Sul Sud Fini rilancia la leva fiscale e il federalismo delle responsabilità
Inserito il 13 ottobre 2009
Sul Sud Fini rilancia la leva fiscale e il federalismo delle responsabilità|Libertiamo.it
Sul Sud Fini rilancia la leva fiscale e il federalismo delle responsabilità

- “Vorrei solo ricordare che la legge delega in materia di federalismo fiscale fissa, tra i suoi principi, quello dell’individuazione di forme possibili di fiscalità dirette a permettere nuove attività d’imprese e a valorizzare le risorse presenti nei territori”. E’ un estratto di un intervento di Gianfranco Fini, pubblicato sabato scorso da Il Mattino. Siamo attenti da mesi al principio che Fini richiama e che potrebbe trovare una attuazione ottimale nel l’istituzione di una No Tax Region per il Mezzogiorno. Ne abbiamo parlato molte volte: per il Sud c’è bisogno di un cambio di paradigma, vale a dire la rinuncia ai finanziamenti a pioggia (“dispersi in mille rivoli improduttivi e clientelari”, dice Fini) come improbabile leva per lo sviluppo, in favore di una misura automatica, rivolta a tutti e meritocratica come l’abbattimento per dieci anni dell’imposizione fiscale sulle imprese. E’ ragionevole pensare che il presidente della Camera abbia in mente qualcosa del genere quando pone l’accento sull’opportunità di individuare “nuovi incentivi, soprattutto di carattere fiscale” tesi a favorire nuovi investimenti, o quando evidenzia come – insieme agli investimenti infrastrutturali – le uniche misure per il Mezzogiorno capaci in passato di produrre risultati positivi siano stati proprio gli interventi di defiscalizzazione. Non si tratterebbe, come pure qualcuno ha sostenuto, di un semplice “sconto” alle imprese del Sud, ma di un autentico scambio, doloroso quanto necessario: meno sussidi, ma meno tasse; meno intermediazione politico-burocratica, ma più competizione e libertà economica.

Nel suo intervento, Gianfranco Fini si sofferma sul concetto di “intervento dello Stato” nel Mezzogiorno, invitando ad intendersi sul significato delle parole. Al Sud non serve uno Stato pasticcione e manovriero, che pensi di sostituirsi alle imprese ed agli operatori finanziari diventando insieme industriale o, come accade ancora oggi, banchiere degli amici e dei clienti, e di sopperire all’assenza di un vero mercato creando artificialmente la domanda e l’offerta. La politica fa il suo mestiere, invece, quando consente al mercato di funzionare, quando si pone l’obiettivo di irrobustire la cultura civile, di rendere certo e chiaro il diritto e di contrastare con durezza l’illegalità. E’ la vecchia ricetta “legge ed ordine”, cara ai conservatori classici? Io parlerei piuttosto di “merito ed ordine”, di “concorrenza ed ordine”, di “responsabilità ed ordine”. Di leggi e leggine, ce ne sono già troppe.
Il richiamo alla responsabilità permette di allargare il discorso. Quando, nei prossimi mesi, il Governo dovrà mettere mano ai decreti legislativi sul federalismo fiscale, quanti vogliono promuovere una vera autonomia per i territori ed un’autentica responsabilizzazione per la classe politica locale non dovranno impantanarsi negli estremismi, sia “leghisti” sia “sudisti” e nelle loro più scoperte pretese: in un caso, trasformando l’impianto federalista in una semplice redistribuzione pro-Nord del gettito fiscale; tra i secondi, allargando così tanto le maglie della perequazione tra territori, da depotenziare nei fatti la portata del federalismo.

Il “patto nazionale” tra Nord e Sud, evocato da Fini nel suo articolo, sarà efficace se riuscirà a chiudere il circuito democratico: gli elettori hanno il diritto di sapere chi li sta tassando e per cosa, ogni livello di governo dovrà reperire autonomamente le risorse di cui abbisogna per lo svolgimento delle proprie funzioni. Quando così non accade, e cioè quando lo Stato tassa e gli enti locali spendono, la formazione del consenso finisce per essere meno consapevole e i governi territoriali più spreconi. Certo, accettare una riforma federale come quella che abbiamo descritto, e non un semplice maquillage dei meccanismo della finanza pubblica, comporterà innegabilmente dei costi nell’immediato: non a carico delle casse pubbliche, ma di chi oggi gode di una posizione di rendita da status quo. Ma non ci potrà essere sviluppo (e un miglioramento del tessuto sociale e democratico) se non si recidono i rami secchi.

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Piercamillo Falasca