Le connessioni tra aumento della popolazione, condizione femminile e perdita della biodiversità sono complesse e possono essere affrontate da diversi punti di vista. Sappiamo però che la diseguaglianza tra i sessi tende a incidere sull’incremento demografico, e che questo esercita una pressione sull’ambiente naturale e sulle risorse biologiche.
Attraverso i vari accordi internazionali, raggiunti con difficoltà negli ultimi decenni, i governi in tutto il mondo hanno riconosciuto la necessità di comprendere la questione demografica nella pianificazione dello sviluppo sostenibile e viceversa. Questi accordi hanno inoltre riconosciuto che il miglioramento della condizione della donna e il raggiungimento di una maggiore parità tra i sessi hanno effetti diretti sia sul controllo demografico sia sull’uso sostenibile delle risorse.
Il ruolo delle donne nell’uso sostenibile e nella conservazione delle risorse naturali e la loro partecipazione alle scelte politiche e al governo del territorio sono tra i principi guida della Convenzione sulla diversità biologica, firmata nel 1992. E l’Agenda 21, il piano di azione approvato al Summit della Terra di Rio, comprende un intero capitolo sul rapporto tra donne e risorse naturali.
Nonostante questi accordi internazionali riconoscano l’importanza del “genere” nel modellare l’uso delle risorse biologiche, il ruolo delle donne è stato spesso trascurato nella discussione sulla biodiversità. Il legame tra biodiversità e genere è particolarmente significativo nelle aree rurali dei paesi in via di sviluppo, dove sono spesso le donne a sperimentare per prime gli effetti del degrado ambientale; ma purtroppo esse hanno un controllo limitato sulle risorse e sulle decisioni che riguardano il loro utilizzo. Secondo lo Human Development Report del 2002, se gli ultimi anni hanno visto diminuire le diseguaglianze tra i sessi, in nessun paese del mondo le donne hanno ottenuto un livello di potere economico e politico e di sviluppo umano pari a quello degli uomini. La parità tra i sessi resta un obiettivo importante sia nel mondo industrializzato sia nei paesi a forte crescita che lottano per proteggere la biodiversità e insieme rispondere ai bisogni della popolazione.
Nonostante esistano da decenni obiettivi e strategie per integrare le politiche demografiche, la conservazione della biodiversità e la promozione della condizione femminile, molti sforzi sono ancora all’inizio. Comunque negli anni Novanta è andato via via crescendo il numero di esperti di protezione ambientale, di agenzie governative e di singoli operatori e politici impegnati ad agire sulla connessione tra popolazione, biodiversità e genere. Questo lavoro, espresso in un numero limitato di iniziative in corso in diverse aree di interesse biologico, offre un terreno fertile per ispirare azioni più significative e su scala più ampia.
Il premio Nobel Amartya Sen, economista, afferma: “Il problema demografico è collegato strettamente a quello della giustizia nei confronti delle donne. Lo sviluppo di una maggiore parità tra i sessi, attraverso una modifica delle situazioni di svantaggio sociale e economico che privano le donne del potere e della parola, potrebbe dimostrarsi una delle strade migliori per preservare l’ambiente, lottare contro il riscaldamento globale e contrastare i pericoli del sovraffollamento e dei problemi a esso connesse. La voce delle donne è importante per il futuro del mondo, non solo per quello delle donne.”

Analizzare le connessioni
Le specie, gli habitat e gli ecosistemi di molte aree biologicamente ricche – dalle montagne della Cina sud-occidentale fino all’Himalaya orientale, dalle foreste dell’Africa centrale fino al bacino del Danubio nell’Europa orientale – sono minacciati dalle attività umane. Biologi e esperti di conservazione sono concordi nel ritenere che i cambiamenti delle dinamiche demografiche – crescita, migrazione e densità – e nei modelli di consumo delle risorse sono tra le cause principali della perdita di biodiversità. Insieme ad altri fenomeni economico-sociali, come l’integrazione dei mercati globali e la creazione di benessere in aree ancora povere, i trend demografici e di utilizzo delle risorse dimostrano l’immenso potere dell’uomo nel modellare la natura e rendono evidente la necessità di nuove politiche e di strategie sostenibili a lungo termine, in grado di proteggere la biodiversità (per noi e per le altre specie) dando impulso allo sviluppo umano e correggendo la persistente diseguaglianza tra donne e uomini.12
Ogni nuovo nato, persino ai limiti più bassi della scala del consumo, innalza la pressione globale sui sistemi naturali della terra, e i nati nei paesi industrializzati hanno un impatto sproporzionatamente più alto.
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Mai nella storia dell’umanità si è assistito a un tale livello di consumo di risorse e da parte di un numero così elevato di persone. I numeri assoluti non dicono però abbastanza sull’interazione tra popolazione e biodiversità. La dimensione e il peso dell’“impronta ecologica” che ogni individuo lascia sulla terra è determinata dai modelli di consumo delle risorse.
La differenza tra le impronte ecologiche degli individui è notevole. Per esempio, un vegetariano che usa come mezzo di trasporto abituale la bicicletta ha un impatto molto inferiore di chi mangia carne e guida un veicolo sportivo inquinante. Altrettanto enormi sono le differenze tra le impronte di diverse aree del mondo, ed è l’insieme delle impronte dei singoli di una data regione a determinare la perdita o la conservazione di biodiveristà nella regione stessa. L’impronta ecologica individuale media in un paese ricco è circa sei volte quella di un paese a basso reddito.
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Ma se i consumatori dei paesi ricchi esercitano un enorme potere nel modellare il mondo naturale, i tassi di incremento demografico restano più alti nei paesi poveri e meno sviluppati. Qui la biodiversità è spesso maggiore ma il degrado ambientale è già diffuso. Sono gli stessi luoghi in cui la condizione della donna – elemento determinante per il tasso di crescita – è peggiore e dove i governi non riescono a offrire servizi sanitari, istruzione e possibilità di lavoro al crescente numero di cittadini, né a controllare la pressione che questi esercitano direttamente sulle risorse naturali.
Per molte popolazioni povere di regioni a elevata biodiversità – soprattutto in zone rurali senza servizi sanitari, scuole e infrastrutture – lo sfruttamento dell’ambiente è la sola possibilità di sussistenza. In questi contesti, il rapido incremento demografico rende insostenibili le pratiche tradizionali, ecologicamente compatibili in situazioni di scarsa densità demografica.


( di Mia McDonald, Danielle Nierenberg )



Tratto da: State of the World '03 (Stato del pianeta e sostenibilità)
di Chris Bright, Christopher Flavin, Anne Platt McGinn, e altri autori a cura di Gianfranco Bologna
Worldwatch Institute
Capitolo 3

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