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    Thumbs down RICERCATORI?.. PRRT - Come ti affosso la ricerca scientifica con un ddl.

    Partirà venerdì la discussione in Senato sul ddl Moratti. In gioco la riforma del profilo giuridico dei professori universitari.


    Il testo del ddl è ufficiosamente disponibile qui in formato .pdf.


    I ricercatori. La novità più appariscente è la fine della figura del ricercatore, ossia di chi occupa attualmente il livello più basso della piramide accademica. Si tratta di dipendenti assunti a tempo indeterminato, con un primo stipendio di 1000 euro al mese. Meno, per rendere l’idea, degli autotranvieri di Milano.


    L'età media dei ricercatori italiani cambia a seconda delle discipline e si attesta intorno ai 45 anni. L'età in cui si vince un concorso da ricercatore non è quasi mai sotto i 30 anni, con punte ben oltre i 40.


    Il ddl dispone che i ricercatori diventino una fascia ad esaurimento (art.1 lett. o)): quelli che ci sono, con il tempo si estingueranno per promozioni, dimissioni, fughe o altro. A rimpiazzarli arriveranno schiere di Co.Co.Co:


    il nuovo contratto sarà di cinque anni, rinnovabile una volta per altri cinque (art.1 lett. d)).

    Come conseguenza immediata accadrà che per accaparrarsi i pochi, ultimi concorsi banditi nell'ultimo anno e non ancora espletati si scatenerà una guerra senza quartiere tra potentati accademici. Da questo tipo di conflitti la qualità scientifica, in genere, non esce vincitrice.

    Le conseguenze nel medio periodo sembrano anch'esse abbastanza chiare: da una parte la professione del ricercatore sarà abbandonata perché privata non solo di prestigio sociale, quello è già declinato da tempo, ma anche di garanzie di prospettiva; dall’altra, l'emorragia di giovani ricercatori verso l'estero si rafforzerà.



    Per quanto si cerchi di contrabbandarla per europea, la riforma è in controtendenza rispetto a quanto accade nei paesi di più forte tradizione scientifica, ad esempio in Francia, dove i posti da maître de conférence, l'equivalente del nostro ricercatore ma con un primo stipendio da 1500 euro, sono abitualmente assegnati a giovani sotto i 30 anni. I posti messi a concorso, inoltre, superano il doppio di quelli banditi da noi.[


    I professori. Dopo l’esperienza dei concorsi locali, ossia banditi dalle singole università, il reclutamento per le fasce più elevate del sistema universitario tornerà ad essere nazionale.


    Nel ddl si scrive peste e corna del sistema locale, che avrà sicuramente mostrato difetti (ad esempio la riduzione della mobilità degli studiosi e la creazione di posti di professore ad hoc per candidati “interni”), tuttavia non si può negare che abbia snellito la procedura pachidermica (e centrale) che caratterizzava il precedente sistema.


    Inoltre, sostenere a priori che i passaggi di livello attuati con il sistema locale abbiano premiato elementi non meritevoli è semplificazione arbitraria e grossolana: è avvenuto anche il contrario: studiosi di fama internazionale ma singolarmente emarginati a casa propria hanno trovato la giusta soddisfazione presso commissioni istituite localmente.


    In ogni caso la riforma del reclutamento dei professori si configura come un ritorno alle origini, e se fosse attuata con efficienza e serietà potrebbe anche non essere esiziale.


    Ciò che invece non si può dire per l’apertura alle imprese (art.1 lett. g) e h)). Intendiamoci, sarebbe stolto chi prescrivesse ideologicamente la chiusura dell’università al mondo produttivo: il fatto che i privati finanzino il 43% della spesa del PIL per la ricerca ci pone dietro la media europea (56.3%) e in netto ritardo nei confronti di USA (66.2%), Germania (66.6%) e Giappone (72.4%). Il problema è il modo in cui l’allacciamento tra università e impresa si realizza.
    Il ddl prevede che le imprese possano istituire posti da professore universitario. Il pericolo è che l’università pubblica diventi una struttura di servizio per le imprese, le quali imprese, almeno da noi, sono tradizionalmente refrattarie ad una ricerca di ampio respiro, privilegiando risultati immediati.



    In un recente comunicato, l’Associazione Dottorandi Italiani paventa l’ingresso delle imprese in senato accademico, con perdita di indipendenza da parte dell’università.



