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    Roma. “Nel gennaio di dieci anni fa quando Silvio Berlusconi annunciò la sua scesa in campo tra noi vescovi – almeno nella maggior parte di noi – ci fu sorpresa e attenzione, non ostilità”.
    A parlare è un alto ecclesiastico che nel 1994 era a capo di una importante diocesi del Nord. Nella Cei fino alla fine si era creduto alla bontà dell’unità politica dei cattolici, tanto che il Papa nella lettera che agli inizi di gennaio aveva mandato ai vescovi della penisola ne aveva in qualche modo ribadito l’importanza.
    “I laici cristiani – aveva scritto il Papa non possono dunque, proprio in questo decisivo momento storico, sottrarsi alla loro responsabilità. Devono piuttosto testimoniare con coraggio la loro fiducia in Dio, Signore della storia, e il loro amore per l’Italia, attraverso una presenza unita e coerente…”.
    Ma l’entrata in politica di Berlusconi e la nascita di Forza Italia cambiò le carte in tavola. La leadership dell’episcopato dopo aver per un paio d’anni continuato ad appoggiare il Ppi martinazzoliano capì che realisticamente questo partito non avrebbe più avuto un ruolo centrale nella cosiddetta Seconda Repubblica, né riteneva di potersi fidare della gioiosa macchina da guerra occhettiana… Così venne annunciata un’olimpica equidistanza tra le forze in campo, anche se era chiaro che per i vertici della Cei, a cominciare dal cardinale presidente Camillo Ruini, il Polo delle libertà offriva maggiori garanzie riguardo a temi che stavano loro a cuore, come – ad esempio – quelli inerenti i temi bioetici e la libertà della scuola cattolica.

