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  1. #1
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    Per non lottare ci saranno sempre moltissimi pretesti in ogni circostanza, ma mai in ogni circostanza e in ogni epoca si potrà avere la libertà senza la lotta!
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    Predefinito Bankitaglia e CONSOB: inutili parassiti

    Dal Corriere

    ECONOMIA
    Tremonti alla Commissione Finanze porta le lettere inviate a Fazio
    «Bankitalia ha sottovalutato il caso Parmalat»
    Il Ministro dell'Economia accusa Banca d'Italia e Consob per il mancato intervento e propone l'authority per il risparmio
    ROMA - Accuse dure a Banca d'Italia. Sul caso Parmalat e in generale sulle emissioni di bond (come anche per Ciriop), doveva intervenire prima e in altro modo. Giulio Tremonti, nel corso dell'audizione davanti alle commissioni Finanze e Attivitá Produttive di Camera e Senato sul caso Parmalat, non risparmia gli attacchi al Governatore di Bankitalia, Antonio Fazio. E mette sul tavolo le lettere, delle quali aveva già parlato, che secondo lui dimostrano che il ministero dell'Economia aveva avvisato Banca d'Italia dei rischi. Poi guarda al futuro e alle garanzie per i risparmiatori. «serve non un'autorità unica ma, tra altre autorità, un'unica autorità funzionalmente competente sul bene costituzionale fondamentale del risparmio».


    Giulio Tremonti (Infophoto)
    IL CARTEGGIO - Tremonti ha duramente criticato sia la Consob (la commissione di sorveglianza sulle società e la Borsa) sia la Banca d'Italia per il comportamento tenuto sul caso Parmalat. «Bankitalia avrebbe forse dovuto rilevare nel corso degli anni e nel corso delle sue ispezioni almeno qualcosa di anomalo - ha detto il ministro dell'Economia - e le anomalie da rilevare se non sulle emissioni erano quelle sul lato delle banche attive sulle emissioni». Le accuse a Bankitalia erano previste: all'inizio del caso Parmalat, fra Tremonti e Fazio era stata polemica sia sul merito dell'azione di controllo sia su un «avviso» che il ministro soteneva di aver inviato ben prima alla Banca d'Italia. Tremonti al Senato ha portato le carte per provare questa sua tesi e ha consegnato ai parlamentari il carteggio avuto con il Governatore della Banca d'Italia. Il carteggio parte dal caso Cirio e tocca anche la più recente crisi Parmalat. Si tratta in tutto di 18 lettere. Il ministro, riassumendo la situazione, ha affermato che in più occasioni alle sue reiterate richieste e allarmi, vi è stata una sottovalutazione» dei problemi da parte del Governatore. Critiche anche alla Consob, la cui attività di controllo, secondo Tremonti, è stata insufficiente almeno fino al primo semestre del 2003.
    COMPETENZA UNICA - Fra «la tutela del risparmio e la tutela delle istituzioni la priorità assoluta va alla tutela del risparmio» ha poi aggiunto Tremonti che ha annunciato la presentazione di un disegno di legge che dia vita ad authority che operino per funzioni ed in primo luogo ad un'autorità unica che abbia la competenza sul risparmio. Il ddl di riforma delle Authority «sarà aperto al dibattito sia in Consiglio dei ministri che in Parlamento».

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    «Caro Governatore... Caro Ministro»
    Il contenuto delle lettere rese note


    Diciotto lettere, un confronto durato mesi. E che ora Tremonti mette sul tavolo, offrendolo alla Commissione, proprio il carteggio tra lui e il Governatore della Banca d'Italia, Fazio. Un botta e risposta tra i due (insieme nella foto Ansa) che parte da lontano, dal caso Cirio, dai criteri di collocazione dei bond, gli stessi che hanno tradito migliaia di risparmiatori sia nella vicenda Cirio, sia poi nel caso Parmalat e in modo anche maggiore. Tremonti nell'esposizione alla Commissione ha parlato di una risposta «de minimis» data verbalmente da Fazio dopo una prima informativa nel novembre 2002 sull'esposizione Cirio e in particolare «su una banca romana» ma anche la comunicazione sulla «illegittimità delle richieste e sull' impossibilità a rispondere» in relazione ad alcune lettere che riguardavano sempre la Cirio e la vicenda Myway.