    Le strutture di eccellenza. Non sta al ddl Moratti disporre i modi e i tempi di realizzazione delle strutture di eccellenza, ma sicuramente chiarisce il quadro.


    In molti paesi, in particolare in Francia, le strutture di eccellenza sono numerose e abbastanza distribuite sul territorio. Rappresentano un traguardo ambito tanto per gli abitanti del quinto arrondissement della capitale quanto per i montanari della Lozère.


    Inoltre, sono supportate, in termini di collaborazione e comunicazione scientifica, ma non solo, da una rete di università di prim’ordine.


    Promuovere in Italia organismi come l’embrionale Iit (Istituto Italiano di Tecnologia, o forse dovremmo scrivere Italian Institute of Technology?) parallelamente all’affossamento della rete ordinaria di istruzione universitaria svela una concezione élitaria della ricerca che è del tutto fuori dalla storia. Il carattere “di massa” dell’esigenza di cultura e di specialismo non può essere messo in discussione, e invece qui si distrugge l’offerta per i “molti” a tutto guadagno dei “pochi”.

    I quali pochi, peraltro, sembrano destinati ad un futuro autistico; custodi di una scienza e di conoscenze non spendibili sul mercato interno, perché impoverito, finiranno per emigrare. Avremo così la fuga dei cervelli di eccellenza.




    Stranieri di chiara fama. Il ddl si sofferma sulla possibilità di assegnare posti a studiosi di chiara fama, italiani all’estero o stranieri (Art. 1 lettera e)). Ancora una volta l’estensore della legge manca un concetto fondamentale: è dispendioso e spesso inutile cercare di portare in Italia i grandi capiscuola internazionali: anche perché non vengono, viste le strutture, il retroterra culturale e lo stipendio che siamo in grado di offrire loro.


    Una strategia ben più lungimirante sarebbe quella di catturare giovani ricercatori stranieri, in particolare extracomunitari, che si sono visti sbarrare la porta d’ingresso agli Stati Uniti a causa delle restrizioni antiterrorismo.


    In Svizzera e in Germania lo hanno già capito, arrivando a competere per accaparrarsi i giovani indiani. In Italia stiamo aspettando che i nostri migliori talenti scelgano di lasciare il paese per l’India!


    L'impollata finale Dalla relazione illustrativa che conclude il ddl:

    [i]Tutto ciò non potrà non contribuire allo svecchiamento del personale […] ciò vale soprattutto per i ricercatori a cui lo strumento contrattuale consentirà una maggiore mobilità lavorativa e conseguentemente una più concreta e proficua attività scientifica....


    L’affermazione sullo svecchiamento è paradossale: come si può svecchiare un’istituzione vietando per legge di assumere i giovani?


    La seconda affermazione, sulla mobilità, mostra un’idea assai rudimentale di cosa sia l’attività scientifica: i grandi risultati non si raggiungono né in un mese né in un anno, ma comportano lavoro anche in équipes e anche per decenni. Naturalmente ciò non implica affatto che un ricercatore debba restare tutta la vita nello stesso posto a fare la stessa cosa, ma che, se si ha a cuore la sua produttività, gli debba essere garantita la possibilità di una programmazione a lungo termine.


    Il contratto a tempo indeterminato è uno strumento che attua, in qualche modo, questa garanzia. Non è l’unico. Ma sicuramente un contratto di Co.Co.Co. a mille euro al mese non garantisce nulla. E infatti nessuno al mondo lo fa.


    Come sempre, è complicato individuare le conseguenze sul lungo periodo, ma allo stato attuale è difficile evitare il catastrofismo: fuori da ogni retorica, la ricerca, compresa quella pura, è indispensabile per il progresso tecnologico e lo sviluppo economico.


    L’Italia è attualmente latitante nell’hi-tech al punto che acquista brevetti sviluppati all’estero da italiani (l’inventore del microchip, per dirne una, si chiama Federico Faggin), e lo scoraggiamento alla ricerca che questa riforma induce non potrà che cronicizzare il nostro handicap.


    Negli ambienti accademici è diffusa la convinzione che dietro le linee ispiratrici del ddl non ci sia che un’abissale cialtroneria. A noi non sembra; diremmo piuttosto che si tratta di un derivato coerente di un modello culturale e politico ben definito e, purtroppo, trasversale.