    Sostanzialmente questo “pregiudizio positivo” nei confronti del Cavaliere è sopravvissuto, con alti e bassi, in tutto il decennio. Anche perché è un dato di fatto che, almeno finora, Forza Italia abbia intercettato il maggior numero dei voti che una volta andavano a finire nella Dc. Anche se nel corpo episcopale e all’interno didel mondo cattolico organizzato non sono mancate solide antipatie nei confronti del politico Berlusconi e, a volte, della persona Berlusconi.
    Fin dalla prima vittoria berlusconiana del 1994 non manca chi, come l’allora vescovo di Acerra Antonio Riboldi, manifesta una “certa paura” dei risultati elettorali e spera “che la vittoria di Forza Italia e dei suoi alleati non si traduca in una vittoria del nord”. L’anno dopo l’allora vescovo di Ivrea Luigi Bettazzi ci va ancora più duro:
    “Quello che maggiormente preoccupa è l’attuazione fatta e programmata dall’onorevole Berlusconi del Piano di rinascita democratica dalla Loggia P2 già nel 1976”.
    Così come ci va duro il primo presidente della Caritas, monsignor Giovanni Nervo, sempre nel 1995:
    “E’ comprensibile che Berlusconi non sappia cosa fa il volontariato in Italia in tutti i campi dell’emarginazione sociale e della promozione umana, perché vive in un mondo molto lontano da queste realtà”.
    C’è stato poi chi ha denunciato i vertici della Cei di eccessivo
    “berlusconismo”. Avvenne, ad esempio, nell’aprile del 1994 quando Jesus, il mensile ideologico dei Paolini, accusò la leadership della Chiesa italiana di essere “spesso più attenta a dialogare con i padroni che anticipatrice del futuro” e la invitò a fare autocritica per gli “errori” e le “macroscopiche distrazioni” non solo verso “tangentopoli”, ma anche verso il “berlusconismo strisciante per quindici anni e oggi trionfante”.
    Certo, anche tra le componenti più moderate dell’episcopato non mancano perplessità. Non costituisce problema il fatto che il Cavaliere sia divorziato e risposato (nel 2000 l’allora segretario della Cei Ennio Antonelli, oggi cardinale di Firenze, affermò che è “meglio guardare ai programmi che al comportamento nella vita privata”).
    Ma in fondo Berlusconi, pur avendo le zie suore, viene percepito come il padre padrone della tv commerciale italiana, con tutte le derive consumistiche che essa comporta. Ma la totale sfiducia nei confronti della sinistra, percepita come assolutamente allergica alla posizione cattolica riguardanti temi ritenuti prioritari come quelli inerenti la bioetica e la libertà della scuola, lo rendono perlomeno come il “male minore” rispetto ai tempi in cui era la Dc la camera di compensazione tra Chiesa e politica. C’è anzi chi osserva che con i governi del “consumista” Berlusconi la Cei abbia potuto portare a casa risultati che forse erano impensabili ai tempi della Balena Bianca, come ad esempio la legge che ha inquadrato gli insegnanti di religione – che sono scelti dai vescovi – nei ruoli dello Stato anche se non hanno una laurea.
    Comunque il momento in cui Berlusconi si è trovato ad avere i maggiori ostacoli da parte delle gerarchie e del mondo cattolico è stato quando ha dovuto confrontarsi con un cattolico doc come Romano Prodi.
    Il professore bolognese aveva, e per certi versi continua ad avere, solidi rapporti con l’establishment cattolico che conta. Tanto che alle elezioni del 1996 la Cei si è mostrata particolarmente equidistante tra Polo ed Ulivo, anche perché a Prodi non mancava l’appoggio di quella che Massimo Franco nel suo libro “I voti del cielo” (Baldini & Castoldi, 2000) chiama “l’altra Cei” e cioè i cardinali Carlo Maria Martini, allora arcivescovo di Milano, e Silvano Piovanelli, allora a Firenze.
    In questo partito ecclesiastico anti-Berlusconi Mauro annovera anche un influente porporato della Curia romana, anche lui ormai in pensione: il cardinale Achille Silvestrini che fino al compimento degli ottanta anni, lo scorso 25 ottobre, ha avuto un ruolo molto importante nelle nomine dei vescovi italiani.
    In Vaticano tuttavia il filo-prodismo silvestriniano non ha sfondato.
    Nei Sacri Palazzi non ci sono stati preclusioni ideologiche nei confronti del Cavaliere, soprattutto ovviamente quando si è trovato a palazzo Chigi. D’altronde il primo gesto di Berlusconi dopo i trionfi elettorali del 1994 e del 2001 è stato quello di recarsi in visita da Giovanni Paolo II. La prima al Gemelli dove il pontefice era ricoverato, la seconda in Vaticano. E bisogna poi tener conto che sotto il secondo governo Berlusconi il Papa ha compiuto la storica visita a Montecitorio (anche se in questo caso un ruolo assolutamente non secondario l’ha avuto il presidente della Camera, l’Udc Pier Ferdinando Casini).
    Certo Berlusconi non viene dalla scuola politica dc, né proviene dai quadri dell’Azione cattolica dove erano cresciuti gli storici leader della Balena Bianca. E quindi il Cavaliere a volte risulta molto poco curiale suscitando qualche soprassalto tra gli abitanti d’Oltretevere. Come quando durante una visita in Russia nell’ottobre 2002, preso forse dalla foga di fare da paciere tra Santa Sede e Patriarcato ortodosso, anticipò alla stampa il fatto che stava per essere inviato un nunzio italiano a Mosca di cui lui conosceva il nome (cosa che avvenne un paio di settimane dopo con la nomina dell’arcivescovo Antonello Mennini).
    La dichiarazione irrituale del Cavaliere lasciò di stucco gli inquilini della Terza Loggia, la Farnesina vaticana. Queste intemperanze verbali (come quelle di essersi una volta definita “l’Unto dal Signore”) non hanno comunque impedito che anche i vertici della Curia apprezzassero la politica berlusconiana sui temi bioetici e sulla scuola, nonché l’impegno del governo italiano per l’introduzione delle radici cristiane nella Costituzione europea. Sono risultate gradite nei Sacri Palazzi anche alcuni piccoli provvedimenti che riguardano la vita concreta dentro le mura leonine. Come l’emendamento inserito nell’ultima Finanziaria che prevede lo stanziamento di 25 milioni di euro per il 2004 e di 4 milioni l’anno a partire dal 2005 per il sistema idrico del Vaticano. O come l’accordo monetario che ha innalzato il contingente di monete in euro che il Vaticano può battere.
    Sembrava poi che in Vaticano ci fosse qualche titubanza nei confronti di alcune mosse della politica estera berlusconiana. Come il fermo sostegno alla campagna irachena di Bush e Blair o alla politica israeliana del governo Sharon. Ma il 9 gennaio scorso, nel corso della presentazione delle lettere credenziali di Giuseppe Balboni Acqua, nuovo ambasciatore italiano presso la Santa Sede, è stato lo stesso Giovanni Paolo II che ha esplicitamente valorizzato l’impegno in politica estera del governo italiano con queste parole: “Né va dimenticata la fattiva attenzione [dell’Italia] a creare in campo internazionale un giusto ordine al cui centro ci sia il rispetto per l’uomo, per la sua dignità e per i suoi inalienabili diritti”.
    Non solo, il Papa ha anche ricordato “il tributo di sangue” dei
    “militari italiani caduti in Iraq” coprendo così, autorevolmente,
    la discussa – anche in alcuni settori del mondo cattolico – omelia del cardinale Ruini ai funerali delle vittime della strage di
    Nassiryiah