    Le lettere - Si parte dal 20 novembre 2002 quando viene fatta una prima informativa da parte del ministero «sulla crisi finanziaria potenziale della Cirio e sul rapporto di assoluta e assolutamente impropria dipendenza con una banca romana». È qui che Tremonti avrebbe avuto da parte del Governatore una «risposta verbale, de minimis». Tremonti invia ulteriori lettere il 3 e il 24 aprile, sempre sul caso Cirio. La Banca d' Italia - ricostruisce il ministro - risponde il 14 maggio in modo tranquillizzante sul quadro normativo. Ci sono poi altre tre lettere da parte del Tesoro all'istituto di Via Nazionale: la prima è su Capitalia, la seconda è sulla Popolare di Lodi e la terza è su tutti e due gli istituti. La Banca d'Italia risponde il mese successivo affermando «l'illegittimità della richiesta e l'impossibilità di dare una risposta». Lo stesso accade su altre lettere relative anche il caso Myway, il prodotto finanziario del Monte dei Paschi che creò danni per i consumatori. Questo accade prima del Cicr dell'8 luglio del quale Tremonti riporta parte dei verbali, che spiega sono scritti in modo sintetico. «Alla riunione dell' 8 luglio - ricorda il Ministro - si fece specificamente riferimento al caso Parmalat, suscettibile di ricadute negative sul mercato finanziario». E spiega a più riprese, «non si fecero riferimenti incidentali». Si discusse anche di un articolo pubblicato il giorno precedente e da lì partì un primo accertamento. Tanto che secondo il ministro da questa data si attivò anche la Consob. Ulteriori contatti ci furono il 23 luglio: il ministero dell' Economia voleva convocare un nuovo Cicr per fare il punto sulle crisi dei bond «prima della pausa estiva». Il 24 luglio il Governatore rispose che «che erano in atto approfondimenti, ma che una riunione era opportuna solo dopo la fine degli accertamenti». Nasce poi un battibecco sulle modalità di funzionamento del Cicr che per Fazio «ha un potere di intervento in risposta alle delibere proposte dalla Banca d' Italia». «Ho qualche difficoltà a convenire su questa versione», replica Tremonti. Al Cicr si arrivò poi solo qualche giorno prima di Natale.

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  2. #2
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    Quello che non capisco è com'è che sta roba passi nell'indifferenza totale, ma perchè non fanno casino? perchè son stati così bravi a farsi pubblicità durante la campagna elettorale ed ora sembrano tutti impapinati?, anzi c'è di peggio...pare che sta uscita di Tremonti abbia disturbato non poco sia Udc che An....ma ve l'immaginate se al governo ci fosse stata la sinistra e Fazio un destro cosa sarebbe successo? .....qui nada de nada...lasciano che quattro dementi dicano stronzate sul Parlamento del Nord e sulla secessione.....anzichè approfittare de sta roba che è pure vera......questi meritano di andarsene a casa, sono dilettanti allo sbaraglio

  3. #3
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    Il fatto è che Tremonti pare abbia scoperto talmente tanta merda che deve andar piano a demolire armadi per estrarne gli scheletri nascosti.
    Se la baracca crolla e diventa tipo Argentina, tocca poi a lui gestirla.

  4. #4
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    Predefinito Se avete voglia, leggetevi questo

    TREMONTI METTE K.O IL PADRONE DI PALAZZO KOCH
    IL TESTO INTEGRALE DELL’ATTO DI ACCUSA CONTRO ANTONIO FAZIO
    IL GOVERNATORE DEL PARMACRAC SI DIMETTE? O ALZERÀ LE BARRICATE?




    AUDIZIONE
    del Ministro dell’economia e delle finanze
    Commissioni riunite VI (Finanze) e X (Industria) Senato
    in seduta congiunta con le omologhe Commissioni
    della Camera dei Deputati
    (15 gennaio 2004)


    0. Introduzione.

    0.1. L’art. 47, primo comma, della Costituzione italiana dispone:
    “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme”.
    In base al “Testo unico della finanza”, le finalità principali di Consob sono “trasparenza” e “correttezza”.
    In base al “Testo unico bancario” ed in base al “Testo unico della finanza”, la finalità principale di Banca d’Italia è la “stabilità”.
    Nessuna autorità si concentra invece a titolo proprio e pieno sul risparmio.
    È evidente la “lacuna” prodotta da questo assetto.


    Prodotta da una segmentazione asimmetrica, tra competenze funzionali. Competenze tra di loro diverse e ciascuna parziale.

    0.2. In sintesi, l’ordinamento giuridico italiano non conosce e non disciplina – ancora – una competenza istituzionale organica sul bene fondamentale identificato dall’art. 47, primo comma, della Costituzione: sul risparmio.
    È questa la “lacuna” che va colmata.
    Che va colmata, non unificando gli organi; ma certamente unificando o coerenziando la funzione di tutela del risparmio.
    Non una “autorità unica”, dunque.
    Ma – tra altre autorità – una unica autorità funzionalmente competente sul bene costituzionale fondamentale del risparmio.
    Per farlo, nel farlo, abbiamo un obiettivo ed un vincolo fondamentali:
    - obiettivo è un maggiore, reale grado di tutela del risparmio;
    - vincolo è il modello europeo, dal quale non possiamo prescindere. Al quale dobbiamo tendere.
    Dobbiamo conservare quanto di positivo deriva dalla nostra struttura storica. Ma sappiamo anche che non c’è più spazio per conservare “particularismes” nazionali.
    O, in prospettiva, che non c’è spazio per formulare più o meno ingegnose invenzioni domestiche.
    Il mercato finanziario è globale. L’architettura istituzionale che dobbiamo utilizzare come paradigma, baricentrandoci su questa, è una sola: l’architettura europea.
    Come è proprio della storia istituzionale dell’unione. Una storia che è tipicamente progressiva ed evolutiva. In particolare:
    - è realisticamente troppo presto per formulare ora, tutti insieme noi, i Paesi dell’unione, una ipotesi “europea” comune, da applicare poi per derivazione in ciascun Paese;
    - ma è certamente tempo, nel nostro Paese, per elaborare una nostra riforma nazionale, coerente con l’evoluzione in atto in europa.
    Come è stato fatto, con una progressiva sintomatica accelerazione:
    - in Germania, con la creazione dell’“integrierte Finanzdienstleistungsaufsicht”, nel maggio 2002;
    - in Francia, con la creazione dell’“Autorité des marchés financiers”, nell’agosto 2003.
    In questa logica e in questo scenario, la “strategia della riforma” non deve essere dogmatica; può, deve essere articolata.
    Ma, nel rapporto tra risparmio ed istituzioni, un punto deve essere comunque ben fisso e ben chiaro: tra tutela del risparmio e tutela delle istituzioni, la priorità assoluta va alla tutela del risparmio.
    Sono le istituzioni che devono servire il risparmio. Non viceversa.
    È il disegno delle istituzioni che va modellato sulle ragioni del risparmio. Non l’opposto.

