanismi logici e funzionali capaci di fornire tutela e giustizia sociale a ciascun cittadino. Uno Stato capace di valutare, attraverso una piramide gerarchica responsabile, libera di agire senza alcuna pressione esterna, le scelte da porre in atto nell'interesse generale. Uno Stato nel quale il contenuto sociale sia dunque caratterizzante e primario. È appena il caso di sottolineare che la socialità dello Stato non dovrà avere nulla di fumoso, di moralistico, di genericamente buonista, ma dovrà sviluppare la sua azione in un quadro di realismo, il che esclude espressamente ogni intervento a difesa di presunti diritti umani di genti lontane e qualsiasi tentazione di interferire, turbando i rapporti internazionali, nelle scelte politiche e negli affari interni degli altri Stati sovrani.
L'esatto rovescio della globalizzazione.
Poiché questo progetto, pur essendo ampiamente sociale, riguarda solo una specifica popolazione, esso è indicato dai politologi come socialismo nazionale. E ciò perché lo Stato, con le sue leggi, vuole coprire unicamente gli interessi etnici, culturali ed economici di coloro che vivono da cittadini - con pienezza cioè di diritti e di doveri - entro precisi confini geografici. Quelli sui quali appunto si estende la sovranità dello Stato, sia esso nazionale, o costituito, come sta verificandosi oggi in Europa, da una confederazione di popoli affini per razza, per cultura, per interessi.
Il concetto di socialismo nazionale, se correttamente inteso, non può dunque svilupparsi se non all'interno dell'idea di sovranità. Di questa vanno certamente forniti e accuratamente delineati i contenuti politici, ma l'impostazione etica alla quale questi contenuti devono rispondere è chiara e intuitiva. È giusto, è morale, ciò che è utile al popolo, intendendosi per popolo una consolidata comunità impastata di Sangue, di Suolo, di Storia, di Cultura, di Lingua. Gente cementata insomma - e distinta dagli altri - da un Destino Comune.
Da un simile orientamento generale, se si vuole davvero che la nuova Europa sia messa in grado di operare nell'interesse dei suoi popoli, discende lineare e ineludibile una serie di punti programmatici, alcuni dei quali, irrinunciabili, qui di seguito ci è sembrato utile elencare.
1) Il nuovo Stato dovrà respingere ogni precedente intesa internazionale in contrasto con la propria sovranità e tutte quelle alleanze militari che prevedono la presenza di basi militari e di truppe straniere. In segno di rispetto per la sovranità altrui verranno richiamati in patria tutti quei corpi di spedizione che sono oggi impegnati in missioni all'estero.
Una solida e durevole intesa strategica verrà posta in atto con le nazioni del Mediterraneo e del Vicino Oriente nella prospettiva di assicurare la difesa comune di questo vitale scacchiere dalle mire aggressive dell'imperialismo anglosionista. In ambito europeo verrà perseguita tenacemente la costituzione di forze armate integrate, competitive a livello mondiale e dotate di armamento atomico, strategico e tattico.
2) Lo Stato dovrà porre la sua esistenza al riparo di ogni tentativo di restaurazione liberalcapitalista. A tal fine l'economia sarà sottoposta alla supervisione politica. I gangli strategici della finanza, la Banca Centrale cui sarà ovviamente demandata la fissazione del tasso di sconto, e il Credito, saranno nazionalizzati. Stessa attenzione dovrà essere dedicata alla Ricerca e alla Politica Energetica onde evitare la dipendenza dall'estero, nonché all'industria degli armamenti, a quella aerospaziale, alla cantieristica e alle telecomunicazioni.
Più in generale, lo Stato, fissati nella programmazione economica i suoi obiettivi, si riserva, constatata l'inadempienza o l'inadeguatezza del settore privato, il diritto di intervenire nei modi creduti opportuni. Anche direttamente.
Mentre dunque nello Stato liberale la produzione è lasciata esclusivamente in balia del mercato, il quale non può ragionare se non in termini di utilità finanziaria, lo Stato sociale e nazionale non potrà restare indifferente a ciò che viene prodotto, al luogo di fabbricazione, alla questione se il produttore sia o meno soggetto nazionale. Non è per nulla la stessa cosa che uno Stato sia autosufficiente per quanto riguarda le industrie aeronautica, chimica e informatica, oppure dipenda da fornitori stranieri. E ciò, oltre che per evidenti motivi geopolitici, anche agli effetti della formazione della ricchezza nazionale, nonché per i riflessi sull'occupazione, indotto compreso.
La scomparsa dalla scena mondiale dell'Italia come potenza industriale non è stata per nulla una conseguenza della globalizzazione della produzione, ma solo il risultato dell'incapacità dei governi democratici a opporsi al disegno coloniale delle potenze vittoriose nel secondo conflitto mondiale. Uno Stato schierato a difesa dei reali interessi del popolo non avrebbe certo permesso che l'importantissimo e promettente patrimonio di capacità e competenze accumulato dall'Italia nella prima metà del XX secolo fosse malamente dissipato da una dirigenza avventuristica e incompetente, contigua alla malavita politica organizzata. Per concretezza vogliamo ricordare alcuni nomi di aziende che nel passato hanno dato lustro al lavoro italiano nel mondo e che oggi non esistono più: Breda, Caproni, SIAI Marchetti, Isotta Fraschini, Reggiane, Montecatini, Snia Viscosa, Olivetti. Per non parlare poi di Alfa Romeo e Fiat, avviate al disastro nonostante cassa integrazione e rottamazioni, o della privatizzazione della telefonia, finita quest'ultima, senza alcun vantaggio per gli utenti, nelle mani di finanzieri abili unicamente nelle guerre pubblicitarie e nello sbranare il "parco buoi", ma incapaci di produrre uno solo dei milioni di cellulari oggi in circolazione in Italia.