    Un modello di Italia come Paese dei Balocchi, terminale per la vendita di prodotti a media tecnologia concepiti e sviluppati all’estero; un paese dotato di un’ossatura tradizionale di piccole e medie imprese, spesso a gestione familiare, per le quali l’unica strategia di sopravvivenza in un mercato i cui centri strategici sono altrove sarà comunque la vecchia ma pur sempre valida contrazione delle spese, locuzione da tradursi, spesso, con sfruttamento del lavoro.


    In altre parole, ci sono molte strade per diventare un paese periferico e marginale; quella tracciata dalla riforma Moratti potrà sembrare tortuosa, ma non illudiamoci che non sia efficace.

  2. #2
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    La Moratti ha chiaramente bisogno solo di una cosa, o meglio di una terapia d'urto a base di ampie somministrazioni di calci nel culo.

    Personalmente sarei favorevole ad un suo stage formativo nelle miniere di sale a scavare con le unghie.
    Vuoi una soluzione VERA alla Crisi Finanziaria ed al Debito Pubblico?

    NUOVA VERSIONE COMPLETATA :
    http://lukell.altervista.org/Unasolu...risiEsiste.pdf




  3. #3
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    Ma questa e' ammattita! L'ultima cosa che serve ad un ricercatore, sottolineo L'ULTIMA e' l'ansieta' di doversi trovare una sistemazione per i prossimi cinque anni (peraltro a stipendi... ridicoli? Si puo' dire? D'accordo che alla cultura basta poco, ma si spera che n.3 anni di laurea, n.2 di laurea specialistica, n.2 di dottorato vengano vagamente ripagati, visto che i soldi spesi per studiare non li restituisce nessuno... borse di studio a parte)

  4. #4
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    In Origine Postato da Skepto
    Ma questa e' ammattita! L'ultima cosa che serve ad un ricercatore, sottolineo L'ULTIMA e' l'ansieta' di doversi trovare una sistemazione per i prossimi cinque anni (peraltro a stipendi... ridicoli? Si puo' dire? D'accordo che alla cultura basta poco, ma si spera che n.3 anni di laurea, n.2 di laurea specialistica, n.2 di dottorato vengano vagamente ripagati, visto che i soldi spesi per studiare non li restituisce nessuno... borse di studio a parte)


  5. #5
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    Non sapevo che adesso gli imbarchi per gli aerei diretti all'estero fossero chiamati "finestre"...
    Vabbe', vorra' dire che fra 7 anni (se tutto va bene)
    mi tocchera' spendere gli ultimi risparmi per un volo intercontinentale.

  6. #6
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    Del tutto ovviamente auspico di no (ci mancherebbe che fra sette anni avessimo ancora a che fare con "lady" joy banana )

    Comunque, dato che l'argomento del Dottorato di Ricerca, l’araba fenice del nostro sistema universitario, che all’estero è qualificante ai concorsi universitari, mentre in Italia è talvolta bistrattato persino in ambiente Accademico non è stato toccato, di seguito si riportano alcuni indirizzi di utile consultazione: il sito dell’Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani e il sito dell’Unione Europea dedicato ai problemi della ricerca, con allegato un notevole database di statistiche.

    Good luck

  7. #7
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    Q. E. D.








    Professori e ricercatori in assemblea alla Sapienza contro
    il disegno di legge della Moratti. Il 17 sarà sciopero
    Atenei in rivolta contro la riforma
    Roma, occupato il rettorato

    Le critiche: "Un provvedimento pasticciato. Si vuole
    togliere ai giovani la speranza di una carriera accademica"
    di Monica ELLENA



    ROMA - Rettorato occupato e lezioni bloccate, la statua della Minerva listata a lutto. La Sapienza oggi si è fermata per alcune ore. Una protesta ferma organizzata da docenti e ricercatori, dottori e dottorandi che si sono riuniti sul piazzale di fronte al rettorato per dire no al disegno di legge delega che riforma lo stato giuridico dei professori universitari.


    Un no secco ma non isolato, che accomuna la quasi totalità degli atenei italiani. "Padova è stata la prima a lanciare l'allarme, poi Trieste, a ruota tutte le altre - spiega Cristiano Violani, ordinario a Psicologia 2 e membro del Comitato Nazionale Universitario - Questa occupazione, simbolica, è la prima forma di protesta 'pratica': questo è il più grande ateneo europeo, abbiamo una situazione finanziaria particolarmente difficile che questo provvedimento renderà insostenibile".