    0.3. Le ragioni per una riforma sono state esposte e sviluppate in importanti atti parlamentari. A partire da: Atto Camera n. 2052 del 29 novembre 2001; Atto Senato n. 956 dell’11 dicembre 2001; Atto Camera n. 2436 del 27 febbraio 2002; Atto Camera n. 4586 del 13 gennaio 2004.
    Per quanto di competenza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’esposizione è stata in varie forme e sedi. Nel “Question time” del 9 luglio 2003, Commissione VI, Camera; nel “Question time” del 30 luglio 2003, Aula Camera.
    Ed ancora nella Relazione al Parlamento sulla attività di Consob per il 2002, trasmessa nell’ottobre 2003.
    La crisi che si è manifestata e radicalizzata negli ultimi giorni nel nostro Paese, e dal nostro Paese verso il resto del mondo, e viceversa, e con intensità drammatica, identifica ed impone, ora, come unica possibile formula di soluzione, una riforma organica di tutto il comparto.
    Una riforma che è, insieme, necessaria e possibile.
    In ogni caso, non abbiamo molto tempo.
    Non abbiamo molto tempo, per quanto sta accadendo ed arrivando dal fronte esterno. Non abbiamo molto tempo, per quanto sta accadendo ed arrivando sul fronte interno.
    Governo e Parlamento devono assumere le loro responsabilità, verso il Paese e verso i mercati finanziari.
    Alla intensità della crisi deve corrispondere la velocità della reazione.

    0.4. La “cifra” altissima della crisi che si sta manifestando è, tra l’altro, evidente nella combinazione tra gli elementi eterogenei che la compongono.
    Elementi che vanno dalla dimensione macroeconomica del fenomeno alla sua configurazione, spesso banalmente grottesca; dalla pluralità degli attori coinvolti, per azione od omissione, alla contiguità “ambientale” perversa tra troppi soggetti.
    È bene essere chiari.
    La crisi che si sta manifestando nel nostro Paese non è una crisi di origine industriale.
    È una crisi finanziaria.
    Una crisi che non si esaurisce in un caso, nell’uso improprio di uno strumento, in uno specifico errore di valutazione.
    Ma una crisi che si estende e sviluppa in una serie connessa di casi, in una serie connessa di strumenti, in una serie connessa di errori.
    È stato forse un errore, negli ultimi mesi, limitarsi a contare i singoli casi accertati, limitarsi a contare i singoli risparmiatori colpiti.
    È stato un errore non capire, né prima, né durante, la dimensione complessiva del fenomeno.
    La magistratura ha fatto, sta facendo, farà, il suo dovere. Il suo dovere, nell’accertare la dimensione criminale, il campo di estensione delle responsabilità personali.
    Anche la politica deve fare il suo, di dovere.
    È stato detto che la storia, se si ripete, prima è tragedia, poi è farsa. Qui, temo sia l’opposto.
    Il caso non è comparabile, penso, spero proprio che non sia comparabile con la crisi bancaria che 70 anni fa ha portato alla costituzione dell’IRI, nel gennaio del 1933.
    Il caso è – temo invece – comparabile (non identico, ovviamente, ma storicamente comparabile) con la crisi, bancaria e civile, che si è manifestata 110 anni fa, nel gennaio del 1893: la crisi della Banca Romana.
    In ogni caso, la crisi che si sta manifestando non è di quelle che si possono nascondere e risolvere nel chiuso degli “arcana imperii”.
    All’opposto, alla intensità della crisi possono, devono, simmetricamente corrispondere solo la forza e la velocità della nostra azione.
    Per l’azione, è prima necessaria una analisi. Il mio contributo all’analisi –all’analisi che si fa qui in Parlamento – si sviluppa come segue.


    1. Un’analisi della crisi (in sintesi preliminare).

    1.1. Il fenomeno da cui si deve partire, per l’analisi delle origini della crisi presente, si sviluppa su scala esponenziale, in un segmento temporale molto limitato: per quasi 80 miliardi di euro (circa 7 punti di PIL), in circa 5 anni.
    C’è ormai ampia documentazione e letteratura, in materia di “(euro) corporate bonds”.
    Dopo l’euro (dunque a partire dal 1999), crescono esponenzialmente (con una concentrazione nel triennio 2000-2002) la dimensione e lo spessore di un mercato composto da titoli obbligazionari denominati in euro.
    Si apre, in questi termini, un nuovo fondamentale canale di finanziamento delle imprese. Un nuovo canale che collega direttamente risparmi ed investimenti.
    È questa una terza, e nuova, fase, rispetto a due fasi storiche precedenti.