Le troppe lapidi nel cimitero dell'industria italiana sono un'implacabile atto d'accusa contro l'intera classe politica italiana.
3) Lo Stato, coerentemente agli impegni assunti nei confronti del popolo, si batterà per la conservazione dell'integrità etnica e la tutela del benessere dei lavoratori. In tale quadro sarà applicato il blocco totale dell'immigrazione, nonché una nuova legge sulla cittadinanza - molto più restrittiva dell'attuale - nella quale andranno inserite anche nuove regole atte a porre un freno all'aberrante fenomeno delle adozioni internazionali. Dovrà essere subito avviato, senza lungaggini procedurali, il rimpatrio forzoso degli stranieri indesiderabili, a iniziare da quelli detenuti oggi nelle nostre carceri, con priorità assoluta per quelle nazionalità che si sono maggiormente distinte nel mondo del crimine organizzato (sfruttamento della prostituzione, spaccio, rapine).
A eventuali carenze di mano d'opera nazionale, inammissibili in un paese dove esistono gruppi censiti di migliaia di disoccupati "storici", si provvederà riducendo, a seconda delle necessità, la durata del sussidio di disoccupazione e intervenendo con severe verifiche sullo scandaloso numero di pensioni di invalidità fasulle, un lascito dell'assistenzialismo partitocratico.
4) Per favorire la giustizia sociale e l'auspicabile parità per ogni cittadino delle condizioni di partenza, ogni energia sarà mobilitata per dotare le famiglie di accettabili condizioni di vita (alloggi, assistenza all'infanzia e agli anziani). Ai giovani, se meritevoli, sarà assicurato accesso gratuito agli studi superiori. Tutte le risorse disponibili per l'istruzione saranno assegnate unicamente alla scuola statale.
Completa sarà l'assistenza sanitaria. Va qui tuttavia specificato che la medicina dovrà essere posta al servizio della collettività e non dell'egoismo, dell'irresponsabilità, o dei capricci dell'individuo. Ne discende che la salute è un dovere del cittadino il quale dovrà essere educato a mantenersi sano nell'interesse della nazione. Un interesse duplice, da un lato economico, per evitare lo spreco di risorse pubbliche, dall'altro eugenetico, da intendersi come forma di rispetto per le generazioni che seguiranno, le quali non dovranno essere gravate da pesi genetici evitabili.
È quasi superfluo aggiungere che ai medici saranno vietati interventi gratuiti mutualistici perditempo (tipo quelli legati al cambiamento di sesso) e che nelle cure e nella qualità dell'assistenza sarà sempre data la precedenza ai pazienti nei quali la malattia non possa essere fatta risalire a colpevole devianza sociale.
5) Nella giustizia i tempi massimi della sentenza penale dovranno essere ridotti a sei mesi dal compimento o dalla scoperta del reato. Nessuna tolleranza sarà consentita per i reati di droga, così come dovranno diventare impraticabili la pedofilia, il nomadismo, l'accattonaggio, il danneggiamento e l'occupazione della proprietà pubblica e privata.
Le forze dell'ordine, carabinieri e polizia, oggi pletoriche e di fatto inutilizzabili a causa delle gravissime carenze legislative, dovranno essere progressivamente ridotte e portate al livello medio europeo.
6) Lo Stato predisporrà un piano per il recupero ambientale del territorio e per la bonifica delle città. Sarà una crociata contro l'inquinamento, il degrado, la sporcizia, il rumore. In tale quadro verrà perseguita la drastica riduzione della produzione automobilistica per uso privato che oggi sforna vetture ad un ritmo folle, inconciliabile con l'ecologia e con le strade a disposizione, strade che anche in futuro non potranno aumentare più di tanto.
Grandi risorse economiche e tutta la mano d'opera disponibile, saranno impiegate nei lavori necessari per spostare il traffico commerciale su ferrovia e lungo le coste, con la creazione di moderne infrastrutture destinate a collegare i porti con le autostrade.
7) Gli orientamenti fin qui sommariamente indicati dovranno trovare adeguato spazio nella futura legislazione riguardante l'editoria e la produzione cinematografica e televisiva. In tali campi, a difesa delle capacità e del genio artistico europei, si procederà a contingentare l'importazione da Oltreoceano.
Il clima di ritrovata libertà favorirà anche la ripresa di un'architettura ferma ormai da troppi decenni. Orgoglio per la tradizione e fiducia nel domani saranno il messaggio che le idee in pietra della nuova civiltà europea consegneranno al terzo millennio.

Piero Sella