    saluti

  2. #12
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    Predefinito dedicato sottovoce a pensiero e a...

    ...tutti gli juventini (gli interisti si diano da fare)

    Dieci anni dopo sono un secolo per il calcio italiano.
    Il 23 gennaio 1994 il Milan batteva il Piacenza a San Siro con un gol di Papin e uno di Massaro. Quell’anno sarebbero arrivati lo scudetto e la Coppa dei Campioni, rispettivamente uno dei sei e una delle quattro dell’era di Sua Calcità, più due Coppe intercontinentali e frattaglie varie, tra coppe e supercoppe.
    Un calcio che Berlusconi ha rivoluzionato ben prima di scendere poi in campo in politica. Introducendo anche qui il bipolarismo, sia pure imperfetto, perché oltre a Milan e Juve, chi stia a destra e chi a sinistra è difficile dirlo, qualche volta a disturbare ci si infilano anche quelle del centro, Roma e Lazio, ma la sostanza rimane la stessa: rossoneri e bianconeri l’uno contro l’altro, sempre avversari mai nemici se è vero che, dimenticate le botte in campo, le alleanze in Lega restano trasversalmente forti.
    Le altre grandi, dall’Inter non più ma sempre di Massimo Moratti, al Parma perduto dai Tanzi, sono solo sogni del calcio mercato d’estate e qualche fiammata d’inverno, sempre però navigando a metà classifica.
    Il resto è rimpianto e storia: dalla Fiorentina al Torino, dal Verona al Cagliari, la provincia non vince uno scudetto da decenni e non lo vincerà per chissà quanto tempo ancora; anche nel calcio il proporzionale sembra finito per sempre.
    E la Borsa, dieci anni fa, il calcio non sapeva neanche che cosa fosse. Poi cominciò la Lazio di Cragnotti, la Roma di Sensi, perfino la Juventus degli Agnelli e, soprattutto, della triade Bettega-Giraudo-Moggi, ed è paradossale che delle grandi proprio il Milan del Cavaliere si tenga ancora alla larga da Piazza Affari, mentre ci sono finite tutte le altre a caccia di lire ed euro cercando di comprare campioni e pagare stipendi con la stessa abilità e la stessa puntualità del Milan di Galliani e Braida.
    I bilanci delle società nel 1994 erano una variabile che non interessava nessuno, spesso neanche i presidenti, i soldi si trovavano sempre, e se non c’erano si facevano i debiti, uno scarto di serie B si comprava a dieci miliardi come niente, più o meno quanto oggi l’Inter ha pagato al Parma per avere Adriano, l’ultimo dei Fenomeni, l’ennesimo salvatore della patria; dieci anni fa nessuno pensava neppure lontanamente che una squadra storica come la Fiorentina sarebbe precipitata in serie C sepolta dai debiti e dai guai di Cecchi Gori prima che un altro imprenditore alla Berlusconi, Diego Della Valle, cercasse di salvarla; che squadroni come la Lazio fossero costretti a vendere l’argenteria per non scomparire, che il Parma fosse una delle voragini in cui la Parmalat sarebbe affondata.
    Gli stadi e i tribunali, nel 1994, avevano strade diverse, l’emergenza giustizia non era ancora entrata in campo, almeno in quelli di calcio, erano lontani i pubblici ministeri come Guariniello di Torino che ha portato in aula mezza Juventus a spiegare cos’erano quegli integratori che prendevano e non c’erano i Tar che quest’estate hanno scritto e riscritto più volte i calendari della serie B e C, tra ricorsi e appelli, guerra in Lega e in Parlamento, schieramenti trasversali e barricate in piazza.