    1.2. Una prima fase, è posizionata nel periodo storico che va dalla ricostruzione post-bellica fino agli anni ’80.
    In questa prima fase, il finanziamento al sistema delle imprese è operato con la tecnica della “triangolazione”.
    Gli istituti a medio termine emettono titoli obbligazionari, in regime di privilegio legale ed in serie speciali, retrocedendo e servendo simmetricamente alle imprese la raccolta così operata.
    Lo fanno sotto forma di finanziamenti strutturati a medio o lungo termine.
    È un sistema di intermediazione caratterizzato da grande, oggettiva efficienza, perché garantisce ed allinea, strutturalmente e professionalmente, coerenze industriali, finanziarie, temporali.

    1.3. Una seconda fase è quella immediatamente successiva, la fase delle c.d. emissioni in “eurolira”. Una fase che viene dopo la fine del regime di privilegio legale riservato agli istituti a medio termine ed arriva alla fine degli anni ’90.
    Una fase relativamente ordinata, pur in un contesto di progressiva costante liberalizzazione.
    In questa fase, l’attività di Banca d’Italia è stata oggettivamente molto efficiente al servizio del Paese. Poi lo scenario si è improvvisamente modificato.

    1.4. La terza fase è una fase in cui si manifestano insieme elementi ordinari e straordinari, fisiologici e patologici.
    Una premessa fondamentale. Lo strumento “corporate bond” è strutturale e fondamentale per l’economia. Per questo dovrà essere strategica la nostra azione, per tenere aperto un canale che è fondamentale per lo sviluppo della nostra economia.
    I “corporate bond” non devono essere “demonizzati”.
    All’opposto, devono essere sostenuti, nella loro diffusione, da un efficiente sistema di controlli.
    Tuttavia, ed è stata questa la patologia, una parte del sistema bancario italiano:
    - non ha solo supportato l’accesso delle imprese italiane al mercato dei “corporate bonds”;
    - ha anche identificato, nell’apertura di questo nuovo canale, una “chance” per ridurre la propria esposizione ad eccessi di rischio di credito assunti in precedenza.
    In dati casi (in corso di accertamento) l’accesso delle imprese al nuovo canale di finanziamento ha, in specie, avuto per impulso di alcune banche carattere indebitamente “forzoso”. In dati casi (in corso di accertamento) si sono concretizzati evidentissimi casi di conflitto di interessi.
    Conflitti di interessi tra banche ed imprese; tra banche e (proprie) società di gestione del risparmio; tra banche e risparmiatori.
    In dati casi, via “corporate bond” si è realizzato un sostanziale “swap”, tra attivi bancari e risparmio.
    Una parte non marginale del risanamento del sistema bancario italiano è stata fatta realmente.
    Ma una parte è stata fatta tanto con operazioni sui c.d. “non performing loans” (su cui è necessario vigilare), quanto con “swap”, che hanno integrato, via traslazione dei rischi, il tipico “paradosso della composizione”:
    - l’idea di potersi liberare da alcuni “stock” di rischio di credito in eccesso, trasferendoli a carico di terzi (risparmiatori o fondi), via mercato obbligazionario;
    - l’illusione bancaria di potere considerare questa tecnica come risolutivamente “liberatoria”.

    1.5. Nelle “Considerazioni finali dell’Assemblea generale ordinaria dei partecipanti”, Banca d’Italia, 2003, si legge:
    “In una fase di rallentamento ciclico, nella quale si sono inseriti gli impulsi destabilizzanti derivanti dalla caduta dei prezzi azionari, dalle crisi di grandi imprese, dalle difficoltà di paese emergenti, il sistema bancario italiano è tra quelli che hanno mostrato una maggiore capacità di tenuta.”
    In sintesi semplice: le banche sono andate meglio delle imprese.
    Se così, due interrogativi: se questo assetto asimmetrico sia – o no – un assetto critico; soprattutto, come è stato possibile.



    Per cominciare, è ragionevole assumere che si tratti di un assetto critico. La stabilità delle banche non dipende infatti dalle banche da sole, ma dal sistema nel suo complesso. È in specie difficile pensare a banche sane, senza imprese “in bonis”, od a banche sane, senza risparmiatori fiduciosi.
    In aggiunta, in dati casi (in corso di accertamento) è logica l’assunzione che una parte del “risanamento” sia stata operata non eliminando l’eccesso di rischio di credito, ma trasferendolo dalle banche a terzi, ed in specie trasferendolo ai risparmiatori.

    1.6. Nelle “Considerazioni finali” del 2003 (ma anche del 2001, del 2000, del 1999), in materia di emissioni obbligazionarie si trovano dati puramente quantitativi, senza alcuna valutazione di vigilanza.


    1.7. I fatti di oggi indicano che in dati casi (in corso di accertamento) l’uso dei “corporate bond” si è basato su di un doppio “aggiramento”:

    a) “aggiramento” sostanziale del rapporto basico “1 a 1”, tra capitale sociale e debito obbligazionario, di cui all’art. 2410 cod. civ. (vigente nel periodo qui rilevante).
    L’“aggiramento” di questa norma interna ha avuto (ha) forma, non tanto nello “shopping di legislazione” (e cioè nello sfruttamento, via società incorporate all’estero, dei più favorevoli od inesistenti “debt to equity ratio” esteri), quanto e soprattutto nel fatto che le società italiane c.d. capogruppo hanno garantito (e garantiscono) emissioni estere operate da società del gruppo totalmente fuori dal “ratio” italiano.
    Questa è una tecnica che non può essere esclusa. Ma che certo va meglio regolamentata;

    b) poi, “aggiramento” sostanziale della normativa sul collocamento presso il pubblico di “prodotti finanziari”.
    Aggiramento operato scindendo idealmente la relativa procedura in due fasi: prima, la fase dell’emissione dei titoli; poi la fase del collocamento dei titoli stessi.
    La prima fase (emissione) operata sull’euromercato (e dunque fuori dalla “giurisdizione” italiana), via prospetto ipersemplificato perché destinato agli investitori istituzionali.
    La seconda fase (collocamento) operata invece importando immediatamente dall’estero in Italia la parte dell’emissione “destinata” al mercato interno. Parte che in dati casi (in corso di accertamento) è stata collocata di fatto presso il pubblico, normalmente via sportelli bancari, senza i formalismi e le garanzie propri;