    Una tesi rafforzata da Mario Morcellini, direttore del dipartimento di Sociologia e Comunicazione. "Questo disegno è pasticciato, parla di flessibilità e risparmio. Ma provvedimenti come il passaggio di tutti i docenti al tempo pieno in realtà peseranno ancora di più sui bilanci degli atenei, senza contare che legittimeranno tutta una serie di docenti ora latitanti".


    Contestati praticamente tutti i punti del provvedimento: ricercatori ad esaurimento sostituiti da co. co. co, incarichi a tempo, istituzione del concorso nazionale, rivoluzione negli orari e progetti di ricerca finanziati da privati.


    Sul piazzale del rettorato molti cartelloni e striscioni tra poesia e protesta: "Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie - no al precariato, la ricerca agli scienziati". E in un gesto estremo di condanna la statua della dea Minerva, simbolo della conoscenza, è stata coperta da un telo nero. "È la morte delle speranze di creare conoscenza" commenta uno studente accorso a sostegno della protesta.


    Un meccanismo, quello universitario che per molti è già ingessato e che ora rischia la completa paralisi. In subbuglio soprattutto i ricercatori. "Si vuole scardinare il sistema università e toglie ai giovani la possibilità anche solo di sognarla, una carriera accademica - accusa Marco Merafina, rappresentante della categoria presso il CdA dell'ateneo e tra i promotori della mobilitazione - È una condanna al precariato a vita. Cinque anni più cinque anni con i co. co. co, tre più tre per la cattedra come associato, tre più tre per quella come ordinario. Ventidue anni in tutto, se ti va bene. Su una vita lavorativa di trentacinque, beh, fate i calcoli... E poi l'insegnamento: oggi i ricercatori svolgono oltre un terzo delle lezioni, oltre alle sessioni di esame. ".


    Annarita Rossi è ricercatrice al dipartimento di Biologia animale e dell'uomo. Indossa un cartello con su disegnato un panda. "Siamo tutti e due una razza in via di estinzione - scherza con amarezza - . La vita di un ricercatore è già difficile, con questo provvedimento siamo condannati: con il cinque più cinque arrivi più o meno ai 40 anni. E poi? L'esperienza accademica di ricerca ha un mercato solo nell'università, fuori non sei vendibile, figuriamoci a quell'età".


    Ma anche gli ordinari non vanno per il sottile. Sostengono la necessità della ricerca. Quella vera, finanziata dallo stato. Alessandro Panconesi è un cervello informatico tornato in patria dopo un esilio americano di undici anni. Ora è ordinario al Dipartimento di Informatica, anni fa se ne andò per mancanza di sbocchi. "Il sistema italiano prende a pesci in faccia i giovani, questo è il problema. Si parla di flessibilità all'americana, ma come fa un giovane a lavorare per 1000 euro al mese? Flessibilità non significa fare la fame fino ai 40 anni. Io sto lavorando ad un Progetto di Rilevanza Nazionale, i cosiddetti Prin, sui motori di ricerca. I miei fondi di ricerca sono 2000 euro l'anno! Il totale per tutte le facoltà italiane di informatica è di circa 1 miliardo di vecchie lire". Professori e ricercatori si sono poi riuniti nel rettorato per discutere altre forme di contestazione e documenti alternativi da presentare al Ministero dell'Università e Ricerca Scientifica.


    La protesta de La Sapienza non è comunque un caso isolato. Alla Federico II di Napoli i professori si sono riuniti in assemblea, il Senato accademico dell'Università della Calabria ha chiesto ufficialmente il ritiro del disegno di legge.
    Il Cun ha istituito un osservatorio per accogliere proposte dai docenti e ha aperto una raccolta di firme da presentare alle forze politiche. Uno sciopero nazionale è stato convocato da sindacati confederati e autonomi per il prossimo 17 febbraio a Roma.