    Sky dieci anni fa non c’era ancora, ma neanche Telepiù e Stream, il calcio si guardava soltanto in chiaro, niente anticipi né posticipi, tutti in campo la domenica pomeriggio e tutti a controllare la schedina per fare tredici e non quattordici né tanto meno nove. Nessuno pensava che Adriano Galliani sarebbe diventato presidente della Lega né che un ct come Dino Zoff si sarebbe mai potuto dimettere dalla Nazionale per una battuta di Berlusconi su Gattuso e Zidane.
    Dieci anni dopo all’Inter non c’è più Massimo Moratti così come non
    c’era dieci anni fa, ma sarebbe arrivato appena un anno dopo, il 18 febbraio 1995, comprando la società da Ernesto Pellegrini.
    In nove anni, avrebbe cambiato 10 allenatori e comprato 102 calciatori, da Roberto Carlos a Ronaldo, da Crespo a Vieri, portandosi a casa una Coppa Uefa nel ’98, un paio di secondi posti, tante polemiche e ancora più delusioni, neanche lo scudetto che almeno Pellegrini aveva vinto.
    Dieci anni dopo a Parma non ci sono più i Tanzi e forse lo stadio Tardini è l’unica isola di Parma dove li rimpiangeranno.
    Stefano, il figlio di Calisto, ha raccontato che dopo la vittoria con l’Inter, 1 a 0 in casa, il canto del cigno della gestione di famiglia, prima delle dimissioni, negli spogliatoi ci sono stati abbracci e lacrime vere, con Benarrivo e con ex come Minotti, la vecchia guardia, quella della Coppa Uefa vinta nel 1999, delle due Coppe Italia (il ’99 e il 2002), della Supercoppa italiana, ancora, il ’99, l’anno d’oro, quando ancora Buffon e Thuram non se li era presi la Juve, quando la provincia era ancora sana e non comprava i bond, quando Parma sembra lì lì, ogni anno, per vincere il campionato, pronta a diventare anche lei una vera grande, oltre a Buffon e Thuram, anche Veron e Crespo, Cannavaro e Mutu, uno squadrone che neanche il Real Madrid, ma in Emilia lo scudetto non arriva in quell’anno, non arriverà più.
    Dieci anni fa nella Roma Totti era solo un ragazzo di belle speranze che faceva meraviglie nelle giovanili, e nessuno aveva ancora avuto, come poi ebbe Sensi, l’idea, e i soldi per prendere quel Capello cresciuto alla scuola-azienda di Berlusconi, senza cui, forse, neanche i cucchiai e le magie del capitano avrebbero portato a vincere uno scudetto e a lottare per prendersene, quest’anno, un altro.
    C’era l’Avvocato Agnelli, dieci anni fa, che spiegava ai giornalisti che tra Platini e Del Piero passava la stessa differenza che tra Michelangelo e Pinturicchio, c’era l’Avvocato ma già la squadra e i bilanci li faceva la Triade, altrimenti, forse, nonostante gli Agnelli, oggi la Juve sarebbe più simile all’Inter che al Milan.
    A vederlo oggi, il calcio di dieci anni fa sembra più vicino a quello di Mazzola e Boniperti che a quello di oggi. Poi apri i giornali e leggi che ci sono ancora Bettega e Facchetti. E ti accorgi che, come tante cose in Italia, anche allo stadio è scoppiata la rivoluzione, è cambiato tutto per restare sempre uguale.
    Oggi, come dieci anni fa, se vince il recupero con il Siena, il Milan è primo in classifica.