    1.8. Sarebbe stato proprio questo secondo “aggiramento” a mandare in “tilt” il sistema italiano dei controlli, data la doppia asimmetrica competenza, di Consob e di Banca d’Italia, citata sopra sub 0.1.
    Questo è in specie un punto che va fatto oggetto di ulteriori specifiche considerazioni.

    1.9. Per quanto riguarda Consob, oltre a quanto esposto nella Relazione al Parlamento per l’anno 2002, citata, può essere solo aggiunto che, nel particolare comparto, l’attività di Consob è stata:
    - oggettivamente insufficiente, fino al primo semestre 2003;
    - molto intensa, a partire dal secondo semestre 2003.


    1.10. Banca d’Italia.
    Una premessa: quanto segue è solo per capire ciò che è successo. Sarebbe in realtà troppo semplice constatare che è in atto una crisi intensa, anche di origine bancaria, per derivarne la conclusione che qualcosa non ha funzionato nella vigilanza. Serve una analisi più specifica. Una analisi che può iniziare nei termini che seguono.
    Nelle “Istruzioni di vigilanza per le banche” (Titolo IX, Capitolo I: “Emissione di valori mobiliari e offerta di valori mobiliari esteri, pag. 1, aprile 1999) si legge quanto segue:
    “La Banca d’Italia può differire o vietare le operazioni che possono compromettere la stabilità e l’efficienza del mercato dei valori mobiliari”.
    Si aggiunge: “Controlli che impediscano fenomeni di grave turbativa nell’afflusso dei titoli sul mercato favoriscono il corretto operare dei meccanismi concorrenziali, la trasparenza nella formazione dei prezzi, la tutela del risparmiatore-investitore”.
    Si noti: non solo vigilanza cosiddetta “sistemica”. Ma letteralmente: “tutela del risparmiatore-investitore”.
    Se anche così non fosse, se la particolare vigilanza fosse solo “sistemica”, anche in questa prospettiva dovrebbero comunque essere formulati tre interrogativi:

    a) primo interrogativo.
    Possono essere considerate comunque compatibili con la vigilanza “sistemica” da parte di Banca d’Italia emissioni tipo CIRIO, PARMALAT, etc.?
    Nel solo 2002 Banca d’Italia ha bloccato n. 52 emissioni. Lo ha fatto con causali sostanziali o formali tipo: “formula di indicizzazione troppo complessa”; “struttura finanziaria eccessivamente complessa”; “condizioni finanziarie poco trasparenti”; “periodicità della cedola difforme dallo standard di mercato”; “titolo a capitale non garantito”; “documentazione carente”; impossibilità di “accertare l’esistenza nel Paese dell’emittente di un sistema di regole e di controlli pubblici omologo a quello vigente in Italia”; possibile alterazione del “corretto e ordinato funzionamento del mercato”, etc.
    Ebbene, in questi termini, c’è da chiedersi se condizioni di regolarità di questo tipo siano davvero state tutte presenti nelle altre emissioni invece autorizzate.
    Ad esempio, se siano state effettivamente presenti, le condizioni di autorizzazione, nelle n. 18 emissioni PARMALAT che finora risulterebbero collocate in Italia; ovvero specificamente nelle


    n. 2 emissioni “trentennali” PARMALAT (aprile 2002 e ancora febbraio 2003);

    b) secondo interrogativo. Nel “Bilancio di esercizio al 31.12.2002 di PARMALAT FINANZIARIA S.p.A., corredato della relazione sulla gestione e del relativo verbale assembleare di approvazione, e bilancio consolidato al 31.12.2002” (bilancio pubblico a norma di legge e comunque inserito nel sito internet della società stessa) è evidenziato, a prescindere da rapporti con fatturato e/o patrimonio, un indebitamento circa pari a ½ punto di PIL.
    Sul caso PARMALAT sono stati fatti rilievi, tipo: “è la mondializzazione che impedisce alle autorità nazionali di operare efficaci controlli all’estero”; dichiarazioni, tipo: “se avessimo potuto usare la Centrale rischi”; contro dichiarazioni, tipo: “dalla Centrale rischi non risultava nulla di anomalo”.
    Tutto ciò non è fondamentale.