    (5 febbraio 2004)


  8. #8
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    Io all' estero mi ci sono già trasferito durante gli studi, perchè già allora vedevo che in Italia non c'era futuro: Aule fatiscenti e gremite, ore e ore di fila davanti agli sportelli, assistenza zero, informazione zero, servizi zero, e tutto ciò per 1.700.000 lire l' anno.
    Pensate che in Italia se volevo partecipare a degli scavi archeologici mi toccava pagare 1 milione al mese! Qui in Austria invece mi pagano l' alloggio e le ore di lavoro, cosicchè riesco a guadagnarmi dei soldini durante l' estate ed a fare esperienza pratica, che poi mi viene accreditata nello studio.
    Poi ovviamente potrei continuare e citare i servizi veloci ed efficienti, i professori sempre all' università e non in giro a fare i caxxi propri, sempre pronti ad aiutarti (non perchè sono più buoni, ma perchè devono), gli impianti moderni, etc. etc., ma mi sembra che il punto chiave sia il rispetto per chi studia. Uno studente che investe molto tempo e denaro nello studio, non vuole sentirsi come cittadino di serie B, ma purtroppo ciò è spesso il caso. Ora, almeno come studente si aveva la consolazione che una volta diventato Dr. il rispetto dovuto lo si sarebbe ricevuto... ma neanche questo sembra più essere il caso.

  9. #9
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    Terza puntata della tragi-commedia pomposamente chiamata "riforma dell'ordinamento universitario"..... dalla "nostra" benemerita Signora Ministro alias lady joy-banana moratti


    Un altro dei segnali........... l'ennesimo, di un Paese che va alla deriva, mentre orchestrine e orchestrone continuano a suonare....
    per distogliere l’attenzione generale e accompagnare il sonno di quanti, seguendo l'andazzo finora corrente, hanno scelto di tener ben chiusi gli occhi........

    forse nella speranza (criminale) di svegliarsi di colpo in un’altra realtà, o in quella (incosciente) di una costante buona stella che alla fin fine sempre accompagnerebbe il Belpaese.




    Docenti, studenti e ricercatori da tutta Italia alla Sapienza
    contestano tutti i punti del disegno di legge del ministro
    L'università si ribella alla Moratti "Il progetto di riforma va ritirato"


    ROMA - Il ritiro immediato del disegno di legge delega sulla docenza universitaria. E' la richiesta che arriva dall'assemblea di studenti, docenti e ricercatori riuniti all'università La Sapienza di Roma.

    Una protesta che vede schierati fianco a fianco studenti e professori. Per sostenerla sono arrivate delegazioni da tutta Italia: 35 sedi universitarie e una miriade di sigle sindacali e organizzazioni professionali di precari, ricercatori, dottorandi, docenti e specializzandi. Sono così tanti che l'aula magna non ha potuto contenrli tutti e l'assemblea si è spostata all'esterno.

    Del provvedimento di riforma contestano tutto: dai ricercatori ad esaurimento sostituiti da co.co.co, agli incarichi a tempo, all'istituzione del concorso nazionale, alla rivoluzione negli orari ai progetti di ricerca finanziati da privati.

    Una presenza corale del mondo universitario che, ha sottolineato Nino Dammacco, segretario generale aggiunto della Cisl università, non si vedeva da trent'anni. "C'è la necessità di riformare l'università - ha spiegato - ma non così. Chiediamo il ritiro immediato del provvedimento Moratti e la predisposizione di un altro ddl che tenga conto delle richieste che stanno emergendo oggi".

    Presente all'assemblea il pro-rettore Gianni Orlandi, visibilmente soddisfatto per l'altissima partecipazione all'iniziativa di oggi. "E' una bella giornata.

    La Sapienza si è mobilitata per prima ed è ridiventata un punto di riferimento nazionale. Ci sono docenti e studenti e la sfida che si lancia oggi è quella di far diventare il problema dell'università un problema della società italiana. Va rimesso al centro delle questioni prioritarie per il paese".

    Dal palco non sono mancate neppure frecciate a quella parte del mondo accademico che non ha fatto niente per impedire il precariato che oggi tanto si contesta. "Qui insieme a noi - dice dal palco Augusto Palombini, segretario dell'Adi - ci sono professori che questo precariato lo hanno consentito".

    Mentre si susseguono gli interventi dal palco dalla galleria dell'aula magna è stato srotolato un enorme cartello sei metri per sei con la scritta "Né Zecchino né Moratti, il precariato si ribella, ritiro immediato del ddl". Accanto a questo enorme lenzuolone penzolano tanti altri striscioni delle università di Bari, Pisa, Venezia, Salerno e davanti al palchetto degli oratori un enorme telo bianco recita: "Moratti addio".




    (17 febbraio 2004)

  10. #10
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    C'era un mio amico, dottorando in Informatica a Pisa, che mi diceva che era in programma una sospensione dell'attività didattica per due settimane come protesta... e due settimane sono tantissime...

 

 
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