    Angelo Ascoli su il Foglio di sabato 24 gennaio

    saluti

  3. #13
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    In origine postato da Österreicher
    Per entrare nella sinistra devi invece sporcarti col sangue dell'avversario..... non esiste la parola rispetto.
    Ma cosa stai dicendo!!! Guarda che il tuo signore e padrone burlescone va affermando da sempre che è la sinistra a seminare odio, voi siete quelli dell'amore. Perchè vuoi sputtanarlo in questa maniera, dicendo il contrario della verità rivelata? Non sarai mica un prodiano infiltrato? Vergogna....

  4. #14
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    Predefinito MUSTANG, PER FAVORE...

    Basta con questi chilometrici post incollati osannanti il signore, il nuovo cristo disceso in terra a miracol mostrare.

    Siete ormai rimasti in pochi a godere, perchè non vi chiudete al bagno e in beata solitudo vi fate memorabili godute? Tanto poi c'e gianni vostro che vi confessa...

  5. #15
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    Predefinito Re: MUSTANG, PER FAVORE...

    In origine postato da Dario
    Basta con questi chilometrici post incollati osannanti il signore, il nuovo cristo disceso in terra a miracol mostrare.

    Siete ormai rimasti in pochi a godere, perchè non vi chiudete al bagno e in beata solitudo vi fate memorabili godute? Tanto poi c'e gianni vostro che vi confessa...
    ---------------------------
    Se noi non postassimo su Berlusconi mi dici di cosa cavolo voi parlereste.
    Partendo da Prodi Romano giu giu verso l'ultimo dei bamboccetti che che "ospitiamo" siete tutti "completamente presi" dal Cav., ossessionati, allucinati.

  6. #16
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    Predefinito Però non proprio uguali a....

    ....a quelli trascorsi


    Ci si può migliorare in tanti modi.
    Uno è la “militarizzazione del sorriso”, la scelta che abbiamo attribuito a Berlusconi su questo giornale il 23 dicembre scorso, senza sapere quanto letteralmente avevamo ragione, visto che uno squadrone di chirurghi era in partenza dalla California.
    Ora anche gli avversari scoprono che il Cav. ha delle virtù magiche e produce incantesimi con le sue bizzarrie e anomalie. Noi, che gli siamo amici, dei prodigi non ci accontentiamo.
    Va bene, abbiamo capito: si è aperto un altro ciclo elettorale, il calcio d’avvio lo ha dato il premier, per sei mesi fino alle elezioni europee ci aspettiamo che i due schieramenti di maggioranza e di opposizione si prendano a legnate.
    Ma non è nell’interesse di Berlusconi, e di un paese che vuole essere governato almeno un po’, cancellare la politica e sostituirla con grandi poster, battaglie campali in tv, scenatacce e minacce.
    All’opposizione si è liberi, liberi di vociare, come si vede dal propagandismo esasperato dell’opposizione che pensa di farsi del bene insultando l’avversario.
    Al governo si è semiliberi, una parte di te è imprigionata dai fatti. Se il paese non cammina a un ritmo sostenuto, se le imprese non investono, se la gente non risparmia e non consuma, se a diffondersi è il senso della paralisi politica, del rinvio nelle paludi delle verifiche, del politicismo di ritorno, delle riforme sempre a metà del guado, è chi sta al potere che perde punti.
    Non solo nei sondaggi, anche alle elezioni.
    Sarà allora saggio, a sorriso militarizzato, impostata una campagna elettorale di lunga durata con le sue asprezze e (si spera) il suo fair play, irrobustire la capacità di agire.
    Berlusconi deve scordarsi di essere trattato come un re che non governa o come il presidente della Repubblica dalla stampa;
    il governo è “parte” in causa, e le critiche anche più ingiuste vanno smantellate con argomenti e fatti che persuadano, non con l’intolleranza.
    Poi vanno bene anche tutte le magie che in questi dieci anni tutto sommato hanno salvaguardato la libertà di tono, e altre libertà, che questo paese stava sacrificando all’incantesimo fosco, nebuloso e obliquo del giustizialismo.
    Dieci anni ancora, ten more years: è un augurio che facciamo a Berlusconi.

    Ferrara su il Foglio di sabato 24 gennaio

    saluti

 

 
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