    Infatti, era il bilancio PARMALAT in sé ad essere una centrale rischi!
    Ad essere la base su cui era forse possibile esercitare un principio di vigilanza “sistemica”, su di una società prenditrice di denaro a debito su scala macroeconomica;

    c) terzo interrogativo. La Banca d’Italia vigila sulle banche. Ed in specie, dentro le banche, vigila, se non sul lato dei “servizi di investimento”, certo sul lato degli affidamenti.
    Su questo lato avrebbero potuto essere rilevate anomalie nei processi di sostituzione, tra affidamenti bancari (ritirati) ed emissioni obbligazionarie (corrispondenti). Come è stato in dati casi (in corso di accertamento).
    In sintesi, data la sua doppia congiunta missione di vigilanza (sulle emissioni-collocamenti e sulle banche), la Banca d’Italia avrebbe forse dovuto rilevare, nel corso degli anni, e nel corso delle sue ispezioni, almeno qualcosa di anomalo.
    Si ripete, se non sul lato delle emissioni, almeno sul lato delle banche, attive nelle emissioni. In dati casi, in corso di accertamento, attive nelle emissioni in modo anomalo.

    1.11. Ignorato in questi termini, il fenomeno ha per suo conto prodotto un impatto fortemente critico e negativo.
    L’apertura del nuovo canale di finanziamento delle imprese è – va ripetuto – strutturale. Ed è in sé assolutamente positiva.
    Ma, nel canale, sono stati immessi anche materiali inquinati ed inquinanti.
    Come si può schematizzare la fenomenologia negativa qui in oggetto?
    A monte, c’è stata oggettivamente (anche se va accertata dalla magistratura, specificamente, caso per caso) una patologia di “riciclaggio di crediti”.
    A valle, c’è stata oggettivamente (anche se va pure accertata dalla magistratura, specificamente, caso per caso) una simmetrica patologia nell’attività di raccolta-impiego del risparmio, a danno di risparmiatori non sufficientemente informati. E con effetti di danno spesso sostanzialmente regressivi.

    1.12. Sia qui consentito citare quanto è stato dichiarato ancora il 31 ottobre 2003, in occasione della “Giornata del risparmio”:
    “L’ammontare dei titoli emessi da una impresa, per i quali si delinea il rischio di perdite, rappresenta meno dello 0,05 per cento delle attività finanziarie delle famiglie… Allarmi sull’efficienza e sull’integrità di una componente del nostro sistema finanziario possono essere controproducenti per lo sviluppo dei mercati e in definitiva per l’attività delle imprese, che in questo momento già si confrontano con una difficile congiuntura”.
    Questo ordine di considerazioni, forse non bastava allora. Certo non basta ora.


    2. L’azione del Ministero dell’economia e delle finanze.
    Separando le valutazioni tecniche e politiche dall’azione d’ufficio, l’azione del Ministero dell’economia e delle finanze si è sviluppata come segue.
    La sintetizzo verbalmente, illustrando il contenuto di documenti che lascio alla Presidenza, per gli atti.


    3. Le ipotesi di riforma.

    3.1. La strategia di riforma che si ipotizza è articolata in un “corpus” normativo non limitato alla “supervisione” (riforma del sistema di controllo), ma esteso ad ulteriori necessari elementi di regolamentazione (“market abuse”, revisori, incompatibilità, “corporate governance” e relative sanzioni, assicurazione rischi, limiti alle prestazioni di garanzia, nuovi criteri sulla circolazione degli strumenti finanziari, attività in paradisi legali).

    3.2. L’ipotesi di riforma della “supervisione” può essere sintetizzata come segue.
    Non credo che siano interessanti od utili analisi di tipo ontologico o definitorio: se la nuova autorità costituisca evoluzione di autorità preesistenti od invece oggettiva innovazione.
    Non credo neppure che siano interessanti analisi di tipo fenomenologico: se nel processo riformatore precedenti autorità siano incorporate o trasformate.
    Personalmente credo che, data la situazione in essere, oggettivamente deficitaria, un certo tasso di novità sia comunque assolutamente necessario.
    Non credo che una moto possa essere trasformata in un’auto. Se ci si limita ad aggiungere, ad una moto, una terza ruota, si fa un “sidecar” (tipo di veicolo, questo, non propriamente stabile).


    La logica su cui credo si debba basare la riforma è comunque molto semplice:

    a) alla unicità costituzionale fondamentale del bene pubblico da tutelare – il risparmio – deve corrispondere, se non una unicità organica (una autorità unica), certamente una unicità funzionale.
    Non una autorità unica – ripeto – ma, tra altre autorità, una unica autorità funzionalmente ed essenzialmente competente sul bene costituzionale fondamentale del risparmio.
    Questo risultato può essere ottenuto non solo coerenziando attività di soggetti diversi, ma anche e soprattutto concentrando in un solo soggetto la funzione di tutela del risparmio.
    Solo così possono infatti essere evitate “smagliature” nella rete dei controlli e contestazioni di competenza tra autorità diverse.
    In particolare:
    - se non ha senso (e non è comunque possibile, data la normativa comunitaria) smontare la vigilanza bancaria operata da Banca d’Italia a fini di accertamento dei coefficienti di adeguatezza patrimoniale, etc.;
    - non pare però nemmeno sensato ignorare che storicamente, nel nostro Paese, il risparmio sta nelle banche e/o è intermediato dalle banche. L’area bancaria non può dunque essere lasciata fuori dal campo di competenza funzionale della nuova “supervisione”;

    b) il disegno della nuova “supervisione” deve – come premesso – essere coerente con il modello europeo più recente. Conservando certo l’esistente, ma solo se possibile.
    Penso in specie che tre autorità – Banca d’Italia; nuova “supervisione”; Antitrust – possano avere adeguata, coerente, simmetrica competenza funzionale rispettivamente su: stabilità, risparmio, concorrenza;

    c) la nuova “supervisione” deve essere indipendente. Non c’è in europa un modello unico di meccanismo di nomina delle “Authorities”. Tendenzialmente, i modelli si baricentrano sugli esecutivi, per le competenze settoriali; sui parlamenti o sulle corone, per i diritti civili.
    L’ipotesi fatta per la “supervisione” sul settore del riparmio non è baricentrata sull’esecutivo, ma sul Parlamento.
    Questo modello di “accountability” parlamentare è ipotizzato limitato alla nuova “supervisione”.
    Ma, oltre che discusso e variato, questo modello può naturalmente essere esteso dal Parlamento anche ad altri organi.
    Ne risulterà un’autorità compiutamente definita:
    - nelle sue attribuzioni, consistenti nell’esercizio di competenze che ora sono in parte distribuite fra più istituzioni;
    - nei suoi poteri: regolamentari, informativi, ispettivi, sanzionatori, nei confronti di tutti gli intermediari, bancari e non, e di chiunque solleciti il pubblico risparmio;
    - nella sua posizione istituzionale di indipendenza e autonomia; autonomia anche finanziaria, con contribuzioni a carico delle banche e degli intermediari finanziari; autonomia negoziale, per assicurarne l’accesso anche sul mercato a valide risorse professionali.
    Ma comunque un’autorità dotata di piena legittimazione democratica per la fonte dei poteri di nomina e per i controlli, tutti baricentrati sul Parlamento;

    d) la nuova “supervisione” deve essere forte (forte in termini morali; professionali; finanziari; strumentali; operativi; ispettivi; sanzionatori), tanto da proiettare all’esterno il senso vero dell’autorità. In questi termini, autorità non è solo il “nomen juris” attribuito ad un organo. È molto di più.
    È un effetto nuovo, di affidabilità per gli onesti; di “metus”, di deterrenza e repressione, per i disonesti;

    e) in questi termini, la nuova “supervisione” supera un assetto – come è quello attuale – in cui la concentrazione e/o la rarefazione dei poteri, rispettivamente di Banca d’Italia, di Consob, di Antitrust, sono state paradossalmente insufficienti. Insieme, insufficienti per eccesso e per difetto.

    3.3. Alla riforma della “supervisione” deve poi aggiungersi la riforma del regime sostanziale delle attività. Nei termini che seguono, in sintesi:

    A) “Market abuse”. Si tratta del recepimento nel nostro ordinamento della Direttiva europea 2003/6 del 28 gennaio 2003, relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato. La Direttiva prevede l’emanazione di disposizioni di attuazione a livello europeo, per consentire l’adattamento tempestivo della normativa all’evoluzione dei mercati; a livello nazionale sarà consentito di intervenire con atti regolamentari. Saranno attribuiti (alla nuova “supervisione”) ampi poteri di indagine; sarà possibile avvalersi dell’assistenza della Guardia di finanza e richiedere alla magistratura anche l’intercettazione di comunicazioni telefoniche o in via elettronica. Efficaci e dissuasive sanzioni amministrative e penali completeranno il sistema di tutela;

    B) “Revisori”. Si propone di recepire e rafforzare le indicazioni della Commissione di studio in materia di trasparenza e conflitti di interesse nel governo delle imprese quotate, presieduta dal prof. Galgano e istituita nell’aprile del 2002. Si tratta di misure mirate ad assicurare l’indipendenza della società di revisione e della rete di soggetti a cui essa è collegata, rispetto alla società sottoposta a revisione e al suo gruppo. Le nuove norme saranno accompagnate da opportune e pesanti sanzioni;

    C) “Garanzie sulle emissioni estere”. Si prevede che le garanzie prestate dalla società capogruppo rientrino nei limiti delle emissioni delle obbligazioni, di cui all’art. 2412 cod. civ;

    D) “Corporate governance”. Su questo punto essenziale devono essere rafforzate le sanzioni;

    E) “Incompatibilità”. Viene disciplinato il rapporto tra banca e imprese, al fine di evitare l’influenza delle imprese debitrici sulla gestione della banca e sulle relative decisioni di finanziamento;

    F) “Sanzioni”. L’intero apparato sanzionatorio viene rivisto sia per aumentare la misura delle sanzioni, sia per introdurre nuove sanzioni accessorie a carico dei trasgressori consistenti nella sospensione o decadenza dalle cariche ricoperte, nella pubblicità delle misure afflittive e nella confisca dei beni;

    G) “Assicurazione”. Si ipotizza un sistema di copertura mutualistica tra gli intermediari, al fine di indennizzare i risparmiatori dei danni patrimoniali sofferti per comportamenti abusivi degli intermediari stessi. Il sistema dovrebbe anche promuovere una maggiore attenzione dei singoli intermediari ai comportamenti degli altri operatori del sistema;

    H) “Limiti alla circolazione dei prodotti finanziari collocati presso i soli investitori professionali”. Si prevedono, oltre ai limiti di cui all’art. 2412, secondo comma, cod. civ., ulteriori limiti alla circolazione presso il pubblico di prodotti finanziari collocati presso i soli investitori istituzionali;

    I) “Paradisi legali”. A questo proposito, va notato quanto segue:
    a) “paradisi fiscali”. L’ordinamento fiscale italiano recepisce le più recenti raccomandazioni dell’OCSE ed è dunque, da questo punto di vista, oggettivamente in linea con i sistemi fiscali dei Paesi più avanzati, nella strategia di contrasto all’utilizzo delle “giurisdizioni” a regime fiscale privilegiato;

    b) “paradisi legali” molto si può e si deve invece fare, fuori dal dominio fiscale, nel dominio legale.
    È in specie evidente che, in un numero sempre maggiore di casi, il c.d. “risparmio fiscale” è solo un posterius e/o un derivato, in disegni che sono mirati, più che all’arbitraggio fiscale, tout court, alla fuoriuscita dalla legalità (rectius, all’ingresso in forma di legalità apparente o tenue).
    Data questa casistica, la riforma che si intende proporre fa avanzare fortemente, ed in termini assolutamente innovativi, il nostro ordinamento sulla frontiera della legalità internazionale.
    In specie, alle società italiane o comunque residenti in Italia che incorporano controllate o collegate nei Paesi inclusi nelle “black list” fiscali:
    - non solo si applica il regime fiscale di cui sopra sub a);
    - ma si applica anche un nuovo e rigoroso regime legale.

    Che filosofia politica avrebbe questa ipotesi di innovazione dell’ordinamento italiano?
    Nel tempo presente, i fatti economici e giuridici sono sempre più “internazionalizzati”: si attenua il confine tra ciò che è “interno” e ciò che è “esterno” ai confini nazionali.
    La globalizzazione favorisce il processo di “scale up”, provocando la metamorfosi dei problemi nazionali in problemi internazionali. E viceversa.
    In specie, un reato commesso localmente può avere effetti negativi sulla reputazione internazionale del Paese. Se la competenza penale per il crimine ha una dimensione “domestica”, il suo impatto – inteso in senso lato – può invece manifestarsi su una scala internazionale.
    In passato, i flussi internazionali di beni, persone, capitali e informazioni determinavano interconnessione tra gli Stati. Nel tempo presente, le economie sono sempre più interdipendenti. L’interdipendenza è una relazione diversa dalla semplice interconnessione, perché comporta “costi” di transazione reciproci per i diversi sistemi economici.
    Gli Stati non possono ignorare questo fenomeno; devono coordinare ed integrare i loro sforzi di regolamentazione, per far fronte all’interdipendenza “sistemica” degli attori economici.
    In altri termini, quanto più si accentua l’interdipendenza economica tra gli Stati, tanto più occorre promuovere lo sviluppo di un parallelo processo di interlegalità.
    La convergenza può essere “convenzionale” o “unilaterale”.
    È difficile pensare a convenzioni internazionali con i paradisi legali.
    La soluzione può dunque essere solo unilaterale. Nella fattispecie, una norma che preveda il “lifting of the corporation veil”, considerando la società straniera comunque direttamente o indirettamente di pertinenza italiana che è incorporata in un “paradiso legale” come se fosse italiana.


    4. Conclusioni.
    È corretto assumere che una parte delle patologie che sono state (sono) causa della crisi finanziaria in atto sia specificamente derivata dalla struttura internazionale che è ora propria del mercato finanziario.
    È tuttavia certo che una parte, la maggiore, delle patologie è radicata nel nostro “habitat”. Con effetti negativi che non restano comunque locali, che non si fermano sui confini. Ciò soprattutto per l’evidenza crescente che la criminalità non è stata isolata e puntiforme, ma organizzata in un più ampio contesto “ambientale”.
    Ciò che ora è in specie fondamentale garantire sono due beni insieme:
    - il risparmio;
    - la reputazione internazionale del Paese.
    La finanza è un fattore fondamentale, nella strategia della competizione.
    Un Paese può competere (e non declinare) se è capace tanto di conservare la sua ricchezza finanziaria (senza bruciarla sistematicamente, per importi pari a “punti” di prodotto interno lordo) e, simmetricamente, se è capace di attrarre dall’esterno flussi finanziari.
    Un Paese non declina, ma compete se – come si dice ora – ha una efficiente “infrastruttura”, immateriale istituzionale.
    Più tradizionalmente: l’ordinamento giuridico proprio di un Paese, il suo ordinamento, non solo formale ma anche sostanziale – valori, uomini e mezzi credibili – è fondamentale, nella strategia della competizione internazionale.
    L’ordinamento europeo, con i limiti di bilancio pubblico e con i divieti di aiuto di Stato, e soprattutto con l’integrazione del mercato:
    - esclude forme tradizionali di intervento a salvataggio, non sostituibili nemmeno da forme di cannibalizzazione tra soggetti;
    - impone scelte che escludano in radice crisi di questa forma e dimensione.
    Impone una riforma costituita come base solida e perciò credibile del nostro sistema finanziario.
    In un mondo sempre più integrato, il sistema finanziario è la nervatura di una economia moderna e dinamica.
    Integrati in Europa, non possiamo fare o essere diversi dall’Europa.
    Possiamo, dobbiamo dunque trovare una soluzione europea per i bisogni italiani.
    Dobbiamo analizzare, ma dobbiamo anche agire. Dobbiamo conservare, ma non dobbiamo perdere valori e tempi. Il tempo è strategico.
    Queste, semplicemente, sono le ragioni e le urgenze della riforma.

    Grazie.


    Dagospia.com 15 Gennaio 2004

 

 

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